Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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36. IL PUBBLICANO E IL FARISEO
La disposizione dell’umiltà nella preghiera

Domenica X dopo Pentecoste, conclusione Esercizi Spirituali, Castel Gandolfo, 14 agosto 19601


Conchiudendo gli Esercizi Spirituali, prendiamo la lezione che ci dà il Maestro Divino nel Vangelo di oggi, nel tratto di Vangelo che è ricavato da san Luca al capo XVIII2.
Una lezione di umiltà, ma non umiltà in generale, l’umiltà nel pregare, l’umiltà nel pregare: cioè il riconoscere i nostri bisogni e riconoscere che Dio è la luce, Dio è la forza, Dio è la sapienza, Dio è l’onnipotenza, Dio è il tutto; e che noi siamo poveretti e ignoranti e deboli e inclinati al male, e in mille necessità e materiali e spirituali... in mille necessità si trova l’umanità, si trova la Chiesa, sì. Riconoscere che siamo dei bambinini3 innanzi ad un grande Padre: Credo in Dio Padre onnipotente creatore del cielo e della terra4, ecco! Noi che siamo ancora così tanto lontani dalla santità, credere alla santità di Dio, credere alla sua grazia e al bisogno che abbiamo della sua grazia; e credere che noi abbiamo intrapreso una strada, abbiamo fatto dei buoni propositi ma, se la grazia di Dio non ci sostiene ogni giorno, ogni momento, possiamo fallire, possiamo fallire. Non è mica una frase strana quella di san Filippo Neri: Signore, tenetemi oggi la vostra mano sul
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capo, se no vado a finire nel ghetto degli ebrei questa sera, e cioè mi faccio turco, mi faccio ebreo, secondo alle volte come si esprimeva5.
La preghiera ha tre condizioni: perseveranza, fiducia, ma fondamento è l’umiltà. Se non c’è l’umiltà, neppure uno si muove a domandare le grazie, neppure uno si muove a pregare: A che scopo?, si domanda. Mentre che se c’è l’umiltà sentiamo il bisogno di glorificare e ringraziare Dio, se c’è l’umiltà sentiamo la necessità a domandare le sue benedizioni, le sue grazie, i suoi aiuti. A dire è facile: «Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina» [Sal 70(69),2], ma [lo] sentiamo? Signore, guarda, vieni in mio aiuto, fa’ presto a soccorrermi ché mi trovo in tanta necessità, con tanti pericoli...
Gesù la disse questa parabola proprio per insegnare come a certe anime manchi l’umiltà nel pregare e in6 altre anime invece c’è proprio questo grande dono, questa bella disposizione dell’umiltà.

«In quel tempo Gesù disse questa parabola per certuni, i quali confidavano in se stessi - ecco, come giusti si credevano buoni - e disprezzavano gli altri». L’orgoglio alle volte ci fa ciechi sopra di noi e ci fa aprire gli occhi su tutti i difetti degli altri. Dunque la parabola è questa: «Due uomini ascesero al tempio a pregare, uno era fariseo e l’altro pubblicano». I farisei si credevano modelli di virtù, gli osservanti della legge e quanto ai pubblicani li credevano sempre peccatori pubblici e gente da cui bisognava star lontani. «Il fariseo stando in piedi - ehh! come subito è la sua posizione nel pregare: sta in piedi eh, non si inchina, non si inginocchia - e dentro di sé così pregava: O Signore ti ringrazio di non essere io come tutti gli altri - eh, tutti gli altri un fascio solo, cioè tutti cattivi; e specialmente li accusa di tre peccati gli altri -: rapaci, ingiusti, adulteri, come del resto è anche questo pubblicano» che
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stava presso il fondo del tempio. E vediamo un poco come sente o non sente il bisogno di Dio: conta i suoi meriti!, altro che sentire il bisogno di umiliarsi: «Io digiuno due volte alla settimana e pago le decime di quanto possiedo»: racconta i suoi meriti, le sue virtù.
«Il pubblicano, invece, stando da lungi non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo - la posizione dell’umile -, ma si batteva il petto, dicendo: O Signore, abbi pietà di me, che son peccatore»! Ecco la preghiera dell’umile. Come è diversa questa preghiera da quella del fariseo: io digiuno due volte alla settimana, pago le decime, io non son come tutti gli altri... voleva dire: tutti son cattivi, io faccio eccezione, io, io solo!
E allora Gesù disse: «Vi assicuro che questo pubblicano tornò a casa sua giustificato - cioè santificato, perdonato, in grazia di Dio, a differenza dell’altro, cioè del fariseo che non tornò a casa più santo... no: e il Signore non aveva ascoltato la sua preghiera -. Chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato».

Ecco, allora che cosa bisogna pensare? Pensare sempre di ricorrere alla preghiera; e certamente le pratiche le fate tutte. Bisogna portare la disposizione però anche alla preghiera: ci può essere uno che canta delle belle lodi col cuore, che accompagna con sentimento e, se non ha una voce indovinata, canterà come può; e ci sarà un altro invece che si vanta della sua voce... e c’è chi crede di fare abbastanza perché fa le pratiche, ma bisogna sempre guardare le disposizioni. Alle volte, un chiedere perdono basta a salvare un’anima che era peccatrice, come parla Gesù di questo pubblicano della parabola. Signore, abbi pietà di me che son peccatore: e tornò a casa giustificato. Invece vi sono delle preghiere che son pesanti, preghiere che son dette a fior di labbra, preghiere in cui7 non son sentite con il cuore le parole che si esprimono seguendo le formule. Sì.
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Allora per ricevere l’assoluzione ci vuole il pentimento interno, perché il sacramento è la grande preghiera, ogni sacramento è una grande preghiera - massimo [è] il sacramento dell’Eucarestia -, ma ci vuole la disposizione. Così dappertutto: se vogliamo ricevere bisogna che ci umiliamo. Vedete come fanno quelli che vogliono essere ricoverati in un istituto di carità o in un ospedale di beneficenza - non parliamo delle cliniche - o in altro ricovero: descrivono i loro bisogni, la loro miseria, le loro infermità, le loro pene; come sono abbandonati, che non hanno aiuti... e più descrivono bene i loro mali e più i loro mali sono gravi, e più commuovono chi può far loro del bene; e qualche volta li esagerano anche i mali per essere aiutati, qualche volta arrivano anche a fingere.
E così se vogliamo essere ascoltati e aiutati da Dio, c’è questo: enumeriamo le nostre difficoltà, le nostre pene, le nostre tentazioni e la nostra fragilità, le nostre inclinazioni al male, le impressioni che si ricevono dai cattivi esempi, eccetera... Umiliamoci umiliamoci!
E perché? E perché tutto il nostro merito qual è, allora? Non è il bene che abbiamo fatto, è la fiducia, sono i meriti di Gesù Cristo in sostanza, la fede in Gesù Cristo: «per Christum Dominum nostrum». Non meritiamo niente, ma la Chiesa finisce gli Oremus con il dire: «per Christum Dominum nostrum», «per eundem Christum Dominum nostrum»8. Ecco, i nostri meriti sono quelli. Da noi la povertà, la miseria, l’ignoranza: chi si umilia allora sarà esaltato, neh! Come sarete esaltate? Osserverete i propositi, camminerete di virtù in virtù, di merito in merito; e poi... esaltate dove? Nei più bei posti in paradiso. Bisogna proprio entrar nella verità: conoscere quel che siamo noi, conoscere quel che è Dio, il bisogno che abbiamo di Dio, e la sicurezza nostra nei meriti di Gesù Cristo... non nei nostri meriti o nelle nostre lunghe preghiere, ma la fiducia nelle piaghe santissime del Salvatore.
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E così osserverete i propositi, che adesso benedico tutti insieme; e poi ci sarà la benedizione, e prima della benedizione il canto del Te Deum9.

Iesu Magister, Via, Veritas et Vita
- Miserere nobis.
Regina Apostolorum
- Ora pro nobis.
Sancte Paule Apostole
- Ora pro nobis.
Benedictio Dei omnipotentis,
Patris, et Filii, et Spiritus Sancti
descendat super vos, et maneat semper
- Amen. Deo gratias.
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1 Nastro originale 79/60 (Nastro archivio 75b. Cassetta 75bis, lato 1. File audio AP 075b). Titolo Cassetta: “Riconoscere che Dio è tutto”.

2 Vangelo: Lc 18,9-14. Il brano viene proclamato e contemporaneamente spiegato dal PM nella meditazione.

3 Il PM usa il “diminutivo” per ciò che è già piccolo in sé, e cioè il bambino...

4 Inizio della formula del Credo (Simbolo di Nicea-Costantinopoli).

5 Vedi AP 1958/2, p. 104, nota 23.

6 Il PM dice: ad.

7 Il PM dice: preghiere che.

8 «Per Cristo nostro Signore»; «Per lo stesso Cristo nostro Signore».

9 Era prassi concludere il corso degli Esercizi Spirituali con il canto del Te Deum. Vedi AP 1959, p. 169, nota 5.