Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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25. VIVERE LA PROFESSIONE RELIGIOSA1

Vivere la professione religiosa significa sentire sempre che cosa vogliono dire le parole: Tutta mi dono, offro e consacro.
Mi dono: una volta che una persona ha donato una cosa, questa è proprietà di colui che ha ricevuto il dono. Quindi si diviene proprietà di Gesù. Se uno dona, ad esempio, una penna stilografica, chi l’ha ricevuta può adoperarla per scrivere, può metterla nel cassetto, può donarla ad un altro, senza che chi ha fatto il primo dono possa reclamare qualche cosa. Mi dono: allora Gesù può fare di noi quello che gli piace. Siamo suoi ed egli può tenerci in salute o può lasciarci cader malati, può adoperarci in un ufficio o può adoperarci in un altro, può metterci sopra il candelabro e può metterci invece sotto il moggio, come si esprime il Vangelo. Si è suoi: quando egli ha disposto una o un’altra cosa, non possiamo più reclamare nulla. Essere adoperati da Gesù Cristo, essere nelle sue mani, non è meglio che essere nelle nostre? Ed egli non ci adopera meglio e più sapientemente di quanto possiamo fare noi, di quanto possiamo scegliere noi? E sentirne la nobiltà. Servire a Gesù Cristo non è essere in schiavitù: Cui servire regnare est: Il servire a Gesù Cristo è regnare2, regnare con lui, regnare su tutto il nostro essere, regnare su tutte le passioni, tutte le tendenze, tutti i desideri. Essere di Gesù! Sapere che si è condotti da una mano sapientissima e da una mano amorosissima.
Tutta mi dono, offro. Sentire che si è fatta liberamente l’offerta, che è un dono fatto liberamente. Si può offrire una candela, perché venga accesa, si può offrire un po’ d’olio, perché sia adoperato per la lampada, si può offrire un po’ di vino, perché sia adoperato nella Messa. Offerta! Non si è fatto l’offerta di sé, condotti incoscientemente all’altare, no, si è fatto l’offerta
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dopo matura riflessione. Si è offerta la persona, si è offerta dopo che ha molto pregato, molto si è consigliata e molto ha pensato, in un’età in cui era pienamente conscia di se stessa. Conscia di se stessa! Offerta libera, che significa offerta molto meritoria, la più meritoria, perché quando si accetta un male, supponiamo un mal di denti, quello è mandato da Gesù e non è scelto da noi. E sta bene, ma ci si adatta, ci si rassegna. È un atto di rassegnazione. L’offerta libera è più di questo, è avere presente davanti a noi una doppia via: o la via del mondo o la via di Dio. È scegliere Dio. Quindi si procede con una luce soprannaturale e non è una rassegnazione: è una scelta fatta liberamente, quindi è più meritoria. Offro: ma questa offerta non è una cosa, come l’offerta di un cuore d’argento alla Madonna, non è l’offerta di un cero, no, è un’offerta che si ha da vivere. Il cero si consuma, il vino della Messa si consuma, ma l’offerta di sé si ha da vivere tutti i giorni. Sentirsi offerti, tutti i giorni offrirsi di nuovo.
Tutta mi dono, offro e consacro, va molto bene rinnovarlo dopo la Comunione, come Gesù tutto si è donato a te e tu ti doni a lui. Offerta che si rinnova ogni giorno, ma offerta che dura per l’eternità, per tutta l’eternità, in quanto l’anima ha deciso, ha il suo pensiero: essere per sempre di Dio, per sempre appartenere a Dio. Non c’è un’offerta che possa essere più piena, più totale, un dono che sia più gradito a Dio. Ed è questo dono la maggior grazia, perché, mentre doniamo, riceviamo una grazia maggiore dopo quella del Battesimo.
E consacro. La persona diviene sacra. Tutto ciò che farà diventa religioso, perché è sacro. Se si adopera la pisside, si adopera non per metterci dei dolci da conservare o da mandare in regalo, ma per metterci Gesù. La persona diviene sacra. Si dice religiosa, perché? Perché è consecrata a Dio, è cosa di Dio. La pisside appartiene a Gesù e Gesù va a occuparla. Quando non è occupata, tuttavia si deve conservare in grande onore, perché è destinata a ricevere Gesù, sempre per questo, finché non sia rovinata, cioè sia dissacrata.
La persona è consecrata: gli occhi sono consecrati a Gesù, la lingua è consecrata a Gesù. Perché, ad esempio, adoperarci a mormorare? Il cuore è consecrato a Gesù, ma potrebbe
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dissacrarsi volontariamente, che significa profanarsi, con altro affetto. Così tutto l’interno: la memoria, la fantasia, la mente, la volontà, le facoltà in sostanza e i sensi, tutto, il corpo stesso, la vita stessa, che Gesù può richiederci presto o prolungare. Tu non hai più ragione di domandare il perché il Signore ha voluto così. Consecrata! E non dissacrarti mai, per nessun motivo: consecrata. Perché se la pisside si consuma per lungo uso, si dissacra da sé; ma la persona usando malamente delle sue facoltà, dei suoi sensi, del suo corpo, ecc., si dissacrerebbe volontariamente, il che costituisce una ingiuria a Gesù: Ti sei dato a me e di nuovo ti sei preso il dono, ti eri consecrato e ti sei sconsecrato.
Allora tutto quello che si fa ha doppio merito: virtù di religione e poi il merito che viene o dall’obbedienza, dal fare la vita comune, dall’atto di carità, dall’esercizio dell’apostolato o dal consigliare, ecc. Tutto ha doppio merito, perché consecrato. Quindi ciò che esce dalla persona consecrata, ciò che procede dalla persona consecrata è doppiamente meritorio. Sia un atto di obbedienza, sia l’atto più semplice che si possa fare, come lavarsi le mani, procede tutto dalla persona che è di Dio, che è di Gesù. Quindi grande merito da questa consecrazione. Questa consecrazione, questo sapere che ci si è donati a Gesù, costituisce lo spirito soprannaturale. Il male delle comunità principalmente sta nello spirito naturale: il ragionare che qualche volta è ragionamento umano, ma qualche volta è ragionamento carnale, è in difesa di noi, per esempio, è per voler difendere la propria libertà, voler fare come crediamo, è pensare che la nostra veduta sia migliore. Ma migliore di quella di Dio non ci può essere.
Ora il Signore parla per mezzo di coloro che ha disposto, che ha incaricato di guidare nello spirito soprannaturale: vedere Dio in tutto, sentirsi di Gesù. Sentirsi di Gesù! La vita così è molto diversa. I princìpi che si hanno allora, le cose che si dicono quando uno si sente di Gesù, sono princìpi e cose, princìpi del Vangelo che direbbe Gesù adesso, al tuo posto, perché tu, essendo in lui, lo lasci parlare. Egli costituisce la linfa, la linfa della pianta la quale, spingendosi nei rami, produce poi i fiori, le foglie e i frutti. Ecco, è Gesù che abita nel cuore e la
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sua linfa, cioè la sua grazia va alla mente, all’intelletto, va al cuore, va alla volontà, va agli occhi, va a tutto l’essere, a tutte le potenze. È lui! Spirito soprannaturale.
D’altra parte è grandemente consolante questo. Pensare, per esempio: sono in chiesa, io prego, Gesù prega in te e tu gli presti la lingua, sei suo mezzo, è Gesù che prega in me. Allora si è tutti consolati: la mia preghiera, allora, so che è accetta al Padre celeste, perché è la preghiera del suo Figlio, di colui di cui il Padre celeste disse: «Questo è il mio Figlio diletto, amato, che mi piace»3.
Ecco, sentire che si fa l’apostolato in Cristo, sentire che non si è delle persone comuni, non si è in un collegio, in una comunità o in un albergo dove uno va e l’altro viene, ma sentire che qui tutte le persone così unite vivono in Cristo. È uno il Cristo: abita in tutte e pensa in tutte, opera in tutte, parla in tutte. La Casa4 si considera con spirito soprannaturale: è sacra. È sacra, e allora se si parla, si dicono parole di Dio, la parola della Scrittura, «quasi sermones Dei»5, perché è Gesù Cristo che le suggerisce dal cuore dove egli abita, dall’anima, dall’interno dove egli abita. È una consolazione continua. La vita religiosa allora appare tutta sotto altro aspetto. Altrimenti si vede: qui un inconveniente, di là un disturbo, qui una cosa contraria a noi: Religiosus negligens et tepidus undequaque patitur angustias: la religiosa tiepida e negligente ha delle pene dappertutto6, cominciando dal mattino quando si alza, quando il bottone si stacca, fino alla sera quando va a riposare. Allora, vi è ancora qualche cosa da dire, quindi nervoso! Si diventa una casa, una comunità di nervose. In Dio! In Cristo: «Mihi vivere Christus est»7, «Vivit vero in me Christus»8: la vita in
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Christo et in Ecclesia, poi di conseguenza. Questo però richiede una fede che non sia solo nella recita del Credo o dell’Atto di fede che diciamo, ma una fede sentita, continuamente, continuamente! Cioè sentirsi sempre in Cristo e che Cristo opera nella mente, che Gesù Cristo opera nel cuore, che Gesù Cristo opera nella volontà e che Gesù Cristo opera nel corpo. Non soffochiamo Gesù Cristo, lasciamolo pensare: questo produce la fede. Lasciamolo amare: io amo, ma amo con il cuore di Gesù Cristo. Che consolazione! È Gesù Cristo che ama in me. Qualche volta si sente dire: Oh, le mie preghiere valgono poco, preghi lei. Valgono tutte in Cristo! Non è l’abito nero o l’abito rosso o l’abito bianco che è valido: È il Cristo in noi diceva il Maestro Giaccardo scrivendo una lettera a una persona la quale considerava malamente la preghiera. Bisogna allora che noi sentiamo questa vita in Cristo. Abituale raccoglimento. E la vita diviene gioiosa, sempre. Come si fa a ottenere questo?
Due cose: 1) ogni mattina rimettersi in Cristo. Quando Gesù viene [al momento della] Comunione, non metterlo nella pisside, ma metterlo nel nostro cuore, nell’anima nostra e dirgli che parli, che operi e che noi vogliamo solamente pensare in lui, amare lui e con lui il Padre celeste, fare la sua volontà, la volontà che egli faceva e fa sempre: la volontà del Padre celeste. E vogliamo che resti nel nostro stesso corpo, e questo abbia da presentarsi come un mezzo, uno strumento in cui, e con cui egli lavora. Lasciarlo dominare, vivere Gesù, lasciarlo vivere! Non imprigionarlo, ma lasciarlo vivere ed operare, questo Gesù. Questo al mattino, rinnovando anche la professione brevemente: Tutto mi dono, offro e consacro.
2) Vi è un complesso di cose da evitare e da fare. Un complesso di cose da evitare: noi parliamo troppo con chi ragiona umanamente, questo è soffocare Gesù. È vero che tante volte dobbiamo anche parlare, e dovete farlo, con persone le quali non hanno lo spirito di Dio, per esempio quando si va in propaganda, ma generalmente non sono quelle le parole che fanno più impressione. Ma è quel sentirsi l’una con l’altra a ragionare umanamente o contro questo o contro quello, oppure vedere
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solamente il proprio io. Persone che difendono sempre il proprio io, il proprio modo di pensare, il proprio modo di agire, il proprio modo di comportarsi; difendono sempre il proprio io. Questo significa togliere lo spirito soprannaturale. E ripensando a un pensiero delle Lettere di S. Paolo9 viene proprio da dire: Tante volte vi fanno meno male i discorsi delle persone del mondo che quello stillicidio di continue parole e di continui modi di fare che impressionano l’anima e finiscono col penetrare nel profondo, come, a lungo andare, passando secoli: «Gutta cavat lapidem: la goccia fora anche la pietra»10. Evitare questo complesso di cose.
Cose da fare invece: frequentare le persone che hanno più spirito soprannaturale, che sono di maggior buon esempio, che parlano secondo Dio, che vivono come religiose fervorose. E non dico di fare amicizia particolare con queste, ma i loro discorsi considerarli di più e preferirli, sapendo che procedono da anime unite a Dio. Poi abbondare in letture spirituali. Dare importanza alle conferenze, alle meditazioni e particolarmente alla lettura del Vangelo. Si capisce allora che quando si fa la Visita, si entra in conversazione amichevole, intima con Gesù. Poco per volta l’animo si sentirà sempre più unito a Gesù, sentirà anzi che Gesù vive e opera in noi. Quindi tutti i pensieri, tutti i sentimenti, tutti i voleri, tutti gli atti, tutta la vita quotidiana s’innesta, si stabilisce in Cristo e tutto si produce in noi da Gesù Cristo con la nostra libera volontà e con la nostra personalità che opera ma è assorbita ed elevata da Gesù Cristo.
Allora, ecco: oggi giorno degli angeli11. Dobbiamo prepararci a vivere, pensare, operare come faremo in paradiso. Diventare sempre più angeli, mirare su. Non abbassarsi al grado di semplici uomini, o peggio, anche sotto la dignità umana. Preghiamo gli angeli. Sia fatta la volontà di Dio come in cielo dagli angeli, così in terra da noi.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 5 aprile 1956. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 26b = ac 46b.

2 Questa espressione si trova nel Postcommunio della memoria di S. Ireneo vescovo di Lione, a cui la si attribuisce (cf 3 luglio, prima della riforma liturgica).

3 Cf Mt 17,5.

4 La comunione nella Casa è costituita dallo spirito soprannaturale. Probabilmente il Fondatore rimanda alla prima comunità paolina in Alba chiamata semplicemente “Casa” dove tutto era in comune per un unico ideale. Cf Alberione G., Donec formetur Christus in vobis, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, introduzione n. 162, pp. 118-119.

5 Cf 1Pt 4,11: «[Chi parla lo faccia] come con parole di Dio».

6 Cf Imitazione di Cristo, I, XXV, 3.

7 Cf Fil 1,21: «Per me vivere è Cristo».

8 Cf Gal 2,20: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me».

9 Cf 2Tm 2,14.16.23.

10 Antico proverbio latino.

11 Il primo giovedì del mese nella tradizione della Famiglia Paolina è dedicato alla devozione agli angeli custodi. Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, pp. 133-136.