Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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3. TEMPO DI PENITENZA

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via Portuense 739, 26 febbraio 19601

Quanto alla liturgia ci troviamo nel tempo detto di Settuagesima12, il quale tempo comprende tre domeniche: la domenica propriamente chiamata Settuagesima, la domenica chiamata Sessagesima e la domenica prossima chiamata Quinquagesima.
La domenica Settuagesima, già passata, voleva dire: sette domeniche prima della domenica di Passione e nove domeniche prima della domenica di Pasqua. Così: tre domeniche, tempo di Settuagesima; quattro domeniche, Quaresima, e poi due domeniche di Passione, cioè la domenica chiamata propriamente di Passione e la domenica delle Palme.
Tutto questo costituisce la preparazione che la Chiesa vuole che facciamo alla celebrazione del grande mistero, alla festa principale dell'anno, cioè la domenica di Pasqua, la risurrezione di Gesù Cristo.
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Ogni ciclo liturgico ha tre parti. Come il Natale: la preparazione, la celebrazione e il frutto, così adesso abbiamo: la preparazione alla Pasqua, la celebrazione della Pasqua e poi i frutti della Pasqua.
La preparazione alla Pasqua è piuttosto lunga, ma la Chiesa ha stabilito così, perché il tempo di Settuagesima sia già esso stesso una preparazione alla Quaresima e viene chiamata, in alcuni luoghi, la piccola Quaresima, piccola Quaresima in preparazione alla grande Quaresima.
Il carattere del ciclo natalizio era un carattere gioioso: si aspettava il Messia, lo si chiamava dal cielo che venisse. L'Avvento. E poi la grande gioia di riceverlo: Dio con noi, il Redentore, il Messia che viene a compiere tutte le promesse, tutte le profezie dell'Antico Testamento. Tempo gioioso.
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Ma il tempo attuale ha una specie di carattere di mestizia, mestizia per due ragioni:
Primo, perché dobbiamo fare l'esame di coscienza: vedere quanto è mancato, da parte nostra, alla glorificazione di Dio, al bene che dovevamo contribuire a portare al mondo intiero; quello che è mancato alla Congregazione; quello che è mancato ad ognuno di noi, a fine di concepire un pentimento più vivo della nostra incorrispondenza alla grazia. E perciò le confessioni ben fatte. Riparazione.
Secondo
motivo di questa mestizia è la compassione che dobbiamo avere, nutrire nel nostro cuore per i dolori del Salvatore Gesù, poiché se noi abbiam mancato, egli è Redentore e viene a colmare ciò che è mancato, per il vuoto nella nostra vita. Vi sono dei tempi in cui dovevamo amare di più il Signore, certamente. E ognuna, per quanto sia di buona volontà, può sempre dire di non aver corrisposto a tutta, tutta la grazia, sempre una certa quantità di acqua, diciamo così, se ne cade inutilmente sulla terra, come è caduto molto seme sulla strada o in terreno ghiaioso o in terreno coperto di spine, secondo la parabola del Vangelo1. Allora noi patiamo con Gesù, che vuol dire "compassione", patire-con lui e, nello stesso tempo, eccitarci all'amore perché egli si è preso i nostri peccati per portarli al calvario e là scancellarli, dando piena soddisfazione al Padre, pagando di sua persona i debiti nostri, col Signore, col Padre celeste. Compassione.
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Il Natale è per la Pasqua, perché Gesù è venuto per morire. Il Figlio di Dio si è incarnato prendendo un corpo ed un'anima come abbiamo noi, si è fatto veramente uomo onde poter patire e morire e, quindi, soddisfare per tutte le colpe, anche le più intime, le più gravi; poiché le sue sofferenze non sono state solamente quelle esterne che più facilmente si considerano, ma sono le sofferenze, in maggior numero, e più intime, e più forti per il cuore di Gesù, le sofferenze interne, del suo spirito, della sua anima, del suo cuore. Quindi la preparazione alla Pasqua ci ricorda che noi abbiamo ricevuto dal cielo il Figlio di Dio fatto uomo. E abbiamo considerato il Bambino a Betlemme, nella grotta. Ma questo era il primo passo. Il secondo è la immolazione, e il terzo è il dono di se stesso a noi, nell'Eucaristia, per rimanere continuamente in mezzo di noi come egli era uomo e Dio, due nature in una sola Persona, sempre presente nei nostri altari e sempre rinnovando la sua passione e morte nella santa Messa e facendosi cibo all'anima nostra.
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Quale è il pensiero, quindi, dominante nella Quaresima?
Il pensiero dominante è come una santa mestizia
, ma non quella mestizia che si può dire tristezza, abbattimento, scoraggiamento, no. Quella mestizia che ci porta a sorgere dalle nostre miserie, dalla nostra freddezza, dalla nostra indifferenza, che ci porta, quindi, ad un'unione più intima con Gesù. Una letizia sarà il frutto. Questa santa mestizia ha per frutto la santa letizia; letizia del giorno pasquale, quando la Chiesa riprenderà l'Alleluia, il Sabato Santo. Ora ha escluso nella recitazione del Breviario, ha escluso l'Alleluia per sostituirlo con Laus tibi Domine. Riprenderemo, questo.
È una tristezza la quale serve a tre scopi: prima, riconoscere i nostri torti e detestarli; secondo, rimediarli e poi riconquistare.
E cioè, primo, riconoscendoci come siamo e riconoscendo che le nostre mancanze hanno pesato sul cuore di Gesù, particolarmente durante la sua preghiera nel Getsemani, quando sudò sangue. Riconoscendoci e detestando. E quindi chiedendo al Signore la sua grazia, la sua misericordia. E se noi l'abbiam fatto sudar sangue, quel sudore di sangue, che cada sopra di noi a lavare l'anima nostra.
[Secondo:] ma il peccato non basta detestarlo, bisogna che si rimedi: se c'era l'orgoglio che sostituiamo l'umiltà; se c'era la nostra testa dura, la disobbedienza, mettere l'obbedienza senza cercar le ragioni. La ragione è: piace a Dio, questo; è tutta lì. Non che debba piacere a noi, ma che piaccia a Dio quel che viene disposto o permesso: se viene permesso un'infermità, se viene data una disposizione. E noi dobbiamo ricordare che l'obbedienza è quella che salva. Quello che costituisce la Messa, quindi la consacrazione, quello che ha costituito il sacrificio della croce, è l'obbedienza al Padre, l'obbedienza totale. Con tutte le ragioni, con tutta la sua innocenza si è preso le nostre colpe e ha fatto un omaggio intiero della sua vita, in quanto era uomo, al Padre celeste, sì. Poi così, rimediare a tutte le altre nostre deficienze. Che non ci siano più quei vuoti nella nostra vita, quei vuoti che forse ci sono stati nel passato.
E terzo, riconquistare. Riconquistare con tanto più amore, ma soprattutto, con tanta più fede. Riconquistare quello che è stato da noi perduto, perché il valore del sangue di Gesù è infinito. Se abbiamo fede e amore, quel sangue ci viene applicato più abbondantemente. E allora ecco che noi possiamo riacquistare quello che abbiamo perduto, con ore più intense di amore e di fede, a sostituire le ore che sono state vacanti per la nostra anima, che sono state vuote. Il sacrificio, però, accetto al Signore è più, in primo luogo, l'obbedienza.
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Vedete, la prima domenica di Settuagesima si chiamava la domenica di Adamo, perché si celebra il nuovo Adamo: Cristo Gesù. Adamo, padre di tutti gli uomini viventi.
La seconda domenica, che era domenica scorsa, la domenica di Noè. Noè che è chiamato il padre della posterità, quando il Signore ha lavato la faccia della terra col diluvio, la faccia della terra sporcata da tanti peccati e ha riservato Noè. Non ha voluto estinguere il genere umano e allora da Noè, tutta la discendenza. Quindi Noè è chiamato il padre della posterità.
E la domenica prossima, che è domenica di Quinquagesima, è dedicata ad Abramo. E nella liturgia ambrosiana era la festa più avanti che si chiama la festa di Abramo. La Chiesa romana l'ha anticipata. Oh!
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Abramo fece tre atti di grande obbedienza e di fede e quindi piacque al Signore.
Quando ebbe l'ordine di uscire dalla sua terra e portarsi in un'altra terra che il Signore aveva preparato a lui, e partì lasciando tutto quel che aveva, la parentela, ecc.
Secondo atto di fede, quando egli, nonostante la sua età, credette di diventare il padre di un figliuolo e anche che nella sua discendenza l'umanità sarebbe, poi, benedetta e che la sua discendenza sarebbe stata più numerosa che le stelle del cielo. E credette e si compì.
Poi, più ancora, il Signore domandò un altro sacrificio; più ancora, cioè più grave, più penoso, che certamente costò a lui, al suo cuore di padre, tanto: quando gli ordinò di sacrificare sul monte l'unico figlio Isacco. Poteva dubitare: e come mai? devo diventare il padre di una larga discendenza, numerosa più che le stelle del cielo e l'arena del mare, un unico figlio e devo sacrificarlo sul monte. Ma la sua fede e la sua obbedienza prevalse.
E il Signore benedice sempre quando c'è la fede, si opera per lui, supremo Padrone, con l'autorità di disporre di noi e il suo Figliuolo unico Signor nostro, cioè colui che veramente può comandarci.
E allora la bontà, la tenerezza del padre e l'ordine di Dio vennero come a contrasto nel suo animo, nell'animo di Abramo. Prevalse l'obbedienza, la fede. E, egli partì caricando sulle spalle del figliuolo Isacco il legno da portare sul monte per stabilire l'altare e su cui immolare il figlio.
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Gesù Cristo portò la croce per il suo supplizio. Ricevette la croce dopo la condanna da parte di Pilato, la croce che portò al calvario.
Ma vi è una differenza che possiamo dire, in qualche modo, infinita, perché sul monte Abramo aiutò il figlio a erigere l'altare col legno portato e mise, Abramo, il figlio sopra l'altare, perché dopo che fosse [stato] immolato doveva venir bruciato. Ma il Signore fermò Abramo quando alzò il coltello per colpire il figlio. Ecco il sacrificio fu risparmiato e venne sostituito al figlio un capro espiatorio che fu immolato da Abramo.
Ma il Padre celeste non sostituì il Figlio, Gesù Cristo. Dopo portato il legno al calvario, il Figlio subì la crocifissione e la morte. Egli aveva pregato: «Padre, se vuoi, ecco, allontana da me questo calice»1. E il Padre non volle. Volle che il sacrificio fosse pieno, oltre a tutte le immaginazioni che possiamo avere noi. E il valore, oltre a tutte le immaginazioni che possiamo avere noi. Ed ecco l'ultima parola del Figlio al Padre che gli chiede il sacrificio della sua vita: «Padre, nelle tue mani, rimetto il mio spirito»2. La morte.
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Ora, noi abbiam sempre da richiamarci a questo, quando si tratta di obbedienza, specialmente quando si tratta di obbedienza religiosa, perché lì si prova se uno ama davvero il Signore e se davvero dice e sente: mi do tutto al Signore, non mi riservo niente. E allora i ragionamenti umani devono cadere. E il ragionamento è superiore, è ispirato dalla fede: "Tu sei l'unico Signor nostro, fa di me quello che ti piace". Fiat mihi secundum verbum tuum1. Egli propriamente si concentra nella vita religiosa, sia perché si abbracciano le Costituzioni, sia perché si fa la Professione, sia perché si ricevono le disposizioni e cioè, ci rimettiamo a quello che vorrà esser disposto di noi, presto o tardi, oggi o domani, in quel che ripugna e in quel che piace: solo, sempre, ovunque: «quel che piace a te, o Padre»2.
E nella nostra vita possiamo venire assoggettate a molte prove inattese, tanto che qualche volta può essere che diciamo: come mai, questo? come mai? Il "come mai" si risolve dicendo: mi son donato del tutto al Signore, egli può mettermi tanto in un cantuccio, come può mettermi sopra una colonna dove tutti riconoscano i meriti che posso avere.
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Oh! E qui, la penitenza. Prima la penitenza obbligatoria, poi può venire qualche penitenza di consiglio o di libera scelta, ma prima l'obbligatoria: l'obbedienza. Penitenza la testa, perché è la testa che ha mancato, in primo luogo. Ci saranno state anche le mani, anche la lingua; ma queste mancano, le mani, la lingua, mancano in quanto è la testa che ha deciso e si è ribellata al volere del Signore, ai comandamenti del Signore. Poi le penitenze: la vita regolare, gli orari, sono obbligatori; poi il dominio dei sensi: degli occhi, la lingua e l'udito; e poi le penitenze nel compiere l'apostolato, il quale sempre richiede applicazione e nell'applicazione c'è il sacrificio. Allora, le penitenze obbligatorie. Poi se si vuole fare qualche cosa di consiglio ancora, e si potrà fare, ma in primo luogo teniamoci a quello che è già stabilito. E ce n'è tanto! E ce n'è tanto!
E non è molto necessario che andiamo a cercare penitenze di consiglio o volontarie, specialmente pensando che abbiamo sempre qualche difetto. Penitenza nel correggerci, nel dominarci, ecco. Poi penitenza può essere che sia il lavoro spirituale, interiore, che ci porta al raccoglimento, sì.
Ecco, allora, prendere bene questo tempo e possiamo anche aggiungere che il mondo è sempre contrario a Gesù Cristo, ecco. Si vuole allontanar la Quaresima, cioè il concetto della Quaresima: mortificazione, penitenza; non si vogliono più né digiuni, né astinenze, però ingrossano il carnevale, dove vale la carne e cioè il sentimento, la passione e, anziché prepararsi alla Quaresima, moltiplicano i peccati. Ma i peccati più gravi e più numerosi son quelli della stampa cattiva, del cinema cattivo, della radio cattiva, della televisione cattiva. Riparare, in questi giorni, anche per gli altri.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 29/b (= cassetta 68/b). - Per la datazione, cf PM: «Quanto alla liturgia ci troviamo nel tempo detto di Settuagesima (...) la domenica prossima chiamata Quinquagesima».(Nel 1960 la Domenica di Quinquagesima cadeva al 28 febbraio). - dAS, 26/2/1960: «[il PM] tiene meditazione alle PD di via Portuense».

2 Secondo l'ordinamento dell'anno liturgico prima del Vaticano II.

1 Cf Mc 4,3-20.

1 Lc 22,42.

2 Lc 23,46.

1 Lc 1,38.

2 Cf Gv 8,29.