Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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33-VITA EUCARISTICA
(Messa - comunione - adorazione)1* La parola «Pia Discepola» indica: «scolara» di Gesù: Gli apostoli e i seguaci di Gesù nel Vangelo sono per lo più indicati col nome di «discepoli». Allora è chiaro che avete da mettervi in questa scuola di Gesù e siccome Gesù è insieme colui che insegna con la parola e colui che insegna con la vita, l'esempio, e colui che dà forza per seguire i suoi insegnamenti, ecco: se Gesù è maestro completo: Via, Verità e Vita, allora la Pia Discepola dev'essere una «discepola» completa, cioè: capire gli insegnamenti di Gesù e ritenerli come Maria che conservava le parole udite e le meditava nel suo cuore2.
E d'altra parte, contemplare gli esempi che Gesù ci ha lasciati. Maria imparava a vivere ed era colei che più di tutto metteva in pratica gli insegnamenti che andava dando Gesù nella sua predicazione. Era stata la prima Pia Discepola. E nello stesso tempo ancora, confidare nell'aiuto di Gesù. Sapere che questo Maestro non solamente parla e non solamente insegna, ma è morto sulla croce per acquistarci la grazia onde noi possiamo vivere ciò che egli ha predicato e ciò che egli ha insegnato con gli esempi.
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Allora, per compiere l'apostolato eucaristico sono da farsi tre cose: la prima è l'adorazione; la seconda, la comunione; la terza, la Messa. Particolarmente poi, la vita eucaristica.
Adesso consideriamo la vita eucaristica nel suo senso più profondo. Conoscere Gesù eucaristico. Allora nell'adorazione il primo punto sarà la lettura del Vangelo per capire quello che Gesù ha detto e per conoscere gli esempi che Gesù ha lasciati. E poi dopo, leggere le Lettere di san Paolo e leggere gli Atti degli Apostoli, particolarmente la parte che si riferisce e che ricorda la vita di san Paolo. Come, cioè, questo discepolo ha interpretato il Maestro, lo ha interpretato bene e, diciamo, lo ha interpretato, per quanto è possibile, fino al fondo, questo Maestro Divino.
Conoscere sempre meglio Gesù: lo studio delle cose sacre e delle cose predicate, le letture spirituali fatte bene. Ecco, Gesù si lamentava con uno degli apostoli, il quale gli domandava che mostrasse a loro il Padre. E Gesù rispose: «Chi vede me, vede il Padre»1. E poi aveva soggiunto: «E' tanto tempo che sono con voi e non mi conoscete ancora?»: «Tanto tempore vobiscum sum et non cognovistis me?»2. «Io sono la Via, la Verità e la Vita»3. Queste parole comprendono tutta la teologia dogmatica, morale e ascetica e liturgica. E anche quando noi l'avessimo presa tutta, non arriveremo alla scienza dei Dottori. Eppure i Dottori non ebbero una scienza infinita, tutt'altro! i Dottori, i Padri della Chiesa.
Allora: conoscere bene Gesù. Occorre che il libro di testo, dopo quello delle Costituzioni, sia propriamente il Vangelo. Testo per le letture spirituali con i commenti debiti; testo, il libro degli Atti degli Apostoli e poi i libri, cioè le Lettere di san Paolo. Esse ci fanno conoscere il Maestro: Gesù Cristo. Non abbiamo altro di meglio nella Chiesa per conoscere il Vangelo che questo: la lettura di san Paolo. Certamente leggere il Vangelo e le lettere di san Paolo, la vita di san Paolo, gli Atti degli Apostoli, particolarmente la parte che si riferisce all'apostolato paolino, nella Visita. Ma poi farne anche nostra lettura fuori della Visita.
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Si dice che san Paolo è difficile. Lo diceva anche un po' san Pietro; parlando delle lettere di san Paolo, diceva che vi erano alcune cose difficili, nelle lettere di san Paolo1. Ma per la Pia Discepola non dovrebbe essere tanto difficile perché essa ha già considerato le parole del Maestro Divino e un poco lo ha compreso il suo Maestro, la Pia Discepola. E allora si trova daccanto e preceduta da san Paolo come discepolo più intelligente, più profondo, discepolo esemplare, ecco, e attraverso lui conoscerà meglio Gesù Cristo; sì, perché san Paolo, essendo il primo discepolo, quello che ha meglio inteso, capito e proposto alla conoscenza degli uomini il Maestro, ottiene anche grazie particolari per chi vuol conoscere Gesù.
D'altra parte, per quel poco di esperienza che io ho, ho veduto sempre che chi continua a leggere alquanto san Paolo, dopo ci si affeziona e non può più distaccarsi, quasi.
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Ecco, rimproveravano il Maestro Giaccardo che anche ai ragazzi che aveva a Roma, nei primissimi giorni della sua venuta in questa città, spiegava nelle meditazioni abitualmente le Lettere di san Paolo. E le leggeva prima, in lingua volgare, poi in lingua latina, qualche volta qualche tratto anche in lingua greca. Oh; ma la profondità che egli ha ricavato, la profonda conoscenza a cui è giunto, del Maestro Gesù, la si deve appunto a questo: l'avere avuto devozione, e non solo ammirazione, ma anche conoscenza più profonda, dell'apostolo Paolo. Quindi la sua pietà non era solamente una divozione di persona che è pia, ma era una divozione di persona che è illuminata, sapiente.
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E posso anche aggiungere: che chi ama molto san Paolo e lo segue, acquista uno spirito forte, ascende più facilmente alla santità, lascia da parte tutti i pettegolezzi delle comunità e si eleva sempre di più in atmosfera serena, si eleva sempre di più verso Dio e giudica le cose non secondo le piccole difficoltà, i piccoli contrasti, inconvenienti della vita, ma li giudica dall'Alto, in Dio, in Gesù Cristo, e le pene e le gioie, e gli apostolati e la vita privata, e i santi voti, e le virtù da esercitarsi quotidianamente, tutto in senso soprannaturale, vede tutto in una luce sola: «omnia in uno videt»: Dio, Dio.
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La prima parte, dunque, da considerarsi per diventare anime eucaristiche ed apostole eucaristiche è questa.
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Allora vi verrà anche la volontà di diffondere la pratica dell'adorazione, cioè farvi degli amici di Gesù. Persone che si incarichino di fare, almeno un quarto d'ora, ogni settimana, di adorazione, che sarebbe il minimo o arrivare anche all'ora settimanale e vi è poi chi, avendo più libertà di se stesso, potrà giungere anche all'adorazione quotidiana. Conoscere Gesù.
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Secondo: amare le anime. La comunione è l'atto di amore più grande in duplice senso: nell'amore che Gesù porta a noi, donandosi tutto a noi; e secondo, nell'amore che noi portiamo a Gesù, ricevendolo e unendoci, per quanto è possibile alla creatura, al Maestro Divino, a Dio.
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Dalla comunione, che è tutta una pratica di amore, ricavar la carità e portare alla comunione la carità. La più bella preparazione alla comunione è passare delle giornate in carità, e allora la comunione non è solamente più una cosa che noi facciamo per unirci a Dio, ma è preceduta da una preparazione di vita; e dall'altra parte, porterà sempre aumento di carità. La sorgente della carità è appunto lì, nella comunione.
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Oh; passare le giornate in carità, come abbiamo meditato: carità di mente, carità di cuore, carità di parole, carità di azioni. In carità.
Carità di mente, pensando in bene, scusando il male; carità di cuore, desiderando il bene e domandando con la preghiera il bene a tutti; carità di parole, parlando in bene di tutti e tacendo quando bisogna tacere per motivo di carità; e carità di opere pensando a corrispondere bene alla vocazione e far bene il proprio ufficio, perché allora nel corpo dell'Istituto si è come membra vive, operanti: «membra vive ed operanti»1.
E l'occhio compie nel corpo il suo ufficio e la mano compie nel corpo il suo ufficio e i polmoni compiono nel corpo il loro ufficio, ecc. Questo compiere bene il nostro ufficio, questo fare quello che apporta un bene alla comunità o di buon esempio, o di vantaggio materiale o di vantaggio spirituale, morale o di vantaggio intellettuale, questo è tutto esercizio di carità.
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Fra le cose, le mancanze più da detestarsi per andare alla comunione, ci siano le mancanze di carità; le mancanze di carità, ho detto, tanto interne come esterne, ma specialmente interne. E allora da una parte ripariamo e dall'altra parte, supplichiamo. Supplichiamo Gesù che ci dia il suo cuore perché possiamo amare col suo cuore e supplichiamo il Signore che regni sempre la carità.
Va bene cantare frequentemente: «Ubi caritas et amor», ecco, va bene. E questa lode cantarla proprio con l'intenzione, col desiderio che «sola regnet caritas», sola viva sovrana la carità. Allora la vita della comunità resta una vita di pace e resta una vita di continuo progresso: progresso nello spirito e progresso negli apostolati. Comunione: unione di Gesù Cristo con l'anima. Carità. E sia sorgente di carità.
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In terzo luogo, abbiamo la Messa. La Messa è il sacrificio della croce rinnovato sopra i nostri altari, perché tanto sul Calvario, come nella Messa quotidiana nostra, vi è la stessa vittima e vi è lo stesso offerente principale e vi sono gli stessi frutti.
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E vi sono coloro che partecipano dei frutti e vi sono, tuttavia, anche, riguardo alla Messa, coloro che rassomigliano a Maria nell'assistere alla Messa, quando Maria assisteva Gesù crocifisso; quelli che rassomigliano a san Giovanni e vi sono anche gli indifferenti, i curiosi, gli assenti e quelli che, magari, vengono a peccare in chiesa. E vi è sempre una Messa tardi, la quale è una esposizione più umana che di pietà, che di divozione.
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La Messa è il sacrificio; ecco. Sentir la Messa è offrire Gesù crocifisso al Padre, ma offrire anche noi stessi. E' troppo poco offrire solamente Gesù. L'offerta di noi stessi, l'immolazione di noi stessi. La vita nostra è sempre condotta avanti fra pene, difficoltà, sforzi che dobbiamo fare. Sono amorosi, tante volte, i sacrifici da fare e che si compiono, ma son sempre sacrifici. Ecco, il distacco dalle cose del mondo, il distacco da noi stessi, dalle nostre opinioni, dai nostri desideri, il cercare solo Iddio, tutto questo importa sacrificio, si capisce, come l'apostolato, come l'osservanza degli orari, come la convivenza in comunità, la convivenza ufficiale. Offrire noi medesimi piccole vittime, in unione con tutti i sacerdoti che celebrano la Messa quotidianamente su tutte le parti del mondo, poiché il sole, compiendo il suo giro, vede sempre un altro sole diciamo, il sole dell'amore: Gesù che si è immolato sulla croce e che continua a immolarsi sugli altari. Poiché non tramonta mai sulla Messa il sole, sempre illumina degli altari.
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Oh; fino a che punto amiamo? Amiamo con le parole, amiamo con le azioni, amiamo col cuore, amiamo coi pensieri, amiamo fino all'immolazione? E' facile dire: mi offro vittima. Ma poi il Signore ci può prendere in parola e accettare l'offerta. Bisogna che l'offerta di vittima sia fatta dopo un certo tempo e un certo esercizio di virtù, quando già ci siamo abituati ai sacrifici quotidiani della nostra giornata, cioè della nostra vita.
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Ecco, l'ufficio di superiora o la vocazione alla superiora, vocazione in senso largo, è chiamata a fare quest'ufficio, è una vocazione al sacrificio, non una chiamata di onore, ma una chiamata la quale importa sacrificio; è, diciamo così, una bella scatola variopinta: vaghi colori, un bel disegno, ma dentro racchiude sacrifici, ci son tante spine in quella scatola. Allora accettare l'ufficio in questo: mi sacrificherò per le sorelle. Non il mio comodo, non quel che piace a me, ma quello che ridonda di maggior gloria di Dio e di maggior vantaggio per le sorelle.
E sentir le Messe in questo spirito, oltre che per la santificazione individuale, ancora per compiere santamente il proprio ufficio. Guardate che, sentendo la Messa in questo spirito, vi verranno tanti pensieri nuovi, il Signore darà tante ispirazioni che prima non avevamo avuto. E chi passando, diciamo così, dai ranghi, cioè dalla fila delle discepole all'ufficio di madre, non sente che è chiamata a sacrificarsi, non è degna dell'ufficio, non capisce che cosa sia, non capisce che deve partire per il viaggio al Calvario precedendo e dicendo: «Chi vuol venire con me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»1, non: chi vuole essere da me benvoluto, vada avanti, si sacrifichi, ubbidisca, lavori di più. No, no, bisogna precedere nella pietà, nell'osservanza quotidiana, nella premura per tutte; avere la sapienza, essere illuminati per comprendere i bisogni di tutti e come indirizzare le anime verso un amore più grande a Gesù, e precedere queste anime nell'esercizio della pazienza, dell'umiltà e dell'obbedienza a chi sta sopra, e pregare per tutte ed essere quella che si assume l'ufficio di servizio. «Non veni ministrari, sed ministrare»2. Non son venuto a esser servito, ma a servire e «a lavare i piedi». E «vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi»3.
L'ufficio di superiora è così poco capito! Però, se meditate bene la vita di Gesù, lo capirete, tanto più se noi facciamo bene le comunioni e ascoltiamo bene la Messa. E «chi è primo fra di voi, sia il servo di tutti»4; ecco. Non considerare come un'offesa a noi se quando abbiam dato un avviso non è seguito. E' un'offesa a Dio e noi soffriamo che non ci sia la virtù, l'amor di Dio per compiere quello che abbiamo consigliato. Ma in sostanza è sempre questo: imitazione del Maestro Divino, precedere con la croce, precedere col rinnegamento di noi stessi e poi dire: «venite dietro di me».
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (14-21 giugno 1956) alle Superiore Pie Discepole del Divin Maestro Roma, Via Portuense 739, 20 giugno 1956 *
* (1) Nastro 7/c (= cassetta 17/a). - Per la datazione, cfr. PM: «L'ufficio di superiora... è una vocazione al sacrificio» . (Cfr. dAS in c293 e c348). - dAS e dAC (cfr. c484).

2 Cfr. Lc 2,19.

1 Cfr. Gv 14,9.

2 Ib.

3 Gv 14,6.

1 Cfr. 2 Pt 3,16.

1 Cfr. Costituzioni delle PD, (1948) art. 3.

1 Cfr. Mt 16,24.

2 Mt 20,28.

3 Cfr. Gv 13,14-15.

4 Mt 23,11.