Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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12-IL RACCOGLIMENTO1*
Facendo queste belle adorazioni di notte, il Signore prepara le grazie per la giornata a tutte e, certamente, egli veglia sopra la comunità.
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Ora, una considerazione duplice: prima, sopra la necessità del raccoglimento e, la seconda, sopra la verginità di mente, di cuore e di volontà.
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In primo luogo, sopra l'abituale raccoglimento. Sarebbe precisamente quello che dice san Paolo: «Attende tibi et lectioni... hoc enim faciens teipsum salvum facies et eos qui te audiunt»1. Bada a te stesso e bada a istruirti, a meditare; facendo così, salvi te stesso e salvi anche gli altri. Così scrive san Paolo al suo discepolo diletto, san Timoteo.
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Che cosa significa questo «attende tibi» di san Paolo? Significa presso a poco quello che dicevano già i pagani dietro il semplice uso di ragione: «Age quod agis»1. Bada a quel che fai. Che cosa significa? Significa che dobbiamo attendere a noi stessi e fare bene quello che abbiamo da fare. Significa che abbiamo da curare, in primo luogo, quello che c'è nelle Costituzioni, primo articolo: cercar la gloria di Dio e la perfezione, la santificazione, mediante la pratica dei santi voti e la vita comune. Significa che abbiamo da compiere, quindi, un lavoro interiore. Questo è il primo e principale compito: lavoro interiore. Significa, poi, che abbiamo da attendere a quello che è il nostro apostolato con impegno, con volontà risoluta di farlo riuscire bene. Significa che abbiamo da compiere quell'ufficio determinato, la volontà di Dio sopra di noi, in particolare. Significa che abbiamo da escludere quei pensieri, quelle preoccupazioni, quelle notizie che non ci aiutano a compiere il nostro dovere e cioè, non ci aiutano alla santificazione, all'apostolato, all'adempimento del nostro ufficio e alla pratica intiera della vita religiosa. «Attende tibi». Ciò che riguarda gli altri, soltanto abbiamo da curarlo in quanto sia compreso nel nostro dovere, nel nostro ufficio. Non abbiamo da preoccuparci come camminano gli altri se non è questo il nostro ufficio; non abbiam da pensare a giudicarli, né a interpretare le loro azioni. Abbiamo da compiere quello che il Signore vuole da noi.
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In primo luogo, il lavoro spirituale interiore, ho detto, che significa: conoscer noi stessi. Molte volte si conoscono notizie, si sanno gli affari degli altri, si guarda che cosa avviene a destra e a sinistra; si giudicano superiori e inferiori e non conosciamo noi stessi, non leggiamo il libro della nostra coscienza. Ecco, questo è un grande torto a noi medesimi, poiché ognuno avrà da render conto per se stesso, davanti a Dio. San Paolo diceva: «A me poco importa di esser giudicato da voi. Aut ab humano die... qui judicat me Dominus est1. Io mi preoccupo del giudizio di Dio, il giudizio che il Signore farà di me».
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Oh, «attende tibi». Gli esami di coscienza profondi. Conosci te stesso. «Nosce teipsum»1. Anche presso i pagani era come l'apice della sapienza. Conoscere noi stessi. Profondi esami, si capisce, particolarmente negli Esercizi e ogni giorno nella Visita al Santissimo Sacramento, e nel mese, al ritiro, durante i tempi di maggior riflessione. Conosci te stesso; le tue tendenze buone, le tue tendenze non buone; i talenti che hai e quelli che non hai; le grazie che hai ricevute e quelle che hai corrisposto o non corrisposto. Conosci te stesso. Quante volte bisogna che ci mettiamo innanzi al tabernacolo e diciamo: «Signore, se in questo momento cadessero i veli eucaristici che ti coprono e io mi trovassi davanti a te, giudice, che posto, che giudizio faresti di me?». Sempre domandare al Signore: conoscere come egli ci conosce. Ecco; non arriveremo mai precisamente, del tutto, ma è una cosa a cui tendiamo, è un punto a cui miriamo; come non riusciremo mai a esser perfetti come il Padre celeste, che è nei cieli2, ma è un'esortazione di Gesù ed è uno sforzo che dobbiamo sempre fare. Tendere, cioè, ad essere perfetti come il Padre celeste e tendere a conoscer, quindi, noi stessi. «Nosce teipsum»3.
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Vi sono persone che ignorano completamente quello che tutti gli altri conoscono di loro: le loro buone virtù e i loro difetti. E perché non conosciamo abbastanza noi stessi? Perché non si fanno gli esami di coscienza abbastanza profondi, oppure si fanno leggermente soltanto; allora, in certi momenti si vede tutto il fondo dell'anima, soltanto in certi momenti, ma questa cognizione non diviene abituale; e vi sono persone che conoscono bene se stesse. Si comprende, allora, come i santi davanti agli altri e più entro se stessi, si riputassero i maggiori peccatori, perché, sebbene non commettessero certi peccati, tuttavia pensavano alla molteplicità, alla quantità di grazie ricevute e quindi all'obbligo della corrispondenza e trovavano sempre che la corrispondenza non era veramente come dovevano fare, alla quantità di grazie.
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Ecco; conoscer noi stessi. Conoscere ed essere umili; viene da sé l'umiltà. Non li abbiamo certi talenti. Se in noi vi è qualche buona virtù, sempre sta daccanto qualche grosso difetto, perché il Signore fa sempre la contromisura, il contropeso, affinché possiamo sempre tenerci nell'umiltà. E soltanto mettere gli occhi sopra quello che abbiamo di buono e non considerare ciò che ci manca o ciò che vi è di difettoso, è insufficiente, e incompleto. Essere persone quadrate vuol dire essere persone che conoscono se stesse, né si esaltano per il bene che hanno, né si disperano per il bene che non hanno e né si credono più di quel che sono, né dimenticano i loro difetti. Persone ben postate nello spirito.
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Attendi a te stessa. Cioè: l'impegno a emendare; l'impegno a conquistare le virtù; l'impegno a entrare in una preghiera sempre più elevata; l'impegno a conseguire l'unione abituale con Dio; l'impegno di entrare nell'intimità con l'Ostia santa; l'impegno a progredire un tantino ogni giorno in maniera che alla settimana, quando è finita, si possa dire: sette passetti ho fatto; e alla fin del mese: trenta piccoli passi; e alla fin dell'anno: 365 passi. Per quanto piccoli, essendo 365, si accorge la persona che è migliorata, che piace di più a Dio, che ha più spirito di sacrificio, ha una profondità maggiore di fede, ha uno spirito soprannaturale più intenso, più elevato; ha una carità verso Dio e verso il prossimo maggiore; ecco. Attendi a te stesso.
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Escludiamo, allora, quello che impedisce, perché adesso è stato stampato il libretto: «La santificazione della mente»1 e che dice: «togli dalla mente quello che non interessa, perché se la mente pensa ad altre cose o ad altre persone, non può pensare ai bisogni tuoi, non può pensare a Dio, non può pensare a quelle verità di fede che ci elevano, non può aver quei pensieri di cielo che ci devono dirigere nella nostra santità». «Attende tibi». Il lavoro spirituale.
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E vedete che, quelle persone, negli Esercizi, si son conosciute, hanno messo il dito sulla piaga, hanno conosciuto le grazie che hanno e quindi, come possono corrispondere; hanno sentito l'invito a maggiore santità ed ecco han fatto i loro propositi, se lo sono fatto come un programma di vita e, un giorno li rinnovano, l'altro giorno li rinnovano, poi si esaminano nella Visita e negli altri momenti della giornata assegnati per l'esame e poi, alla fin della settimana vi fanno la confessione, in primo luogo, lì sopra e dichiarano: ho progredito; sono andata indietro. Come una scolara che, o ha studiato un nuovo capitolo, supponiamo, del suo libro, o non l'ha studiato. E alla fin del mese di nuovo ritornan sui medesimi propositi e li leggono e li rileggono nella Visita; e alla fin dell'anno, ecco, portano il proposito per tutto l'anno, sempre insistendo lì, come se avessero da fare, supponiamo, un bellissimo piviale, un punto per volta, un punto per volta, ma vanno alla fine, finché è bello, fatto. E stanno facendo di sè il più bel ritratto di Gesù Cristo. Sì, perché al giorno del giudizio, come dice san Paolo, siano trovati simili a Gesù1. Copiano Gesù. Che bel lavoro, allora! Attendi a te stesso. Questo, riguardo al primo punto: il lavoro interiore.
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Poi vi sono gli altri punti che ho accennato: tendere alla santità mettendo in modo speciale lo sguardo sopra quello che [è] indicato nel primo articolo delle Costituzioni. Vedi come osservi la povertà; vedi come osservi la delicatezza, la bella virtù; vedi come pratichi l'obbedienza; vedi come osservi la vita comune, come hai comuni i pensieri, come ti accordi con i pensieri della Congregazione, come hai comune l'orario, le abitudini, come pratichi la carità che è l'esercizio della vita comune; ecco. Perché, tutte le altre cose riguardano la santificazione del semplice fedele, ma nelle Costituzioni è detto che la santità religiosa si raggiunge con quei determinati mezzi, non son mica lasciati liberi. Il Diritto Canonico è chiaro: la santità religiosa si raggiunge in quelle maniere: con la povertà osservata; con la delicatezza di coscienza, voglio dire con la purezza osservata, con l'obbedienza osservata, con la vita comune in carità e pace. E, questo, l'«attende tibi».
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Poi viene, in secondo luogo, l'apostolato, secondo articolo delle Costituzioni. Questo lavoro che riguarda noi stessi e questo lavoro che riguarda l'apostolato, sono i mezzi segnati, fissati per la santità religiosa e, se si va fuori di lì, si facessero anche - diciamo - prodigi di opere, ecc. al fine è chiesto conto dal Signore: hai fatto ciò che dovevi? ciò che era la mia volontà? quella volontà che ti fu manifestata e quella che hai accettata liberamente e professata solennemente ai piedi dell'altare, nella professione? Si scappa spesso da questo che è il cammino vero della religiosa: santificazione coi tre voti nella vita comune, l'esercizio proprio dell'apostolato. Fare eccezioni, ricorrere ad altro, pensar diversamente dalla Congregazione, sentirsi fuori realmente con l'animo mentre si è dentro col corpo, vedete che non santifica. Ora, bisogna santificarsi. «Ad quid venisti?»; «Attende tibi». «Ad quid venisti?». Per che cosa sei venuta? L'intenzione è stata retta, quando sei entrata? Cioè, unicamente per santificarti? e per attendere a quei determinati apostolati che sono segnati? Hai abbracciato con tutto il cuore i due primi articoli delle Costituzioni? (Ripeto qui le prediche stesse che ho fatto in questi Esercizi alle Figlie di San Paolo. Potreste anche non copiarle perché son le stesse. Tutto quel che ho detto, lo ripeto qui e lo accompagno con la preghiera, celebro la Messa al mattino presto, appunto per dirvi le cose più utili). Camminare nella vostra via.
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E terzo, applicazione all'ufficio che viene assegnato, particolare. Perché una può esser messa a insegnare e l'altra può esser messa a dipingere e l'altra può esser messa a fare la pulizia e un'altra al bucato e un'altra alla portineria. L'ufficio che ci è dato, quello diviene di volontà di Dio. Compierlo nello spirito religioso, ecco. Quello che noi facciamo per compiere questo ufficio, diviene tutto meritorio, ancorché da principio ci costi fatica e non riusciamo subito, ma col desiderio, con lo sforzo di riuscirci. Compiere quella volontà di Dio minuta, momento per momento. Tanto raccolte sono quelle persone, perché quando hanno un ufficio, un lavoro da fare, ci mettono la testa, non pensano mica ad altro. «Attende tibi». Ci mettono il cuore. Non desiderano mica d'altro. «Attende tibi». E ci mettono le forze. Non hanno mica forze da impiegar per altro, non vogliono mica far due cose. «Attende tibi». Allora c'è il raccoglimento. Allora mettendo l'attenzione e amando quello che è dato da fare e sforzandosi perché riesca sempre meglio, ecco la santificazione delle azioni della giornata.
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San Giuseppe non ha fatto cose sublimi. Penso che facesse delle carrette, dei tavoli un po' rozzi, delle sedie, (va a sapere come erano fatte...) ma nella silenziosità, nel suo amor di Dio, col suo sguardo al cielo, sempre studiando cosa voleva il Signore da lui. Che semplicità! E che santità! il primo dei santi in cielo, dopo la Vergine. «Attende tibi». Può essere che abbia da fare un ufficio molto alto e può essere che abbia da fare un ufficio molto basso, ma quello non importa proprio niente. Che vada in paradiso, come san Giuseppe, con la sega e col martello, o che vada con la tiara, ma sì: intanto san Giuseppe ha sorpassato tutti i Papi e tutti gli Apostoli e tutti i martiri. Perché è l'impegno, è l'amor di Dio che si mette nelle cose, è il volerle fare solamente per lui in semplicità e, nello stesso tempo, impiegando quel tanto di forze che ci sono. E può essere che uno abbia due talenti: impiega i due talenti. E un'altra ne abbia cinque: è obbligata a impiegarne cinque e non adempie il volere di Dio se ne impiega sol quattro. «Attende tibi», «Attende tibi».
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Perciò escludere ciò che distrae, ciò che fa pensare ad altro: «chi sa perché questo, chi sa perché quello; chi sa quella là, chi sa questa qui» son tutte distrazioni rovinose. «Attende tibi». Cosa t'importerebbe se quelle sorelle a tavola prendessero più pane, un bicchiere di vino in più o un frutto meno buono o un altro più buono e tu stessi a guardare e non mangi. Alle volte non si mangia proprio nello spirito, non si progredisce, si sta a guardare. Sovente avviene nelle comunità, neh? Bisogna sempre predicarlo. Sovente avviene. Sono 10, 15 che giocano, che fan la partita e ce ne sono 50 che guardano. «Sic currite ut comprehendatis»1- dice san Paolo. Giocate. Che vuol dire: lavorate anche voi. Poiché san Paolo dice: «omnes qui in stadio currunt, sic currunt... sic currite ut comprehendatis»(1). Ognuna di noi, perché se stai a guardare, non cammini, non ti fai santa. Camminare, camminare noi, avanti! Come a tavola, nutrirsi. Oh, allora; ricordo che i nostri superiori erano più rigorosi qui sopra, ma molto più rigorosi sull'esigere che uno badasse a se stesso. Forse non siamo abbastanza, su questo punto, abbastanza espliciti. Voglia il Signore perdonarci. E in riparazione, quest'oggi, proponiamo così: baderò a me stesso.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (14-23 marzo 1956) al gruppo formazione Pie Discepole del Divin Maestro in preparazione alla vestizione, entrata in noviziato, emissione dei voti religiosi Roma, Via Portuense 739, 19 marzo 1956 *
* (1) Nastro 3/e (= cassetta 6/b). - Per la datazione, cfr. PM: «Ora, una considerazione duplice: prima, sopra la necessità del raccoglimento e, la seconda, sopra la verginità di mente, di cuore e di volontà» (cfr. PM in c173). - dAS, 19/3/1956: «Alle 5,30 va [il PM] a predicare dalle PD di via Portuense: due prediche».

1 1 Tm 4,16.

1 PLAUTO, Stichus, 5,4.

1 1 Cor 4,3-4.

1 Massima scritta nel tempio di Apollo a Delfi e attribuita ai Sette Savi.

2 Cfr. Mt 5,48.

3 Cfr. nota 1.

1 G. ALBERIONE, Santificazione della mente, EP, Roma 1956.

1 Cfr. Rm 8,29 e passim.

1 1 Cor 9,24.