Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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71. «SE TOCCO... SARÒ GUARITA»
(Domenica XXIII dopo Pentecoste)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 14 novembre 19651

Vangelo secondo san Matteo, capitolo 9.
In quel tempo: Mentre Gesù parlava alle turbe, uno dei capi si accostò e chinandosi gli disse: «Signore, mia figlia è morta or ora, ma vieni, posa la tua mano su di lei e rivivrà». Gesù, alzatosi [lo seguì coi suoi discepoli. Ed ecco una donna, la quale da dodici anni pativa perdite di sangue, gli corse dietro e gli toccò il lembo della veste. Ella pensava dentro di sé: Basta che io tocchi la sua veste e sarò guarita. Gesù si voltò, la vide e disse: «Confida, figliuola, la tua fede ti ha salvata». Sull'istante la donna si sentì guarita. Quando poi Gesù arrivò alla casa del capo, avendo visto i suonatori e la turba far strepito, disse: «Andate via, la fanciulla non è morta, ma dorme». Ma quelli lo deridevano. Infine, quando tutta la gente fu uscita, egli entrò nella camera, prese la fanciulla per mano, ed ella si alzò. La notizia si divulgò rapidamente per tutta la regione2.
E giova penetrare il senso dell'Epistola: la Lettera ai Filippesi e ai Colossesi. Queste due Lettere insegnano la santità interiore, particolarmente; in tutte le Lettere, san Paolo, ma in particolare in questo: questa fede intima, questo amore generoso, totale: è la imitazione fedele a Gesù Cristo.
«Imitate me» - dice san Paolo - (sembra che sia quasi superbo) «imitate me e coloro che seguono il mio esempio. Vi dico piangendo ciò che vi ho detto tante volte: vi sono molti che vivono come nemici della croce di Cristo». E cioè, vogliono godersela e chiamarsi cristiani insieme. E san Paolo indica che non faceva così. «S'incamminano verso la morte eterna, il loro dio è il ventre, fanno consistere la loro gloria in cose vergognose e non pensano ad altro che alle cose della terra. Ma noi siamo cittadini del cielo, di là verrà a salvarci Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro corpo pieno di miseria, in modo da renderlo simile al corpo che egli ha nella sua gloria. Egli lo può fare perché tutte le cose obbediscono alla sua onnipotenza. Pertanto, fratelli carissimi e desideratissimi, mia gloria e mia corona, state saldi nella fedeltà al Signore. Prego Evodia e scongiuro Sintiche di comprendersi sotto lo sguardo del Signore. Mi raccomando anche a te, o fedele compagno, aiuta queste figliuole che hanno lavorato con me per il Vangelo, così come Clemente e gli altri miei collaboratori. I loro nomi sono scritti in cielo»3.
E san Paolo conchiude lodando queste due donne che avevano operato per il Vangelo, Evodia e Sintiche. E poi parla del compagno, cioè di colui che predicava con lui. E poi, Clemente, il quale poi è successo Papa, dopo la morte di Pietro, e poi dopo l'altro successivo, ancora dopo l'altro4.
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Oh! Noi abbiamo da compiere quello che è la nostra missione, e cioè, contribuire al Vangelo, alla diffusione della dottrina cristiana, alla salvezza delle anime. E vivere secondo Gesù Cristo ha lasciato gli esempi; ché noi non siamo persone che abbiamo da cercare le cose esterne, o la lode, o gli interessi umani, o gli affetti umani; noi abbiamo da vivere con Gesù Cristo, con lui, in lui, per lui.
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Per questa perfezione, bisogna che noi facciamo due cose: prima, evitare il peccato mortale; poi evitare il peccato veniale.
Il Vangelo ricorda la donna la quale soffriva di un male, da tempo, sì. E quella era una malattia. Indica il veniale, il peccato veniale. La fanciulla poi, era morta, e indica il peccato mortale.
Abbiamo da allontanare il veniale e il peccato mortale perché possiamo entrare nell'intimità con Gesù. Il peccato veniale, e cioè, le negligenze e tutto quello che procede o dai sensi interni o dai sensi esterni, o dai pensieri, o dai sentimenti, o dai voleri, sì. Che il Signore ci guarisca da queste venialità. E c'è bisogno della grazia, proprio. Questa donna era da dodici anni che soffriva: «gli venne dietro e gli toccò il lembo della veste, pensando: basta che io tocchi il suo abito e sarò guarita». Ecco che siamo guariti dalle nostre venialità, dai difetti, così, che tante volte si commettono -e [ci] si accorge o ci accorgiamo di queste imperfezioni che seguiamo -; e poi di quello che dispiace al Signore e che impedisce tanta grazia, ecco. Noi dobbiamo pensare che quelle imperfezioni che sono anche volontarie, acconsentite, sono propriamente malattie, sono malattie. Ora, bisogna che otteniamo la grazia di togliere ciò che è volontario, ciò che dispiace al Signore. Dobbiamo dominare il nostro interno e il nostro esterno, e cioè, le potenze interiori e i sensi esteriori. Le potenze interiori sono le debolezze della mente: pensieri che, alle volte, non sono conformi alla carità, all'obbedienza, all'amore a Dio; e poi quello che sono le debolezze esterne: e gli occhi, e l'udito, e il gusto, e il tatto, la lingua, ecc. L'osservanza religiosa. Oh! Dobbiamo togliere questo.
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E poi, per la grazia di Dio, se non si è commesso alcun peccato grave in vita, ringraziamo il Signore. Ma se già si era commesso qualche peccato grave, bisogna sempre che noi ci umiliamo. Il peccato, se è stato confessato, col pentimento è assolto, ma dobbiamo sempre ricordarci che noi abbiamo contribuito alla morte di croce di Gesù Cristo. Gesù Cristo ha sofferto nell'intimo suo, e tutto nell'esterno anche, e cioè: la flagellazione, il suo corpo; l'incoronazione di spine, e il viaggio portando la croce al calvario, e la crocifissione, e l'agonia.
Dobbiamo sempre camminare nell'umiltà [per] i tanti errori che abbiamo commesso nella nostra vita. Oh! Allora abbiamo da chiedere al Signore Gesù che ora non ricadiamo in male, perché se uno camminasse nell'orgoglio, il Signore lo abbandona, lo abbandona nel senso che non comunica la grazia, la forza. E quindi, sempre l'umiltà perché il Signore ci tenga la mano sul capo perché non commettiamo il peccato.
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Poi la guarigione dei nostri mali. Il nostro corpo può essere travagliato da tanti mali, sì. Oh! E questo fisicamente. Ma moralmente, bisogna dirlo, anche; ecco moralmente. Da quante malattie vogliamo essere guarite? Ecco, la misericordia di Dio.
Questa donna: «Se tocco il suo vestito, sarò guarita». E noi che tocchiamo, ogni giorno, con la lingua, Gesù Cristo, quando aspettiamo a guarirci? La grazia di Gesù Cristo c'è, certamente. Ma però bisogna che sia in noi la fede e la speranza e la carità verso Gesù Cristo. Quindi, per la comunione: fede, speranza e carità. Quelle tre orazioni che recita il sacerdote prima della comunione, indicano proprio l'atto di fede, di speranza e di carità. Ancora un po' superficialmente si ascoltano le Messe; ma poco per volta si arriva a penetrare sempre meglio il senso delle parole della liturgia.
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Allora, chiedere al Signore questa grazia: che tante anime risorgano, perché sono morte, quanto alla grazia. Quanti cristiani, che sono anche cattolici! E quanti sono i cristiani che non sono dell'ovile di Gesù, della Chiesa, quindi separati dalla Chiesa, separati. Si chiamano ancora cristiani, ma non sono figli della Chiesa. E allora bisogna che noi chiediamo al Signore che tolga il peccato dal mondo, particolarmente da coloro che sono già nella fede, in un certo senso. I protestanti hanno certi punti di fede, ma non hanno la fede totale e allora sono fuori di strada. Dobbiamo pregare il Signore Gesù, che queste anime risuscitino e rientrino nell'ovile di Gesù Cristo: fiet unum ovile et unus Pastor1.
Questa settimana, che comincia da domani, si tratta appunto questo argomento, questa settimana, nel Concilio Vaticano II. Allora pregare per le anime che sono disorientate e quindi non godono i frutti e le grazie della Chiesa, specialmente per i sacramenti e per la fede totale.
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Ma intanto, che miglioriamo la vita religiosa, che togliamo ciò che dispiace al Signore: le venialità, le imperfezioni volontarie.
Oggi è pubblicato il Rinnovamento della vita religiosa cioè, che siamo più religiosi. Il Rinnovamento viene pubblicato su L'Osservatore Romano, oggi, quello che è già stato approvato dall'as[semblea].
Oh! Allora vediamo di migliorare la vita religiosa. Essere veramente delicati. Persone che sono così facile, distrazioni; persone che fanno un lavoro e hanno la testa altrove, quindi son sempre distratte. Bisogna che, quando facciamo una cosa, che la facciamo, cioè metterci che cosa? mica solamente le mani, ma la testa, il cuore. Del resto l'obbedienza è completa quando c'è la mente e il cuore e la volontà, come del resto è descritto nel testo: Il Rinnovamento della vita religiosa, sì.
Si moltiplicano i religiosi, ma bisogna che non solamente ci sia il numero, ma ci sia la santità, la santità. E si era fatto una vita religiosa che non è quella che intende la Chiesa (...). E possiamo esaminare noi stessi, sì, noi stessi perché troppo si allarga, e si allargava il senso dell'obbedienza e il senso della castità e il senso della povertà.
Quindi il titolo è: Rinnovamento della vita religiosa; così è il titolo1. Bisogna che noi ci guardiamo come stiamo riguardo alla povertà, castità e obbedienza. Stia, una tendenza così, al largo, dove finalmente... Si aveva un senso, per certuni, un senso che non è la vita religiosa, in sostanza; si vorrebbe essere e avere il premio e i meriti della vita religiosa; ma intanto bisogna che sia osservata la vita religiosa.
Guarire le nostre malattie, e pensando quello che è l'interno e quello che è l'esterno; e quanto all'esterno, tocca anche la povertà, la castità e l'obbedienza. Non scrupoli, ma delicatezza, sì, sempre.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 132/c (= cassetta 200/b). Voce incisa: "Domenica XXIII dopo Pentecoste: meditazione del PM". Per la datazione, cf PM: «Oggi è pubblicato il Rinnovamento della vita religiosa sull'Osservatore Romano». - dAS, 14 novembre 1965 (domenica): «m.s. cappella CGSSP e Apostoline (cf dAS in c9).

2 Cf Mt 9,18-26.

3 Cf Fil 3,17-21; 4,1-3.

4 S. CLEMENTE, terzo successore di Pietro, verso il 95, dopo Lino e Cleto.

1 Gv 10,16.

1 Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, 28 ottobre 1965. Testo latino: AAS 58 (1966), 702-712. Testo italiano: Concilio Ecumenico Vaticano II... (Alba, Edizioni Domenicane, 1966) pp. 349-364.