Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11-LA CARITA' VERSO IL PROSSIMO1*
Il primo precetto è verso Dio: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze»2. E la forza di questo comandamento sta appunto in quello: con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze. Tutto.
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Il secondo, poi, comandamento, è simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»1. E' simile al primo. E Gesù lo ricordò ai farisei i quali avevano mosso a lui una domanda insidiosa. E essi, sotto pretesto di difendere l'onore di Dio, quante volte non curavano l'amore al prossimo e neppure, alle volte, alle persone più vicine, che dovevano essere più care. «Amerai il prossimo tuo come te stesso». E significa, questo, che noi dobbiamo pensare del nostro prossimo come pensiamo di noi e come vorremmo che gli altri pensino di noi; e dobbiamo desiderare al prossimo il bene che vorremmo per noi.
Quindi abbiamo un amore il quale si può dividere in tre punti, in generale: amore di compiacenza, amore di benevolenza e amore di concupiscenza; s'intende, concupiscenza sana.
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L'amore di compiacenza si ha quando ci compiacciamo, ci rallegriamo sinceramente del bene che le persone hanno, e cioè se queste persone sono benedette da Dio, hanno doni di intelligenza, hanno salute, hanno abilità in molte cose, specialmente nell'apostolato, compiacersi dei beni che hanno, poiché vengono da Dio.
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In secondo luogo, l'amore di benevolenza vuol dire: volere il bene, desiderare il bene. Desiderare il bene a tutti, volere il bene a tutti: ecco. Desiderare il bene e cioè, che le persone che stanno attorno a noi, in primo luogo, abbiano i beni spirituali, poi anche i beni naturali. I beni spirituali che sono la grazia, la virtù, la santità; i beni spirituali che sono le virtù teologali, che sono i doni dello Spirito Santo, ecc. E pregare perché le persone abbiano tutti questi beni.
Il «Padre nostro» ci fa domandare i beni, non soltanto a noi, ma al prossimo: «Da' a noi il nostro pane quotidiano»1, non soltanto: «da' a me». «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»2. E cioè: non soltanto perdona a me, ma perdona anche al mio prossimo, ecc.
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E poi, amore di concupiscenza: la vita comune. Star volentieri con le sorelle; trattarle con benevolenza, con carità; trattare le sorelle con rispetto e rendere la ricreazione lieta, fare volentieri i servizi che in comunità si devono fare vicendevolmente; ecco.
La vita religiosa si differenzia, appunto, dalla vita che si potrebbe chiamare diversamente, che è davvero diversa, da questo volersi mettere insieme per aiutarsi: «Congregavit nos amor unus»1, per aiutarsi, per amore di Dio. Aiutarsi a farsi santi, aiutarsi nello studio, aiutarsi nell'apostolato, aiutarsi per la salute e, mettendo insieme tutte le forze, raggiungere più facilmente la santità e compiere meglio il nostro apostolato. Aiutarsi. Perciò: amore di compiacenza, di benevolenza, di concupiscenza.
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Si capisce che, alle volte, si richiedono mortificazioni: o una ha un carattere, l'altra ne ha un altro. E allora, che cosa dobbiam fare? Dobbiamo sopportarci gli uni gli altri. Non sappiamo se facciamo portare più il nostro peso agli altri o se sono gli altri che fanno più portare il loro peso a noi. Ma, comunque sia, l'amore a Dio ci richiede anche questo sacrificio, lo facciamo per il Signore. Amare tutte le persone in modo ordinato. Sono da amarsi le persone che ci hanno fatto benefici spirituali, come il confessore, le Madri, le maestre che ci han fatto la spiegazione del catechismo quando si era bambini; son da amarsi i genitori; sono da amarsi, poi, in Congregazione, le persone che sono in Casa.
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La vita religiosa, la famiglia religiosa, ha da modellarsi sopra la vita della sacra Famiglia. Com'era la vita della sacra Famiglia? Era una vita di raccoglimento; era una vita di pietà; era una vita di lavoro; era una vita di carità, di bontà. Vicendevolmente, queste tre santissime Persone si volevano bene, si aiutavano e ciascheduna, secondo la sua posizione, compiva la missione, rispondeva alla vocazione che aveva ricevuta da Dio. Quanto rispetto in Gesù, per la sua mamma santissima, per il suo padre putativo; e viceversa, quanto rispetto verso Maria, nutriva san Giuseppe; quanta devozione a Gesù. Era la casa della bontà, del compatimento, della comprensione, del rispetto, dell'amore, dell'unione.
Così la vita religiosa si comporrà nella pace, se vi è questo amore vicendevole, questo rispetto vicendevole.
Ecco: che cosa dobbiamo fare, allora? Vedere come sta il nostro cuore. Consideriamo gli altri come immagine di Dio? E consideriamo coloro che convivono come anime fornite di molti doni di Dio?
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Allora la carità si mostra in quattro atti: il primo è di pensar bene di tutte. Il nostro egoismo, l'invidia, può suggerire pensieri contrari, ma noi abbiamo da pensar bene di tutti, primo perché non siamo mica giudici degli altri. Chi ci ha costituiti superiori a giudicare gli altri? Secondo, perché non sappiamo le grazie che abbiano avuto gli altri e le grazie che non hanno ricevuto, quindi gli obblighi, i doveri che hanno e i doveri che non hanno. Noi abbiamo da essere molto prudenti nei giudizi. Il giudicar male, il sospettar male senza fondamento, è peccato. I peccati si fan sempre prima nella mente che non con la parola e con le opere. Perciò, santificare la mente. La benevolenza, la carità, in genere, ha la sua radice nella mente. Come si pensa, poi così si parla e così si opera. Alle volte, l'amor proprio o l'invidia spingono molto avanti, non solo si sospetta il male, ma ancora, s'interpreta in male quello che, forse, non ha neppur l'ombra di male e si attribuiscono agli altri pensieri, intenzioni che non ci sono. Il distintivo e il segno della carità, il segno per cui riconosciamo se davvero vogliam bene, è questo: essere inclinati a pensare in bene, a interpretare in bene e scusare anche gli sbagli.
Invece, quello che indica l'amor proprio, è davvero interpretare in male e inventare il male quando non c'è o giudicare sinistramente il bene stesso.
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Secondo: desiderare il bene a tutte. Questo è atto di carità ed è virtù.
Che beni desiderare? Prima i beni spirituali e poi i beni naturali, i beni materiali. Non solo desiderarli con rettitudine, sinceramente, ma ancora pregare il Signore perché arricchisca di beni, illumini, santifichi tutti; ecco. Arricchisca dei beni, cioè delle virtù teologali, delle virtù cardinali, dei doni dello Spirito Santo, delle virtù religiose. Colmi le persone che convivono con noi, di pace, le conduca verso la santità, dia loro la grazia di essere ben volute e di riuscire nelle cose che intraprendono.
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Poi, parlare in bene. Parlare in bene o non parlare del prossimo, eccetto che vi sia obbligo per ufficio o obbligo di coscienza, perché, forse, vi è uno scandalo, vi è un male che colpirebbe la comunità. Allora la carità va prima usata verso la comunità che verso la persona, la quale può portare danno alla comunità con i discorsi o con il suo fare, il suo comportamento. Allora, per carità vi è anche obbligo di riferire, dopo avere usato gli altri mezzi che indica il Vangelo: prima correggere la persona fra te e essa sola; poi aggiungere altri: uno o due testimoni; e se non basta, poi, intervenire e invocare l'aiuto di chi ha l'autorità per togliere quel male1. Parlare in bene o non parlare. Quando poi si incominciasse un discorso a danno della carità, cercare di deviarlo, il discorso; particolarmente difendere gli assenti e i deboli e coloro che non possono difendersi. Allora vi è maggior obbligo di usare rispetto e carità.
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Le mormorazioni sono tanto deleterie nelle comunità. Le mormorazioni portano danno in varie maniere: primo, offendono Iddio; poi offendono il prossimo, poi sono un peccato in sé; poi danno anche cattivo esempio a chi sente. Occorre tacere e stendere il velo del silenzio, quando la carità lo permette per quanto la carità lo permette. Portare gli esempi cattivi, è sempre mettere nell'animo di chi sente un'impressione non buona, che non favorisce la pietà, la pace e la carità. Parlare in bene. Anche delle persone poi che sono messe in luoghi di responsabilità. Si meravigliavano come santo Stanislao Kostka fosse industrioso a scusare e parlare in bene di tutti. Quando uno però, ha una gran bontà nella sua anima, nel suo cuore, e mette fuori questa bontà, questa carità che è nel suo cuore, la mostra nelle parole stesse.
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Poi abbiamo da aggiungere la carità nelle opere. Ecco, in comunità tutto è carità, perché tutti lavorano per la comunità. Non mica solo la sarta, la cuoca e chi fa le provviste ma chi insegna, chi esercita l'apostolato, chi assiste, chi corregge, chi fa i catechismi, ecc. Tutto questo è operato per il bene della comunità, quindi è tutto carità. La carità più ordinata, più bella, quella che comincia da chi è più vicino.
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Oh, la vita religiosa, vita di carità! Carità paziente, carità benigna, carità che scusa, carità che crede, carità che compatisce, carità che lavora, carità che produce, carità che toglie le asprezze della vita, carità che lenisce le pene e i dolori, carità industriosa. E siccome si vive tutto il giorno in comunità, vicino alle altre, così dalla mattina alla sera vi è un esercizio di carità1.
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E quindi, ecco la preparazione al cielo, come abbiam meditato questa mattina. Quanto è prezioso il libro: «La pratica di amare Gesù Cristo»1. Leggerlo, meditarlo. E' difficile trovare un libro, il quale insegni così bene la carità. E come la mostri nella pratica, questa carità. D'altra parte, basta dire che è scritto da un gran santo e un santo che è anche dottor della Chiesa, quindi non è solamente la sua pietà che lo induceva a scrivere, è anche la sua scienza, la sua intelligenza, la sua profondità di pensiero.
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Perciò, dopo aver detto, stamattina che la giornata va impegnata per la carità, ecco, completiamo: dopo la carità verso Dio, chieder la carità verso il prossimo, particolarmente per chi è più vicino. Nel giudizio universale il Signore mostrerà come egli desideri questa carità: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere, ecc. Oh, e qualunque volta avete fatto questo, anche al minimo fra i miei fratelli, l'avete fatto a me»1.
Ci benedica, dunque, il Signore; effonda in tutte lo spirito di carità e ogni cuore sia plasmato sopra la carità del Maestro Divino.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 (1) Esercizi Spirituali (14-23 marzo 1956) al gruppo formazione Pie Discepole del Divin Maestro in preparazione alla vestizione, entrata in noviziato, emissione dei voti religiosi Roma, Via Portuense 739, 18 marzo 1956 *
* (1) Nastro 3/d (= cassetta 6/a). - Per la datazione, cfr. PM: «... il secondo comandamento...: “amerai il prossimo...”» (cfr. PM in c125). - dAS (cfr. in c125).

2 Mt 22,37.

1 Mt 22,39.

1 cfr Mt 6,11

2 Ib.

1 Liber Usualis, Feria V in Cena Domini, de Missa solemni vespertina, ad Mandatum, ant. «Ubi caritas», p. 675; più esattamente: «Congregavit nos in unum Christi amor».

1 Cfr. Mt 18,15-17.

1 Cfr 1 Cor 13,4 ss.

1 SANT' ALFONS0 DE' LIGUORI, op. cit., EP, Francavilla, 1965, XI ed.

1 Cfr. Mt 25,35 ss.