Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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10. LE VIRTÙ TEOLOGALI: FONDAMENTO DELLA SANTIFICAZIONE
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Esercizi Spirituali (29 aprile - 7 maggio 1963) alle Pie Discpole, novizie del 2º anno in preparazione alla professione perpetua.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 30 aprile 19631

Vi sono riflessioni, meditazioni che servono di completamento e vi sono, invece, meditazioni che sono fondamentali, sulle quali tutto si può costruire: la santità. Come una casa può essere più o meno abbellita di colore, i muri, e ornata di quadri, ma quello che è più necessario: che sia fondata bene e quindi possa resistere alle intemperie e possa essere elevata maggiormente quando ha delle buone fondamenta.
Ora, le fondamenta o il fondamento della santificazione sta nelle tre virtù teologali, e cioè: fede, speranza e carità.
Vi sono, alle volte, propositi buoni, ma particolari. Ma i propositi generali che servono per tutto l'indirizzo della vita, e sono quelli che orientano la vita, sono i propositi sulla fede, sulla speranza e sulla carità.
Fede: veder Dio in tutto e indirizzar tutto a Dio.
Speranza: l'appoggio nostro per arrivare al cielo sono i meriti di Gesù Cristo e le grazie che son necessarie per fare il bene, cioè per vivere santamente.
E poi l'unione con Dio, la carità.
Queste sono le virtù da chiedersi ogni giorno. Ma non solamente una volta al giorno, più volte, quando ricordiamo o pensieri della meditazione oppure ricordiamo la comunione, ricordiamo che Dio ci vede da per tutto, quando vogliamo di nuovo sentire l'unione col Signore. Sì, fede, speranza e carità. Senza di esse non c'è la vita cristiana, non c'è la vita religiosa.
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[1.] Fede: credere in Dio; credere ciò che non si vede.
E cioè, non vediamo Dio, non vediamo il paradiso, ma conosciamo che il Signore Gesù lo ha rivelato Dio, ha rivelato la Santissima Trinità. Crediamo che il paradiso ci è preparato. Crediamo che Gesù Cristo è presente nell'Eucaristia. Noi non vediamo, ma Gesù è il Figlio di Dio incarnato e ci ha ammaestrati e ha provato la sua divinità con la risurrezione e con gli altri miracoli. Ecco la nostra fede in Gesù Cristo: «conoscere Dio e conoscere Gesù Cristo, questa è la vita eterna»1. Quindi si tratta di salvazione o di non salvazione: chi crede sarà salvo, chi non crede si condanna da sé2.
Quindi, conoscere Dio, ecco, Dio infinito, eterno, la Santissima Trinità. Nulla esisteva, egli è il creatore di tutto, della nostra anima, ed egli è il fine nostro; cioè, la vita nostra ci è data per arrivare alla vita eterna, per arrivare a vedere, contemplare, amare, godere il Signore. E' il Principio e il Fine3. Tutti i pensieri che non sono incanalati lì, tutta la vita che non è incanalata lì è tutto un disperdimento di forze.
Considerare Dio come il fine; anche se noi apriamo le labbra per dir qualche parola o se moviamo un piede per camminare o se noi abbiamo un respiro, tutto dev'esser ordinato lì. Il fiume porta le acque al mare, ma le gocce non tornano indietro. Noi siamo come gocce che camminiamo verso l'eternità, verso Dio, Dio che è la Provvidenza, Dio che è eterno, Dio che è infinito amore, Dio che è l'onnipotenza, Dio il quale è la Sapienza stessa, egli che, avendoci creati, ci attende e ci aspetta lassù. Così si conchiuderà la vita.
Allora: "credo perché il Signore lo ha rivelato e la Chiesa mi insegna". E allora il Credo recitarlo bene. Comincia con la creazione e finisce con la vita eterna. Primo, ultimo articolo. "Credo". E oltre a questo atto, questa preghiera, vi è anche l'Atto di fede. E, se vogliamo cominciare bene la preghiera, guardiamo il tabernacolo: atto di fede. E se vogliamo far bene la comunione, pensare chi c'è: atto di fede. E così in tutto. "Che io creda sempre più".
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[2.] Poi, se Dio è bene infinito, è gaudio, e ci ha invitati al paradiso, allora lo desideriamo, lo vogliamo, ecco la speranza.
Ma siccome il paradiso è soprannaturale, così ci vuol la grazia, cioè: speriamo per la bontà di Dio e per i meriti di Gesù Cristo, che egli ci ha aperto il paradiso. E se noi partecipiamo ai meriti di Gesù Cristo, ecco il premio eterno. Perché? Perché ci può essere la preghiera naturale, ma per arrivare al paradiso che è soprannaturale, ci vuole l'appoggio dei suoi meriti, di Gesù Cristo, e ci vuole questo: che noi partecipiamo a questi meriti e che, per le sofferenze di Gesù, noi chiediamo le grazie per vivere bene, santamente. Quindi: per Christum Dominum nostrum. Speranza. il Crocifisso, il quale è morto per noi, Gesù, e sarà l'ultimo bacio che daremo sul letto di morte, ecco, perché è tutta la nostra speranza. Non c'è salute che in Gesù Cristo1; non c'è santità che in Gesù Cristo.
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3. Poi, se noi crediamo in Dio, bene infinito e nostro gaudio eterno, lo speriamo; ecco segue la speranza. Per arrivare però a raggiungerlo, non solamente sperare, ma arrivare a conquistarlo: atto di carità, cioè congiungersi con lui.
Il paradiso è il congiungimento dell'anima nostra, del nostro essere, a Dio. Bisogna però che lo facciamo sulla terra. Amarlo, amarlo e amarlo specialmente nella comunione. Amarlo perché egli è il nostro sommo bene e l'eterna felicità. Amarlo e amare in lui il prossimo, perché se si ama il Padre celeste, si amano anche i figli, il prossimo, che possa il prossimo avere le benedizioni e possano tutti arrivare all'eterna felicità. Amore.
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Ecco le tre virtù fondamentali, sì: fede, speranza e carità.
[1.] Se c'è fede, deriva la povertà, non si sperano i beni temporali, ciò che propone il mondo, ma la povertà perché Dio è il sommo bene. Cosa sono le altre cose? Sono mezzi. E la salute, e il banco in cui ci inginocchiamo a pregare, e le occupazioni che abbiamo nella giornata, sono mezzi; le relazioni, ecc., anche il cibo, anche il riposo, sempre in ordine a Dio, sì. Fede! E quindi non ci si attacca alle cose terrene, neppure alle simpatie, alle antipatie.
[2.] Se poi Dio è l'oggetto della nostra speranza, se Dio per i meriti di Gesù Cristo vuole dare a noi la grazia «mediante le opere buone che io debbo e voglio fare», l'obbedienza. Deriva dalla fede il voto di povertà, e deriva dalla speranza il voto di obbedienza.
3. Poi, la carità. Da questa virtù procede la castità. Amare Iddio con tutto il cuore sopra ogni cosa, senza interposte persone. Dio. Amare il Signore.
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[Primo:] allora le virtù teologali sono la base delle virtù religiose.
I voti sono mezzi. Le virtù religiose son la povertà, castità e obbedienza. Ci impegniamo coi voti per aver più grazia e più forza, come quando uno vuole fare un pellegrinaggio, lo pensa, se poi s'impegna anche col voto [è] più obbligato. E quindi i voti sono un mezzo per vivere la povertà, vivere l'obbedienza, vivere la castità. Significa, quindi, consacrare a Dio tutta la mente, tutto il cuore, tutta la volontà. E significa vivere la vita cristiana; quando è meglio vissuta, diviene la vita religiosa.
Creati per conoscere. E' la fede. Bisogna conoscere questo Dio, Chi egli è. Allora la fede, si nutre la fede. Creati per conoscere Dio. E, secondo, per amarlo: ecco la carità. E poi per seguirlo, cioè servirlo: la speranza. Prender quella strada che conduce a Dio, sì.
Ora è chiaro che, se un'anima è debole nella fede o nella speranza, nella carità, non si santifica; arriverà forse a salvezza più o meno, ma se si vuol la santità, [occorrono] queste virtù fondamentali, virtù teologali. Sono più perfette in sé perché riguardano Dio.
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Secondo: sono le virtù che ci orientano nella vita, in qualunque momento.
«Sono venuto da Dio, son venuto nel mondo, ritorno a Dio»1. Cosi diceva Gesù e cosi dobbiam dire noi: Siamo venuti da Dio, siamo venuti in questo mondo per fare qualche cosa, e ritorniamo a Dio. Quindi, come tirare un filo, dal momento che Dio ha creato l'anima nostra al momento in cui c'è l'ingresso nel beato regno, nella casa del Padre celeste. Ci ha messi al mondo con la sua grazia, con la sua potenza creativa e ci vuole nella sua casa paterna, il Padre nostro. Questo è concepir tutta la vita, la vita anche umana, ma specialmente cristiana e specialissimamente la vita religiosa.
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[Terzo:] poi di lì dipendon tutte le virtù.
Davanti a Dio l'anima si umilia: che cosa siamo? gocce d'acqua trascinate verso il ponte dell'eternità, come un fiume. E allora l'umiltà.
E se veramente si spera il paradiso, tutto si utilizza per il paradiso, anche l'abito, anche le più piccole cose, tutto ci deve servire ed essere usato in ordine al paradiso, neppure un boccone preso per gusto solamente, ma in quanto serve a rafforzare le forze, mantenersi nel servizio di Dio e nell'apostolato, che è sempre servizio di Dio. Quindi si è sempre in un'atmosfera soprannaturale:
"Io non ho tante cose da acquistare e tante preoccupazioni della terra, io ho una sola preoccupazione: santità, Dio, felicità, eterna felicità, tutto". E allora non si trova altro bene da amare se non Dio e quelli che sono i figli di Dio in senso spirituale, pregando, dando buon esempio, aiutando, e tutto quello che è servizio del prossimo. Quindi: amore a Dio e amore al prossimo. Allora la vita è sempre orientata bene.
Allora la vita non è un peso, e anche la disgrazia che succede, e anche se la mamma è partita, (ha lasciato questa vita); anche se una ha un ufficio, se una ha un'altra... un'umiliazione, ecc., come si guarda? Tutto questo, siam persuasi, serve a Dio, cioè serve al servizio di Dio, alla santificazione: omnia cooperantur in bonum1 allora, dice san Paolo.
Coloro che sono orientati verso Dio, tutto trovano che è utile, che è mezzo per il paradiso, la vita divien soprannaturale, viene lieta; si sa che qui si sta poco tempo e che il nostro posto è lassù, in cielo. Allora sì che la vita è condotta in un fervore, in uno spirito soprannaturale, con vedute sempre orientate, o come diceva Pio XII, "ultra terrene". Vedere al di là della vita presente, veder sempre al di là, e allora tutto viene fatto e cordinato all'al di là. Pensieri "ultra terreni". Questa è la base.
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Propositini, che sono parte di questi tre propositi, ma o l'uno o l'altro di questi tre sono necessari. D'altra parte noi vogliam santificar la mente, quindi il proposito che riguarda la mente; vogliam santificare la volontà, quindi il proposito: compiere l'obbedienza, cioè santificare la volontà. E santificazione del cuore, sì, amare il Signore. Tutto il cuore.
Veder se c'entra un filo lì dentro che non sia Dio. Il distacco completo e, per quanto sta da noi, per abituarci e andare in Dio, preferire ciò che è più comodo? No, mai. Preferire ciò che è meno comodo; preferire ciò che è più difficile a quel che è più facile; preferire lo stare con persone o in uffici che non son graditi a noi, piuttosto che a uffici o con persone che ci sembrano più simpatiche, di carattere più conforme al nostro. Contrariare le tendenze umane, perché le tendenze si concentrino poi tutte in Dio. E allora si arriva alla fin della vita che si è proprio preparati per il cielo, altrimenti bisogna fare quei distacchi, e distacchi mediante le sofferenze del purgatorio.
Anime che son preparate così al passaggio, all'eternità. E la morte resta come una spinta all'uscio per cui si entra da una camera, che è il mondo presente, all'altra l'altra camera che è l'abitazione del Padre celeste, si entra purificati, abbelliti, soprannaturalizzati, evangelizzati, verginizzati.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 56/e (= cassetta 126/a). - In PM non vi è nessun indizio cronologico. - dAS, 30/4/1963: «Verso le ore 6 va [il PM] ad Ariccia per una meditazione alle PD (...). Verso le 8,30 parte per Parigi. Ritorna a Roma il 12/5/'63 alle ore 12,40. Nello stesso pomeriggio va ad Ariccia per l'Introduzione degli Esercizi Spirituali alle PD (corso straordinario)». - VV (cf c66).

1 Gv 17,3.

2 Cf Mc 16,16.

3 Cf Ap 1,8.

1 Cf At 4,12.

1 Cf Gv 16,28.

1 Rm 8,28.