Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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25. IL MISTERO DEL CRISTO IN SAN PAOLO

Corso straordinario di Esercizi Spirituali (12 maggio - 1 giugno 1963)
alle Superiore e Suore anziane delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 29 maggio 19631

Ieri è stato l'invito del Signore a raggiungere la perfezione sino: cercare in tutto, sopra tutto, la gloria di Dio. Ma sono pochissime le anime che raggiungono questo grado e tuttavia quando l'anima è tesa verso questa altezza, il Signore tien conto del desiderio, della volontà, dello sforzo, e cioè: immedesimarsi con le intenzioni, i pensieri, i voleri, le mire della Santissima Trinità. Dio, Dio eterno, Dio Padre, Figlio, Spirito Santo.
Ora, Dio ha e vuole una duplice gloria. Una gloria l'ha in se stesso. La lode del Padre, rispetto al Figlio, la gloria delle Tre divine Persone fra di loro è gloria assoluta, infinita, eterna. Gloria infinita. Oh, questa basta al Signore e non ha bisogno che lo glorifichiamo noi; quindi, egli non aggiunge niente e noi non aggiungiamo niente alla sua gloria intrinseca, anche quando facciamo qualche cosa di buono, di santo. Quella è la gloria intrinseca.
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Quella che possiamo dare, invece, è la gloria esterna, nostra, esterna a lui, cioè che procede dalle creature tutte, specialmente dalle creature intelligenti come sono gli angioli, gli uomini. Non aggiunge nulla a Dio in quanto che egli era già perfetto, infinito, glorioso, felicissimo, beatissimo senza bisogno delle creature. Perché creò allora? Per comunicar la sua bontà a degli esseri a fine di farli partecipi, questi esseri, della sua gloria, e che essi, noi esseri intelligenti e tutto il creato glorifichi lui, Dio. E chiaro, Dio come è infinito e beatissimo, Dio non ha bisogno di nulla e, creando, non aumenta in nulla egli, in quanto è già infinito. Oh, questo è di fede. Il fine, quindi, ultimo è la gloria di Dio e cioè, che noi, una volta creati, lodiamo il Signore.
Abbiamo considerato ieri che anche molti santi e i più dei santi sono arrivati a questo punto della maggiore altezza nella virtù: cercare solo la gloria di Dio. Anime pochissime, ma che poco a poco si sono immedesimate in Dio, e quindi, la gloria.
Dio, è di fede, non aggiunge nulla a sé, ma arriva a Dio questa gloria, da parte delle creature. Qui sta l'amore perfetto. Gesù e Maria han raggiunto subito, con l'esistenza, questo grado perfetto. [Gesù,] quindi, ha voluto che si cantasse sulla grotta di Betlemme: Gloria in excelsis Deo1, sì. E Maria: Magnificat anima mea Dominum2. La lode di Dio. Il punto che, come è descritto da san Francesco di Sales, santa Teresa, san Tommaso e gli altri dottori della Chiesa in generale, e dei santi in particolare, questo: così innamorati di Dio, così persuasi dell'infinita dignità di Dio, delle sue perfezioni, che se anche non avessero il premio di quel che fanno, continuerebbero a glorificare Dio appunto perché lo merita. È allora che l'anima si immedesima nei fini di Dio, nel fine di Dio, cioè la sua gloria, la gloria di Dio.
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Però il Signore ha disposto che noi arriviamo a vivere in Cristo, a vivere, perché in lui si dà la maggior gloria a Dio, e arrivando noi a unirci a Gesù Cristo, ecco le nostre opere han valore immenso e, d'altra parte, noi glorifichiamo il Padre celeste in Gesù Cristo; e arrivando al paradiso, alla felicità eterna, canteremo più degnamente le lodi di Dio, la gloria di Dio.
Quindi se anime sono invitate a questa altezza, e sono tante, fede e umiltà occorrono. Fede, perché la grazia di Dio sarà abbondante quando ci sono queste aspirazioni, e l'umiltà perché tutto è lui che fa, tutto è lui; come non esisteremmo in niente se non ci avesse creati e se non avesse creato il mondo, ci sarebbe il nulla e Dio sarebbe ugualmente eternamente felice in se stesso.
Il Padre, per via di generazione, contempla la verità e così genera il Figlio e, tra il Padre e il Figlio, c'è l'amore, e l'amore sostanziale è lo Spirito Santo. E allora la gloria va a tutte e tre le Persone, perché sono tre Persone ma un solo Dio.
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Oh, per ricordare, forse un po' di più, questo, pensiamo alla preghiera che dice il sacerdote nella Messa prima del Pater noster. Dopo il nobis quoque peccatoribus ecco, quindi dopo la consacrazione, il sacerdote scopre il calice, genuflette, poi prende l'ostia fra le dita della mano destra e fa prima tre segni di croce sul calice e poi due segni di croce sul corporale. Tre segni di croce dicendo: Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, e poi dopo, facendo i due segni sul corporale: est tibi Deo Patri omnipotenti insieme allo Spirito Santo, omnis honor, et gloria1. Tutto l'onore e tutta la gloria. Lì è veramente riassunto quello che è il nostro fine e che è il fine dell'incarnazione, e cioè: dare a Dio ogni onore e gloria. Ma in che modo? In Gesù Cristo: per ipsum, et cum ipso, et in ipso, sì . E unendoci a Gesù Cristo, la glorificazione del Padre e dello Spirito Santo. Il Figlio dà un immenso onore alla Santissima Trinità.
Per ipsum, cioè, per Gesù Cristo, noi facciamo le nostre opere buone, per ipsum, in quanto lui ci ha dato l'esempio, ci ha insegnato questa via della perfezione e particolarmente col Vangelo. Per ipsum, per lui, per lui facciamo le cose.
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In secondo luogo: cum ipso, e cioè, le facciamo bene come possiamo, le opere, cioè cerchiamo di rassomigliargli nel miglior modo, a Gesù: come egli obbediva a Maria, come possiamo, [le opere], cioè cerchiamo di rassomigliargli nel miglior modo, a Gesù: come egli obbediva a Maria, santificazione per noi, maggior grazia e, d'altra parte, una maggiore glorificazione del Padre celeste, della Santissima Trinità.
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E poi, in ipso, cioè operiamo in Gesù Cristo. Da noi non potremmo far niente di soprannaturale, proprio niente; anche se facessi l'offerta del tuo essere, della tua vita a Dio, ma se non è in ipso... Che cosa abbiamo se non c'è la sua grazia? Se noi non facciamo le opere come membra di Gesù Cristo?
Bisogna intendere così: Gesù ha detto: «Io son la vite e voi siete i tralci»1. La vite è unita ai tralci; attraverso alla vite passa la linfa, perché il tralcio mette il fiore, mette le foglie, mette l'uva, il frutto. E la linfa che c'è nella vite è la stessa che è nel tralcio e che forma i frutti. Così che Gesù Cristo è colui che opera in noi. Egli è il capo, noi siamo le membra2. Dal capo viene ogni comando, disposizione, movimento, valore anche dell'azione perché è azione fatta intellettualmente, coscientemente; e il capo muove le membra, le membra sono un prolungamento del capo, un completamento del corpo. E Gesù Cristo è il capo e noi siamo il completamento del corpo di Gesù Cristo, siamo i tralci: «Io son la vite, voi siete i tralci». Allora siamo cooperanti con Gesù, sì. In ipso, facciamo le cose in lui. Noi siamo operanti in quanto facciamo la parte materiale; supponiamo, metti in mano la corona e reciti il rosario, ma colui che dà valore al rosario, colui che comunica il merito e quindi la grazia, l'aumento di grazia per la nostra opera, supponiamo per il rosario, è Gesù Cristo con la sua vita soprannaturale. Allora le nostre opere hanno un valore immensamente superiore.
Quindi est tibi Deo Patri omnipotenti.
Est, cioè l'atto fatto è, non è una preghiera che facciamo, ma in tanto che facciamo l'opera in ipso, cioè in Gesù Cristo, c'è già la gloria e l'onore che si dà a Dio.
Se si vivesse questa espressione, questa preghiera, la nostra vita sarebbe proprio già in quello che è il fine di Dio nella creazione e nella redenzione, nella santificazione: la gloria di Dio estrinseca. Così che facciamo tre proposizioni, cioè:
- Dio vuole la sua gloria.
- La sua gloria viene promossa dal Cristo.
- Noi, uniti a lui, promoviamo la gloria di Dio; e per la gloria di Dio, in gloriam Dei facite3; e terzo, lo sforzo nostro della santificazione. Allora raggiungendo la salvezza, santificazione in Cristo, conseguiamo il fine nostro che è la salvezza eterna e, salvandoci e santificandoci, si glorifica il Padre. E lì c'è la santità.
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Ora, come si chiama questo lavoro di Cristo in noi?
Il mistero del Cristo, di san Paolo.
È il fondo del pensiero di san Paolo. Che cosa espongono quelle sue Lettere? Quale era la sua vita? Come ci ha presentato lui Gesù Cristo?
Ce lo ha presentato nel mistero del Cristo. Che vuol dire: che Gesù Cristo vive in noi e opera in noi sul cervello, sul cuore, sulle mani, nel nostro essere, in maniera che noi siamo, poi: Cristo più io, io più Cristo, l'uomo più Cristo. Perciò si stabilisce questa unità con Gesù Cristo e perciò i meriti sono immensi perché le nostre opere sono fatte in lui. E se vi sono delle ciliege, sono frutto dell'albero del ciliegio. Così le nostre opere divengono cristiane, soprannaturali, tanto più perfette quanto più noi lasciamo operare Gesù Cristo. E Gesù Cristo, quindi, entra in noi come la verità, guida il cervello; e come l'amore, e guida il sentimento; e come l'obbedienza, la glorificazione del Padre nella nostra volontà e nel nostro essere fisico anche, in maniera tale che i vostri propositi son ben fatti, in generale: santificazione della mente, in Cristo; santificazione del sentimento o del cuore, in Cristo; santificazione della volontà, in Cristo. Generalmente, quindi, i vostri propositi sono orientati bene, cioè, come noi membra, o tralci di Gesù Cristo, vite. E allora il merito, il valore presso Dio, lì. Allora il Vivit vero in me Chrsitus1, tutto il nostro essere. Gesù che vive in noi.
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Oh, allora, che cosa bisogna pensare adesso? Ricordare quello che abbiamo detto ieri. Si mira a questa glorificazione di Dio? E aver proprio l'immedesimazione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo?
Il suo fine, il fine assoluto, perfetto, totale, intrinseco: la gloria di lui. E questo è di fede. Non si tratta mica di consigli o di opinioni, è di fede. Anche il Concilio Vaticano I del 1870 lo esprime come principio1. Allora, anime che mirano lì.
E la vita religiosa ben vissuta, dovrebbe proprio sempre tendere a quel punto di perfezionamento massimo, così che si viva in Maria, sempre lì, la lode a Dio, tutto: Magnificat, che vuol dire lode: io lodo il Signore. Si unisce, l'anima nostra, a Gesù Cristo che è tutto in ordine, quel che ha fatto, alla Santissima Trinità: «Io cerco la gloria di colui che mi ha mandato»2. E allora in Cristo noi ci uniamo ai pensieri suoi e quindi ai pensieri di Dio stesso, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Perché: «Nessuno va al Padre se non, per mezzo di me3. Cioè, noi passiamo attraverso a Gesù Cristo per arrivare al Padre e a immedesimare i nostri pensieri ai pensieri di Dio, ai voleri di Dio, ai desideri di Dio, alla gloria che Dio, da se stesso dà a se stesso: glorificazione del Figlio, glorificazione dello Spirito Santo, glorificazione del Padre.
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E perciò avevamo concluso, ieri, questo: possono esserci tre sorta di suore: in salita, primo; suore in salita; suore in arresto, ferme: sono ancora tali e quali erano quando han incominciato il lavoro di perfezionamento e non l'han fatto, sono in arresto, son ferme; alla fine tu potevi essere una buona cristiana, ma ti sei preso l'impegno di salire, perfezionarti cioè, che vuol dire salire, non l'hai fatto, sei stata ferma. E poi quello che vien come tragedia: in discesa; più buona al giorno della professione, più buona allora che non adesso. Tre specie di suore, tre specie di anime consacrate a Dio: in salita, ferme, cioè in arresto: si arresta la macchina e non si è più mossa, e la macchina, perché non aveva forza, non aveva quel che doveva avere, discende solo, discende. Viene ad esser tutta piena di pretese; nella religione vuol solamente trovare una vita comoda e cerca di accomodarsela, di formarsela, meglio, più comoda che può, e serve tutto secondo essa vuole, a lei stessa, mentre che si deve servire alla Congregazione e, attraverso alla Congregazione, a Dio. Perciò questo grande esame. Categorie.
E poi, questi giorni, più che ancora negli altri giorni: preghiera, preghiera, preghiera allo Spirito Santo, sì. E tuttavia nessuna si abbia da scoraggiare; anche se una comincia adesso, può ancora arrivare, perché se non ha fatto tanto bene, ha più ragioni di umiliarsi e allora nell'umiliazione aggiunga la fede e, tra l'umiltà e la fede potrà fare un grande cammino ancora. Avanti!
D'altra parte, ogni anima non sa, non conosce fino a che segno il Signore aveva dato per la vita sua; nessuna suora lo può indovinare, nessun di noi. «Alla pienezza di età»1 allora vuol dire: fare tutto e arrivare alla santità a cui Dio ci ha destinati.
E nel Patto2, che facciamo sempre recitare agli Esercizi, qui, per i nostri, nel Patto c'è il primo punto: arrivare a quella santità «a cui ci avete destinati». Ogni anno, il Patto. E cioè, non sappiamo, non possiamo nulla, nulla sappiamo, e tante volte non lo vogliamo anche. Ma facciamo il patto: ci impegneremo a cercare in tutto la gloria di Dio e la salute delle anime, di conseguenza, e quindi contiamo su un aumento di grazia da parte di Dio. Il Patto, il Segreto di riuscita, quanto ha giovato nella Famiglia Paolina! nei vari Istituti. Raggiungere quella santità «a cui, Signore, ci avete destinati».
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 65/c (= cassetta 133/b). - Per la datazione, cf PM: «Ieri è stato l'invito del Signore a raggiungere la perfezione sino a cercare in tutto, sopra tutto, la gloria di Dio» (cf PM in c210). - dAS (cf c185). - dAC e VV (cf c85).

1 Lc 2,14.

2 Lc 1,46.

1 Missale Romanum, Canon Missae, Per ipsum...

1 Cf Gv 15,5.

2 Cf Col 1,18 et passim.

3 Cf 1Cor 10,31.

1 Gal 2,20.

1 Il Concilio Ecumenico XX, Vaticano I, si svolse sotto il Pontificato di papa Pio IX, dall'8 dicembre 1869 al 20 ottobre 1870. - Cf DS 3000-3075.

2 Cf Gv 8,50.

3 Cf Gv 14,6b.

1 Cf Ef 4,13.

2 Cf Le Preghiere della Famiglia Paolina, Roma 1962, «Segreto di riuscita», pp.153-154.