Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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10. UMILTÀ1

[I. L’umiltà]

Ricordiamo la parola di S. Agostino: La prima virtù è l’umiltà, la seconda virtù è l’umiltà, la terza virtù è l’umiltà. E se tu mi chiederai fino a dieci e cento volte quale sia la decima, la centesima virtù ancora ti risponderei: è l’umiltà2.
Questa sera innanzi al Maestro divino invochiamo questa grazia: Jesu Magister Via Veritas et Vita, miserere nobis - Cor Jesu mitis et humilis corde, miserere nobis3. Ottenere questa virtù. Alle volte si fanno prediche, meditazioni, esortazioni che hanno la loro importanza, sempre la loro importanza, ma vi sono meditazioni che sono essenziali, fondamentali, decisive per la vita.
Dobbiamo dire subito che senza l’umiltà la nostra preghiera non sale a Dio, il pregare non ha la condizione necessaria per venire esaudito.
L’umiltà è il fondamento negativo delle virtù. E chi non ricorre subito al proposito sull’umiltà nel suo lavoro spirituale, edificherà sulla sabbia. Vi sono formazioni le quali sono del tutto insufficienti: edifici fatti sulla sabbia; formazioni in cui la persona, l’anima si sostiene con dei mezzucci i quali poi vengono meno nelle grandi difficoltà, nelle grandi prove, e si mostrano insufficienti perché manca l’umiltà. Senza l’umiltà non si fa profitto della Confessione, non si fa profitto della direzione spirituale, senza l’umiltà è impossibile la salvezza, tanto più impossibile la perfezione.
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Vale più, dice S. Francesco di Sales4, un atto di umiliazione che dieci meditazioni ancorché sembrino fatte bene e con frutto.
Quando l’umile prega è ascoltato da Dio, la domanda sua sale al Signore e viene ascoltata da Dio.
Abbiamo da considerare come noi per essere guidati e per ricevere quello che viene insegnato e detto occorre che abbiamo la disposizione dell’umiltà. Vi sono persone le quali invece di prendere umilmente, giudicano. Fanno la figura di coloro che si mettono sopra le nubi e, per quanto piova, essi restano sempre all’asciutto. Dall’aereo vedevamo le nubi e il temporale sotto, e l’aereo volava in pieno sole. Occorre, perché uno riceva la grazia di Dio, che si metta sotto la pioggia di questa grazia di Dio. I doni dello Spirito Santo, le virtù cardinali, le virtù teologali, le virtù religiose sono riservate agli umili. Quando la persona si abbassa nel concetto di se stessa, dall’altra parte si eleva verso Dio. E l’uomo non è mai così grande come quando si umilia. L’umiliazione del pubblicano che si batteva il petto e diceva al Signore: «Siate misericordioso verso di me che sono peccatore»5, che cosa ha prodotto? Che egli è tornato a casa santo.
Mancando l’umiltà non si sente il bisogno di Dio, si va avanti fidandosi delle proprie forze, allora è quasi sicura la sconfitta, la delusione, il naufragio. Allorché uno si esalta nello spirito è facile che si umilii nella carne.
Allora che cos’è questa umiltà così necessaria a ogni anima? L’Imitazione dice: Verissima sui ipsius cognitio et despectio: Una vera cognizione di se stessi6. Perciò bisogna dire il Nosce te ipsum. La despectio viene poi di conseguenza. L’umiltà è verità, l’umiltà è giustizia, l’umiltà è ordine. Ecco tre parole che ci scoprono la preziosità dell’umiltà e ci scoprono anche che cosa essa sia.
Abbiamo da dire che l’umiltà è da esercitarsi rispetto a Dio, rispetto al prossimo e rispetto a noi medesimi. Considerandola
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rispetto a Dio: Qual è la verità, qual è la giustizia e quale l’ordine?
Sovente dell’umiltà si ha un concetto falso e si crede che con l’umiltà non si sviluppi la personalità. Errore fondamentale nella vita spirituale e intellettuale. Il fidarsi è fondarsi sopra una convinzione naturale, è veramente appoggiarsi sopra un ramoscello il quale non può sostenere. Perciò l’Oremus che leggiamo nella Messa di domani: Signore che conosci come noi non possiamo confidare in nessuna nostra azione, - e siccome è una Messa in cui si onora particolarmente S. Paolo - concede quaesumus, concedici che siamo fortificati dalla protezione di S. Paolo7.
L’umiltà rispetto a Dio ha tre principi: 1. siamo creati da Dio, tutto ciò che abbiamo è di Dio, nulla è nostro; 2. oltre che avere niente, siamo diventati debitori, perché peccatori, abbiamo debiti; 3. è necessario un continuo aiuto di Dio per cui dobbiamo sempre stare davanti al Tabernacolo con il capo chino e supplichevoli. Ecco, allora, l’umiltà: Da me nulla posso, e segue, con Dio posso tutto. Non è una viltà, non è uno scoraggiamento, è fidarsi di Dio. Significa che invece di mettere i piedi sul fango o sull’acqua che non ci possono sostenere, mettiamo il piede sulla pietra dove il piede sta fermo. Sta bene qui il paragone che ha portato nostro Signore e cioè: Vi è chi edifica su un terreno, che è un cattivo fondamento, e quando soffiano i venti, e la pioggia cade abbondantemente, cade perché non aveva fondamento. Ma chi edifica la casa sopra la pietra, se soffieranno i venti, cadranno le piogge scroscianti e gli uragani, la casa starà ferma, perché ha un buon fondamento8.
1. Siamo creati. Vi è intelligenza, vi è la salute, vi è una bella voce, vi è una certa abilità nelle cose? Vi è buon cuore, vi è grazia? Si è arrivati ad un certo grado di virtù? È tutto di Dio. Per quem omnia facta sunt9, tutto di Dio. Risalire i secoli: esisteva Dio soltanto, neppure l’aria, neppure la luce, nulla. Tutto
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è di Dio. Ora, se stiamo al principio di S. Tommaso: L’uomo tanto è quanto è dinanzi a Dio, ne viene la conseguenza che egli stesso porta, e cioè: Dunque siamo nulla, tutto è di Dio. Noi siamo degli esseri creati, creati secondo la nostra natura, con i doni della nostra natura e fatti cristiani, creati cristiani dalla virtù dello Spirito Santo nel Battesimo. E se abbiamo vocazione, e se siamo chiamati al perfezionamento, alla santità, e se si è fatto qualche progresso nella virtù è infusione di Spirito Santo. Press’a poco lo avete espresso nel canto che avete fatto prima della meditazione. Dunque sono nulla. «Se sei nulla e tutto hai ricevuto perché te ne glori come se fossero tue le qualità che hai? - Quid autem habes quod non accepisti?»10. Il nulla può gloriarsi delle cose altrui? Sarebbe strano che noi ci gloriassimo che vicino alla nostra casa c’è una bella villa che non ci appartiene. Doni di Dio!
2. Ho detto[: l’umiltà è] la giustizia, perché la verità ci porta a confessare le nostre qualità. Noi siamo peccatori. Tutto quello che potessero fare gli uomini di bene non basterebbe a coprire un solo peccato. Il peccato che cosa è davanti a Dio? «Delicta quis intelligit»11? Ci è voluto il sangue dell’Uomo-Dio per scontare i nostri peccati! E allora, se noi siamo debitori verso Dio per tante mancanze, il nostro posto non deve essere quello di metterci in novissimo loco? «Recumbe in novissimo loco»12. Perché realmente si aspetta e ci spetta questo luogo? Io sono stato un ingrato verso Dio che tanto mi aveva beneficato, io sono stato un ribelle verso Dio. Come una formica che si ribella e si misura con un soldato armato. Io sono stato uno stolto che ho venduto il paradiso per niente e per niente mi sono condannato all’inferno. E allora se sono un ingrato, un orgoglioso, uno stolto, perché devo alzare la fronte?. Stare umilmente con il capo chino: questo è il segreto. Cor poenitens tenete: abbiate il dolore dei peccati, e vivete in una continua umiliazione13. Gesù è crocifisso, pende sanguinante dalla croce
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e muore su di essa, è una vittima, ma la vittima di chi? Sono io con i miei peccati che l’ho ucciso. Non tanto le lingue dei giudei che volevano la crocifissione del Figlio di Dio incarnato e domandavano questa crocifissione a Pilato, sono i peccati gli esecutori della giustizia. Dio offeso: e Gesù Cristo pagava la divina giustizia con il suo sangue, con la sua morte. Si dice qualche volta: Spesso chi va in carcere non è del numero dei più colpevoli. A volte quelli che hanno commesso più peccati, più delitti sono riveriti e stimati, o almeno fanno valere il loro potere, la loro prepotenza e si impongono. Spesso chi condanna meriterebbe di essere lui condannato. Noi meritiamo il carcere, ma un carcere di fuoco. La giustizia vuole che noi ci riteniamo peccatori e non ci esaltiamo e non rubiamo la lode a Dio. Se tutto è di Dio, perché esaltarci? «Soli Deo honor et gloria: A Dio solo la lode e la gloria»14.
3. Noi siamo dei bisognosi, dei poveri pezzenti, siamo tanto deboli. Alle volte basta una tentazione, a volte si fanno mille propositi negli Esercizi e non passa un mese che già sono svaniti. I propositi dopo la Confessione sovente durano poco e durano poco anche quelli dopo la meditazione. Debolezza! Diciamo il bene e facciamo il male. «non quod bonum: non quello che vedo buono - sed quod malum, hoc facio»15, specialmente dopo il peccato originale. Se sono caduti anche Eva e Adamo che pure erano forniti di tante grazie e privilegi, che cosa è di noi, dopo il peccato originale, se il Signore non ci sostiene con la sua grazia? Non vi è peccato che un uomo abbia commesso che non possa essere commesso da un altro uomo, almeno con il pensiero, con il desiderio. Ci accorgiamo di essere tanto orgogliosi, tanto attaccati alle cose della terra, tanto gelosi della stima, ci accorgiamo di essere invidiosi, soggetti alla collera, di avere tante tentazioni di pigrizia, di sensualità, di golosità, di curiosità? Chi può salire il monte della perfezione? Chi può essere veramente religioso? Chi può essere veramente osservante, chi può arrivare a combattere anche i piccoli difetti e a praticare anche le piccole virtù? Solo con la grazia di Dio.
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Senza la grazia di Dio nessun merito. «Sine me nihil potestis facere»16. Non soltanto la grazia santificante ci è necessaria, ma anche la grazia attuale per vincere il male, per fare il bene e progredire.
Anche nelle cose materiali abbiamo sempre bisogno di Dio, per essere salvati da un pericolo, per non incontrare certe occasioni; abbiamo bisogno di essere aiutati nell’apostolato, nello studio. Ma un povero che abbisogna di tutto può alzare la testa e orgogliosamente stare dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini? Come mai in certe occasioni la luce di Dio ci penetra e noi conosciamo tutte le nostre debolezze, e passato un po’ di tempo, svanita quella luce noi ci ritroviamo con quella sete di stima, ritorniamo a sentirci sicuri di noi stessi? Ma chi è sicuro di se stesso? Chi si fida è prossimo al pericolo e prossimo al peccato; e chi si fida molto è prossimo alla rovina. La storia ci dice qualche cosa a riguardo degli eretici, dei traditori della vocazione, degli infelici, che magari dopo aver condotto per qualche anno una vita pia e innocente, sono caduti in precipizi e di precipizio in precipizio. Fidarsi di noi! E più largamente si potrebbe applicare il detto di Gesù: «Un cieco che guida un altro cieco…»17. Allora, che cosa ci rimane se siamo stati creati, se siamo dei peccatori, se siamo dei poveri che hanno bisogno di tutto? Il nostro comportamento umile esteriormente, ma più di tutto la convinzione nella mente, la convinzione nel cuore.
L’orgoglio! E vanno fino a fissarsi e intestarsi nelle loro idee, e alle volte non vedono neppure più le cose più chiare. E non si accorgono che la loro dottrina non si accorda con la dottrina del Maestro divino e si stabiliscono una via di perfezionamento e di santità che non è affatto quella del Vangelo. Dalla scuola ricavano poco frutto, come ricavano poco frutto da tutta la formazione. Gente gonfiata! Viene in mente la favola della rana e del bue18. La rana che vedendo la mole del bue diceva: Oh, perché, perché non posso imitarlo ed essere grande come questo bue? Vi sono persone che lasciano vedere il loro
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orgoglio in tutto: con silenzio sdegnoso, con il fare altisonante, con gli atteggiamenti di comando con cui si comportano, con le risposte mal date. Non prendono in buona parte un avviso, un consiglio: hanno le tasche piene per darne agli altri e non hanno più posto nel loro cuore [per riceverne]. Nessuno si illuda di possedere molta virtù, se non ha la base dell’umiltà; dice S. Bernardo: Fino a che non sei arrivato a disprezzare la lode, che ti dia fastidio, e se non sei arrivato a prendere in pace un torto, un’osservazione non si creda di avere virtù. È un castello di carta che cade se il vento soffia, se arriva la pioggia. L’umiltà è segreto di santità. Sopra questo fondamento della virtù si può elevare l’edificio soprannaturale, un grande edificio.
Dunque veniamo alla conclusione. Questa sera il Signore ci ha fatto sentire delle cose fondamentali: l’umiltà o la rovina. E con l’umiltà l’elevazione: l’anima diviene cara a Dio, entra nell’intimità di Dio, è favorita di doni particolari e il suo progresso sarà continuo.
Adesso ciascuno pensi e faccia l’esame di coscienza sopra l’umiltà nei riguardi di Dio. Domani considereremo l’umiltà riguardo al prossimo e a noi stessi. Intanto diciamo la preghiera della buona morte. Si può dire che non vi è una meditazione più capace a stabilirci nell’umiltà che questa meditazione della buona morte19. La diciamo tutti assieme, ma molto adagio.

[II. L’umiltà]

Leggiamo nella Messa di oggi le parole di S. Paolo: «Libenter gloriabor in infirmitatibus meis ut inhabitet in me virtus Christi: Io mi glorierò, io riconoscerò e confesserò le mie miserie affinché abiti in me la virtù di Cristo»20. Il che significa che quanto più ci umiliamo, tanto più noi ci innalziamo vivendo in Cristo e Cristo in noi. Perché questa è la più alta personalità, la nostra gloria: vivere Gesù Cristo. Dobbiamo chiedere perciò la grazia di odiare l’orgoglio e di amare
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l’umiltà. L’orgoglio ha spopolato parte del cielo: Lucifero aveva creduto di potere alzare il suo trono e mettersi daccanto all’Altissimo. L’orgoglio ha rovinato l’umanità. Il serpente ha suggerito: «Sarete come dei!»21. E allora Eva si lasciò indurre a mangiare il frutto vietato.
Non solo essere come dei, ma avere Dio in noi e noi vivere in Dio: ecco il cristianesimo, ecco la perfezione! Ma non nel senso che ha suggerito satana ingannatore: essere deboli e crederci forti e non sentire il bisogno di Dio, essere ignoranti e ammirarci come persone che sanno, che hanno abilità, essere peccatori e nello stesso tempo portare la nostra testa alta e criticare gli altri. Sono cose inconcepibili, irragionevoli che non sappiamo spiegare se non con questo: che l’orgoglio, la superbia è il primo peccato capitale. E vuol dire che l’orgoglio è il primo scalino agli altri peccati e vizi. Poiché l’orgoglio, in primo luogo, assale l’intelligenza e quando le idee sono false ne possono derivare le peggiori confusioni.
«Se voi non vi farete simili a questo bambino non entrerete nel regno dei cieli»22: è parola di Gesù, non entrerete nel regno dei cieli. E «colui che è primo fra di voi sia il servo di tutti»23. Noi diventiamo i primi se siamo i servi di tutti, i primi nel regno dei cieli, in paradiso. Qui sulla terra i posti non sono dati bene perché sono dati dagli uomini. Quindi S. Bernardo diceva: Se volete vincere il demonio umiliatevi. Se vi umiliate vincerete il demonio, perché lui non sa umiliarsi e resta quindi inferiore a voi in potere. Anche quando aveste tenuto una buona condotta e già possedeste alcune virtù, queste si potrebbero tutte rovinare se non vi è l’umiltà. Sempre vivere in questi concetti: Da me nulla posso, con Dio posso tutto. Umiliarsi non è avvilirsi; umiliarsi è diffidare delle nostre povere forze, della nostra povera scienza, della nostra poca abilità per essere armati della forza di Dio, in una parola per lasciare vivere in Cristo, la mente, il cuore, la volontà, tutto il nostro essere.
Veniamo al secondo punto che dobbiamo considerare: l’umiltà con il prossimo.
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1. Prima con i superiori. Essi sono il canale per cui passano le grazie, sono i predicatori per cui noi veniamo istruiti: è una cosa simile, il paragone lo spiega. Noi dal sacerdote riceviamo Gesù. Noi sacerdoti andiamo a confessarci e dobbiamo umiliarci come tutti i fedeli, e in quel momento siamo solo dei penitenti. Ma tutti i fedeli devono a loro volta umiliarsi andando dal confessore, accusare le loro colpe e aspettarne il perdono a nome di Gesù Cristo.
L’umiltà con i superiori, in primo luogo con il confessore. Non va bene scusare, ingarbugliare o minimizzare le nostre colpe, perché così non ci correggeremo mai. Avere due confessori uno per le colpe gravi e uno per le colpe leggere non va bene, non ci correggeremo mai. L’umiltà con il direttore spirituale. Vi sono persone che pretendono di dirigere il direttore, non di essere dirette. No. Bisogna aprirsi candidamente, confidare che il Signore ispiri al direttore spirituale le cose che sono più utili per l’anima nostra, e poi accettarle con semplicità per seguirle.
Umiltà con i superiori. Con quelli che fanno scuola e ci mantengono in disciplina, che ci guidano nell’apostolato. Perché? È chiaro il perché: dobbiamo essere ammaestrati. Non solo dobbiamo andare in chiesa e davanti a Gesù Eucaristico aspettare la luce e la infusione della sapienza e della scienza, ma pensare che Dio si serve degli uomini. Perciò per la formazione nostra ci ha dato dei maestri: maestri per la formazione spirituale, intellettuale, apostolica, umano-religiosa. Prendere per seguire.
L’umiltà qui si pratica non solo con l’obbedienza, perché è troppo poco, ma con la docilità. È un passo in più, e soprattutto nel consegnarci che è più perfetto. Consegnare l’anima nostra, la nostra persona, perché venga formata in Cristo. Consegnarci: non essere nell’Istituto con il corpo, ma entrarci totalmente: Mi consegno per essere formata. Ecco don Bosco24 che dice a don Cafasso: Se, come vorrei, io sono una buona stoffa per
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fare il prete, lei sia il sarto e tagli questa stoffa e ne faccia un abito sacerdotale.
2. Carità con i fratelli. Questa carità con i fratelli è l’esercizio dell’umiltà. Vi sono persone che amano sinceramente, nei fratelli considerano più il bene che il male. Queste persone adempiono ciò che dice Gesù: «Non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati, non giudicate e non sarete giudicati»25. Che cosa sono i rancori, il vedere male? Forse perché qualche volta crediamo di essere stati offesi? Ma se non arriviamo a perdonare una piccola cosa, è inutile dire che si tende alla perfezione. Se non arriviamo a questo, dice S. Francesco di Sales, cioè a sopportare con letizia, non con il broncio, ma con letizia le piccole offese, i piccoli segni di disistima da parte di qualche persona, vuol dire che non pensiamo alla santificazione, non pensiamo al perfezionamento. Qual è il giorno in cui comincia il perfezionamento? Il giorno in cui l’umiltà ci entra nel cuore. Perché uno tanto si esalta, tanto diviene santo e perfetto, quanto si abbassa26. Non giudicare in male, amare tutti e parlare sempre a tutti con una certa riverenza, un certo rispetto.
Inoltre verso i piccoli. Ecco la lezione di Gesù. Quando gli apostoli avevano discusso chi di loro fosse il primo, Gesù raccolti gli apostoli, chiamò in mezzo a loro un bambino e fu allora che disse quelle severe parole: «Se non vi farete come questo bambino...». Quante volte i bambini sono più innocenti di noi, anime belle che piacciono al Signore! E se noi abbiamo più anni e abbiamo forse già acquistato una certa misura di scienza e una certa abilità nelle cose, non avremmo dovuto fare di più? E se il Signore ci desse i posti che sono meritati... Gesù con i piccoli ha usato dei segni di affetto e di predilezione che non ha usato con i grandi, con gli adulti. Amarli, incoraggiarli, aiutarli, rispettarli. Quelli che pretendono dai più piccoli maggiore perfezione, maggiore puntualità, maggiore docilità, e che non siano vivaci, ecc…, non dovrebbero pensare che alla loro età non hanno imparato ciò che dovevano o se pure sono più
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trascurati, e forse si giustificano anche del male? Umiltà con i piccoli, rispetto grande, esempio buono: Maxima debetur puero reverentia: Massimo rispetto dobbiamo ai fanciulli27.
3. In terzo luogo dobbiamo parlare dell’umiltà rispetto a noi medesimi. A questo punto consideriamo subito due cose: Abbiamo ricevuto dei doni? Non negarli, sono grazie di Dio e ringraziare il Signore è obbligo, è il secondo punto della preghiera. Il primo è adorazione, il secondo ringraziamento. S. Ambrogio28 lo considera quasi primo. La cosa si può spiegare molto bene. La Vergine santissima non negò i privilegi ricevuti dal Signore, ma che cosa fece? «Magnificat anima mea Dominum». Lodate il Signore! «Quia fecit mihi magna qui potens est»29. Se hai dei doni, se hai delle grazie, se hai anche virtù: sia benedetto il Signore!
E ancora, noi abbiamo più doni? Maggiore responsabilità! Non conosciamo con precisione le grazie che gli altri hanno: le illuminazioni, le ispirazioni interne non le conosciamo, ma conosciamo le nostre. E se abbiamo molto ricevuto dobbiamo fare più bene. Chi ha ingegno per studiare e ricevere un dieci, se riceve solamente un nove e merita davvero nove è deficiente. E chi invece aveva l’ingegno e la memoria per ricevere un sei o un sette se si è applicato quanto poteva, dinanzi a Dio ha un voto superiore. Non giudichiamo, perché non abbiamo in mano gli elementi per giudicare, elementi che tante volte non conosciamo. Dio si è riservato il giudizio e giudicherà anche i nostri giudizi.
Piuttosto consideriamo la frase di S. Gregorio30: «Cui multum datum est, multum quaeretur ab eo»31. Io devo camminare
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con il capo chino; chissà come mi trovo davanti a Dio! È vero che forse non ho commesso quei peccati che altri hanno commesso, ma chi conosce il numero delle grazie che costui ebbe e chi le grazie che ho ricevuto io? Tutta l’educazione nostra, la quantità della predicazione, delle esortazioni. E vogliamo paragonarci a quelli che disgraziatamente ebbero appena una istruzione elementare di catechismo e vissero in ambienti pericolosi in un mondo tanto vasto? Ma noi pianticelle che il Signore ha raccolto dal mondo e trapiantato qui, nella casa santa, non dovremmo essere viole, gigli e rose? Se consideriamo le grazie ricevute ci viene da tremare. Che cosa mai dirò al giudizio quando mi presenterò davanti a lui? Umiltà in noi stessi. Vi sono alcuni che si gonfiano in se medesimi anche quando riconoscono di avere commesso degli errori, degli sbagli, e cercano di costruire dentro di sè una certa superiorità per alcune altre ragioni, e se anche fossero peccatori: «Laetantur cum male fecerint et exultant in rebus pessimis»32. L’ho fatta franca, l’ho saputa fare. Bella lode! Attenzione, perché l’orgoglio ci mette degli occhiali che non ci lasciano vedere il male e ci fanno sottolineare quel poco di bene che c’è. Abbiamo un po’ di bene? Ma quanti difetti ci stanno accanto. Se li vogliamo scrivere in un quaderno per una confessione generale scendendo un po’ al particolare, quante pagine ne verranno? Mettiamo quindi l’occhio su quello che ci manca. E se sappiamo qualche cosa, sappiamo anche che sono innumerevoli le scienze, non dico che non conosciamo, ma di cui non sappiamo neppure il nome. So una lingua. In India ci sono circa cento lingue. Vediamo un po’ che cosa siamo noi, che cosa sappiamo. Mettendoci sulla strada del mondo come ce la caviamo male! Occorre inoltre che non abbiamo delle pretese. L’orgoglio ha solo delle pretese. Dagli altri esige rispetto, riguardo e si aggiusta sempre la vita conformata al suo orgoglio. Persone che non sanno chiedere un consiglio! Piuttosto vivono nell’ignoranza e quindi nelle difficoltà e commettono errori. Non scusarci! Quando un avviso è dato, non rigettarlo subito: Lo mediterò nel mio cuore
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se non capisco subito, e se capisco subito: Ha ragione, voglio correggermi, voglio fare quello che mi ha detto.
L’orgoglio poi suggerisce molte bugie e molte ipocrisie. Perché, quando si è soli alle volte si prega meno bene che quando si è osservati dai superiori? Quando si è soli, perché si studia meno bene di quando si è osservati dai superiori? L’orgoglio è così radicato in noi che quando lo comprimiamo da una parte spunta dall’altra. Ma è da distruggere? No. È da stabilire la vita nostra in Cristo. Non c’è maggiore grandezza che umiliarsi e confidare in Cristo. «Ut inhabitet in me virtus Christi»33. Sarete come dei: nel senso giusto! «Mihi vivere Christus est»34.
Supplichiamo la Vergine santissima che, con tutti i suoi doni, si considerava la serva di Dio. Dopo che aveva ricevuto quell’elogio straordinario dall’Angelo, eletta Madre di Dio: «Ecce ancilla Domini»35. Ecco la vera grandezza! In quel momento Maria salì molto in alto nella perfezione, poiché si sale tanto in alto quanto ci si umilia. Allora, un’Ave Maria alla Vergine per ottenere la santa umiltà. Stiamo attenti però ad accusare sempre nelle nostre confessioni l’orgoglio.
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1 Prediche tenute a [Roma, 4-5] febbraio 1956 durante il ritiro mensile. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 5+4 (22x28). Dal calendario liturgico e dal Diario curato da don Speciale, le due meditazioni di questo ritiro sono state tenute rispettivamente la sera di sabato 4 e domenica 5. La seconda predica fa riferimento all’epistola della domenica di Sessagesima, corrisponde al giorno 5. Il titolo del dattiloscritto è ‘Ritiro mensile’, a mano è stato aggiunto: Umiltà. La meditazione è stata tenuta nella cripta del Santuario Regina degli Apostoli alla Famiglia Paolina (cf Diario Sp. p. 1978).

2 Cf Agostino, Lettera 118 a Dioscoro, 3.22. Cf Diario spirituale, Ed. Paoline, V ed., Bari 1956, p. 43.

3 Invocazioni: Cuore di Gesù, mite e umile di cuore, abbi pietà di noi.

4 Francesco di Sales (1567-1622) vescovo di Ginevra, dottore della Chiesa, predicatore e autore di opere di spiritualità.

5 Cf Lc 18,13.

6 Cf Imitazione di Cristo, I, II, 2: “Conoscersi veramente e disprezzarsi”.

7 Cf Orazione della domenica di Sessagesima. Don Alberione lo sottolinea nell’Atto di umiltà. Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p. 24

8 Cf Mt 7,25-27.

9 “Per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Cf Credo Niceno-Costantinopolitano.

10 Cf 1Cor 4,7: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?».

11 Cf Sal 19,13: «Le inavvertenze chi le discerne?».

12 Cf Lc 14,10: «Va’ a metterti all’ultimo posto».

13 Cf AD 151-158.

14 Cf 1Tm 1,17.

15 Cf Rm 7,19: «ma faccio il male…».

16 Cf Gv 15,5: «Senza di me non potete far nulla».

17 Cf Lc 6,39.

18 Cf Fedro, La rana scoppiata e il bue. Fedro (ca. 20 a.C.-ca. 50 d.C.) scrittore romano, autore di celebri favole.

19 Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, pp.156-157.

20 Cf 2Cor 12,9, Epistola della domenica di Sessagesima.

21 Cf Gen 3,5.

22 Cf Mt 18,3.

23 Cf Mc 10,44.

24 S. Giovanni Bosco (1815–1888) sacerdote piemontese, fondatore della Pia Società di S. Francesco di Sales (Salesiani) per l’educazione cristiana dei ragazzi. Con l’aiuto di Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fondò le Figlie di Maria Ausiliatrice per le ragazze.

25 Cf Lc 6,37.

26 Cf Imitazione di Cristo, III, XLII, 2; III, LIII, 2.

27 Cf Decimo Giunio Giovenale (ca.60-ca140), romano, poeta e scrittore di satire.

28 Ambrogio (ca. 340-397), arcivescovo di Milano, Padre e Dottore della Chiesa. Vero pastore e maestro, scrisse opere liturgiche, ascetiche, commentari sulla Scrittura. È considerato il padre della liturgia ambrosiana.

29 Cf Lc 1,46.49: «L’anima mia magnifica il Signore… grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».

30 Gregorio Magno (c. 540-604) Papa dal 590, Dottore della Chiesa. Gli scritti più noti sono: Moralia, La regola pastorale, Dialoghi. Nel secondo libro dei Dialoghi, traccia un profilo di S. Benedetto da Norcia. Durante il suo pontificato si introdusse il canto rituale liturgico che da lui prese il nome: canto gregoriano.

31 Cf Lc 12,48: «A chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

32 Cf Pr 2,14: «Godono nel fare il male, gioiscono dei loro propositi perversi».

33 Cf 2Cor 12,9: «Perché dimori in me la potenza di Cristo».

34 Cf Fil 1,21: «Per me il vivere è Cristo».

35 Cf Lc 1,38: «Eccomi, sono la serva del Signore».