Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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29. LA VOCAZIONE1

Questa mattina chiediamo in questa breve meditazione la grazia di conoscere la nostra vocazione, di essere riconoscenti al Signore per il grande dono e, nello stesso tempo, corrispondervi e finalmente di domandare al Signore che susciti tante vocazioni quante sono necessarie al mondo di oggi, cioè secondo il numero degli uomini e secondo le loro necessità spirituali.
Che cosa è la vocazione? Tutti abbiamo una vocazione comune, cioè ogni uomo è chiamato al paradiso. La vocazione significa chiamata. Tuttavia, qui si tratta di una vocazione particolare: tutti al paradiso, ma ciascuno per la sua strada. È di maggior bene essere chiamati per una strada particolare, una strada di maggior sacrificio, di maggiore merito e quindi di maggiore gloria: generalmente questa viene chiamata vocazione. La vocazione, è chiaro, viene da Dio, anzi è la volontà di Dio che crea le anime per un fine particolare.
Prima che nascessimo già avevamo la vocazione. Dall’eternità il Signore ci pensava e disponeva tutto per noi. Un buon padre quando gli nascono dei bambini non li abbandona, ma li nutre e li forma, li educa, li avvia per una strada, la strada buona, per vivere onestamente sulla terra e per arrivare al cielo. Così il Padre celeste, e tanto più il Padre celeste, perché non vi è padre così buono quanto è buono il nostro Padre celeste.
Volendo il Signore che noi passiamo per una strada particolare onde arrivare al cielo, che cosa fa? Dispone i mezzi. Perciò quando ha creato l’anima nostra ha disposto che questa avesse inclinazioni e qualità particolari. Il nostro essere, così conformato fisicamente e psicologicamente, fosse adatto a quel genere di vita, a quello stato così alto, al quale egli ci ha destinato.
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Quindi la vocazione è in parte naturale, dipende da Dio creatore. Poi, nel Battesimo, lo Spirito Santo infonde nell’anima, chiamata ad una particolare vita, grazie particolari, inclinazioni soprannaturali particolari e, queste inclinazioni che sono frutti dello Spirito Santo, si mostreranno a suo tempo.
Quando un bambino ha ricevuto il Battesimo, ha ricevuto pure l’inclinazione a credere, anzi ha ricevuto già l’infusione della fede; ha ricevuto l’inclinazione a sperare, anzi ha già l’infusione della speranza. Così riceve l’inclinazione ad amare il Signore, anzi, ha già l’amore verso il Signore. Ma queste tre virtù per il bambino restano come coperte data l’età, l’incapacità cioè di manifestarle, ma in lui ci sono realmente. Così, quando il bambino sarà portato in chiesa, a tre o quattro anni, pur non conoscendo forse quello che sta facendo, se la mamma gli dice: Guarda, là c’è Gesù, là c’è Maria tua madre, il bambino è inclinato a mandare un bacio, è inclinato ad amare, a credere. E così, il bambino quando arriva a quattro, cinque anni, se ha la vocazione, cioè da Dio creatore è stato fatto per quello e lo Spirito Santo ha infuso in lui doni per quella strada, se gli parlano di sacerdozio, o se invece si parla con una bambina di suore, se le vengono indicate…, ecco che quei bambini facilmente inclinano, amano, li seguono con l’occhio, anche se non sanno darsi ragione.
E perciò quel bambino a cinque anni, avendo veduto il prete all’altare, arrivato a casa si è fatto un altarino e poi a sette, otto anni voleva dire la Messa. E quella bambina non voleva le bambole comuni, voleva una bambola monaca. Questo fa ridere, ma è profondamente così. Quando poi la bambina riceverà la Cresima oltre l’inclinazione alla vita religiosa, riceverà un dono per l’apostolato, se è destinata a una vita apostolica, cioè non soltanto alla vita claustrale, religiosa, ma ancora all’apostolato. Allora è facile che, se quella bambina cresce in un ambiente conveniente, in un ambiente di famiglia buono, in un ambiente parrocchiale buono, in un ambiente scolastico buono, è facile che in lei si coltivi quel sentimento di cui forse non si rende conto, ma che è veramente la chiamata di Dio che sta in fondo all’anima e l’anima è formata per quello. Allora quando bisogna parlare di vocazione alle bambine? A sette
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anni quando si preparano alla Prima Comunione. A otto anni, a nove anni quando si preparano alla Cresima, quando si parla loro della Confessione, quando si parla della preghiera, quando si fa sentire alla fanciulla che deve evitare i pericoli dei peccati, non deve andare con certe compagnie, in certi luoghi, non deve ascoltare i discorsi non buoni, ecc. Avendo la grazia in sé capisce molto di più e in lei vi è un orrore più vivo al peccato, in lei vi è una tendenza maggiore alla preghiera, in lei vi è un desiderio ancora nascosto, di cui non è ancora venuta a conoscenza, ma che esiste in fondo alla coscienza stessa.
Allora quando ricevere le figliole destinate alla vita religiosa? Vi sono certamente due tendenze e sono entrambe buone e ognuna ha degli inconvenienti. La prima è di chi dice: Raccogliamo al più presto questi fiori in luoghi adatti, luoghi di educazione, di formazione diretta alla vita religiosa, e avremo più vocazioni e saranno formate sin da principio. Vi è infatti in molti luoghi chi si adopera in questo senso. Ma allora è necessario non accettare qualunque bambina di otto, nove, dieci, dodici anni, ma quelle che già in qualche maniera, sentendo parlare di vita religiosa, di pietà, di fuga del peccato, mostrano allora che hanno la stoffa della vocazione. Così quando si tratta di bambine che amano il catechismo, che dicono: Voglio andare da Gesù e ricevere bene la Comunione, ecc., qui vi è un terreno in cui la vocazione potrà svilupparsi. Vi sono piante che vivono in clima caldo e messe su al nord, dove il freddo dura tutto l’anno, non vivono, oppure non portano frutto. E vi sono piante che messe nel loro clima, ecco che crescono, si sviluppano e portano fiori e frutti.
L’altra tendenza è di aspettare e accogliere le giovani quando sono già più avanti, quando hanno già una certa consapevolezza di quello che fanno, e quando hanno superato la cosiddetta crisi dell’adolescenza. Allora avendo già conosciuto ciò che lasciano e conosciuto maggiormente quello che cercano e quello che desiderano, vi è una percentuale maggiore di riuscita, che può essere il 50%, il 60% o soltanto il 40%, una percentuale maggiore che non quando si accolgono le bambine che ancora si trovano in età minore. D’altra parte si segue un po’ una e un po’ un’altra tendenza, secondo le circostanze
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di luogo, di tempo, le circostanze dell’Istituto, e le possibilità dell’Istituto stesso.
Quello che adesso dobbiamo notare è questo: che vi sia realmente la vocazione, che non si entri nella vita religiosa senza vocazione, e che quando c’è la vocazione si segua, si corrisponda, e non solo da principio, ma per tutto il tempo della vita, secondo il particolare Istituto in cui si è entrati.
Che vi sia la vocazione. Perché se non c’è la vocazione non ci sono le attitudini, non ci sono le grazie. Le attitudini naturali sono di intelligenza, di buon carattere, di docilità, di delicatezza, di sentimento buono, di socievolezza, l’attitudine anche fisica, per quanto riguarda la salute. E poi i doni soprannaturali che sono: l’innocenza della vita, l’orrore al peccato, l’amore alla preghiera, il desiderio di conoscere sempre più la religione, il catechismo e ciò che si chiama cultura religiosa; il desiderio di praticare i santi voti, di vivere nell’obbedienza, particolarmente il desiderio della vita comune, di fare le opere di quell’Istituto particolare, per voi l’apostolato delle edizioni. Quando non vi fossero queste attitudini non bisogna spingere una figliuola, perché noi non abbiamo da creare le vocazioni, noi abbiamo invece da studiare se c’è la vocazione. La vocazione la crea Dio; noi abbiamo da studiare se c’è, e poi aiutarla con tutte le forze perché si sviluppi e porti i suoi frutti. Troppe insistenze sarebbero dannose per l’Istituto stesso.
Tuttavia quando ci si accorge che vi è veramente la vocazione, cioè veramente vi sono le attitudini naturali e le grazie soprannaturali è bene insistere, aiutare. Aiutare con la preghiera, aiutare con i buoni consigli, e in tutte le maniere che sono a nostra disposizione. Alle volte bisogna dire: Devi andare avanti, anche se dice di no; qualche volta bisogna dire: Fermati, ancorché dicano: Vorrei andare avanti in questa strada. Occorre allora il dono del consiglio. Invocare la Regina degli Apostoli, perché conosciamo bene la vocazione, perché siamo strumenti docili nelle mani di Dio.
Aiutare le figliuole che sono chiamate a quello stato particolare. Quando però non vi sono le attitudini naturali, o non vi sono le grazie sufficienti, allora è meglio, anzi è dovere escludere. È meglio escludere qualcuna, correre il rischio di
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escludere qualcuna chiamata che non rischiare di accogliere e far andare avanti qualcuna che non è chiamata. Sono queste poi che abbassano il livello soprannaturale di letizia, di gioia, di zelo, di coraggio, di santità che deve regnare nell’Istituto. Quando vi è la vocazione vera e si corrisponde alla grazia di Dio, si trova dappertutto più facilità a farsi sante. Quando vi è qualcuna che tira indietro, forse non ci si accorge di quanto danno è a tutte le altre, perché abbassa il livello morale, il livello spirituale con il suo fare, con il suo dire, con il suo comportamento.
Occorre una atmosfera calda di entusiasmo, di letizia, di generosità, un’atmosfera di spiritualità elevata. Ecco allora, la corrispondenza alla vocazione è la via della santificazione. Sarà più facile, si percorrerà con maggiore entusiasmo, con maggiore merito e quindi un giorno con maggiore gloria.
È necessario allora per andare avanti che ci siano due giudizi favorevoli, che concordino cioè: il giudizio del confessore, del direttore spirituale che conosca bene fino in fondo l’anima. A quello si unisca il giudizio delle superiore, le quali conoscono la salute, il carattere, le attitudini naturali, come è di fatto la persona all’esterno, conoscono le grazie soprannaturali. Quindi due giudizi che concordino. E quando i due giudizi concordano, non più dubbi. So di essere chiamata e se si fossero sbagliati anche tutti, giacché ho fatto quello che potevo per conoscere la volontà del Signore, e giacché le superiore hanno fatto quello che potevano per conoscere a quale strada il Signore mi aveva destinata, ora conto sulla grazia di Dio. E se non ero chiamata sono stata chiamata dal giorno in cui ho fatto la professione. E non mettersi più il problema davanti, è risolto, è risolto saggiamente, è risolto definitivamente.
Ma ora ho trovato questa difficoltà... se avessi saputo... Non fa bisogno di sapere tutti i particolari quando fai professione: se ti mandano in Oceania, oppure se ti mandano con una superiora tutta dolce, o con una superiora magari aspra, o ti mandano invece in un’altra casa che ti sia più gradita… Conoscevi i doveri generali, le Costituzioni, basta, sei tenuta ad essere fedele. E se mancassero le grazie? Certamente ci sono. Poiché se si arrivasse al momento in cui la persona pensa: Non
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ero affatto chiamata, S. Agostino dice: Fac ut voceris2, prega il Signore che ti dia le grazie corrispondenti necessarie per la vocazione. Questo si intende sempre quando non si è fatto inganno ai superiori. Perché quando nessun confessore conoscesse realmente la vita, particolarmente su certi punti delicati, allora nessun confessore potrebbe dare un giudizio. Ma se la persona si è confessata per un tempo notevole dal medesimo confessore, e non è andata a confessarsi per chiacchierare, ma è andata per cambiare vita, se è un tempo notevole che si confessa dal medesimo confessore, oppure ha fatto una confessione generale seria e si è manifestata interamente, allora il giudizio del confessore è da seguirsi e si può essere tranquilli per quella parte.
Quanto poi al giudizio delle superiore, che viene dato quando ammettono alla vestizione, ma soprattutto quando ammettono alla professione perpetua, poiché non sempre tutte si manifestano all’esterno subito; e non sempre tutte d’altra parte hanno una conoscenza piena dell’Istituto, del suo apostolato, della sua vita. Da principio questa conoscenza si ha praticamente dopo la vestizione, durante il noviziato e particolarmente durante gli anni di professione temporanea. Fatta la professione perpetua non volgere l’occhio indietro poiché dice il Vangelo: «Chi ha messo mano all’aratro non si penta, non si volga indietro»3. La perseveranza assicura il paradiso e perciò la perseveranza di ogni giorno assicura la santità e il buon frutto dell’apostolato.
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1 Predica tenuta a [Roma] il 19 aprile 1956. Dattiloscritto, carta vergata, prima battitura, fogli 5 (22x28). Non è indicato il luogo. Nel suo elenco sr Epifania Maraga scrive: Roma. In realtà risulta che in quel giorno il Primo Maestro tenne la meditazione alla comunità di Roma.

2 “Fa’ di essere chiamata”. Cf S. Agostino, Contra Petilianum, 2.

3 Cf Lc 9,62.