Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XIII.
LA FUGA IN EGITTO

I Magi avevano palesato a Maria come la notizia della nascita del «Re dei Giudei« era corsa di tetto in tetto fino alla residenza di Erode e come questi li aveva consigliati a recarsi nella cittadina per verificare il fatto, indi ritornare da lui per comunicargli il risultato poiché anch'Egli intendeva presentare i suoi ossequi al Neonato. Maria si accorò a queste parole e si strinse il Figlioletto al cuore. Ella conosceva assai bene quella volpe di Erode perfido e brutale, pieno di odio contro il suo piccolo e caro Gesù, il vero discendente di David, l'erede legittimo del trono reale. Ma per la sua totale confidenza in Dio, Maria si rassicurò, e, appena partiti i Magi, si addormentò mormorando: «Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di chi ho da temere? Il Signore protegge la mia vita: chi potrà farmi tremare? Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo? Dominus protector vitae meae, a quo trepidabo?» (Salm. XXVI, I).
Consideriamo:

I. LA FUGA. - Giuseppe sveglia Maria d'improvviso; nel sonno egli ha veduto un Angelo che gli ha detto: «Levati, prendi il Bambino e sua madre
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e fuggi in Egitto e stai là finché non t'avviserò, perché Erode cercherà del Bambino per farlo morire» (Matt. II, 13). Maria comprende. Il suo amore materno non l'aveva ingannata: avvolge frettolosamente il Bimbo addormentato tra le coperte, si copre lei stessa e, come può, prende posto sull'asinello. Nella notte chiara, fulgente di stelle, regna ovunque un profondo silenzio.
I santi fuggitivi tremano di paura; ad ogni istante pareva loro di udire il galoppo dei cavalli o l'abbaiare dei mastini lanciati furiosamente al loro inseguimento. «Erode cerca il Bambino per farlo morire!»; sono parole che risuonano incessantemente al loro orecchio: e la paura li rende solleciti. Non si ritenevano al sicuro finché non avessero attraversato il «torrente dell'Egitto» ove terminava il dominio di Erode. Il Vangelo non dice qual fu il loro viaggio, né qual via tennero, né in qual luogo preciso dell'Egitto si fermarono. E' facile però immaginare che compissero il viaggio nella forma più povera. La tradizione si è compiaciuta di vedere Maria seduta sull'asinello, tenere in braccio il Fanciullo, mentre Giuseppe cammina a piedi. Essi non avevano corteggio o aiuto di servi, ma si può ben immaginare che alla santa famiglia, perseguitata e fuggiasca, facesse corteggio e desse prezioso aiuto una schiera di Angeli.
Durante quel viaggio faticosissimo essi parlavano poco, assorti in profondi pensieri, e pregavano, pregavano. Il Divin Fanciullo ansava ed aveva la boccuccia arsa dalla sete; Maria SS.ma affranta dalla stanchezza calmava i gemiti del Divin Pargoletto, modulando la cantilena dei viaggiatori. L'asinello snervato e come rattrappito dal viaggio interminabile, inciampava frequentemente, tanto
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che Giuseppe doveva sempre incitarlo con la voce. L'Abate Orsini, parlando della fuga in Egitto, narra quest'episodio. «Mentre la S. Famiglia si dirigeva verso Bamle approfittando delle ore di notte, vide sbucare da un oscuro burrone degli uomini armati, che le chiusero la via. Colui che pareva il capo di questo branco di banditi, si trasse avanti per rendersi conto dell'importanza della preda. Il brigante che aveva sete di oro e di sangue, gettò uno sguardo di meraviglia su questo artigiano e sulla donna velata che pareva volesse nascondere il suo figlio stringendolo al seno. Sono poveri, disse tra sé il bandito, e viaggiano di notte come fuggitivi. Forse anch'egli aveva un figlio in culla. Forse un'aureola di dolcezza e di misericordia che attorniava Gesù e Maria, agiva su quell'anima feroce. Egli abbassò la punta della sua lancia, e stendendo a Giuseppe una mano amica, gli offri un ospizio per quella notte, nella sua fortezza all'angolo di una rupe, come il nido degli uccelli di preda. Questa offerta, lealmente fatta, fu accettata con santa confidenza, ed il tetto del bandito fu ospitale in questo incontro come la tenda dell'arabo» (Dall'Enciclopedia Mariana, Vol. I. pag. 264).
Anche S. Anselmo racconta quest'avventura: egli però attribuisce ad un figlio del ladrone la salvezza della S. Famiglia. Egli avrebbe indotto il padre a miti consigli, perché, avendo scorta un'aureola divina intorno al capo dell'Infante, lo riconobbe per un essere superiore. E sarebbe egli il buon ladrone convertitosi sulla croce per aver visto nuovamente quell'aureola divina sul capo del Redentore agonizzante.
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II. NELLA TERRA D'ESILIO. - L ingresso della S. Famiglia in Egitto fu salutato da miracoli strepitosi. Se ne raccontano molti con evidenti allusioni alle profezie di Isaia: «Ecco che il Signore, montato sopra leggera nuvoletta, entrerà in Egitto: dinanzi a lui crolleranno gli idoli d'Egitto, e il cuore dell'Egitto si struggerà nel suo petto» (Is. XIX, I).
Qual fu il luogo di dimora della S. Famiglia? Non lo sappiamo. Ci è soltanto noto che si rifugiarono in Egitto. Alcuni scrittori ritengono che andassero fino al Cairo, che si fermassero in Ermopoli ove rimase la duplice tradizione di un albero che piegò i suoi rami, formando quasi una capanna di difesa ai tre esuli, e di molti idoli caduti a terra al passaggio del Divin Fanciullo. Altri dicono che giunsero ad Eliopoli, la bella città del sole. Quivi, in mezzo ad un boschetto, si trova ancor oggi un sicomoro colossale chiamato l'albero di Gesù e Maria. Vicino ad esso è una fontana che, a differenza delle altre fontane d'Egitto, non ha nulla di salmastro. Si ritiene che sia sorta miracolosamente per dissetare la Sacra Famiglia.

III. IL RITORNO IN PATRIA. - Quanto tempo durò l'esilio? Certo non molti anni, poiché è noto che il ritorno si effettuò subito dopo la morte di Erode, il quale morì pochi anni dopo il suo iniquo editto, corroso dai rimorsi e dai vermi. Allora l'Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Levati, prendi il fanciullo e la madre di lui e va nella terra d'Israele: ché son già morti coloro che volevano la vita del Bambino. Ed egli, levatosi, prese il Bambino e la madre di lui e andò nella terra d'Israele. Ma avendo sentito
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che Archelao regnava in Giudea invece del padre suo Erode, temette di andarvi, e avvertito in sogno, si ritirò in Galilea e venne ad abitare in una città chiamata Nazaret» (Matt. II, 20-23). Si adempì così la profezia: «Dall'Egitto ho richiamato il mio figlio» (Matt. II, I5).

* * *

Quale insegnamento ricaveremo per noi?
La docile obbedienza di Maria ai voleri divini. In una prova così schiacciante la fede di Maria non vacillò per nulla: non scemò menomamente il suo totale abbandono, con ammirabile atto di rassegnazione, ai voleri di Dio. Impariamo a fidarci di Dio: Egli non abbandona alcuno e se talvolta ci chiede dei sacrifici, è sempre per il nostro profitto spirituale.

PENSIERO DI S. TOMMASO DA VILLANOVA. - Questa fedele serva, né colle opere, né col pensiero non contraddisse mai al Signore, ma spogliata d'ogni propria volontà sempre e in tutto visse obbediente al divino volere.

ESEMPIO: DANTE ALIGHIERI

Nacque in un secolo in cui la divozione a Maria Vergine era grandissima ed in cui le si dedicavano i capolavori dell'arte plastica e decorativa, perciò non poté non sentire l'importanza che la Vergine SS.ma occupa nella vita dei cristiani.
La divozione di Dante a Maria SS. nata in lui e appresa nella culla dalle labbra materne, si nutrì con una buona educazione, crebbe con l'istruzione ricevuta dai religiosi Francescani e Domenicani e si fortificò con lo studio della Sacra Scrittura e dei SS. Padri. Da S. Bonaventura imparò ad imitare Maria in ogni azione; da S. Bernardo imparò e gustò le lodi, le invocazioni, gli slanci e i sospiri, i palpiti più delicati, più teneri e appassionati d'un innamorato di Maria che sparse poi in tutto il suo poema. Così la divozione di Dante a Maria è l'espressione più bella
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e più sublime che in forma letteraria poté dare l'ingegno e il cuore umano e che rappresenti il culto del Medio Evo a Maria.
Il significato della Divina Commedia è prevalentemente morale religioso: lasciare le vie del male, purificarsi e liberarsi dal male per rendersi capaci della suprema visione di Dio e guadagnarsi la vita eterna. Ma come lasciare il male? La conversione è un'opera di violenza con se stessi che si può compiere solo con uno speciale aiuto del cielo. E questo aiuto ci viene da Maria, la dolce madre nostra, il rifugio dei peccatori, la Madre della misericordia, la Madre della divina grazia.
Il poeta, sciolti apertamente tutti i veli, confessa il suo mistico amore per Maria: Ella è la sorgente d'ogni speranza, è il conforto, l'ancora di salvezza nelle nostre lotte.

POESIA

VERGINE Madre, figlia del Tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio,

Tu se' Colei che l'umana natura
nobilitasti sì che il suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si riaccese l'amore
per lo cui caldo nell'eterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face
di caritate; e giuso intra i mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, sei tanto grande e tanto vali
che, qual vuol grazia ed a Te non ricorre,
sua disianza vuol volar senz'ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al domandar precorre.

In Te misericordia, in Te pietate,
in Te magnificenza, in Te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate!

Or questi che dall'infima lacuna
dell'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a Te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con gli occhi levarsi
più alto verso l'ultima salute.

Ed io che mai per mio veder non arsi
più ch'io fo per lo suo, tutti i miei preghi
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ti porgo, e prego che non siano scarsi,

perché Tu ogni nube gli disleghi
di sua mortalità coi preghi tuoi
si che il sommo Piacer gli si dispieghi.

Ancor ti prego, Regina che puoi
ciò che tu vuoi, che conservi sani,
dopo tanto veder, gli affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani!
Vedi Beatrice con quanti beati
per li miei preghi ti chiudon le mani!

DANTE ALIGHIERI

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