Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XIV
LE SCUOLE DELL'AMORE1

[80] L'amore verso nostro Signore trova un grande scoglio nella tiepidezza e d'altra parte trova una grande scuola in Gesù Cristo. Quando poi questo amore è industrioso, si nutre di tutte le cose e divampa sempre più. Evitare la tiepidezza che è una indolenza spirituale. Il tiepido è colui che non fa conto dei piccoli peccati, dei piccoli difetti e vive distrattamente, sia perché non vi bada, sia perché li stima mali leggeri.
Il tiepido cade volontariamente in molte imperfezioni. Fa poco conto delle piccole virtù: le domestiche, familiari, quotidiane, che sono la moneta spicciola da usarsi più spesso. Abbandona le pratiche di pietà più interiori: esame di coscienza, meditazione, ecc.; non che lasci subito tutto, ma le compie con negligenza notevole. Sparge in tutte le pratiche la sua | [81] freddezza ed è raro che abbia sentimenti accesi, lacrime di pentimento, entusiasmi per le cose spirituali, per ciò che riguarda la salvezza delle anime. Poi, o perché troppo riposa, o perché soddisfa troppo qualche senso, il suo amore rimane coperto. È come la brace sotto la cenere: il fuoco v'è ancora, ma è destinato a spegnersi a poco a poco.
La tiepidezza, oh, quanto disgusta il cuore di Gesù, quanti meriti fa perdere! Chi è tiepido trascura tanto bene e quello che fa, lo fa con tanto mal garbo. La tiepidezza fa perdere un numero immenso di grazie, porta l'anima in uno stato in cui non gode mai vere consolazioni spirituali.
Io non vorrei, ora, che qualcuna, essendo soggetta ad aridità e distrazioni, debba sconvolgersi. L'aridità viene, alle volte, dalla natura, come il sonno, ed è una prova di Dio. La tiepidezza è invece un'abitudine di far male le pratiche di pietà. Non bisogna dire che quando non ci sia più fatica a fare gli atti buoni, sia tiepidezza: no. Può essere la virtù che ci porta a fare gli atti buoni prompte, faciliter et delectabiliter2. Quando vi è negligenza e non si fa più caso, allora è tiepidezza.
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Aridità dunque non è tiepidezza; è una prova di Dio e se l'offrirete per amore, il Signore un giorno vi consolerà. Quando si è in aridità o in consolazioni, qual è la condotta da tenere? La consolazione è una certa abbondanza di | [82] attrattiva che il Signore esercita sull'anima. Non è essa la virtù né la pietà, ma è solo un mezzo con cui Dio ci chiama a sé e noi dobbiamo essere sensibili a Dio, sia che chiami con una dolcezza come con una sgridata.
Dio è un Padre che tutto mette in moto per chiamarci a sé: cielo e terra, interno ed esterno, dolore e gioia, consolazione e aridità. Oh, sentissimo la voce di Dio che ci chiama continuamente in mille modi, che ci si manifesta attraverso le voci dei monti e dei mari, della natura e dell'universo intero. «La mia voce si è fatta rauca, le mie labbra si sono disseccate... e tu quando rispondi alla mia chiamata?»3.
Dunque le consolazioni per sé non sono merito, né indicano fervore: sono un dono di Dio di cui noi dobbiamo servirci per scuoterci. E le aridità? Dobbiamo prenderle come occasione di un amore più puro. È una circostanza per accrescere i nostri meriti. Ma non appoggiamoci sulla consolazione né turbiamoci quando essa viene a mancare. Non andiamo a sbalzi. Non cerchiamo di soddisfare il nostro cuore che è folle, ma il cuore di Gesù che è amantissimo delle nostre anime.
Il Signore ci ha aperto tante scuole di amore dalle quali dobbiamo imparare ad amare. Sono specialmente tre.
La prima è la creazione. Che cosa non ha fatto Dio per noi, creandoci? Egli ci ha amati dall'eternità. Il pane che mangiamo, le vesti di cui ci rivestiamo, la natura tutta, egli ha preparato | [83] per nostro amore. Noi ci commuoviamo per una delicatezza che qualche persona ci usa. E Dio che ci ha preparato tutto? I monti, il mare, l'acqua, i pesci, l'aria, il cibo, le vesti, il sole, le piante, i fiori, la salute: tutto. Se Dio ci riprendesse quello che ci ha dato, noi cadremmo nel nulla. Oh, gran Dio di bontà! Se siamo riconoscenti a uno che ci dona un bicchiere d'acqua, una caramella, quali sentimenti dovremmo nutrire in cuore per Iddio che ci ha donato tutto? S. Francesco d'Assisi4 si serviva ad ogni istante di questa scuola per lodare il Creatore.
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La seconda scuola d'amore è la redenzione. Come possiamo resistere alla vista di quel piccolo Bambinello giacente nel presepio, senza lasciarci prendere da un grande amore per lui? E pensare che egli, così piccino, ci conosce, ci ama, ci porta nel cuore. Appena nato egli già pensa alla croce, ai dolori che soffrirà per noi ed affretta col desiderio l'ora delle sue sofferenze supreme. Quanto è amabile il fanciullo di Nazaret, il giovinetto Gesù che predica in mezzo ai dottori, quel Gesù che predica alle turbe! E Gesù nel Getsemani, Gesù flagellato, incoronato di spine, Gesù che porta la croce, Gesù che muore crocifisso sul Calvario, come non ci commuove?
Per amore, Gesù ci ha lasciato i sacramenti, la Chiesa, la SS. Vergine, il sacerdozio e ha lasciato ancora se stesso in cibo, come sacrificio e come presenza reale, e si darà come premio | [84] nell'eternità: «Se nascens dedit socium; convescens in edulium; se moriens in pretium!»5. Gesù sarà il nostro premio nel cielo: quanto saremo felici di contemplarlo nella gloria: «Sarò saziato quando ti mirerò nella tua gloria, o Signore!»6.
La terza scuola d'amore è l 'effusione dello Spirito Santo. È la terza Persona della SS. Trinità che viene nell'uomo e l'uomo acquista una seconda vita: vita soprannaturale, vita di grazia, anima dell'anima. Cosicché noi stiamo sulla terra, ma partecipiamo già della vita divina. Siamo soci degli angeli per la grazia e possediamo una vita superiore alla stessa natura angelica (natura angelica in sé, facendo astrazione da ciò che anche la natura angelica è stata elevata all'ordine soprannaturale).
Questa grazia che ci fa santi, giusti avanti a Dio, che ci fa suoi figli adottivi. Oh, se potessimo contemplare un'anima in grazia! Quale meravigliosa bellezza! S. Leonida baciava il petto al figlio Origene, preso d'ammirazione al pensiero che in quel petto abitava lo Spirito Santo!
Che cosa dire poi di un'anima religiosa? Ma la vocazione è un dono dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo che vi ha dato la forza nel noviziato, che vi dà la forza ogni giorno. È un'effusione, è una ricchezza, è un giardino tutto pieno di fiori e frutti. Oh,
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se vedessimo la bellezza di un'anima in grazia! Ed è proprio quella che abbiamo in petto noi! E questo non ci dice niente, non ci guadagna il cuore, non ci fa ardere | [85] d'amore? Com'è possibile pensare allo Spirito Santo e non amare, e non essere portati a questo amore? Siamo sforzati ad amare. Sia che ci guardiamo attorno, sia che guardiamo ciò che v'è in noi, sia che guardiamo il passato, il presente o il futuro, dappertutto troviamo la manifestazione della divina bontà e misericordia.
Se non amiamo o è perché siamo sordi, o non capiamo e non comprendiamo l'amore. Da che cosa si alimenta il fuoco dell'amore? Per le anime sensibili, il primo alimento è il dolore. È la fucina dei cuori amanti. I santi sono passati attraverso tante contrarietà, e sono pervenuti ad un grande amore. Le anime amanti più soffrono e più amano: provano a Dio il loro amore col dolore.
Mai ci appare più manifesto l'amore di Gesù verso il Padre e verso gli uomini che quando accetta la croce, che quando, reclinato il capo, esala lo spirito, che quando si distende sulla croce e si fa inchiodare. Lui stesso allarga le braccia. Ed ecco Gesù che per amore pende dalla croce con le braccia distese.
Quando abbiamo dei dolori, delle pene, cose che in qualche modo ci fanno soffrire, serviamocene per amare: Signore, per te, per desiderare d'essere con te, di vivere per te! Il Signore, per le anime docili, dispone infinite cose che servano a eccitarle a maggior amore: Se prima del peccato dovevo amare, dopo il peccato (di cui mi sono pentita e umiliata), ho un motivo di più per amare. E quanti peccatori | [86] hanno trovato proprio nei peccati, esca al loro amore! «Omnia cooperantur in bonum»7, dice S. Paolo. E il commento aggiunge: «Etiam peccata!».
Vi è poi una certa fornace in cui brucia e divampa anche il legno verde e, se magari spruzzate i carboni con acqua, essa divampa ancora più. La fornace di questo fuoco divino è il cuore eucaristico di Gesù. E come è possibile che un'anima frequenti la Comunione, senta bene la Messa, faccia con fervore la Visita e non sia riscaldata da questo fuoco divino? E v'è forse da stupire se le anime eucaristiche si sentono accese di questo amore? In questa fornace bisogna gettarvi tutte le imperfezioni, tutte le freddezze, tutto il nostro cuore affinché bruci, divampi di amore.
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Altro motivo che deve accrescere in noi l'amor di Dio è il nostro fine. E che cos'è questo camminare verso il termine se non per giungere all'unione vera, reale, beatificante? Verso quell'unione che si avrà in cielo, dove saremo inabissati in Dio come il carbone nel fuoco. Verso il cielo, dove l'amore si godrà allo scoperto, dove saremo immersi in Dio, nostra felicità eterna!
Ogni passo, ogni aspirazione al cielo, ogni desiderio del cielo è amore. Perché tendere alla mercede è tendere a Dio, perché la mercede è Dio stesso: «Ego ero merces tua magna nimis»8. Non ha voluto solo renderci felici col canto e la visione degli angeli, con la conversazione dei santi e della SS. Vergine, ma ha voluto essere | [87] lui stesso il nostro godimento, lui stesso la luce: «In lumine tuo videbimus lumen»9.
Quaggiù dunque, tutto è una scuola di amore. Oh, noi non potremo raggiungere certi gradi, certe altezze, come quelle della nostra madre Maria, ma possiamo sempre alimentare la fiamma dell'amore, alla fornace ardente del cuore di Gesù: «Alere flammam!»: nutriamo la fiamma dell'amore. Noi non potremo raggiungere certi gradi, certe altezze, ma noi intendiamo di amare Dio anche col cuore di Maria, col cuore di Gesù. Questa fiamma si alimenta ancora sostituendo ai nostri interessi, gli interessi di Gesù; ai nostri desideri, i desideri di Gesù, la gloria del Padre, l'esaltazione della Chiesa, la conversione dei peccatori, la santificazione dei religiosi, la conservazione dell'innocenza. Facendo così, a poco a poco i nostri sentimenti saranno trasformati e l'amore diviene una passione che tutto assorbe, tutto trasforma, di tutto si nutre, tutto semplifica. Se noi riusciremo a fare dell'amor di Dio una passione, allora questa passione assorbirà tutte le potenze della nostra anima e metterà tutto il nostro essere a suo servizio. Ecco S. Francesco Saverio sugli scogli dell'India languire di amore.
Una passione quando diventa forte assorbe tutte le altre potenze, così l'amore, di tutto si impossessa e di tutto si nutre per divampare di più. Ecco il frutto di questi Esercizi: l'amore! Amiamo sempre, amiamo tutti, amiamo come il cuore di Gesù! Amiamo per prepararci a morire d'amore, come Gesù, la cui vita e passione è frutto e testimonianza di amore.
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Grande umiltà, dunque, e grande confidenza: due disposizioni necessarie per far bene questi Esercizi.
Una santa semplicità: mettersi davanti a Dio come bambini. È necessario rifarsi l'anima di bambini, di fanciulli semplici. Se diventerete bambine, avrete diritto alle predilezioni di Gesù. E che fece Gesù con quel bambino? Lo prese, lo | [7] abbracciò: «Amplectens eum» e lo mostrò agli Apostoli come modello: «Se non vi farete piccoli come questo bambino, non entrerete nel regno dei Cieli»2. E non voleva mica dirci di esser piccoli come quel bambino, nell'età, nella statura e nel giudizio! Piccoli nella malizia: «Parvuli malitia!»3. Se vi farete bambine, il Signore vi solleverà, vi abbraccerà, vi porterà nel suo cuore e vi comunicherà la sua grazia.
Prima disposizione, dunque è la semplicità, l'umiltà: rifarsi bambini. Riconoscere le proprie mancanze: Ho perso tanto tempo, sono carica di difetti; eppure sono stata così superba, così altera nei miei concetti, nel mio cuore. Ho amato molto me stessa e non Gesù. Ho cercato altre cose che non erano Dio!
Rifarsi l'anima di bambini, ma di bambini che vanno a Gesù. E quindi, seconda disposizione: confidenza.
Gesù vi ha chiamate a sé per parlarvi, per ascoltarvi, per comunicarvi le sue grazie.
Il fine di questi Esercizi è triplice:
1) Conoscere lo stato vostro attuale, nello spirito.
2) Camminare liberamente, di più, verso il Signore con una certa libertà di spirito e con amore grande.
3) L'esercizio del vostro apostolato, il modo di compierlo, per migliorarlo, in modo da renderlo conforme ai desideri di Gesù, della Chiesa e ai fini del nostro Istituto.
[8] Bisogna vedere se siete anime ancora in stato di lotta col peccato o se siete incipienti o proficienti o se avete già raggiunto una certa perfezione, in maniera che possiate andare più avanti.
Lo stato più infelice di un'anima è certo quello di peccato, quello dell'indurimento di cuore per causa di falsa ignoranza o per malizia. E non è difficile che anche tra le suore si trovi questo stato.
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Anche tra le suore può esservi chi ostinatamente non vuole ammettere che certi peccati sono gravi. I casi non sono rari. Specialmente contro il sesto comandamento talvolta ci sono cose che non si vogliono confessare e si fanno dei tentativi per conciliare ciò che è inconciliabile; sovente si vuole accordare la soddisfazione del peccato con la vita religiosa. Così il trascurare abitualmente la vita religiosa: introdurre degli abusi, fosse anche solo la trasgressione abituale del silenzio, è peccato grave e fa peccato grave il superiore che non interviene a togliere l'abuso.
Quando un'anima fa la sorda, non vuol sentire, non vuol togliere gli abusi e trova mille ragioni per dispensarsi da tante osservanze, costei è abitualmente in stato di peccato grave. Si può dire: È in buona fede!. Ma è una buona fede molto stirata. Almeno negli Esercizi bisogna togliere questa buona fede che è poi una cattiva fede!
E quella persona non vuol mai accettare nessun ufficio, non vuole spendere tutte le sue | [9] energie per il Signore, per la Congregazione: ma questo è peccato grave! Voi capite subito che rubare una macchina alla Congregazione è peccato mortale. Ebbene, il sottrarre le energie dell'anima e del corpo, vuol dire rubare alla Congregazione, al Signore: e questo è peccato grave.
Certe relazioni... certi malcontenti prolungati, abituali, sono peccato grave. Eppure difficilmente si crede a queste cose.
Il secondo grado di questo stato è quello in cui si ha una certa vernice di vita religiosa; quando si stima ancora il peccato come una cosa leggera per cui non si fuggono le occasioni. Si scrive a chi si vuole, si parla con chi si vuole e si prolungano le conversazioni: ci si mette in tutte le occasioni. Ma il solo mettersi volontariamente nell'occasione di cadere è già peccato! C'è l'abitudine di confessarsi senza dolore. E la preghiera c'è, ma è una preghiera solo meccanica, materiale. E riflessioni serie l'anima ne fa ben poche!
Il terzo grado di questo primo stato è quello di chi ha una vita religiosa mediocre. Si fanno confessioni senza dolore. Non sempre si fuggono le occasioni pericolose. Non si fa nessun conto degli avvisi. Quanto a peccati veniali se ne commettono sempre: qui è una parola, là è una disubbidienza; da una parte è una bugia, dall'altra una mancanza al silenzio, una mormorazione, un inganno. E facilmente si pensa che il peccato veniale sia una cosa da niente. In | [10] sostanza: se hanno qualche cosa, si vogliono
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sfogare in un modo o in un altro. E vanno aggiustandosi portando mille ragioni che non sono ragioni: sono solo cose che tendono a rassicurare la coscienza.
In questo stato ci sono talvolta delle preghiere ben fatte, ma sono velleità che durano poco; non c'è la vera lotta contro i difetti: manca il vero sforzo!
Il secondo stato è lo stato degli incipienti, che si possono trovare in uno di questi due gradi: o di pietà intermittente o di pietà elevata.
Nel primo grado il peccato mortale si combatte realmente e se ne fuggono le occasioni. Il pentimento è vivo, ma si commettono ancora sovente delle venialità deliberate. Si fa l'esame di coscienza irregolare e vago: un giorno si nota, un altro, no. Dopo gli Esercizi o i Ritiri si ha molto fervore, si fanno grandi propositi, ma poi in breve tempo, tutto si perde. Tuttavia v'è una certa decisione di lavorare, di essere fedeli alla meditazione, ma la preghiera non è umile e quindi non ottiene dal Signore.
Nel secondo grado si ha una pietà elevata, ma che tuttavia non è ancora stabile. L'anima però che ha così incominciato, non deve disperare. Cerchi di diventare regolare, fedele nel poco, nelle direttive avute, così facilmente passerà allo stato dei progredienti.
In questo stato il peccato mortale è escluso e il peccato veniale raramente si commette a occhi aperti.
[11] L'esame di coscienza si ferma qui: a togliere tutto il male, i peccati. Le imperfezioni si combattono già, ma si scusano pure facilmente. Le mortificazioni e gli atti di virtù ci sono già, ma non abbastanza frequenti: c'è lo sforzo. Manca però l'uguaglianza di carattere nelle prove e nelle consolazioni.
Vi è poi un altro grado nello stato di proficienti, ed è quello di chi cerca di ridurre al minimo, sia nel numero e sia nell'entità, le imperfezioni. Queste persone fanno molto bene l'esame particolare; rinunziano facilmente a molte soddisfazioni. Hanno un'orazione affettiva e si avvicinano a una preghiera di semplicità. Tuttavia si nota ancora la differenza tra il giorno in cui si confessano o fanno il Ritiro e molti giorni dopo. Hanno ancora bisogno di essere scosse perché non hanno raggiunta abbastanza stabilità.
Vengono poi le anime perfette che appartengono al quarto stato (o meglio al terzo stato, se si considera il primo come distinto).
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I perfetti prevengono le imperfezioni con molta energia e con molto amore. La vita di preghiera si va sempre accentuando: vivono in uno stato di continua unione; il loro pensiero vola a Dio, al Paradiso.
Le rinunzie che fanno, le fanno non per fini secondari, ma per amore di Dio. Il loro lavoro spirituale è guidato da spirito soprannaturale. Incominciano ad entrare nello stato di indifferenza | [12] quanto alle cose del mondo. Si può andare più avanti. Le imperfezioni sono commesse solo per primo impulso: l'abituale raccoglimento ne fa evitare tante. Entrano nell'orazione di semplicità e non trovano più difficoltà a unirsi con Dio, fino a venire a una specie di trasformazione in Cristo. Basta loro di guardare il tabernacolo che già si sentono trasportate verso il Signore e talmente a lui unite, che si può veramente dire di loro: «Conversatio vestra in coelis est»4.
Questo, però, non è ancora lo stato di perfezione assoluta: si possono fare tanti altri passi.
Secondo fine degli Esercizi è di prendere risolutamente la decisione di andare avanti.
Tenere presenti i quattro stati che abbiamo considerato; vedere in quale di essi ci troviamo e poi risolverci di camminare avanti.
Vi pare che il Signore vi abbia dato gli anni per star ferme? Per rimanere allo stesso punto di quando usciste dal noviziato? Vi pare proprio di aver dello zelo quando cercate di far amare più voi stesse che Dio? Vi pare che una superiora più gelosa che le usino riguardi e le portino rispetto che non di evitare e far evitare il peccato, sia a posto? Vi pare che diventare più anziane voglia solo dire, avere più diritto al rispetto? E quando ci crediamo già santi, non ci facciamo forse delle illusioni? Camminate. Non pestate il terreno. A segnare il passo ci si stanca, si fa rumore senza far della strada. Eppure | [13] moltissime di voi stanno ferme. Gli anni passano!
Vi sono suore che sono esigentissime con le altre, ma con se stesse sono larghissime. E che cosa vuol dire questo? Che ci facciamo un grave torto. E se le altre molte volte non fanno bene, è perché noi non diamo buon esempio, non preghiamo, trasgrediamo
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troppo facilmente le Regole. Non vogliamo, almeno negli Esercizi, dire: Sono io che ho torto?
Quando il profeta Natan si presentò a Davide per rimproverarlo del suo grave peccato, gli raccontò una parabola: «In una città v'erano due uomini, uno ricco e l'altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran quantità. Il povero non aveva altro che una piccola pecora... che era per lui come una figlia. Ora il ricco, essendo andato da lui un pellegrino, per fargli un banchetto, non prese le sue pecore e i suoi buoi, ma andò a prendere la pecora del povero. Davide, a questo racconto, altamente sdegnato contro il ricco, disse a Natan: È degno di morte chi ha fatto questo!. E Natan gli rispose: Quell'uomo sei tu!. Davide allora, riconobbe il suo peccato ed esclamò pentito: Ho peccato contro il Signore!»5.
Fuori degli Esercizi diamo sempre ragione a noi, ma negli Esercizi c'è più grazia, più lume e dobbiamo vedere se non siamo proprio noi la causa del male che fanno le altre: Sei tu costui, non prendertela con altri!
[14] In quanto al terzo fine: l'apostolato, ecco quanto mi sento in dovere di dirvi.
Vi sono troppe figlie che non sono conosciute dalle Maestre: ciò dipende in parte da voi che non siete abbastanza abili e parte da loro. Ve ne sono un certo numero che non sono contente e non lo sono perché non erano preparate ai voti. Ora, vedete: quando siete entrate in Congregazione, vi hanno promesso il cento per uno6 e vi siete entrate per soddisfare i vostri desideri di perfezione. E perché tante non hanno la pace? Questo può dipendere dalla superiora o dalle suore stesse. E sappiamo noi conoscere i cuori? Sappiamo incoraggiare, dare un avviso a tempo, un'istruzione opportuna?
Sappiamo adattarci alle altre, oppure vogliamo che le altre si adattino sempre a noi? Vi sono delle Maestre che non fanno le maestre, perché non danno buon esempio e non meritano la fiducia perché non sanno tenere un segreto e dispongono delle figlie secondo i loro capricci ed esigono la manifestazione della coscienza. Talune poi sono dei veri serpi per far cadere, non solo tra le sorelle, ma anche tra persone di altro sesso.
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Riguardo all'educazione delle giovani, poi, sappiate anzitutto, che l'Istituto non è un collegio e si tengono solo quelle che danno segni di vocazione.
Inoltre bisogna ricordare che siete donne e quindi dipendenti per l'apostolato, e quindi la | [15] direzione spirituale non viene da voi, ma solo quella morale. Siete donne e donne in pericolo, non solo di ricevere, ma anche di dare cattivo esempio7.
Ciò che trovo più difficile a farvi capire è il saper conciliare l'osservanza delle Regole con la libertà di spirito.
Bisogna osservare tutte le Regole, ma nello stesso tempo avere una certa libertà di spirito. Parecchie hanno già fatto molto nell'osservanza, ma non possono andare avanti perché manca quella libertà necessaria.
È poi necessario assolutamente che si stabilisca la carità tra i vari apostolati. Non possono stare due case vicine senza mancare alla carità. Ma questo è grave! Questo è grave! Bisogna che vi vogliate più bene e che tutte, ma tutte vogliate bene alla vostra Superiora generale. Bisogna che siate più unite alla Prima Maestra: questo è essenziale. Siate unite. In questo troverete la pace, la grazia e l'apostolato si triplicherà e diventerà più fruttuoso.
Quante esagerazioni parlando di un gruppo e di un altro!8... Quanto disgusto arreca questo! Ma possibile che quando si getta l'immondizia, tutte corrano a vedere? L'immondizia si porta via, si va a seppellire! Siate unite! Siate unite. Ma neppure tra i laici ci sono certe cose! «Nec inter laicos!». Qui sopra siate rigorose: certe parole, certe mormorazioni, certi sospetti non sono mica solo peccati veniali!...
[16] Unità e carità vicendevole e tutte obbedienti alla Prima Maestra. Non che si debbano dire tutte le minuzie, ma c'è ben altro!... Osservate le circolari che vi sono state mandate circa le vostre relazioni con la Pia Società S. Paolo9. Le due Società devono essere più unite ma tra i superiori massimi. Separate in ciò
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che si deve essere separate, ma d'altra parte, volersi bene, ma volersi bene, tanto, intimamente, sempre.
Un'offesa fatta a un gruppo, è fatta a tutta la Congregazione.
Concludendo: la grazia per fare un serio e buon passo, il Signore ve l'ha preparata e ve la darà. Ma bisogna rifarsi l'anima di fanciulli e andare a Dio con confidenza.
Ora un avviso finale. Quando si dicono le cose un po' forti, avviene sempre questo: su cento che ascoltano, che ne hanno più bisogno non ne fanno nessun conto e pochissime che non ne hanno bisogno, si affannano forse fino all'esagerazione.
I segnali di aver compreso bene sono questi: mettere tutta la nostra anima in Dio e dire: Io non ho fatto nulla; d'or innanzi voglio riparare: «Nunc coepi»10. Senza scoraggiamenti. Il Signore può dare in un momento la grazia e la virtù che forse non s'è acquistata anche in un tempo relativamente lungo.
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1 Nell'edizione originale questa istruzione era riportata anche in Esercizi spirituali, ottobre 1941, pp. 168-175 (cf Presentazione, Esercizi di settembre 1941, p. 195).

2 «Subito, volentieri e con gusto».

3 Cf Sal 69,4.

4 Francesco di Assisi ( 1181 -1226). Dopo una giovinezza spensierata, visse in radicale e gioiosa povertà. Fondatore dei tre Ordini del movimento francescano.

5 Inno, Lodi: Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo: «Nascendo si fece nostro compagno di viaggio; istituendo l'Eucarestia diventa nostro cibo; morendo sulla croce pagò il prezzo del nostro riscatto». L'inno è di S. Tommaso.

6 Cf Sal 17,15.

7 Rm 8,28: «Tutto concorre al bene...».

8 Cf Gen 15,1: «[Io sono il tuo protettore e] la tua ricompensa sarà molto grande».

9 Sal 36,10: «Alla tua luce vedremo la luce».

2 Cf Mt 18,3.

3 1Cor 14,20: «Siate come bambini quanto a malizia».

4 Cf Fil 3,20: «La vostra patria è nei cieli».

5 Cf 2Sam 12,1-14.

6 Cf Mt 19,29.

7 Visione della donna, propria dell'inizio secolo che don Alberione ha fatto sua, che il Concilio Vaticano II ha ampiamente superato.

8 Allusione alle tre sezioni di apostolato: dottrinale (FSP), liturgico (PDDM), pastorale (SGBP).

9 Nella festa della SS. Trinità 1941 don Alberione invia alla SSP una circolare, suggerita dal Visitatore apostolico (cf CISP, p. 115).

10 Sal 76,11: «Ora incomincio» (Volgata).