Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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42. RIFLESSIONI DI FINE ANNO*

I. Buona fine

Gli ultimi giorni dell'anno e i primi dell'anno seguente hanno sempre una particolare importanza per la nostra pietà: terminare l'anno bene e incominciare meglio l'anno prossimo, se a Dio piacerà farcelo incominciare. Ho visto una cartolina di augurio in cui si diceva: Ti auguro una buona fine d'anno, un miglior principio e una ottima continuazione. Tre auguri, tutti preziosi, se sono accompagnati dalla preghiera, tre auguri che meriterebbero tre meditazioni.
Finire bene l'anno. Per finire bene l'anno è necessario considerare due cose: prima le grazie che si sono ricevute nell'anno 1950 per mostrare al Signore una riconoscenza amorosa, riconoscenza di figli verso il Padre. In secondo luogo domandare perdono al Signore di quanto abbiamo commesso di mancanze, di incorrispondenze alla grazia nel corso dell'anno che sta per finire.
La riconoscenza in questi giorni la sentiremo di più e la esprimeremo solennemente con il canto del Te Deum, e in modospeciale per l'Anno santo. È chiuso l'anno del santo Giubileo, sebbene [ora l'indulgenza] si possa acquistare fuori Roma.
Dare a Dio un atto di riparazione generale e domandare al Signore perdono dei peccati. Passare in rivista l'anno e fare come un esame generale. Poi dare uno sguardo agli anni antecedenti e arrivare giù fino all'uso di ragione. Non si tratta di fare un esame generale, si tratta di dare a Dio un atto di riparazione generale, quindi non confessioni generali, ma conversioni generali su tutti i punti.
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Conservare sempre il dolore dei peccati è in primo luogo un atto di giustizia, perché noi in questa maniera restituiamo a Dio l'onore, la gloria che gli abbiamo tolta con le nostre mancanze. Se avessimo fatto sempre bene e avessimo corrisposto alla grazia di Dio, quanta maggior gloria avrebbe Dio per tutta l'eternità!
I nostri peccati hanno conseguenze che non possiamo comprendere del tutto, essi hanno conseguenze lassù in cielo, sull'anima nostra, sulle anime che ci circondano e su quelle a cui dovremmo arrivare con l'apostolato.
Ecco che il dolore mette a posto, restituisce a Dio quello che a Dio fu tolto: un atto di giustizia. Il dolore dei peccati è assolutamente necessario. Discendere bene nell'anima: vi possono essere peccati di orgoglio, di vanità, di compiacenza sciocca; vi possono essere atti di insubordinazione, di ira, di invidia, di golosità, di curiosità; vi possono essere delle piccole vendette nel parlare, delle maldicenze; vi possono essere degli atti di sensualità, di pigrizia, di indifferenza, di freddezza, e vi possono essere stati dei periodi lunghi in cui non si è corrisposto abbastanza alla grazia. Il peccato toglie gloria a Dio, è perdita di merito, diminuisce la carità, causa danni anche alle anime, è ingratitudine verso la divina bontà e, se fosse grave, meriterebbe anche l'inferno.
Vi sono persone che non detestano tutto e su certi difetti non vogliono essere corrette, non vogliono l'emendazione, perché non c'è il dolore. Vi sono persone che man mano che passano gli anni crescono nei difetti: [per esse] non c'è che la via del pentimento oppure quella del purgatorio, se si tratta di cose leggere.
Quelle certe abitudini da cui una non vuol essere disturbata; quelle idee sempre fisse da cui una non si vuole emendare; quella superficialità e vanità nel parlare; quel credersi sempre superiori e non considerare quello che siamo davanti a Dio; quella maniera di fare che alle volte non dà buon esempio: tutte queste cose e tante altre le paghiamo di qua o le portiamo di là. Perciò cerchiamo di avere un dolore che si estenda a tutti gli anni della vita, dall'uso di ragione ad oggi, e anche a quelle cose che non riconosciamo mai, che non scopriamo mai.
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Discendere proprio fino al fondo, in modo da non portare nel 1951 alcun debito con Dio.
Questi due giorni siano di riconoscenza amorosa e di dolore. Esaminiamo bene ciò che Dio ci ha dato: quanto di intelligenza abbiamo avuto, di sentimento, di forze fisiche, di tempo. Riconoscere queste grazie e ringraziare il Signore.
Colui che riceve la grazia della vita religiosa e non la vive nel fervore del suo cuore piegandosi all'obbedienza e ai doveri di apostolato, della vita comune, della delicatezza, non corrisponde alla vocazione. Nella chiamata c'erano tutte le grazie per corrispondere. Non dobbiamo troppo affannarci nell'accusare questo o quello, ma avere un vivo dolore.
Il dolore è di necessità di mezzo, tanto che se uno non ha il dolore, non è perdonato e si porta all'eternità tutto, se uno tralascia il dolore, non ha remissione. Quindi la massima importanza al pentimento nell'esame di coscienza che si fa durante la Visita, la massima importanza al pentimento nella confessione, nel ritiro mensile, e la massima importanza al pentimento in questi due giorni per chiudere bene l'anno. È di necessità di mezzo.
Ma per detestare quello che abbiamo dentro l'anima, occorre conoscerlo. Questo pentimento non deve essere superficiale, un atto di contrizione recitato a fior di labbra. Pietro aveva rinnegato il Signore; passò Gesù e gli diede uno sguardo e Pietro: «Flevit amare»1. Pietro [ne] portò per tutta la vita il disgusto, il dolore. Il dolore dei peccati è una cosa che deve durare sempre, in continuità. Avere il dolore di Pietro, di Agostino, il quale non solo si pentì, ma pubblicò i suoi peccati nel libro di Le confessioni. Il dolore, se è vero, significa un atto di umiltà e produce un serio proposito di cambiare vita.
Il fine vero di questa meditazione e il frutto da ricavarsi è questo: non voler far pace con i nostri difetti, ma voler acquistare le virtù e la santità. Condannare sempre i difetti, scoprirli, volerli correggere. Se uno non si accorge che gli manca la pazienza e lo spirito di fede, ragiona sempre umanamente, si crede giusto. Non siamo di quella gente che vuol chiudere gli occhi
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davanti al proprio male, che vuol coprire le sue deficienze! Sapete che per i difetti, le imperfezioni, le venialità non è necessaria la confessione per ottenere il perdono, basta un atto di amor di Dio a scancellarli, ma è necessario detestarli e combatterli.
In tutti è rimasta impressa la morte di S. Maria Goretti2. Vedete che detestazione del peccato: piuttosto la morte che il peccato! Non tante parole ricercate e rare, ma l'odio profondo al peccato.
Fino a qual punto abbiamo noi il pentimento? Preferiamo la morte al peccato?
Lo spirito di una suora e di una santa si conosce da questo: sempre riconosce i difetti che ha e le virtù che ancora deve acquistare, e si sforza per prepararsi alla vita eterna. Combattendoli vi sarà un continuo miglioramento della vita. Se il Signore ci concede altro tempo, ce lo concede per farci più santi. Oggi e domani riconoscenza amorosa, ma anche soddisfazione e dolore per quello su cui abbiamo mancato nella vita.
Con queste disposizioni finiremo bene l'anno col Bambino Gesù. Tre atti: riconoscere il male, detestarlo e accusarlo, fare qualche penitenza e riparazione.

II. Miglior principio

Terminare bene l'anno: Buona fine! E per questo abbiamo considerato, nella prima meditazione del ritiro, il dolore dei peccati e la riconoscenza amorosa alla divina misericordia per tutto il bene che nell'Anno santo 1950 abbiamo ricevuto. Anno santo, vuol forse dire che finito l'anno noi abbiamo finito di farci santi? Anno santo vuol dire principio di un lavoro più intenso di santificazione per continuare successivamente e con ritmo più intenso, con maggior fervore. Dobbiamo prepararci ad essere angeli del paradiso. Dobbiamo studiare tanto la dottrina di Gesù per poter meritare la visione beatifica, vivere tanto uniti a Gesù da rimanere per sempre a lui uniti in cielo.
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Dobbiamo prepararci a vivere con i santi, là dove nulla vi è di macchiato. Neppure una macchia su quegli abiti della Madonna, dei santi, dei vergini! Perciò togliere le macchie. Non sarà possibile togliere tutti i difetti, ma odiarli, combatterli. Abbiamo da prepararci a vivere in perfetta e ininterrotta unione con Dio. Volete prepararvi bene a entrare con i santi, con gli angeli in paradiso? Vivete sulla terra come vivreste lassù! Preparazione diretta al cielo. Non tante premure e preoccupazioni per la terra, ma propositi per guadagnare di più per il cielo. Questo, sì.
Quando un'anima purifica così la sua mente, purifica così la sua vita e va unendosi sempre più a Dio, non avrà più bisogno di una lunga preparazione in purgatorio per l'ingresso in quella città eletta dove sta la santissima Trinità, e si vede in adorazione la Vergine già assunta in anima e in corpo. Fissiamoci bene in mente questo: la vita è preparazione all'eternità. L'opera della santificazione nostra per disporci all'entrata in cielo [deve essere] continua.
Poi ho detto: dolore dei peccati. Ho paura però che si consideri questa detestazione del male come un atto, invece deve diventare un abito. Quando ci confessiamo, diciamo l'Atto di dolore; poi viene l'assoluzione. [Diciamo] l'Atto, invece uno dei caratteri delle Figlie di San Paolo e delle Famiglie Paoline è questo: camminare in continua detestazione del male, in una santa umiltà, col capo chino invocando misericordia, luce, ogni momento. Se c'è questa santa umiltà, diventiamo come Gesù, il quale più di tutto odia il peccato.
Se c'è la lotta abituale contro i difetti, si piace certamente a Dio. Abbiate il dolore dei peccati3: non deve essere solo scritto sul muro, ma deve essere scritto nel cuore. I fallimenti, quasi tutti, provengono o dall'orgoglio o dall'impurità.
Dopo aver detto: buona fine dell'anno, dobbiamo aggiungere: miglior principio, e poi il terzo augurio: ottima continuazione.
Propositi per l'anno nuovo. Che cosa significa proposito? Vuol dire concepire nel cuore un grande desiderio, una volontà
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risoluta di essere più buoni: chi ha un proposito sopra un punto e chi sopra un altro, ma sempre per unirci di più al Signore.
L'anno scorso abbiamo detto: Anno di verità, di giustizia, di pietà. Quest'anno 1951 diciamo: Anno di carità, carità di pazienza, non fare esercitare la pazienza agli altri, ma esercitarla noi.
Il proposito generale dell'Istituto per l'anno 1951 sarà la carità, e si tenga sempre presente nelle intenzioni, nelle Messe. E siccome sono dodici le prerogative della carità, così ogni mese è bene mettere l'intenzione di acquistare una nuova qualità della carità.
E come prima prerogativa: «Caritas patiens est: La carità è paziente»4. La carità che ebbe Gesù paziente: amava anche quelli che gli piantavano i chiodi e che, appena ebbero finito, lo innalzarono alla vista di tutti, ed egli esclamò: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che si fanno»5. Siamo capaci a pregare per quelli che ci fanno soffrire? Questo vuol dire decidersi, questo è proposito generale.
Può darsi che per un'anima il proposito principale non sia la carità, ma sia la pietà, l'obbedienza, ecc. Non si dica mai: Io sono fatta così! Quando si tratta di difetti morali, vi è la possibilità di correggersi, almeno fino a un certo grado, quanto l'umana fragilità lo consente. Ci vuole decisione però. Vi sono [poi]persone che dicono: È inutile che io faccia dei propositi. Se non fai dei propositi non hai il dolore, perché il dolore e il proposito nascono entrambi dall'odio al male.
Quindi nel quinto mistero gaudioso domandiamo al Signore l'odio al peccato per detestarlo e schivarlo. Tanto il dolore, quanto il proposito nascono dalla considerazione del male che è il peccato, che è il difetto. E se non c'è anche il proposito, bisogna dubitare che ci sia il dolore dei peccati. Quindi se c'è il proposito, c'è anche il dolore, ma se mancasse il dolore la confessione potrebbe essere nulla. Quindi è necessario il proposito che è un atto di amor di Dio. Io so già che ricadrò, dice un'anima. Intanto incomincia a dire: Io sono fragile, ma metterò tutte le preghiere, tutti gli sforzi, prenderò tutti i mezzi: «Omnia
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possum in eo qui me confortat»6. Ancorché uno abbia un certo timore di ricadere, tuttavia dica: Prenderò tutti i mezzi: più vigilanza, più sforzo, più attenzione nell'esame di coscienza, piùumiltà, ecc. È proposito vero, questo è un atto di amor di Dio. Il proposito è cercare il bene: Iddio è il sommo bene, e se c'è la volontà di fare il bene, allora c'è volontà di compiere quello che piace a Dio.
Quindi tantissimi propositi? Tantissimi, no, perché potrebbero divenire tutti inefficaci. Supponete un piccolo fuoco di quelli accesi dai pastori; se tutti vi gettassero sopra fasci di legna, che cosa avverrebbe? Si spegnerebbe. Quando c'è un focherello bisogna aggiungere piccoli rami, poco a poco, allora il fuoco si ravviva, dopo si possono mettere rami più grossi. Non fare propositi a vanvera, ma ragionevoli. Aumentando poila forza, avrete la grazia di raggiungere anche gli eroismi. È tempo che miriamo agli eroismi, perché non sappiamo che cosa ci riservi il tempo che ci sta davanti: «Tempora mala sunt»7.
I propositi sono anche il segno della volontà buona; la grazia e la pace aumentano in chi ha buona volontà. Fare buoni propositi è segno che si vuole attendere alla perfezione. Un'anima che ha veramente buona volontà, come si conosce? Da ciò che manifesta: Ho sempre un certo pentimento ed una certa umiliazione dei miei difetti, e un desiderio vivo di emendarmi, di acquistare questa o quella virtù. E faccio propositi, e vigilo, e prego. Buona volontà, allora!
I propositi sono atti di saggezza, rinnovarli sempre nella vita: la giornata di oggi, meglio di quella di ieri, questa settimana meglio dell'altra e così i mesi, gli anni.
Vi sono persone che hanno difetti e li lasciano regnare nel loro spirito, li lasciano vivere e li portano con sé: sono difetti di lingua, nei sentimenti interiori, nei pensieri, difetti che riguardano la carità, l'obbedienza, la pazienza, ecc. Continuano così. Anzi, a volte passando gli anni questi difetti si radicano di più in maniera che è più difficile estirparli. Sembrava che fossero
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sradicati in noviziato, poi saltano di nuovo fuori. E così crescendo gli anni, i difetti crescono in numero e in qualità.
Talvolta i difetti aumentano per la maggior freddezza e la maggior insubordinazione, o per orgoglio o per vanità. Quei difetti pungeranno in morte come tanti serpentelli. Chi avrà una morte serena? Chi non avrà fatto pace con i suoi difetti: tutti i giorni li detesta, li esamina, tutti i giorni si rafforza nella preghiera, invoca gli angeli, i santi protettori. In questa lotta molto si ottiene. E quando non si ottiene, il difetto è tuttavia combattuto e detestato, e non offende Dio. Quando sarà in punto di morte, tale anima sentirà di essere pura, monda, fervorosa.
Come devono essere i nostri propositi per l'anno nuovo? In primo luogo siano fermi. Qualche proposito si fa da tutti, ma vi sono propositi che sono espressioni di volontà fiacca, non di volontà seria.
Ma facciamo due esempi. Gesù un giorno passava per una via ed era circondato da molta gente che lo interrogava e l'ascoltava. Vi era un certo Zaccheo che lo voleva conoscere e pensò di salire su di una pianta e si nascose un po' tra le foglie. Ma Gesù che vedeva tutto, anche attraverso le foglie, lo chiamò: Zaccheo, scendi giù, oggi verrò a casa tua. Durante il desinare Gesù dava certe occhiate a Zaccheo ed egli, toccato dalla grazia, esclamò: Signore, di quello che ho rubato restituirò il quadruplo; e darò la metà dei miei beni ai poveri. E diede subito ordine ai servi di eseguire quanto aveva proposto8.
Ecco [ora] un proposito non fermo. Avete sentito parlare del giovane ricco che si presentò a Gesù: Maestro, che devo fare per salvarmi?. Osserva i miei comandamenti. Quali?. E Gesù glieli recitò. Il giovane protestò che quello già aveva fatto dalla fanciullezza, voleva qualcosa di più perfetto. Gesù gli indicò: Se vuoi essere perfetto, vendi quanto hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Ma il giovane aveva il cuore attaccato ai beni della terra, perciò si rattristò, balbettò qualche scusa, e si ritirò9.
Quale dei due fece il proposito fermo?
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Diciamo di essere decisi di farci santi e in realtà forse non ne abbiamo voglia. Allora siamo sinceri e diciamo: Io non ho voglia. Bisogna uscire da questa rete di inganni. Siamo sinceri, interroghiamoci: Voglio o non voglio? Di quelli che hanno di questa volontà fragile si popola il purgatorio e, Dio non voglia, l'inferno.
[Perché] tanta fretta di vestire l'abito religioso? No, fretta di acquistare lo spirito religioso. Non è l'abito che conta, qualunque sarta, anche una ebrea, può farci l'abito. Non inganniamoci, se veramente vogliamo farci santi, avanti! E ricordiamo la sentenza della Imitazione di Cristo: «Farai tanto profitto quanto metti di forza e ti fai violenza»10. Bisogna rinnegare noi stessi, prendere la croce e seguire Gesù.
Miglior principio: il primo giorno dell'anno ci siano propositi fermi. Il proposito generale dell'Istituto è sulla carità, ma quello che ognuna ha già scelto, procuri di confermarlo.

III. Ottima continuazione

Tre auguri: 1) Buona fine con la riconoscenza amorosa al Signore per tutti i beni che ci ha elargito nel corso dell'anno, e dolore dei peccati. 2) Miglior principio: propositi veramente buoni di vita migliore e particolarmente sopra quei punti che sono più necessari per ogni persona e sopra il punto e l'intenzione generale della carità. 3) Un'ottima continuazione dell'anno, in maniera che nel corso dell'anno ogni giorno possiamo progredire un tantino.
Ora bisogna che ci fermiamo però su qualche punto particolare di progresso, punto particolare, ma che riguarda tutto: imparare la vita religiosa da Gesù, da Maria, da S. Paolo, e cioè da Gesù Maestro di vita religiosa, da Maria modello di vita religiosa, da S. Paolo maestro e protettore della vita religiosa paolina.
Secondo punto: imparare da Gesù l'apostolato, farlo come egli l'ha fatto. Imparare da Maria Regina degli Apostoli che cosa dare nell'apostolato; imparare da S. Paolo lo spirito sempre
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più retto, sempre più attivo del nostro apostolato in maniera da non chiamarvi Paoline soltanto, ma esserlo.
Dopo la vita vogliamo non solo il premio della santità, ma vogliamo anche l'altro premio, quello dell'apostolato. Abbiamo ricevuto da Gesù questa grazia: la vita interiore e lo spirito di apostolato: «A quo accepimus gratiam et apostolatum»11.
Per dire tutto in una parola: concentrarci a conoscere sempre meglio, amare più ardentemente e servire sempre più il Maestro divino, la Regina degli Apostoli e S. Paolo.
Vi sono tanti pericoli di sbandamento, ma se per un certo tempo noi ci impegniamo in questo: conoscere il Maestro divino, la Regina degli Apostoli e S. Paolo apostolo e imitarli, esserne divoti, ci sarà sempre unità di idee, di spirito, di cuore, ci sarà sempre progresso nell'opera di santificazione e sempre progresso nell'opera di apostolato.
Vi è sempre una tentazione su questo punto. Tante cose ci stanno attorno, ci attirano, ci lusingano; dobbiamo invece studiare Gesù Cristo, meditare le virtù di Gesù Cristo, il Vangelo.
Non voglio condannare le rivelazioni riconosciute dalla Chiesa, ma voglio condannare la smania di correre dietro alle rivelazioni. Consideriamo la rivelazione, ogni versetto del Vangelo. Ecco una rivelazione: «Andate a Betlemme»12, dice l'angelo ai pastori. Altra rivelazione: «una stella»13 conduce i Magi. Altra la rivelazione di Paolo là sulla via di Damasco, quando il Signore lo atterra e sfolgorandolo con la sua luce gli domanda: «Paolo, perché mi perseguiti?»14.
Conoscere quindi Gesù, conoscere la Vergine santissima, conoscere S. Paolo. Perciò per potersi tenere nel giusto spirito: leggere e meditare per un anno la vita di Gesù, di Maria, di S. Paolo.
È facile dire: Stampiamo questi libri perché il popolo cerca rivelazioni, perché vanno e ne diffondiamo molti. [No], noi dobbiamo dare il tesoro dell'Istituto; il tesoro dell'Istituto è Gesù Cristo, è il Vangelo.
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Lo spirito nativo è portare tutti gli uomini al divin Maestro, a Maria, a S. Paolo.
Il secolo presente ha un cristianesimo all'acqua di rose, una religione di sentimentalismo, un misticismo vago. Vedete la Humani Generis15 che cosa dice, è il Papa che parla.
Noi siamo nati per dare Gesù Cristo Via, Verità e Vita, la dottrina dogmatica, la morale e insegnare all'umanità la via per arrivare a Gesù Cristo. Noi siamo venuti per compiere un apostolato, con lo spirito e con la forza di S. Paolo e dobbiamo fare questo.
Si tende a una istruzione senza virtù, ad una pietà senza imitare Gesù Cristo. Il nostro spirito deve essere forte. Troveremo difficoltà anche tra coloro che dovrebbero darci aiuto, e facilmente scivoleremo, perché per andare in basso si fa presto. Dobbiamo andare contro le tendenze di molti. Ora, la difficoltà che prova la religione a entrare nel mondo, talvolta, è proprio negli apostolati, perché non danno la dottrina pura, immacolata, genuina che ha dato il Maestro.
Sono facili le divisioni. Se andate in America vedete che a S. Rita16 accendono una quantità di lumi, ma i comandamenti li stiracchiano all'americana. Onorare S. Rita, ma per ottenere le virtù che ella ha praticate.
Per un certo tempo nelle Visite leggete il Vangelo, la Regina degli Apostoli, S. Paolo. Ma tutto questo, si dice talvolta, ha una certa durezza, non si commuove il nostro cuore, non fa venir voglia di piangere. Però viene la luce nella mente: «Amerai Iddio con tutta la mente»17, e viene la forza perché Gesù la comunica. Egli è dolcissimo e fortissimo, ha compassione di un bambino, di una peccatrice, ma è tanto forte nel sopportare, nel soffrire: vedetelo nella passione, consideratelo crocifisso! S. Paolo affermava: «Vi ho predicato Gesù Cristo, ma
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Gesù Cristo crocifisso»18. Non importa se [questi libri] si sono già letti.
Per che cosa è nata la Congregazione? Non per fare quello che fanno gli altri. Mi diceva uno dei primi sacerdoti a cui mi ero confidato e che aveva capito bene il nostro spirito: Voi siete andati alla sorgente.
Che cosa avviene? Constatiamo questo fatto: molte buone parole, ma spesso pochi fatti; molti religiosi, ma pochi santi. Notate bene queste cifre, le cifre fanno sempre impressione: nel 1925 erano da convertire un miliardo e trecentocinquanta milioni di uomini; nel 1935 erano da convertire un miliardo e seicento milioni; e nel 1949 la gente da convertire nel mondo è salita a un miliardo e ottocento milioni. In venticinque anni, dato l'aumento della popolazione umana, noi abbiamo quattrocentocinquanta milioni in più di uomini nel mondo da convertire.
È tempo che noi entriamo in noi stessi e che ci domandiamo: Ma che cosa c'è per cui questo sale non sala più, non entra nelle parti del cibo? Perché questa luce non penetra? Luce che si accende e luce che si spegne. Manca la quantità dei religiosi e dei sacerdoti, ma più di tutto manca la qualità. Ci vogliono religiosi e religiose più illuminati, più istruiti, ci vogliono anime di maggior virtù, più santi, più rinnovamento dello spirito, dell'apostolato.
Esteriorità, rumori, parole! Invece la vita viene dall'Eucarestia e per arrivare a Gesù eucaristico: la Madonna, e per comprendere come dobbiamo comportarci: S. Paolo.
Quest'anno concentratevi in questa meditazione, in questo studio, in questo impegno: ricopiare i tre grandi modelli. La vita interiore sia modellata su Gesù Maestro, Maria santissima,
S. Paolo.Che cosa dunque contemplare in Gesù, in Maria, in S. Paolo?

1) Lo spirito religioso. Gesù Maestro perfetto esempio di povertà, di castità, di obbedienza. Maria Regina degli Apostoli che dà tutto Gesù quale egli è, lo dà nel presepio, sul Calvario e
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lo dà dal cielo all'umanità. Considerare in S. Paolo il modello dei religiosi. Quale ubbidienza: «Gesù, cosa vuoi che faccia?»19. È incominciata così la sua vita apostolica ed è finita alle Tre Fontane20. [Quale] povertà: non aveva più il mantello per coprirsi e morì povero, spoglio di tutto, e martire.

2) Leggete il Vangelo. Ecco Gesù Cristo: «Habemus Pontificem et Apostolum»!21. [Vedere] come Gesù ha esercitato l'apostolato, che cosa ha detto agli uomini. Considerare l'apostolato di Maria, dare Gesù interamente, come egli è.

3) Che cosa ha scritto, che cosa ha predicato S. Paolo? [Leggere] la sua vita, le sue lettere. Va bene che si faccia un inno delle Paoline, [ma è necessario] pregare S. Paolo, studiare
S. Paolo, imitare S. Paolo. Le nostre preghiere, le nostre devozioni [siano rivolte a lui], la nostra vita individuale, religiosa e apostolica, sia modellata su S. Paolo.
In sostanza un anno in cui le letture spirituali alla Visita e a tavola [siano] sul divin Maestro, la Regina degli Apostoli, S. Paolo.
Io non ho tempo a farlo, ma a noi occorrerebbe un catechismo22, da darsi anche a quelle appena entrate, sul Maestro divino, sulla Regina degli Apostoli e su S. Paolo apostolo, affinché siano conosciuti.
Non ho ricevuto molte lettere che dicano: Abbiamo fatto una novena a S. Paolo. C'è un po' la tendenza a scappare dalle divozioni nostre.
Io sono contento che amiate tutti i santi e le sante del paradiso, però ve n'è uno fra i santi che è destinato a sollevarci da ogni difficoltà: S. Paolo; e vi è una Madre in paradiso che è
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distributrice universale delle grazie, specialmente agli apostoli e alle apostole.
Fatemi un programma di istruzioni, con domande e risposte che poi, perfezionandosi, potrà essere pubblicato e servirà per tutti. S. Paolo apostolo guiderà il nostro apostolato e ci otterrà il suo spirito interiore di santità.
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* Ritiro mensile, tre meditazioni, tenute dal Primo Maestro a [Roma], nei giorni 30-31.12.1950. È stampato in sedicesimo e fa parte dei fascicoletti di HM I, 4, sedicesimo 4. Esistono pure due dattiloscritti, uno riporta solo la seconda e la terza meditazione, l'altro più completo riporta la data seguente “30.12.1950”. Si considera come originale lo stampato.

1 Cf Lc 22, 62: «Pianse amaramente».

2 Maria Goretti (1890-1902), nasce a Corinaldo (Ancona) in una famiglia povera, ma profondamente cristiana. A Ferriere, nell'agro romano, non ancora dodicenne, muore martire in difesa della purezza, perdonando al suo uccisore.

3 Cf AD 152, 158.

4 Cf 1Cor 13, 4.

5 Cf Lc 23, 34.

6 Cf Fil 4, 13: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».

7 Cf Ef 5, 16: «I giorni sono cattivi».

8 Cf Lc 19, 1-10.

9 Cf Mt 19, 16-22.

10 Cf Imitazione di Cristo, I, XXV, 4.

11 Cf Gv 1, 16.

12 Cf Lc 2, 15.

13 Cf Mt 2, 2.

14 Cf At 9, 4.

15 Cf Pio XII, Lettera enciclica Humani generis su alcune false opinioni che minacciano di sovvertire alcuni fondamenti della dottrina cattolica, 12 agosto 1950, AAS 42(1950), pp. 561-578, 960.

16 Rita da Cascia (1381-1457), nata a Roccaporena (Umbria). Sposa, vedova, madre di due figli, morti in giovane età, poi monaca agostiniana. Grande taumaturga.

17 Cf Mt 22, 37.

18 Cf 1Cor 1, 23.

19 Cf At 22, 10.

20 Le Tre Fontane: località lungo la via Ostiense a sud di Roma presso le Acque Salvie, ove S. Paolo fu decapitato.

21 Cf Eb 4, 14: «Abbiamo un grande sommo sacerdote e apostolo». L'espressione “apostolo” si deduce piuttosto da ciò che Gesù ha detto e fatto fino a offrire la vita per la salvezza di tutti.

22 Non risulta che questo invito del Primo Maestro sia stato realizzato, almeno nella forma di “un catechismo”. Nel 1958 fu pubblicato di sr Lucina Bianchini FSP, il Catechismo mariano che però è generico. Una lunga prefazione su Maria Regina degli apostoli, M. Vincenti FSP la inserì nel libro Con Maria (1954).