Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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33. COME SI FANNO I SANTI - II33
1. Abbiamo considerato come la santità sia soprattutto interiore. Certo le opere esteriori, quando sono possibili, sono anch'esse meritorie. Così le parole che diciamo, quando possiamo o dobbiamo parlare per validi motivi o per ufficio, sono anche meritorie, ma tutto quello che facciamo all'esterno prende valore dalla santità interna.
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2. Accenno a qualche punto importante: innanzitutto obbedienza interna, cioè uniformità pronta al volere di Dio, uniformità che non giudica, uniformità amorosa, lieta. L'uniformità al volere di Dio, quando è continua, stabilisce l'anima nel perfetto amore di Dio.
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3. L'anima, senza preoccuparsi di quello che può avvenire all'esterno, vive nell'unione di volere con Dio e nel compimento della sua volontà conducendo una vita di obbedienza.
Si pone come in uno «stato di obbedienza» che non è compiere solo atti di virtù.
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4. Lo stato di obbedienza è molto più meritorio che non qualche atto di obbedienza. C'è il pieno abbandono in Dio; non si desidera una cosa più dell'altra; non si desidera cioè più la salute che la malattia, non si bada se siamo lodati o rimproverati: c'è il pieno abbandono in Dio.
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5. La preghiera centrale del Padre Nostro è «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6,9-10), il che significa fare il volere di Dio completamente come lo fanno gli angeli in cielo.
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6. Quando si manca di questo spirito o almeno quando non si vive in questo stato di obbedienza, si vanno a cercare i motivi, si ragiona sul perché Dio ha permesso quello che è stato disposto; si pensa: chissà se qualcuno ha riferito, chissà come è andata, chissà se gli altri hanno pensato così e mi hanno detto questo...
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7. «E' piaciuto a Dio e piace anche a me: io ho una volontà definitivamente stabilita in Dio». Questo è lo stato di obbedienza: «quae placita sunt ei facio semper» (Gv 8,29). Gesù non faceva distinzione tra l'entrare gloriosamente in Gerusalemme e uscirne portando la croce; non faceva distinzione fra il ricevere il Benedictus o l'Osanna e il sentire il crucifige «sia crocifisso» (Gv 12,13; 19,6).
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8. Il crocifisso che ci sta davanti è impressionante soprattutto per la profonda serenità dello spirito di Gesù. E' vero che la carne è inferma ma «spiritus quidem promptus est» (Mc 14,38), lo spirito è pronto e, se anche mi vengono ad annunziare che sono malato da morire, che la malattia è grave e che non mi rimetterò, mi basta qualche minuto per abbandonarmi in Dio.
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9. San Ignazio ha lasciato scritto che se tutte le sue opere - ed erano tante le opere che aveva compiuto in vita - se tutte le sue opere dunque fossero cancellate e distrutte, per mettersi in serenità lo spirito gli sarebbe stato sufficiente pregare un quarto d'ora dinanzi all'altare del crocifisso.
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10. Qualche volta si trascina la malinconia e la tristezza, qualche volta si è tutti esuberanti di gioia e abbondanti di parole perché è stato disposto secondo il nostro volere e il nostro gusto, qualche altra volta si maneggia anche perché l'obbedienza, la disposizione, venga come piace a noi.
Vi sia in tutte lo stato interiore di obbedienza che è un frutto della virtù dell'obbedienza.
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11. Obbedienza fino alle lacrime, e non sono sempre lacrime di pochi momenti; tante volte sentiamo la difficoltà di adattarci subito e, anche se lo spirito dice con tanta convinzione «sia fatta la tua volontà», la carne è riluttante e dobbiamo dire come Gesù: «lo spirito è pronto ma la carne è debole» (Mc 14,38). Ma a poco a poco l'anima si deve stabilire in Dio fino a dire il sì pronto. «Padre nelle tue mani abbandono lo spirito mio», «commendo spiritum meum» (Lc 23,46).
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12. Obbedienza interna, piena, serena, che esclude da noi ogni desiderio; quanto meno andiamo a cercare eccezioni, tanto più siamo obbedienti della obbedienza interna. «Non domandate e non rifiutate nulla» diceva san Francesco di Sales. Neppure si deve chiedere malattie o andare a cercare penitenze eccezionali.
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13. Essere figlie dell'istituto, perciò operare e pregare nello spirito proprio dell'istituto, poiché questo è uniformità alla volontà di Dio.
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14. Umiltà interna. Quella che Gesù ha chiamato «umiltà di cuore» è proprio l'umiltà vera, perché non è umiltà vera neppure fare la genuflessione se non è accompagnata da una genuflessione interna per cui l'anima pensa: quanto sono piccolo e voi, mio Dio, quanto siete grande! Sottometto a voi tutto il mio essere perché è vostro.
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15. Non è umiltà di per sé sicura parlare di noi in male, e non è umiltà sicura neppure il fare tanti atti di riverenza, propositi di sottomissione, lodare le persone, no, l'umile si tiene sempre per ultimo. Questa è la sola umiltà che piace al Signore: :«Recumbe in novissimo loco» (Lc 14,10).
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16. Umiltà sempre, ma di cuore. Uno potrebbe anche dire male di sé perché gli altri dicano: «Oh, non è vero che sei cattivo, perché hai quella virtù e quell'altra». Magari si dice: «quel canto non è andato bene questa mattina» perché dicano che è andato bene. Questo è andare a mendicare approvazioni. La semplicità ci porta a fare il bene ma per Dio, senza aggiunte che sono poi un veleno che guasta un po' tutto.
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17. Umiltà di cuore. Se mi mettono all'ultimo posto, meriterei di stare più in giù dell'ultimo posto, anche dietro ai peccatori e a quelli che magari esteriormente hanno commesso dei delitti; chissà come sono io dinanzi a Dio con tutte le grazie che ho ricevuto!
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18. Umiltà di cuore, di persuasione, di convinzione. E' sempre molto edificante considerare Gesù che si inginocchia davanti ai suoi apostoli per lavare loro i piedi. Dio, il santo, e gli apostoli tanto imperfetti (non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo).
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19. Secondo la narrazione evangelica sembra che Gesù abbia lavato i piedi anche a Giuda, si sia inginocchiato davanti a lui. Pensiamo che abbia fatto un atto di ipocrisia? La sua era convinzione profonda, la sua era umiltà di cuore. Si può immaginare una umiltà per cui il santo dei santi si sentisse in obbligo di lavare i piedi a uno che stava per tradirlo? Com'è possibile? Noi avremmo detto: «Costui non meriterebbe che gli lavasse i piedi, ma che gli legasse le mani e lo coprisse di flagelli».
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20. Umiltà di cuore. Stimiamoci un nulla, consideriamoci sempre dinanzi a Dio come siamo. Alle volte l'orgoglio ci accompagna anche al confessionale: vogliamo minimizzare il difetto, il peccato, magari attribuire il difetto commesso ad altri. La scrittura dice: «est, est, non non», sì, sì; no, no (Mt 5,37). Se proprio nell'atto di confessarci, nell'atto di umiliazione, noi cerchiamo di salvare l'orgoglio e di compiacere il nostro amor proprio, che cosa si deve dire, che virtù è la nostra?
E neppure esagerare il male. Schiettezza: com'è, è!
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21. Mi ha sempre fatto una grande impressione Gemma Galgani la quale viveva sempre come una fanciulla, si considerava ignorante; era povera, malaticcia e si riteneva una grande peccatrice; serviva a tavola e andava in chiesa sempre tenendosi come ultima e persino indegna di occupare i primi posti. Che semplicità! Non si risentì neppure quando fu giudicata senza vocazione; si servì di quello per umiliarsi di più interiormente. Questa è l'umiltà che piace a Gesù. Coltivare l'umiltà interiore.
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22. C'è un'altra cosa che ci rende molto cari a Dio, a questo Dio che non guarda la faccia ma «intuetur cor» (1Sam 16,7). L'uomo guarda la faccia e l'esterno, ma Dio guarda i cuori e allora vivere più uniti a Dio. Vivere uniti a Dio quanto più ci è possibile; sentire che Gesù è in noi e fare atti d'amore di fede, di domanda, comunioni spirituali.
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23. Si va, si viene, si fa una cosa e l'altra: è Gesù che fa operare. Se la mia mano opera, se il mio occhio si apre per vedere, se io studio o prego, agisco come membro di Gesù Cristo e, come io posso adoperare tutta la mia mano, così Gesù può adoperare me e tutte le mie membra.
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24. Unione segreta, tranquilla, vivificante, sempre profonda. Non è tanto facile giungervi, ma quando riusciremo a stabilizzare l'anima in Dio, a sentire in continuità la presenza di Gesù in noi, avremo fatto un bel tratto di strada.
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25. Unione con Dio. E' vero che, fatta l'offerta, le azioni sono tutte di Dio se noi volontariamente non cambiamo intenzione, perché quello che passa momentaneamente per la testa non distrugge il merito: tante volte infatti sono solo nubi, non sono consensi; ma, se noi al mattino detestiamo il male e diciamo a Gesù che vogliamo essere tutte sue e lungo il giorno rinnoviamo l'intenzione, il merito aumenta.
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26. Però vi è grado e grado. L'anima può sentire la presenza di Gesù sempre più frequentemente fino a vivere l'unione con Dio quasi di continuo: se parlo, parlo con Gesù; se mangio, mangio con Gesù, obbedendo a Lui in tutte le mie azioni.
Se questa unione si stabilisce sempre più di frequente, è certo che il grado di merito è più grande e c'è più santità. Stabilire, tendere a questa unione con Gesù.
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27. Vi sono persone che sentono Gesù e persone che lo dimenticano per ore ed ore. Gesù si ricorda, per esempio, con una comunione spirituale, con una giaculatoria, con qualche atto di fede, col ricordare qualche pensiero della meditazione, ecc. Gesù si ricorda in tante maniere, ma tutte queste maniere sono ordinate a stabilire la nostra unione con Dio, con Gesù, sempre più continua Ciò non è facile, ma questo è la santità, perché la santità è carità, cioè unione con Dio. Ed è già una santità molto avanzata.
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28. Fermiamoci ancora sopra questi tre punti e cioè: unione di volontà con Gesù o «stato di obbedienza» non atti di obbedienza soltanto ma lo stato di uniformità continua alla volontà di Dio.
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29. Umiltà di cuore, ma quella umiltà di cuore che non desidera più la lode che il disprezzo, e non desidera neppure il disprezzo, ma desidera solo che si compia la volontà di Dio in noi. Nello stato di umiltà l'anima è indifferente, tanto sono, quanto sono davanti a Dio: sono piena di difetti ma prendo i meriti della passione di Gesù. Questo è stato di umiltà.
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30. Lo stato di unione con Gesù lungo il giorno. Si potrà dire: ha suggerito tre cose, come faccio? Ciascuna può prenderne una, giacché in fondo si equivalgono.
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31. Sono mezzi diversi che ci portano all'osservanza della carità. Alla fine si devono ridurre i nostri propositi e tutte le virtù alla carità verso Dio e verso il prossimo. Questa carità che dura in eterno, è l'unione con Gesù di mente, di volontà e di cuore.

Fine ritiro
Albano Laziale (Roma)
8 agosto 1956

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33 Albano Laziale (Roma), 8 agosto 1956