Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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37. CHE COSA CHIEDERE NELLA PREGHIERA
(Domenica XX dopo Pentecoste)1

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 4 ottobre 19641

[Il Vangelo] preso da san Giovanni, capitolo IV.
In quel tempo: A Cafarnao vi era un ufficiale reale il cui figlio era ammalato. Questi avendo sentito dire che Gesù dalla Giudea era venuto in Galilea, andò a trovarlo e lo pregò di recarsi a guarire il suo figlio, che era moribondo. Gesù gli disse: «Se non vedete miracoli e prodigi, voi non credete». E l'ufficiale: «Signore, vieni prima che mio figlio muoia». Gesù gli disse: « Va', tuo figlio vive». Quell'uomo prestò fede alle parole di Gesù e partì. Prima ancora di arrivare a casa gli corsero incontro i servi con la notizia che il figlio era guarito. Domandò loro in che ora avesse cominciato a star meglio. E quelli risposero: «La febbre è cessata ieri verso l'una del pomeriggio». Allora il padre conobbe che quella era appunto l'ora in cui Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive». Egli credette in Gesù e con lui tutta la famiglia2.
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Qui abbiamo specialmente da imparare il valore della preghiera, la necessità di pregare e, nello stesso tempo, il potere che ha la preghiera presso il Signore. Certamente occorrono le disposizioni per meritare le grazie, le disposizioni che sono: l'umiltà e la fede.
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Però il primo insegnamento è questo: quell'uomo, eh, aveva un certo potere, è chiamato come ufficiale reale. Oh, quindi non poteva ancora avere una grande cognizione di quel che Gesù aveva predicato nel suo ministero fino allora. In primo luogo, perciò, egli chiede una grazia materiale: il suo figlio era ammalato. E qui viene detto, nella traduzione, che era moribondo: incipiebat enim mori, cioè moribondo.
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Siamo, alle volte, molto preoccupati di cose terrene: di quello che riguarda ciò che è la salute e ciò che sono i bisogni materiali; e poi essere liberati da certi disturbi e da certe critiche e, in sostanza, da quello che è materiale. E quindi due maniere: primo, che non si abbiano disgrazie, e secondo, quando ci sono gli inconvenienti e i mali, che siamo liberati. Che si tolga il male che è venuto e si abbia il bene che desideriamo sopra la terra, finché [si] è in questa vita. Quello che è materiale è più sensibile, e più facilmente noi rileviamo i nostri bisogni materiali.
E quindi, quest'uomo era in gran pena per il figlio ammalato e che era anche grave nella sua malattia. E allora partì per andare a incontrare Gesù che dalla Giudea era venuto in Galilea: «Signore, vieni prima che mio figlio muoia»,perché aveva domandato la guarigione. Ma Gesù lo avvertiva: «Se voi non vedete miracoli e prodigi non credete». E Gesù quindi ammoniva, ma l'altro non pensava mica alle parole che Gesù gli aveva detto. Quello che gli premeva subito: «Signore, vieni prima che mio figlio muoia». Quindi dimostra che aveva la premura di quello che chiedeva, cioè la grazia materiale, la salute e la guarigione del figlio. E Gesù volle dargli prova del suo potere e fece quello che l'altro non credeva: che Gesù potesse guarire il figlio da lontano. "Vieni perché mio figlio muore, altrimenti". Ma Gesù lo volle persuadere del suo potere. E quindi non c'è bisogno che vada fino là a vedere il figlio o a imporgli le mani sul capo, no, non c'è bisogno. Ma il Signore mostrò il suo potere anche da lontano. Quindi padrone delle malattie, padrone della salute. Quell'uomo prestò fede quando Gesù gli disse: «Va', tuo figlio vive», cioè: è guarito. Prima ancora di arrivare a casa gli corsero incontro i servi a dare la buona notizia che il figlio era guarito. E precisamente quell'ufficiale reale conobbe che il figlio era guarito proprio nell'ora in cui egli aveva incontrato Gesù e dal quale aveva sentito, da Gesù aveva sentito: «Va', tuo figlio vive».
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Allora il gran frutto c'è stato. Il padre conobbe che quella era appunto l'ora in cui Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive». Il frutto: «credette in Gesù e con lui tutta la famiglia». Il vantaggio spirituale che ebbe, quindi: la fede in Gesù Cristo.
Perciò abbiamo due grazie: la guarigione del figlio, e la fede in quella famiglia; in lui, nell'ufficiale reale e nella famiglia, si credette in Gesù Cristo.I
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In secondo luogo, riflettere sopra questo: che le maggiori nostre necessità son sempre le spirituali e, alle volte, le sentiamo più profondamente e, qualche volta, non lo sentiamo molto quello che è necessario per lo spirito, per l'anima. Alle volte non si sente affatto, non si conosce neppure che abbiam bisogno di certe grazie, perché siam tanto irriflessivi e così poco attenti sopra le nostre condizioni spirituali. Ecco, il nostro spirito, il nostro intimo, quanti difetti e quante necessità! Oh, poi alle volte si sentono un po', ma forse si sentono meno che non le malattie fisiche, ad esempio, e quindi le grazie spirituali si chiedono, ma tante volte con poca fede, e poi si chiedono un giorno, poi [ci] si dimentica. Occorre che ogni giorno noi sentiamo i bisogni spirituali e che chiediamo le grazie corrispondenti con umiltà e con fede. Quante volte il Signore ci esorta a pregare. E quante volte il Signore dimostra e spiega le disposizioni che dobbiamo avere nel pregare.
Le disposizioni per pregare, umiltà; sentire il bisogno, sentire i bisogni spirituali, che questo è l'umiltà; e poi la fede nella grazia.
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Il Signore ci chiama alla santità. Tutti sono chiamati alla santità. Oh, allora, queste sono le grazie da chiedersi, in primo luogo: la santificazione nostra che consiste in due parti: liberarci dal male, dai difetti e dai peccati; e poi ottenere la vita spirituale, cioè, la grazia e l'aumento di grazia; l'aumento di grazia che può essere quotidiano, questo aumento, anche di momento in momento, perché ogni piccola cosa che possiamo fare, anche la minima cosa fatta e offerta al Signore ha il suo merito.
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Riguardo a questo, alle volte, si pensa che tutto il merito stia nella preghiera e che stiamo buoni quando preghiamo. Ma tutti i momenti della giornata son da santificarsi! C'è il tempo della preghiera, ma c'è il tempo di fare quello che è il nostro dovere quotidiano: l'esercizio della povertà, la delicatezza di coscienza, l'obbedienza a tutto quello che il Signore dispone per noi o direttamente o indirettamente attraverso chi deve disporre. E pensare che si possono fare i meriti se facciamo bene le cose. E quindi: «sia che mangiate, sia che beviate, sia qualsiasi altra cosa che facciate...»1,e quindi lo stesso riposo e le notti in cui dormiamo, se tutto è fatto nell'ordine di Dio, e cioè, non per pigrizia soltanto umana, per soddisfare il bisogno del corpo; ma il bisogno del corpo che c'è di riposare è come il mangiare: per mantenerci nel servizio di Dio e nell'apostolato. E quindi è lo stesso [per il] riposo, e perciò sono ore che valgono davanti a Dio come vale il sollievo, il prendere il cibo, e poi compiere i nostri doveri, che rendono tutte le 24 ore della giornata, rendono tutte queste 24 ore per la nostra santificazione.
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Offrire tutto alla gloria di Dio perché tutto viene da Dio e tutto deve ritornare a Dio. Egli è il principio e insieme il fine: «Io sono l'Alfa e sono l'Omega»1, cioè, sono il Principio e il Fine. Tutto è proceduto da Dio e tutto deve ritornare alla gloria di Dio.
Poi, almeno, se non abbiamo ancora così tanta spiritualità da cercare sempre di più la gloria di Dio, almeno l'utile nostro, cioè di aumentare i meriti. E c'è, alle volte, una pietà un po' egoista ché guardiamo solo quel che è il premio. Ma dobbiamo guardare - questo poi è il fine assoluto - la glorificazione di Dio eterna, in cielo. E se arriviamo a cercare solo la gloria di Dio, ogni nostra azione ha un valore superiore, poiché è il vero amore di Dio, sì. Avere in noi gli stessi pensieri e gli stessi fini - diciamo, per la gloria di Dio-, gli stessi fini e gli stessi pensieri e desideri della Santissima Trinità. E se ci immedesimiamo ai pensieri divini, alle intenzioni divine, l'anima si eleva e la giornata rende assai di più. Ma se non siamo ancora arrivati lì, almeno fare la volontà di Dio, e fare quel che possiamo come merito; perché c'è merito e merito, in sostanza, secondo le intenzioni, e cioè, secondo l'amore con cui siamo mossi nel fare questo o fare quello. Quindi le grazie spirituali.
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Conoscere sempre di più la via della santità e conoscere sempre di più quali sono le nostre intenzioni; che non si immischino intenzioni vane di questo mondo. E non prendere riposo soltanto per soddisfare il corpo, ma proprio offrire al Signore, come offriamo il cibo: sempre per mantenerci nel servizio di Dio e fare i nostri apostolati, compiere tutto il volere di Dio. Egli che ci dà i giorni, che li impieghiamo per lui.
Entriamo sempre di più nei bisogni spirituali. Arrivare a un amore di Dio più intenso, più elevato, fino a immedesimarci nei pensieri e nei desideri, nei fini, immedesimarci....
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1 Nastro 119/d (= cassetta 165/a). Per la datazione, cf PM: «...questo poi è il fine assoluto: la glorificazione di Dio» (cf predica n. 28 e anche nostra nota in c62). - Una voce incisa dice: «Domenica XX dopo Pentecoste. Meditazione del PM». - dAS, 4/10/1964 (domenica): «m.s. PD e Apostoline».

2 Gv 4,46-53.

1 Cf 1Cor 10,31.

1 Ap 1,8.