Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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51.
VIRTÙ TEOLOGALI

Che cosa significa consacrarsi al Signore? Significa assumersi l'impegno di santificarsi mediante il progresso spirituale. E d'altra parte gli esercizi spirituali devono portare a questa conclusione: voglio farmi sempre più santa. Sì, perché il primo articolo dello Statuto fissa questo dovere che è fondamentale, cioè di progredire. Progredire significa perfezionarsi, santificarsi.
Ora già avete fatto i vostri propositi, ma per semplificare il lavoro di santificazione si può considerare questa sera come santificarsi. Per santificarsi bisogna praticare la fede, la speranza e la carità, che sono le tre virtù teologali che riguardano Dio. Tutta la religione in che cosa consiste? Nel dogma, cioè credere alle verità rivelate: fede. E, secondo, nel seguire Gesù, la sua morale, i comandamenti: la speranza; mediante le buone opere che io debbo e voglio fare: Paradiso. E poi, terzo, la religione è culto, cioè è amore a Dio, amore al Signore e amore al prossimo: carità.
Progredire. È facile, relativamente, perché ogni giorno diciamo l'atto di fede, di speranza e di carità. La religione è per santificare l'uomo, e l'uomo ha intelligenza: ecco la fede che perfeziona l'intelligenza; l'uomo ha la volontà: la speranza perfeziona la volontà, perché si possa fare quello che è volere di Dio; e poi la carità, cioè l'uomo ha sentimento. Avviene che molte persone pensano solo al sentimento, al cuore; no, prima c'è la mente da santificare, che è la prima facoltà. Perciò anche quando si va alla comunione, i pensieri-guida devono essere questi: io credo, io spero, io amo; qualunque preparazione e qualunque ringraziamento si vogliano fare, in primo luogo: io credo, io spero, io amo.
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In primo luogo la fede: credere. Credere perché il Signore ha rivelato e perché la Chiesa ci insegna quanto Egli, Dio, ha rivelato. Crediamo con la Chiesa. Ora le verità rivelate sono riassunte nell'atto di fede e nel credo. Chi crede sarà salvo, chi crede molto sarà santo, ma chi non crede si perde. Così è la sentenza pronunciata da Gesù nel santo Vangelo (Cfr. Mc 16,16). Fede.
Gli articoli di fede riassunti nel credo sono dodici. «Credo in Dio Padre Onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra». Pensare che noi eravamo nulla, non c'era nulla anche di quello che ci vediamo attorno: le piante, le stelle e tutto quello che ci serve per uso umano, tutto è creato da Dio; l'anima nostra è creata da Dio. Io credo, ecco. Riconoscere Dio Onnipotente, Dio Creatore, Dio provvidenza, Dio fine.
Come siamo venuti da Lui, così dobbiamo tornare a Lui. E perché noi possiamo arrivare a Dio, il Padre Celeste ha mandato il suo Figlio a insegnarci la strada, a insegnarci le verità da credere, e poi ha mandato il suo Figlio a redimerci. Ecco: «Nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato», eccetera. E finalmente: «Risuscitò e salì al cielo, ove siede alla destra di Dio Padre». La via della salvezza è unica: «Io sono la via», dice Gesù Cristo: non c'è altra via per salvarci che Gesù Cristo. Poi Gesù Cristo salito al cielo, che cosa ha disposto prima? Ha stabilito la Chiesa: «Credo nella Chiesa Cattolica», la Chiesa la quale continua l'opera di Gesù Cristo. Gesù Cristo ha predicato e la Chiesa predica; Gesù Cristo ha guidato le anime e la Chiesa guida le anime, regge le anime; Gesù Cristo ha conquistato la grazia per noi e la Chiesa comunica questa grazia specialmente per mezzo dei Sacramenti.
Credere. In particolare pensare al cielo. Avere presente questo: si predica molto spesso e vi sono libri che insistono tanto sopra lo spirito di sacrificio, l'immolazione, il rinnegamento di noi stessi, la rinuncia, il distacco.
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Tutto questo da una parte spaventa un po' la natura nostra, ma noi dobbiamo subito pensare che c'è un Paradiso che è eterno gaudio; e allora il sacrificio, il distacco, la rinuncia, si fanno per un maggior premio, per un maggior gaudio in Paradiso. E chi si consacra a Dio col voto di povertà, di obbedienza, di castità, fa la rinuncia, il distacco, ma agisce per un maggior guadagno, perché, come dice san Paolo, anche un piccolo sacrificio comporta un eterno pegno di gloria (Cfr. 2Cor 4,17). Un piccolo sacrificio: adesso, ad esempio, stando ad udire la predica; un piccolo sacrificio: fare un atto di gentilezza, di carità; ma a quel piccolo sacrificio corrisponde un premio che non è di un istante, è un premio che dura eternamente, perché il Signore ricompensa con misura abbondante.
Quanto alla fede, particolarmente fermarsi a meditare sopra «Vitam aeternam», la vita eterna, il Paradiso. Siamo destinati lassù, i giusti ci aspettano, Dio Padre ci attende. E andremo alla casa del Padre. Ecco il conforto di quel morente: vado alla casa del Padre mio. Del Paradiso avere una cognizione profonda, sentita, assieme a un continuo ricordo del premio eterno. Gesù ha sofferto, sì, ma siede alla destra del Padre.
Allora tra le verità che dobbiamo ricordare in particolare: siamo venuti da Dio e siamo sulla terra per ora, per compiere la volontà di Dio; ma ci aspetta il premio eterno. Sempre presente il premio. Il ricco Epulone godeva la vita; Lazzaro invece soffriva la fame e anche diverse malattie, e sopportava. Ma la fine cosa è stata? Lazzaro morì e andò nel seno di Abramo, cioè salvo, eternamente felice; invece il ricco Epulone fu sepolto nell'inferno. Non distaccare mai il pensiero della vita presente dal pensiero della vita eterna. È una vita sola la nostra; qui vi è il preambolo di vita, ma poi questa vita si prolunga per tutta l'eternità. Ottenere un'eternità felice dipende da noi. «Elige ergo vitam» (Deut 30,19): io ti ho messo davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita.
Poi, in secondo luogo, la speranza, la speranza cristiana.
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E speriamo dalla bontà di Dio e per i meriti di Gesù Cristo la grazia, la quale è come la comunicazione della vita divina in noi. Poi vi è la grazia che aiuta a fare il bene, la grazia attuale per compiere quelle opere che dobbiamo e che vogliamo fare. Quindi abbiamo da tener presente che la nostra speranza è nei meriti di Gesù Cristo, nella sua grazia, la grazia che santifica, la grazia che comunica a noi la forza per santificarci, per crescere; cioè, sempre di più i meriti per il premio eterno.
Abbiamo nella Messa una breve preghiera, ma è una delle preghiere principali. Dopo l'elevazione e prima del Pater noster il sacerdote scopre il calice, genuflette, quindi prende l'ostia fra le dita e traccia cinque segni di croce, tre sul calice e due sopra il corporale; sul calice dice: «Per ipsum, et cum ipso, et in ipso», tre segni di croce; poi due segni di croce sul corporale, «est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti omnis honor et gloria». E vuol dire: per mezzo di Gesù Cristo, con Gesù Cristo, in Gesù Cristo si dà gloria al Padre nello Spirito Santo.
Per ipsum, cioè per Cristo. Non possiamo far nulla per la vita eterna se non abbiamo la grazia di Gesù Cristo, la grazia che Egli ci ha conquistato. E tutte le preghiere che noi facciamo a Dio, secondo l'esempio della Chiesa, si concludono: «per Christum Dominum nostrum»; cioè tutto quel che possiamo ottenere da Dio, lo otteniamo per mezzo e per i meriti di Gesù Cristo. «Sine me nihil potestis facere» (Gv 15,5): non potremo mai fare il minimo merito senza passare attraverso Gesù Cristo. «Senza di me nulla potete fare». Quindi supplichiamo il Signore per Cristo, cioè per la grazia, per la misericordia, per i meriti di Gesù Cristo.
Poi cum ipso: significa che le nostre azioni devono essere fatte con Gesù Cristo, che vuol dire essere in grazia di Dio. Allora Gesù Cristo è in noi. Mettere la retta intenzione, le intenzioni che ha Gesù Cristo e fare le cose come le faceva Lui, cioè bene. «Bene omnia fecit» (Mc 7, 37): Gesù fece tutto bene.
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Così che l'anima in grazia, con ogni minima azione che compie con Cristo, acquista un merito immenso; anche le minime cose ci guadagnano meriti di un eterno valore.
Poi vi è in ipso. Gesù Cristo è in noi. Noi facciamo le cose buone, con retta intenzione, le facciamo in Gesù Cristo. Gesù Cristo è in noi; è Lui che illumina, è Lui che muove la volontà, è Lui che muove il cuore; e allora siamo noi con Lui e Lui con noi. Sì, «vivit vero in me Christus» (Gal 2,20), cioè Egli vive in noi. Allora bisogna ripetere le parole di san Francesco di Sales: Gesù Cristo è nel mio cervello, cioè i miei pensieri sono i suoi; Gesù Cristo è nelle mie mani, e cioè la mia attività, la mia volontà, quello che faccio, ecco è Gesù Cristo che mi muove, che mi dà la forza, che mi dà la grazia; Gesù Cristo è nell'intimo del mio cuore: i miei sentimenti sono i suoi e cioè il nostro cuore è nel suo, il suo domina il nostro cuore. «Vivit vero in me Christus». La speranza è quella, è riassunta in questa preghiera per cui noi operiamo con Gesù Cristo, per Gesù Cristo e in Gesù Cristo, e tutto solo alla gloria di Dio: «omnis honor et gloria». Non a gloria nostra, non a soddisfazione nostra, ma alla gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
In terzo luogo la carità. La carità riguarda Dio e riguarda il prossimo. «Amo con tutto il cuore, sopra ogni cosa, voi bene infinito e nostra eterna felicità». Amare il Signore con tutto il cuore, perché bene infinito ed è nostra eterna felicità. Lassù Dio ci aspetta per renderci felici. La carità rimane in eterno, perché la fede cessa con l'ingresso al Paradiso, ugualmente la speranza; ma l'amore, la carità è eterna. Sì, amore che è gaudio, il gaudio eterno.
Chi si consacra a Dio vuole amare il Signore in un grado superiore, e adopera i voti come mezzi per amare di più il Signore. Sono i mezzi che ci portano a un amore maggiore, cioè a distaccarci dalle cose della terra per attaccarci totalmente a Dio. Allora, ecco, amare il Signore, ma in che grado? Con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta l'anima. La forza di questo comandamento sta in quel tutto.
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Tutta la mente: pensieri retti, pensieri santi, pensieri secondo la fede; non pensieri cattivi. Tutto il cuore: amare Dio solo e le altre cose amarle per Dio e in Dio; con tutto il cuore: quindi i nostri affetti, i nostri desideri, le nostre domande, i nostri movimenti, lo sguardo alla nostra vita, tutto ordinato a Dio. Anime che hanno pieno distacco. Maria è il modello, Maria è la grande consacrata. Maria è l'anima consacrata a Dio e Regina delle anime consacrate a Dio. Amare Dio con tutto il cuore. Poi amare Dio con tutte le forze, cioè in tutte le nostre opere; farle per Dio, non muoversi per un fine cattivo, no; e neppure soltanto per un fine umano, ma per Dio. Tutte le nostre forze: la salute, le azioni che facciamo nella giornata e tutto quel che ci è richiesto; tutte le forze adoperate per Dio, finché ne abbiamo, finché, chiudendosi la nostra vita, eccoci il premio. E poi «con tutta l'anima». Sì, cercare il Signore con tutta l'anima. Anime che vivono proprio per Dio.
Ma vi sono anime che amano in qualche modo il Signore, cioè assieme col Signore amano tante cose a cui sono ancora attaccate. Non sono cose cattive tante volte, ma l'amore di Dio non vi è totalmente. Tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze, tutta l'anima. E vi sono persone che a poco a poco orientano tutto il loro spirito a Dio, e poi il loro pensiero e il loro desiderio è il cielo. Amare Dio profondamente per tutta l'eternità. Sì, amare il Signore.
Poi amare il prossimo. «Amerai il prossimo tuo come te stesso»: questo è il comandamento antico. Ma Gesù Cristo come ha operato? Egli ha detto agli apostoli: «Amatevi tra di voi come vi ho amato io» (Gv 15,12). Quanto ci ha amato Gesù morendo per noi! Fino a questo punto Egli ci ha amato. Tutte le sofferenze del Getsemani, della flagellazione, della incoronazione di spine, la condanna a morte, il viaggio al Calvario, la crocifissione, le tre ore di agonia, ecco, tutto. Quanto ci ha amato Gesù! Non anime che vogliono un po' di bene al prossimo; ma anime che lo amano più di se stesse e si spendono e sopraspendono per le anime, come dice san Paolo (Cfr. 2Cor 12,15).
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Il vostro apostolato significa amare come Gesù Cristo ha amato noi. Sì, perché l'apostolato non è solamente amare il prossimo come noi stessi, ma vuol dire sacrificarsi per il prossimo, vuol dire amarlo più di se stessi. Alle volte alla domenica potreste prendervi un sollievo e invece vi fermate a fare catechismo, a fare conferenze per l'Azione Cattolica e altre opere di carità. Vuol dire che voi amate queste anime più di voi stesse, perché per voi basterebbe fare i doveri religiosi, i doveri del buon cristiano. Allora l'apostolato è veramente un amare come ha amato Gesù, come Gesù ha amato noi.
Veniamo a una conclusione. Dice la parabola: Un uomo doveva partire per un viaggio lungo e avrebbe tardato molto per il ritorno. Allora chiamò i servi e distribuì loro i beni, i talenti perché li amministrassero bene. Sapete il resto. Voi volete guadagnare cinque talenti, trafficate bene. A voi il Signore ha dato molta più grazia, veramente, la grazia è quella che propriamente costituisce i talenti spirituali. Trafficare bene i doni che vi ha dato, cioè corrispondere pienamente alle grazie che il Signore vi ha concesso, le quali sono più abbondanti di quelle concesse ai semplici cristiani. Essi avranno ricevuto uno, avranno ricevuto due; ma per la misericordia di Dio voi avete ricevuto cinque. Che al momento di entrare all'eternità possiate rispondere: Ho trafficato i cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Ma questa opera di santificazione sta proprio nell'approfondire le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Perciò la santificazione non è difficile, tuttavia si può crescere ogni giorno, trafficando bene i talenti, i doni che il Signore ci ha dati.
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