Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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29. LA CASTITÀ È IL MAGGIORE AMORE
A DIO E AL PROSSIMO

Esercizi Spirituali, 3° giorno, II Istruzione, Castel Gandolfo, 10 agosto 19601


Segni particolari di affettuosità tra le suore sono leciti? Sono buoni o meno? Particolari mai. Quel modo invece che si usa fra i santi, allora, può essere conservato; quindi le mani non devono essere messe addosso, quindi anche il salutare dopo molto tempo che le suore si sono vedute, va compiuto in una maniera diversa dai secolari. Ed è lecito il bacio? È lecito quando sia molto tempo che non si è veduto [qualcuno], ma non deve essere però, in generale, un bacio sulla faccia ma piuttosto un abbraccio, il quale importa di non toccarsi le carni.
Così anche nei giochi, che sono permessi, non vi è da cadere nello scrupolo, ma occorre sempre conservare quel tratto, quella nobiltà, quella delicatezza che va bene e che avrebbe usato Maria. Il santo Cottolengo non voleva che le aspiranti, giocando, si prendessero per le mani; giochi in cui c’era da prendersi per le mani li escludeva2.
Per far capire qualche cosa senza dire tutte... altre particolarità, san Giovanni Bosco non toccava i ragazzi sulla faccia, ma metteva la mano sulla testa, una mano sui capelli, in
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maniera di non toccare le carni3. E il santo Cottolengo con le sue suore porgeva la mano e, se la baciavano, la lasciava baciare, ma guardando anche da altro [lato]... senza stringere e senza dare quasi a vedersi qual era la suora che si era avvicinata, senza fissarla o con sorriso o in altro modo che fosse fin troppo umano. Invece san Giuseppe Cafasso, che era consigliere di Don Bosco e del Cottolengo, lui non lo permetteva generalmente che gli baciassero le mani, solamente in casi così di lunga assenza da quando non si erano più incontrate le persone... ed era un saluto, ma in una maniera quasi di indifferenza, sì, quasi di indifferenza; san Giuseppe Cafasso, quando si presentavano troppo spesso con questo segno, diceva: Mi bacerete la mano in paradiso!4.
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Oh! Voglio dire: poi che non sia uno stringere la mano o ripetuto il bacio, in maniera che si mostri un’affettuosità umana, troppo umana; e quel che si dice di questi casi, potrebbe in qualche maniera anche applicarsi a parenti, distinguendo bene che altro è il trattare con un cugino, una cugina, e altro è trattare con la mamma, con il papà... il comportamento è certamente diverso. Ma conservare quel modo che avrebbe usato Maria nel caso nostro, nel caso nostro.
Qualche volta, passando il Cottolengo in mezzo alle suore che erano tante, lasciava che baciassero la mano e magari porgendo la destra e la sinistra insieme, e filando avanti...così, perché esse pensavano di fare un ossequio al ministro di Dio e quindi di guadagnare un merito. E fatto in questo senso soprannaturale, può avere il suo buon frutto spirituale anche. E altro è baciare la mano al Papa e altro è invece abbondare un po’ in affettuosità tra persone giovani, tra lui e lei in modo particolare, tra l’una e l’altro. Una suora è sempre come una reliquia santa: delicatissima nei suoi sguardi, sentimenti, tratti... è come una reliquia santa. Oh! Sopra questo punto credo di non dovermi fermar di più.

Invece la parte positiva, anziché la parte negativa: un amore perduto a Gesù! Cosa vuol dir perduto? Senza limiti! Disposte a far come sant’Agnese che a quattordici anni piega la testa e si lascia tagliare il collo5. Amore perduto, cioè senza ragionamenti, senza limiti! Tutto il cuore, tutta la mente, tutta l’anima, tutte le forze, tutto! E allora le espressioni che ci sono nel Cantico dei Cantici vengono anche capite sotto questa forma.
Dunque, lo spirito della castità è fissato nell’amor di Dio. Non è che il cuore divenga arido, vuoto di affetto, non è che si faccia il freddo, si faccia il gelo attorno al cuore, non è la solitudine del cuore, no! È l’amore più vero! E cioè, la castità ben osservata è il maggior amore.
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Primo: amore perché ha l’oggetto degno di amore infinito, Dio; l’amore è più degno perché ha l’oggetto più degno: Dio.

Secondo: perché lì non c’è pericolo di sensualità, di sentimentalità troppo umana, no: è tutto spirituale, tutto spirituale. Può essere che un’anima ecciti così il sentimento anche verso Dio, da sentirsi disturbata sensibilmente: non ci badi, no no... non cada negli scrupoli. Dio si ha da amare con tutto il cuore, eh! Quindi, se anche è impegnato il sentimento, questo Gesù vuol tutto il cuore - così si spiega a volte -: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore [cf Dt 6,5].
Poi questo amore nobilita, eleva alle cose spirituali, alle cose divine: quindi, amore degnissimo!
Poi questo amore ci porta ad operare il bene: sempre pensare in bene, sempre volere il bene, sempre operare il bene, sempre parlare in bene...
Poi questo amore è la santità, ma che non sta tanto nel sentimento, ma sta poi nelle azioni, nelle opere, sta nel sacrificarsi per amor di Gesù, sta anche qualche volta nel mortificarsi molto profondamente per amore di Dio. L’anima ne è piena, allora, di Dio.
Poi questo amore verso Dio crea l’amore vero verso il prossimo: si vede tutto in Dio; si vedono le sorelle in Dio come l’immagine di Dio, create ad immagine e somiglianza di Dio; si vede nelle superiore l’autorità di Dio, la presenza di Dio; si vede in tutte le persone che s’incontrano delle anime, non dei corpi in primo luogo... ci sono anche i corpi, si capisce: se dobbiamo fare catechismo, dobbiamo farlo ai bambini, e non hanno solo l’anima ma anche al corpo. Poi tutte le azioni, quindi, che riguardano il prossimo, fatte in quello spirito: se si ha da insegnare, se si ha da obbedire, se si ha da trattare, se si ha da pensare, se si ha da parlare, tutto è fatto in una luce, in un affetto che è soprannaturale; perché quando c’è il vero amore di Dio, amore di Dio e amore del prossimo non sono due amori, sono un amore solo! E cioè: Dio lo amiamo per se stesso perché è infinitamente santo, bello, buono, felicità nostra, sommo bene ed eterna
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felicità... e il prossimo lo amiamo per amore di Dio perché è immagine di Dio, e perché può essere anima bella che serva Dio: o che lo è già perché è un’anima santa, o perché lo può venire, lo può divenire santa - e quindi, cura di essa -: e così si considerano le stesse vocazioni.
Allora ecco quello che abbiamo da pensare. Dio possiamo amarlo perdutamente... alla santa follia, la follia della croce, la sete di patimenti per accompagnare Gesù al Calvario; e allora si creano sante industrie per mortificarsi, per dare degli attestati di amore a Gesù, si creano mortificazioni che nessuno vede, per lo più, e si inventano queste mortificazioni, e si fanno con spirito soprannaturale. L’amore a Dio, questo amore in cui sta la santità e quest’amore progressivo: oggi si va fino ad un certo punto nella perfezione del fare le cose, nella perfezione di far l’esame di coscienza, la Comunione, la Visita, nell’ascoltar la Messa... domani fino ad un punto più elevato, più sublime, sempre più, sempre più... in maniera tale che Gesù vive nell’anima: «Vivit vero in me Christus» [Gal 2,20], e l’anima vive in Cristo. E vi accorgete: passa quella persona che ha poca pietà, poco amor di Dio, va... viene... come una donna quasi volgare; passa quella persona invece che non ha niente di particolare esteriormente, ma sente tanto Gesù nel cuore che tutto riflette il suo amore a Dio, tutto riflette, ricorda che essa è una innamorata di Gesù.
La parola innamorato è tante volte, diciamo, sprecata, anzi profanata, ma le anime che amano Gesù perdutamente sono delle innamorate di Dio, vere innamorate di Dio. Pensano anche di amar Gesù che è bello? E qualche volta giova anche questo!, per sottrarsi da altre cose che potrebbero insinuare un amore profano. O sì, Gesù che è buono, Gesù che è umile, Gesù che è sacrificato, è morto sulla croce... e dimostrazioni di amore ce ne sono interminabili... dimostrazioni, ma quelle che non lasciano dubbio se ci sia o non ci sia l’amore - perché molte volte certe dimostrazioni ci lasciano dubbi se siano vere dimostrazioni di vero amore -, ma quando ci sacrifichiamo per lui, quando ci mortifichiamo per lui, allora non c’è più la sensualità, oh!, non c’è più un’ambizione o altra cosa
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umana, allora il sacrificio è veramente il segno dell’amore. «Pone me ut signaculum super cor tuum», mettimi come un timbro, un timbro profondo sul tuo cuore, «...signaculum super bracchium tuum» [Ct 8,6], cioè le tue azioni sempre segnate dall’amor di Dio, suggerite dall’amor di Dio, sempre. Quelle persone che risparmiano tante parole con gli uomini per saperne dire affettuose a Gesù! Quelle persone che non amano le persone corrotte6, non amano di trattare con persone mondane perché hanno il desiderio di trattare con Gesù... e imparano a parlare con Gesù, imparano a parlare con Gesù! Quando c’è questo amore, i taccuini sono segnati da altre parole: sembra che la persona voglia7 imprimerli quei sentimenti nella carta, i suoi sentimenti di amor di Dio! ...e non un amore, diciamo, di sentimento, ma un amore, sì, amare Dio «opere et veritate»8 [1Gv 3,18], adorerete Dio in spirito e verità [cf Gv 4,23.24], il vero amore di Dio.
E allora come si fa a distinguere il vero amor di Dio dal falso amor di Dio, da una cosa che può ingannarci? Si fa così: se sempre siamo disposte al voler di Dio e a compierlo in letizia - primo segno -, [su] cosa venga disposto si domanda mai il perché; secondo: l’amore di Dio si conosce dall’amor del prossimo... se veramente amiamo il prossimo e se lo amiamo non per sensualità, ma per vera carità.
L’amor di Dio è descritto nella Pratica di amar Gesù Cristo9, Pratica di amar Gesù Cristo: che prezioso libro! Da chierici lo leggevamo tre-quattro volte durante i corsi di filosofia e di teologia; ogni due anni almeno si leggeva la Pratica di amar Gesù Cristo; e quelle parole sono uscite da un cuore che tanto amava, sant’Alfonso de Liguori! E lì non c’è solamente la sentimentalità, non è come quel libro
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che è intitolato Sfoghi del cuore10... lì c’è la dimostrazione dell’amore di Dio con i fatti; quell’amore di Dio che è segnato nelle vostre Costituzioni: quella carità che si porta verso gli altri e che è veramente il distintivo e la prova dell’amore verso Dio. «Caritas patiens est, benigna est» [1Cor 13,4], la carità paziente, eh!, carità benigna sempre con tutti: non si irrita, non pensa male, la carità, non giudica il prossimo, non rifiuta nulla, tutto crede, quel che è rivelato - fede piena -, tutto spera - speranza piena -, in tutto cerca Dio [cf 1Cor 13,4-7]. Amore al prossimo che è prova dell’amore a Dio.

Poi ho detto la sofferenza. Ma non cercare le sofferenze, le mortificazioni che vi guastano la salute, ma quelle mortificazioni che sono richieste: vivere bene in comunità, trattar bene, pensare in bene, aiutarvi; secondo, lavorare per la comunità; terzo, ancora, questo segno di amore uguale con tutti, amare ugualmente tutte non facendo distinzioni - le confidenze si possono fare con chi le merita, le confidenze, ma l’amore va verso tutte, sì, senza distinzioni, senza fare quelle distinzioni: Ma quella lì è più simpatica, quella lì ha certi sorrisi, quella lì mi fa certe confidenze, quella lì ha un carattere migliore... eccetera... Questi motivi umani sono esclusi, vengono esclusi: si ama per Dio, sì.

Quindi l’apostolato è un segno dell’amor di Dio, è la mortificazione che prova che c’è veramente amor di Dio. Carità, buona convivenza, la pazienza, l’apostolato e il lavoro e l’obbedienza sono le grandi penitenze della religiosa paolina. Penitenze e mortificazioni che provano veramente che c’è l’amore al Signore. Del resto qui può bastare, perché mi hanno detto che il padre Abate11 vi ha già parlato dell’amor
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di Dio, e allora ritenete le sante parole che avete udito, e uniformarsi a quelle esortazioni.
Ma vi sono proprio suore che hanno un cuore tutto pieno di Dio! Gesù l’ha occupato tutto, non c’è più una fibra che non sia di Gesù, ha occupato tutto quel cuore... Santa Margherita Alacoque in modo particolare, santa Gemma Galgani, santa Teresa del Bambino Gesù, santa Teresa la Grande, la santa Cabrini, santa Gerosa12... sante che hanno operato tanto per Dio. Sono state alle volte le vere eroine. La donna, se non è santa, è causa di perdizione a quelli a cui si avvicina; ma la donna santa opera più dell’uomo: Maria ha operato più di san Giuseppe e degli apostoli. Quando c’è una donna santa, fa delle cose che non fa l’uomo stesso, perché l’amore la spinge, «caritas Christi urget me» [cf 2Cor 5,14], la spinge ad impresa e a lavori, a soggezione, a mortificazioni... indovina il cuore degli uomini e sa attirarli a Dio.
Quando c’è l’amore in una suora e non ci sono più confini, che cosa farà questa persona? Farà tutto quello che è nei disegni di Dio, sì.
Quindi, pensare che per voi la forza maggiore è il cuore: cuore che può attirare verso le bassezze e può esser causa di corruzione e di rovine, come Eva; e cuore che può attirare a Dio come il Cuore Immacolato di Maria.
E notando che quando c’è una donna apostola, all’uomo si arrende e si piega alle sue domande, alle sue preghiere... e trionfa: tante volte su caratteri e su persone che nessuno è riuscito ad avvicinare. Quante volte è solo la suora e solo lei che trova le parole per indurre un morente a ricevere i sacramenti e riconciliarsi con Dio! Gente che han rifiutato il prete, ma la donna li guadagna: li guadagna perché prega d’ordinario con fede, la donna santa, ma li guadagna anche
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con parole così affettuose, così indovinate, così dirette al cuore perché parlano al cuore, e così dirette al cuore che convincono e guadagnano il cuore a Dio.

Amore intraprendente, amore generoso, amore forte, amore operante. Quest’amore tante volte è malinteso... proprio; ma quando è beninteso e ha penetrato tutto l’essere, tutto il cuore, allora diventa veramente il cuore che contiene Gesù e fa quel che vuole Gesù, e fa e opera secondo il suo amore per Gesù.
Il Signore vi dia un cuore tutto pieno di amore verso di lui. L’Atto di carità13 si ripeta frequentemente, sempre conchiudendo: Fate che vi ami sempre più.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 75/60 (Nastro archivio 72a. Cassetta 72, lato 1. File audio AP 072a). Titolo Cassetta: “La castità - 2a meditazione”.

2 Nelle Regole per le suore della Piccola Casa non era permesso di abbracciarsi o baciarsi, tranne dopo una riconciliazione tra sorelle. Cf Raccolta delle Regole delle Famiglie Religiose della Piccola Casa della Divina Provvidenza, Torino 2000, pp. 34, 120-121; 269; 362; LINO PIANO, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Torino 1996, pp. 438-439; 456.

3 Nelle prime biografie su Don Bosco, è evidenziato questo atteggiamento di posare la mano sul capo dei ragazzi e dei giovani, per esortare, incoraggiare ed esprimere fiducia. Cf GIOVANNI BATTISTA LEMOYNE, Vita del Venerabile Servo di Dio Giovanni Bosco, volume II, parte V, capp. II, V-VI; AGOSTINO AUFFRAY, San Giovanni Bosco, 1929, nuova edizione, Torino 1970, pp. 203-204. Vedi anche il San Paolo, n. 33, maggio 1937, p. 2 (CISP, p. 92): «Mettiamo in vigore la regola di San Giovanni Bosco: non toccare i giovani né per affettuosità, né per castigo».

4 Giuseppe Cafasso, santo sacerdote piemontese (Castelnuovo d’Asti, 15 gennaio 1811 – Torino, 23 giugno 1860), beatificato da Pio XI nel 1925 e canonizzato da Pio XII nel 1947. Come docente di teologia morale e padre spirituale nel Convitto Ecclesiastico che dirigeva a Torino, fu maestro, formatore e consigliere di moltissimi giovani sacerdoti, tra cui Don Bosco e altri santi fondatori; nella sua azione pastorale ebbe a cuore anche l’accompagnamento spirituale dei carcerati e dei condannati a morte, tanto da essere chiamato il “prete della forca”. Si legge in una sua biografia, Vita del beato Giuseppe Cafasso, Torino 1925, pp. 306-307: «La bella virtù della castità traspariva luminosamente dal suo aspetto, dagli occhi, dalle parole, dal gesto, dal portamento intero della persona. Nel trattare con donne mostrava una riserva somma e veramente dicevole ad esemplare sacerdote, priva però di ogni affettazione, praticando con una scioltezza tutta sua propria il guardar tutto e fissar niente che soleva inculcare ai suoi alunni. A donne ei non permetteva di baciargli la mano. Tostoché ei si accorgeva aver esse tale intenzione, destramente ritirava la mano; però se qualcuna riusciva ad afferrargliela di sorpresa non ricorreva a sforzo alcuno per liberarsi, ma senza darsene per inteso, lasciava fare. “Mio padre, narra la maestra castelnovese Benedetta Savio, mi aveva insegnato che ai sacerdoti si deve per riverenza prestare quest’ossequio, ma D. Cafasso non me lo permise mai, dicendomi che gli avrei poi baciata la mano in paradiso”. Un grande riserbo era abituale al beato altresì nel trattare con uomini. Anche dai convittori non si lasciava baciare la mano, ed erano affatto opposte al suo modo di pensare ed alle sue abitudini tutte quelle dimostrazioni d’affetto che si esprimono con baci, strette di mano e simili atti». Sull’interesse che il PM rivolge alla figura del Cafasso, vedi anche l’introduzione a questo volume, p. 12.

5 Santa Agnese di Roma (III/IV secolo), vergine e martire, di cui ricorre la memoria il 21 gennaio. Cf Martirologio Romano, Roma 2006, p. 146; AMBROGIO DI MILANO, De virginibus, I, 2.

6 Parola incerta.

7 Il PM dice: volesse.

8 «[Non amiamo a parole né con la lingua, ma] con i fatti e nella verità».

9 È il più noto libro di Alfonso Maria de Liguori, pubblicato la prima volta a Napoli nel 1768, da egli stesso considerato «la più divota ed utile di tutte quante l’altre [mie opere]» (Lettere, III, n. 196, 310-311). Fu tra i più diffusi libri di spiritualità, particolarmente del 1800, ed è stato tradotto nelle principali lingue in circa cinquecento edizioni (delle quali, più di cento in italiano).

10 Dovrebbe trattarsi del libretto Sfoghi del cuore dinanzi al SS. Sacramento, Torino 1892 (1928). Per una lettura critica di questo manualetto di preghiere, cf GIOVANNI POZZI, Grammatica e retorica dei santi, Milano 1997, pp. 302-303.

11 Questo appellativo si usava per indicare l’Abate Trappista padre Domenico Turco. Nella mattinata del 9 agosto, l’Abate aveva celebrato la Messa e tenuto due prediche sull’amore di Dio.

12 Per Margherita Maria Alacoque e Gemma Galgani, vedi AP 1959, pp. 146-147.
Francesca Saverio Cabrini (Sant’Angelo Lodigiano, 15 luglio 1850 – Chicago, 22 dicembre 1917) fu missionaria e fondatrice dell’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù.
Caterina Vincenza Gerosa (Lovere/Bergamo, 29 ottobre 1784 – 20 giugno 1847) fondò, insieme a Bartolomea Capitanio, l’Istituto delle Suore della Carità, dette di Maria Bambina.

13 Cf Le Preghiere del Cristiano, Atto di carità. Vedi Preghiere, ed. 1957, p. 17; ed. 1985, p. 23.