Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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41. VIVERE E MORIRE IN GRAZIA DI DIO
COMPIERE IL BENE E LA VERITÀ IN CARITÀ

Domenica XV dopo Pentecoste, Meditazione, Castel Gandolfo, 18 settembre 19601


[La domenica XV] dopo Pentecoste ci narra la risurrezione del figlio della vedova di Naim.

«In quel tempo, Gesù andava ad una città chiamata Naim, ed era accompagnato dai suoi discepoli e da una gran folla. Alle porte della città incontrò un funerale: si trattava di un figlio unico, e la madre sua era vedova. Per questo vi era molta gente della città. Il Signore al vedere la madre si commosse, e le disse: Donna, non piangere. Accostatosi toccò la bara. I portatori si fermarono ed egli disse: Giovanetto, te lo dico io, alzati! Il morto si alzò a sedere ed incominciò a parlare. Gesù lo rese così alla madre. Invase da stupore, le turbe riconobbero l’intervento di Dio ed esclamarono: Un grande profeta è sorto in mezzo a noi: Dio visita il suo popolo»2.

La Chiesa è come una famiglia. La famiglia è una società dove ci sono i genitori e ci sono i figlioli, e per vivere assieme e per santificarsi assieme, il padre, la madre e i figliuoli; se però uno dei figli diviene cattivo, tutta la famiglia ne soffre. Ecco, la Chiesa è una famiglia, una società grande... siamo noi i membri: e se vi è un peccatore, un’anima infelice, disgraziata, tutti ne sentiamo pena; vi sono poi le anime molto
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delicate che quando sentono una bestemmia subito dicono una giaculatoria, e se ci sono dei disordini, degli scandali, eccetera, le anime delicate cercano di riparare; vi sono i morti, cioè quelli che non hanno più la vita naturale. E questo figliolo era portato al sepolcro perché era morto: quanta pena nella madre, la quale aveva quell’unico figlio ed ella era anche vedova... quindi il suo dolore. La Chiesa piange quando ci sono dei figli che sono privi della vita spirituale, cioè la Chiesa piange per i peccatori e soffre: e tutti ne soffriamo al vedere certe posizioni contrarie alla religione, contrarie alla Chiesa, contrarie a tutto il bene; quando non c’è riguardo né alle feste né c’è riguardo nel parlare; quando si seminano scandali... tutti ne soffriamo.
E allora cosa bisogna fare?
Pregare Gesù che risusciti i peccatori, perché i peccatori sono privi della vita eterna, della vita soprannaturale, della vita della grazia: sono morti realmente nello spirito, nella loro anima sono morti! Un morto è privo dell’anima, cioè della vita naturale, un peccatore è privo della vita soprannaturale; e vi sono anche delle disgrazie in cui malati gravi rifiutano il sacerdote, rifiutano di riconciliarsi con Dio, e passano così all’eternità e muoiono quanto al corpo e muoiono quanto all’anima, perdono la vita naturale e perdono il paradiso: bisogna pregare per questa gente, pregare sempre per i peccatori, o sia che si avesse un membro della famiglia che non cammina bene, non fa bene, o sia che vediamo attorno a noi nelle parrocchie o nell’ambiente in cui si vive che vi è qualcheduno che non opera bene.
Pregare perché le famiglie vivano bene: che nessun membro sia senza la grazia, tutti vivano in grazia di Dio, e che poi tutta la famiglia si riunisca in paradiso. Ma se uno non si pente, non risorge dal suo peccato, si ostina... Le famiglie devono ricomporsi in paradiso e qui si passa all’eternità uno per volta, ma bisogna, per riunirsi in paradiso, che non manchi nessuno: tutti vivano nella grazia di Dio o almeno muoiano nella grazia di Dio. Quello è l’insegnamento spirituale del miracolo narrato nel Vangelo.
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Leggiamo però anche quello che è scritto nell’Epistola della Messa: è un tratto della lettera di san Paolo ai Galati3.
«Fratelli, la nostra salvezza viene dallo Spirito: perciò viviamo come egli desidera». Cosa vuol dire? Noi ci salviamo se viviamo secondo lo Spirito, cioè secondo il catechismo in pratica. Credere a quel che il catechismo dice, operare secondo quel che il catechismo insegna, pregare secondo [come] il catechismo ci indica il modo di pregare, cioè la Messa e i sacramenti, le orazioni e tutto il resto della preghiera. Quello vuol dire: secondo lo Spirito, vivere secondo lo Spirito.
Poi, «non desideriamo la gloria che non ci aspetta. Tra noi non vi sia rivalità o gelosia»: non è desiderar la gloria... Non essere ambiziosi, non essere superbi: non desideriamo la gloria che non ci aspetta. Tra noi non vi siano rivalità o gelosie: alle volte ci possono nascere le invidie, ci possono nascere i dispetti... non ci siano queste cose, togliamole!
«Fratelli, se qualcheduno cade in peccato, voi che obbedite allo Spirito, correggetelo con dolcezza». Se qualcheduno cade in peccato, cioè commette, ad esempio, una disobbedienza e commette un difetto, eccetera, voi correggetelo con dolcezza. Con dolcezza non significa lasciar passare le mancanze, ma significa dire la verità in carità [cf Ef 4,15].
E poi, «bada bene a te stesso: tu pure puoi essere tentato». Vediamo sempre noi stessi, vigiliamo su noi stessi: anche noi possiamo esser tentati... e far peggio. Quelli che credono così facilmente di essere santi... e poi se hanno la superbia, finiscono col cadere in difetti anche alle volte più gravi di quelli che hanno veduto in altri. Quindi sempre umili.
«Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Gesù Cristo». Che vuol dire? Abbiamo pazienza con tutti, sopportiamo i difetti di tutti. Questo vuol dire vivere in carità, secondo Gesù Cristo; e vivere in carità non vuol dire permettere il male, ma vuol dire aiutare perché ci sia il bene.
«Se tu credi di essere qualche cosa, mentre sei nulla, ti illudi». Tante volte noi crediamo di valere qualche cosa: mentre
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sei nulla, ti illudi. Quella è la superbia. E c’era quel tale che diceva che anche lui era qualche cosa, e così voleva far credere agli altri che era una persona grande, quasi che non commettesse sbagli, quasi che fosse sicuro sempre di quel che diceva. Se tu credi di essere qualche cosa, mentre sei nulla, ti illudi.
«Esamina la tua condotta - sempre l’esame di coscienza ogni giorno -: se ne sarai soddisfatto, tanto meglio, ma non scusarti paragonandoti agli altri». Se uno fa l’esame di coscienza ed è soddisfatto alla sera che ha fatto bene, benedica il Signore, ringrazi il Signore che ha avuto la grazia di passar bene la giornata: E se qualche bene ho compiuto - si dice nel Vi adoro - Signore, accettatelo4; ma non scusarti paragonandoti agli altri: che ho fatto meglio di lui, che credi di essere il più buono: non scusarti! Oppure scusarti in questo modo: Altri fan peggio di me: che cosa è poi mai questo mio errore....
«Ciascheduno ha il proprio peso», vuol dire: ciascheduno ha i suoi difetti. E quindi vediamo di correggere i nostri e poi di incoraggiare gli altri, se abbiam modo, perché ci sia la correzione in tutti e ci sia il progresso in virtù.
«Chi viene istruito nella fede divida i suoi beni con chi lo istruisce». Che vuol dire? Chi predicava, predica la Parola di Dio e deve essere sostenuto, alimentato. Ecco.
«Non illudetevi: Dio non può essere schernito». Far mille propositi e mai adempierne nessuno, vuol dire scherzare con Dio, dirgli tante cose, protestar tanto l’amore e poi offenderlo continuamente! E quello è uno scherno a Dio: contargli le bugie! Piuttosto, umiliarci se c’è lo sbaglio. Dio non può esser schernito... però, se noi abbiamo mancato ancora senza vera offesa di Dio, senza vero peccato, non ci sarà l’offesa di Dio, ma bisogna che correggiamo i difetti; ed è chiaro: dire al Signore che gli vogliamo tanto bene e poi piantargli tanti spilli nelle mani, nel cuore, tante spine... così [è di] quelli che protestano di amare tanto il Signore, e poi... e qui lo offendono in una parola, là lo offendono in pensieri, un altro
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momento fanno un capriccio... Come sta la nostra protesta di amore?
«Ognuno mieterà quello che ha seminato: chi semina i peccati della carne, mieterà dalla carne la morte eterna; chi semina le opere dello spirito, mieterà la vita eterna», e cioè alla fine della vita avremo ciò che abbiamo fatto: chi ha fatto bene trova i meriti; chi non li ha fatti, non li trova. Presentarci a Dio con le mani vuote è cosa ben penosa, non è vero? Presentarci a Dio con le mani piene ispira tanta confidenza fino ad accettare la morte in serenità, perché si sa che poi si lascia la terra e si va in paradiso, dove la vita è lassù pienamente beata.
«Non stanchiamoci di fare del bene: a suo tempo arriverà la mietitura - che vuol dire il premio, alla fine - ; e facciamo il bene a tutti, specialmente ai fratelli nella fede». Facciamo il bene, non perdiamo tempo: «Dum tempus habemus, operemur bonum ad omnes, maxime autem ad domesticos fidei»5, facciamo del bene anche attorno a noi. Dire una santa parola, dare buon esempio, moderarci nei desideri, compiere i doveri quotidiani, in famiglia, dove ci troviamo, comportarci sempre delicatamente: questo è riempir le giornate di meriti!
E «operiamo il bene: mieteremo», e cioè raccoglieremo alla fine. Il bene fatto, in punto di morte ci consolerà; e poi il bene fatto ci accompagnerà al giudizio, ci accompagnerà al paradiso: niente del bene va perduto... niente! E allora fiducia. Che alla sera possiamo dire sempre: Se qualche bene ho fatto, Signore, accettatelo; e se ho mancato, Signore, perdonate6. Così conchiuder bene la giornata.
E abituarsi a dire le tre Ave Maria andando a letto, mettendoci sotto la protezione della Madonna, baciando la medaglia che si ha al collo... e così dormire sotto lo sguardo di Maria.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 73/60 (Nastro archivio 77b. Cassetta 77, lato 2. File audio AP 077b). Titolo Cassetta: “La vedova di Naim”.

2 Vangelo: Lc 7,11-16. Il brano viene citato liberamente dal PM all’interno della meditazione.

3 Epistola: Gal 5,25-26; 6,1-10. Il PM commenta il brano man mano che lo legge.

4 Cf Le Preghiere del Cristiano. Vedi Preghiere, ed. 1957, p. 13; ed. 1985, p. 30.

5 «Poiché [dunque] ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede».

6 Vedi p. 277, nota 4.