Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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24.
LA FEDE

Nella domenica presente, l'oremus dice: «Signore, dammi aumento di fede, di speranza, di carità». La fede è sempre in primo luogo. Quando recitiamo le orazioni, prima dell'atto di speranza e di carità, diciamo infatti l'atto di fede.
Questa mattina, allora, fermiamoci a considerare questa virtù, questo dono di Dio, il dono della fede, e vediamo che cosa è la fede, che cosa è lo spirito di fede, quanto sia necessario lo spirito di fede, e la pratica. In primo luogo vediamo che cos'è la fede. La fede è credere ciò che non si vede, perché quando uno vede una cosa non ha bisogno di credere ad un altro che gli dice che c'è. Ad esempio, uno vede un monumento, non ha bisogno che gli vengano a dire che c'è nella piazza quel monumento. Invece se uno non ha mai visitato una città, ad esempio non ha mai visitato Roma o Torino, e gli dicono che c'è la tale chiesa (a Torino c'è la Consolata, l'Ausiliatrice, la chiesa del Corpus Domini, eccetera) allora lo crede perché glielo dicono.
Noi non vediamo Gesù nel tabernacolo, ma lo crediamo perché l'ha detto Gesù stesso e lo dice la Chiesa. Noi non vediamo ancora il Paradiso, ma lo crediamo perché ce lo ha detto Gesù, perché ce lo dice la Chiesa. Noi non vediamo quanta grazia viene in noi per la comunione, ma lo sappiamo per fede, in quanto Gesù ci ha detto che la sua carne è veramente cibo, ed è cibo per mezzo del pane eucaristico. Così si può dire delle verità principali; si può partire da tutto quello che è contenuto nel credo, da tutta la dottrina circa i sacramenti e la grazia, da tutto quello che noi sappiamo, o che Dio vuole da noi.
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Credere quello che non si vede ma che Dio ha rivelato, questa è la fede.
Però vi è la fede appena superficiale. Dicevo a un malato che bisognava ricevere i sacramenti; la malattia si aggravava e lui con la sua fede non arrivava ancora a credere che il sacramento della penitenza rimette i peccati. Diceva di credere in un essere supremo che domina il mondo; allora io gli risposi che doveva anche ammettere che c'è qualcuno a cui si rende conto della nostra vita e, prima di passare all'estremità, bisogna almeno credere che c'è il Paradiso, che, per mezzo dei meriti di Gesù Cristo, nella confessione ci vengono rimessi i peccati.
Ecco, ci può essere una fede superficiale, appena iniziale. Ma ci può anche essere chi ha molta fede, persone che quando recitano il credo aderiscono con la mente, così quando si studia il catechismo, specialmente la prima parte che riguarda la fede. Chi mi ha creato? Per qual fine sono creato? Quante persone vi sono in Dio? A queste verità l'uomo di fede aderisce con la sua mente. Poi quando recita l'atto di fede capisce anche i motivi, cioè perché Dio che non può ingannarci ce lo ha rivelato e la Chiesa ha la missione di proporre, di predicarlo. Questa è una fede molto più perfetta. Così molte persone, molti operai, molti contadini, hanno questa fede più o meno ampia, anche secondo il loro grado di istruzione.
Bisogna anche dire che c'è lo spirito di fede. Oltre una fede superficiale e una fede un po' illuminata, c'è lo spirito di fede e lo pratica colui che vive di fede, come dice la Scrittura: «Justus ex fide vivit»: il giusto vivrà in virtù della fede (Gal 3,11 ). Perché quella giovane si fa suora? Perché vive di fede, in vista di un Paradiso più bello. Perché quei genitori si comportano da veri cristiani, si impegnano ad educare bene i loro figli? Perché sanno che non devono solamente metterli al mondo, ma devono procurare che conducano sulla terra una vita onesta e poi devono pure pensare che siano felici in eterno.
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Non vogliono mettere al mondo delle creature perché vadano a soffrire e bruciare nell'inferno.
Vi sono persone che vivono di spirito di fede; tutto vedono in Dio, capiscono che tutto viene da Dio, che ogni cosa è ordinata per nostro merito, per la nostra santificazione e che anche le cose che sembrano contrarie sono occasione di merito. Sono persone che passano la giornata intera in tante occupazioni pensando sempre ai meriti che accumulano, e vanno avanti. Non trovano difficoltà? Sì, anche loro hanno le tentazioni, hanno le difficoltà che tutti hanno, e qualcuna ha poi delle difficoltà particolari; ma pensano che Dio le aiuterà, Dio le premierà. Ecco tre belle espressioni: è Dio che vede e lo permette; è Dio che mi dà la grazia proporzionata secondo il bisogno; è Dio che mi darà il premio. E ancora non cadrà nulla di quel che faccio; la vostra fatica non è vuota; anche un bicchiere di acqua dato a uno che ha sete avrà il suo premio, ha detto Gesù. La fede è necessaria: «Chi crederà sarà salvo e chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16). Notiamo bene che si tratta della salvezza o della perdizione eterna.
La fede apre la via alla speranza, perché se si crede che c'è Dio e che ci aiuta, allora speriamo che egli mi aiuti, e speriamo che ci premierà, e allora l'amiamo. Quindi dalla fede nasce la speranza e la carità; nasce l'apostolato e l'impegno per una vita migliore, per il progresso nella virtù. Perché siete venute qui? Siete venute per fede, per la vostra anima; avete pensato che questi pochi giorni potevate spenderli come fanno tanti, con divertimenti vari, al mare, ai monti; ma voi avete pensato che in primo luogo c'è l'anima. Siete venute qui per fede. San Paolo disse perciò che la fede è la radice. Figuriamoci una pianta, e pensiamo al primo salmo che dice che l'uomo giusto è come una pianta, la quale ha le radici vicino alle acque ed è ben nutrita in un buon terreno, ha l'umidità sufficiente, cresce, a suo tempo dà foglie, fiori e frutti e non inaridisce; il suo sviluppo sarà benedetto, avrà fortuna, ecco, perché quella pianta dà i frutti, i quali, seminati, daranno altre piante e si moltiplicherà.
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Ma se questa pianta non ha la radice, crescerà forse? Darà foglie, fiori, frutti, porterà semi e noi potremo mangiare i frutti di quella pianta? Niente affatto! Così, senza fede, nessun merito può esistere, perché non ci può essere la speranza, non ci può essere la carità.
Allora la radice di tutto, la radice della santità è la fede. E se siete venute per la santità, bisogna prima porre il fondamento. La santificazione nella Scrittura è rassomigliata alla costruzione di una casa, domus Dei. Credendo fundatur, sperando erigitur, amando perficitur che cosa vuol dire? La casa prima richiede le fondamenta, le quali dovranno essere tanto più robuste quanto più si vuole andare in alto, perché per un peso maggiore sono necessarie delle fondamenta più robuste. Il fondamento è la fede. «Domus Dei credendo fundatur». Poi la speranza del cielo ci fa fare le opere buone, come diciamo: «Spero il Paradiso con la vostra grazia e mediante le opere buone che io debbo e voglio fare»; quindi la casa si innalza più in alto se si compiono opere buone, se si cresce nella virtù. Poi: «Amando perficitur», come il tetto che copre la casa. Se non c'è il tetto che protegge, anche i muri con le ripetute piogge si rovinerebbero e la casa crollerebbe. Oh, l'amore delle anime che credono bene, che sperano bene, che si lanciano nella via dell'amore! Anime nascoste nelle quali Dio si comunica, lo Spirito Santo agisce, accende il fuoco. Lo Spirito Santo è ignis, charitas, è un fuoco, è carità.
La fede in Dio è la prima condizione, la prima necessità, e non solamente per salvarci, ma per diventare buoni, santi, come ci vuole il Signore; per prepararci al cielo. Anche questa vita ben presto scompare. Vedete bene nelle grandi città come lavorano continuamente le vetture che trasportano le salme al camposanto! Finiamo tutti così; ma l'anima non finisce lì, l'anima va al premio e le opere buone fatte sono contate da Dio. Dio ci vede, vi è un occhio che tutto vede.
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Chi ha fede crede a quest'occhio divino, crede a una mano che tutto scrive, scrive cioè quello che noi facciamo, nel libro della vita. Vi è un orecchio che tutto sente, quello di Dio; sente i battiti del cuore. Quanto amore c'è nel nostro cuore? Cosa c'è nel nostro cervello? C'è fede? Crediamo fermamente? Speriamo realmente il Paradiso? Pensiamo che nella confessione si rimettono davvero i peccati? Dio ha un orecchio che sente, ma vi sono anime che sono sorde nel cuore e non sentono niente delle ispirazioni, non si arrendono a Dio; e vi sono anime sensibili che hanno dei palpiti di amore per Dio e compiono giornalmente sacrifici che il Signore sente. Un occhio che tutto vede, un orecchio che tutto sente e una mano che tutto scrive.
E al giudizio? Il giudice sederà e aprirà i libri. Quali? I libri che indicano la storia delle grazie che il Signore ci ha fatto da quando siamo nati; dal battesimo fino ad ora. È quel libro dove c'è scritto ciò che giorno per giorno abbiamo pensato e nutrito nel cuore, che poi è detto con la nostra lingua e operato con la nostra attività: tutto, tutto. Da un'anima peccatrice verranno fuori tante cose che essa aveva dimenticato, tante cose fatte, tante parole dette, tanti sentimenti cattivi; ma dall'anima retta, giusta, verranno fuori tutti gli atti in temi di virtù, tutte le tentazioni vinte con merito, tutti i desideri santi, tutta la pietà e tutta quella volontà di ricevere bene i sacramenti, di unirsi a Dio.
Ora, che cosa credere? Bisogna credere alle verità rivelate. In sunto le abbiamo nei dodici articoli del Credo e, quasi in maniera più breve, nell'atto di fede. Che cosa credere? Dobbiamo credere a tutto ciò che è contenuto nel catechismo, specialmente nella prima parte che espone le verità principali da credere e le espone in una maniera chiara. A quelle verità dobbiamo aderire.
Ho detto però, che vi è la fede semplice, pura, che vi è la fede più illuminata e vi è lo spirito di fede. Quali sono le verità fondamentali che bisogna assolutamente credere?
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Prima di tutto dobbiamo credere che siamo stati creati per conoscere, per amare e per servire Dio e andare a goderlo eternamente in Paradiso. Per questo dobbiamo credere a quello che è stato rivelato, perché chi non crede è già condannato, si condanna da sé, perché commette il peccato più grave, il peccato fondamentale, che consiste nel non esercitare la fede. Ma se vogliamo anche pensare più in particolare, la fede richiede soprattutto che conosciamo che cos'è la vita presente: che questa vita è ordinata soprattutto a un'altra vita, e che per meritare quest'altra vita, ossia la vita eterna, dobbiamo conoscere, amare e servire Dio. Avere il senso giusto della vita, questa è la cosa principale; perché se uno ha il senso sbagliato, non crede quindi all'altra vita e non pensa che la vita presente è ordinata a quella eterna, la quale si ottiene conoscendo, amando e servendo il Signore, allora si darà alla pazza gioia. Veramente pazzo, perché con quella gioia si prepara all' eterna rovina, all'eterno fuoco. Se uno non ha questo pensiero cercherà solo di far denaro e arriverà forse - come insegna la Scrittura - fino al punto di radunare beni senza saper neppure per quali persone, perché magari non ha figli. Ma c'è la passione, e vi è anche chi ha la passione di soddisfazioni anche più basse. Altri poi vivono per l'onore, quindi tutta la loro vita è mondana, cioè è per il mondo presente.
Il cristiano ordina la sua vita al Paradiso. Chi si consacra a Dio ama la sua consacrazione e spende la sua vita per il Signore; non solo facendo quello che è strettamente di obbligo, ma anche quello che è di consiglio, cioè povertà perfetta, castità perfetta, obbedienza perfetta, per assicurarsi il Paradiso più bello. Allora vengono poi anche le opere, non solo le virtù individuali, ma le opere sociali, cioè l'apostolato. Allora si indirizza la vita al bene. Quindi tutta la differenza degli uomini consiste in questo: nell'ordinare la vita al tempo presente, oppure ordinarla all'eternità. Quelli che l'ordinano al tempo presente si chiamano mondani. Gesù, parlando dei suoi Apostoli diceva: «De mundo non sunt»: questi non sono del mondo (Gv 17,16), perché cercano altro.
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E cioè gli Apostoli volevano seguire Gesù e amarlo; e un giorno avrebbero compiuto l'apostolato affidato loro da Gesù e avrebbero dato la vita per Lui. Vedete la fede che cosa fa? Fino a dare la vita!
Capite bene perché tante suore vanno nei lebbrosari e sanno già che prenderanno la malattia e morranno; tante persone lavorano negli ospedali e sanno già che la loro è una vita sacrificata, certamente diversa dalla vita dell'infermiera pagata, ma è la vita di servizio ai malati. «Ero infermo e mi avete visitato» (Mt 25,36), ha detto Gesù a coloro che, curando i malati, non lo fanno per lo stipendio, ma per praticare la carità. Così ci sono persone che sono benefattori dell'umanità, hanno denaro e non lo accumulano, ma lo spendono in opere buone, magari per gli infermi, oppure per i poveri, per le chiese, o per altre iniziative buone anche di ordine sociale. Per chi vive con fede, la vita ha tutto un altro senso, la vita è illuminata dal lume che è la fede. Gli altri brancolano nel buio e non sanno dove vanno. «Di' un poco - diceva a un malato una persona che lo assisteva - adesso che ci sarà di là? Non so, vado a vedere». Non vi aveva mai pensato, era tempo di essersi già guadagnato il Paradiso, e non di andare a vedere che cosa c'era. Non è vero?
Il punto di distacco: uomini di fede, gente senza fede; oppure gente di poca fede, gente che combatte la fede. E quanta stampaccia, quante rappresentazioni cinematografiche, quanti discorsi, quante conferenze contrarie alla fede! La differenza sta qui: avere o non avere fede. Da chi ha fede si può sempre sperare bene; e se anche non si mettesse sulla strada buona un po' presto, forse quando arriverà in punto di morte, penserà che deve andare al giudizio, dove lo attende una sentenza di eterna vita o di eterna morte, e almeno farà un atto di dolore, bacerà il crocifisso, e se avrà tempo e se è un po' illuminato, farà chiamare il sacerdote e morirà in pace con Dio. Il punto di distacco è quello!
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Il punto di distacco fra i semplici cristiani anche buoni, e le anime consacrate consiste in questo: avere una fede illimitata, avere una fede piena o almeno più abbondante, più luce. Le anime che si consacrano a Dio non sono delle ignoranti, perché non hanno saputo farsi una posizione nel mondo, perché non sono astute come altre; ma sono anime più sapienti, hanno la vera sapienza: «Initium sapientiae timor Domini»: il timore di Dio è inizio di sapienza (Sal 110,10). Esse hanno paura di non corrispondere a tutta la grazia che hanno, e quindi vogliono essere tutte di Dio, per essere di Dio in morte e nell'eternità. Quello che differenzia il cristiano ordinario dalle anime che si consacrano a Dio è la fede illimitata e illuminata, abbondante, piena.
È inutile che noi stiamo a dire di fare questo o di fare quell'altro. Bisogna che diciamo: «C'è l'inferno, ci volete andare? C'è il Paradiso, ci volete andare? Pensateci voi, dovete interessarvi voi». Non è necessario predicare continuamente su queste verità, perché è interesse di ognuno il pensarvi. E a quel giovane, a quella persona che hanno tanto amor di Dio, dobbiamo dire che avranno il Paradiso più bello, più assicurato; un Paradiso nel quale avranno le mansioni e i posti più elevati, dove saranno più vicini a Gesù, a Maria. Pensateci, è vostro interesse! Ognuno pensa ai suoi interessi. I Santi sono pieni di amor proprio, ma amore soprannaturale. E fanno della carità, servono i malati, danno alle volte se stessi per salvare ed aiutare altre persone, e danno via i loro averi, eccetera; ma in ultimo è l'amore proprio, ma un amore santo. Perché ci sono due amor propri: amor proprio terreno e mondano, e amor proprio spirituale, celeste.
Adesso domandiamoci un po' se in noi c'è una fede languida, se c'è una fede illuminata e calda, se c'è lo spirito di fede. Primo: in pratica, per la fede bisogna evitare quelli che non hanno fede; queste persone possiamo salutarle e forse possiamo anche convivere con loro; può accadere specialmente alle Annunziatine che vivono a contatto con tutti gli ambienti.
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In tanti uffici e in tante famiglie esse possono avere una fede profonda, pur vivendo in ambiente di incredulità; ma noi non stiamo a sentirli. E poi evitiamo le letture non ispirate alla fede e non lasciamoci lusingare dalla passione di leggere cose che illanguidiscono, oppure distruggono a poco a poco lo spirito di fede. Sono anche da evitare divertimenti e spettacoli che mettono in pericolo la nostra fede. Quante avevano una fede semplice e quasi infantile! Veramente: «Se non diventerete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Certune erano semplici come un bambino, con una fede viva; poi, col frequentare persone di fede dubbia o anche nulla, con letture e con altri pericoli, la loro fede a poco a poco è svanita e si fa sentire solo in certi momenti, se addirittura non viene perduta del tutto. Guardarsi dai pericoli contrari alla fede.
Secondo: accrescere la fede. La fede si accresce in due maniere: anzitutto con la preghiera, recitando spesso il credo, l'atto di fede. Poi quando ci si va a confessare, credere che c'è il ministro di Dio perché ci confessiamo a Dio per mezzo del suo ministro; credere che riceviamo non solo il perdono del peccato passato, ma che ci fortifichiamo per il futuro con la grazia di Dio, ed entra in noi la grazia, la vita soprannaturale. Così quando si va alla comunione, quando si recitano le orazioni del mattino e della sera. Fare poi atti di fede e chiedere la fede. La fede è dono di Dio. Ci è stato infuso dal Signore nel battesimo con la grazia, è insieme anche il dono della speranza e della carità. Ma a un certo punto questo complesso di doni, questo complesso di virtù che si chiamano teologali, si sviluppa quando il bambino acquista l'uso di ragione, e allora deve fare atti di fede. È assolutamente necessario nella vita fare atti di fede; notare che non ci sarebbe la salvezza se non si facessero atti di fede, se non ci fosse la fede. Poi chiedere sempre l'aumento della fede e aiutare la fede con lo studio del catechismo, col sentire le prediche, con la lettura di libri religiosi, col sentire conferenze.
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Chi ha l'occasione può anche frequentare le scuole di religione, secondo la condizione di ognuno e secondo l'ambiente in cui si vive. Sempre aiutare la fede, alimentarla: «Alere flammam», cioè accendere, alimentare sempre di più la fiamma che è nel nostro cuore, la fiamma della fede. Quindi chiederlo al Signore, perché questo è dono suo, e aumentare la nostra fede.
Non basta però l'istruzione, perché san Giacomo dice che anche i diavoli credono. Credono, ma la loro fede dov'è? Vi sono anche persone che si fermano alla fede e quindi non la vedono sbocciare nella speranza e nella carità. Ma chi intanto ha già la fede viva, un giorno arriverà alla speranza nella grazia di Dio; alla speranza di compiere le opere buone e quindi salvarsi, e arriverà ad amare il Signore. La carità poi è eterna, perché la fede verrà meno. Quando saremo in Paradiso non ci sarà più fede, perché Dio lo vedremo. Come ho detto in principio, quando una cosa si vede non la si ammette più per fede, ma perché si vede; ci sarà la visione eterna di Dio, si vedrà la Santissima Trinità, Maria Santissima splendore del cielo, si vedranno i nove cori angelici, si vedranno tutte le schiere dei Santi. Alimentare la fede!
Altra cosa ancora: confessare la fede con franchezza. Voi vi credete liberi di fare il male e poi disprezzate me, quasi vorreste togliermi la libertà di fare il bene? Io ho diritto alla mia libertà e il mio diritto è sacro. La vostra libertà di fare il male non è una libertà, ma è falsa libertà, una simulazione e un inganno di libertà. Saper confessare, quindi, francamente la nostra fede. Saper dare un consiglio, saper riprendere chi fa il male e specialmente dimostrare con la nostra vita che abbiamo la fede. A volte ci sono persone che hanno vergogna di farsi il segno di croce, altre che hanno persino vergogna di andare a Messa tutte le mattine mentre lo potrebbero fare; ma temono i giudizi della famiglia, della gente, temono di essere considerate bigotte. Portare la nostra fede con faccia franca e sincera, ma non orgogliosa, sebbene un certo orgoglio bene inteso ci vuole anche.
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Avere l'orgoglio di possedere una ricchezza, un dono. Gli altri credono che chi lascia il mondo non sa guadagnarsi la vita, non comprende la vita. Al contrario sono loro che non sanno comprendere la vita, mentre noi sappiamo che il tempo che il Signore ci concede è per arrivare alla vita eterna, alla felicità. Quando costoro saranno in punto di morte lasceranno i loro piaceri e le loro ricchezze; e per la gloria, la vanità, l'ambizione, basterà una cassa con pochi assi e due metri di terreno per la sepoltura. Basterà anche a quelli che ebbero tanta gloria su questa terra. Allora noi che siamo più sapienti, compatiamo e preghiamo per tutti.
Qui viene un'altra conseguenza: Istruite gli altri? Insegnate il catechismo? Sapete mettere delle parole sagge, di fede, di pace, nelle varie occupazioni? Esercitate un apostolato, il quale da una parte indichi la vostra fede e dall'altra parte salvi le anime all'inferno? Avete certamente fede, ma cercate ancora di alimentarla il più possibile. Anche se vi occupate di un ufficio materiale, come per esempio cercare l'impiego a persone disoccupate, mettere sempre in loro una speranza, la speranza alimentata dalla fede nell'esistenza di Dio e della Provvidenza.
Chiedete la fede anche per intercessione di san Giuseppe Cottolengo. Sì, lui è vissuto qui vicino, faceva queste strade. Quante volte ha percorso queste vie e senza soldi si è messo a costruire quella casa che adesso ha migliaia di infermi e di abbandonati. Lì c'è il museo delle miserie umane, non è vero? e non solo a Torino, ma ormai in tutte le parti del mondo. Allora, senza soldi, andava raccogliendo malati, derelitti, abbandonati. A un certo signore che era venuto a raccomandargli un infermo, assicurando il pagamento di una piccola pensione, il Cottolengo rispose: «Oh, ha già la protezione degli uomini? Tenetelo, io accetto solo chi non paga, altrimenti qui non viene più la Provvidenza». Allora si misero d'accordo, vedendo come operava.
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Alcuni poi che avevano zelo, ma fede corta, andarono dal suo confessore per dirgli: «Ma lei che è il suo padre spirituale, il suo direttore di coscienza, gli dica di smettere, di ridurre il numero di questi malati, altrimenti un giorno o l'altro farà fallimento. Che cosa succederà? Uno scandalo». Il confessore rispose: «Andate là, perché ha più fede il Cottolengo che tutta Torino insieme. Mettetevi tutti insieme e non arriverete ad avere la fede del Cottolengo. Lasciatelo fare». E così ha fatto, e vedete che la fede nella Provvidenza non è mancata. Il Signore ci ascolta a misura della fede. Se non siamo ascoltati, cerchiamo la ragione in noi: vuol dire che c'è poca fede, perché la fede è la prima condizione perché la preghiera sia efficace.
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