Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE V
COME ACCRESCERE I MERITI PER LA VITA ETERNA

[43] Dobbiamo riempire la vita nostra di meriti. Il merito è il diritto ad una ricompensa che ha l'opera buona. C'è anche il demerito, ossia il castigo che merita l'opera cattiva.
Noi possiamo ogni giorno: 1) aumentare la grazia interiore, la santità, mediante le opere buone fatte con retta intenzione; 2) possiamo meritare grazie attuali che ci aiutino a crescere nella virtù; 3) possiamo meritare la vita eterna.
Ciò che invece non si può meritare neppure dai migliori, è la perseveranza finale: questa è una grazia che bisogna domandarla ogni giorno. Circa la perseveranza siamo tutti incerti e da un momento all'altro potremmo cadere in peccato anche se già fossimo santi come S. Luigi.
[44] Perché un'opera sia meritoria si richiede: 1) che sia interamente buona in sé, 2) buona nel fine, 3) fatta da una persona in stato di grazia. Questo ci interessa moltissimo perché alla fine della vita non vogliamo poi trovarci delle brutte sorprese, come chi raccoglie pomodori che esternamente sembrano buoni e dentro sono marci.
Perché dunque l'opera sia buona, deve essere buono l'oggetto, ossia quello che si fa. Ascoltare la Messa per es. è opera buona in sé, andare a divertimenti pericolosi è invece opera cattiva in sé. Dire una parola buona ad una persona afflitta è buono in sé; rispondere malamente è cosa cattiva in sé. È cosa buona che un'anima preghi, è cosa cattiva che si lasci andare a fantasticherie, a pensieri inutili, cattivi, vani.
Inoltre l'opera deve essere fatta con fine buono per essere meritoria, perché può succedere che una cosa buona in sé, diventi anche peccato per il fine totalmente cattivo con cui vien fatta. A misura che l'intenzione diventa cattiva, l'opera viene man mano guastata. Se l'intenzione è guasta del tutto, allora tutta l'opera rimane guastata.
L'opera dev'essere ancora buona nelle circostanze di tempo, di luogo, di persone, ecc. Così per es. è buona cosa dire una parola d'esortazione ad una sorella, ma non bisogna, ordinariamente, dirla in tempo di silenzio. Dovete fare una correzione,
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ma non è bene farla in pubblico, per es. in libreria, ma a tu per tu. Tante cose poi si possono dire a suore anziane, a professe, ma non | [45] mai a bambine sotto pena di commettere imprudenze.
Inoltre l'azione dev'essere ben fatta e per farla bene bisogna incominciarla a tempo: se si va a studio, cominciare subito a studiare; se si va a pregare, cominciare subito a pregare: badare che la negligenza non impedisca di incominciare a tempo, di procedere con ordine, di compiere bene l'azione.
Passando da un'azione ad un'altra possiamo trovarci in difficoltà, ma la virtù dell'opera è la perseveranza fino alla fine.
Perché un'opera sia veramente buona, occorrono tutte le condizioni e cioè: che sia buono l'oggetto, il fine, le circostanze: «Bonum ex integra causa»: se la nostra opera avesse anche un solo difetto non sarebbe più buona. Ma queste tre condizioni rendono l'opera, buona solo naturalmente. Affinché sia meritoria e soprannaturale, si richiedono altre due condizioni: prima, che l'anima sia in grazia di Dio perché: «sine me nihil potestis facere»1; se anche uno dicesse una giaculatoria ma non in grazia, non farebbe alcun merito. «Se io distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri, ma fossi privo della grazia, non guadagnerei alcun merito»2, dice S. Paolo.
Seconda condizione è che l'opera si compia per motivi soprannaturali, cioè perché piace a Dio, non per motivi umani. Quindi per il Paradiso, per aumentare i meriti, per far penitenza dei peccati, per le anime purganti, per far | [46] piacere alla Madonna, ecc. Se mancano i motivi soprannaturali, l'opera resta buona in sé, ma non merita nulla per il Paradiso; è buona per la terra, non per il cielo. Ma se operiamo per la terra, avremo già ricevuto la ricompensa: «Jam recepisti mercedem tuam»3. Il Signore premia solo il lavoro che si fa per lui.
Per fare il bene ci vuole l'intenzione di fare il bene; per fare il male non occorre avere l'intenzione di farlo, basta farlo.
Al mattino (per. es.) nelle preghiere noi offriamo a Dio la nostra giornata con intenzione diretta e va bene. Per fare il male, invece, non occorre che si dica: Io voglio far dispetto a Dio (questo sarebbe diabolico); basta commetterlo, per dar disgusto a Dio.
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Per commettere peccato non fa bisogno dire esplicitamente: Io voglio offendere Dio, io voglio disubbidire, io voglio dare scandalo; basta assecondare la tentazione. È il bene che bisogna volere direttamente, affinché sia meritorio.
Far bene l'esame per vedere se le nostre azioni sono buone in sé; se sono fatte con fine soprannaturale e se sono compiute in grazia di Dio.
Talvolta facciamo proprio delle cose che non sono buone in sé; più spesso perdiamo il merito per difetto del fine retto.
L'aumento dei meriti dipende da tre cose: 1) dalla disposizione divina che è varia da persona a persona; la religiosa ha una disposizione divina sopra di sé più favorevole all'aumento dei | [47] meriti; 2) dalla grandezza e bontà dell'opera in sé e dalla moltitudine delle opere. Il celebrare o ascoltare la S. Messa è cosa più grande e per sé più meritoria che lo scopare; una vita di novantadue anni ben spesa, comprende più opere buone che non una vita di soli quindici anni; 3) dallo stato di carità di un'anima. Quello che noi facciamo può essere cosa piccolissima, di nessun valore estrinseco; ma il Signore misura la carità, l'affetto, l'amor di Dio con cui quella cosa viene fatta. Può essere che una suora guadagni minor merito di una madre di famiglia perché compie i suoi doveri con poco amore. Può essere che una persona che fa gli uffici più umili, guadagni assai più meriti di una che abbia uffici elevati e difficili. Quante volte le suddite guadagnano più meriti che le maestre!
Se un'anima ha la grazia prima uguale a 1, e compie un'opera buona, aggiunge all'1 uno zero e allora la grazia resta moltiplicata per 10. E se poi fa un'altra opera buona, aumenta ancora la sua grazia, aggiunge un altro zero al 10 e ottiene 100. E in tal modo si accumula un numero illimitato di meriti preziosi per l'eternità.
Soprattutto si badi che l'opera sia buona in sé, fatta con fine soprannaturale, in grazia di Dio.
La retta intenzione deve però dominare sopra tutte le altre condizioni.
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ISTRUZIONE VI
IL GIUDIZIO DI DIO

[48] La quarta considerazione per la novena del Paradiso è sul giudizio di Dio.
Il giudizio è un altro passo verso la nostra ascensione al cielo; un altro passo verso la glorificazione dell'anima fedele. Subito dopo la morte vi è il giudizio particolare, l'altro è il giudizio universale che Gesù farà di tutta l'umanità alla fine del mondo1.
Noi abbiamo un duplice complesso di doveri: il primo in quanto siamo persone private, il secondo in quanto siamo persone pubbliche, ossia membri della società.
I doveri come privati saranno esaminati al giudizio particolare, i doveri come persone pubbliche al giudizio universale.
E cioè l'osservanza dei comandamenti, della | [49] vita religiosa ecc., sarà giudicata nel particolare; i doveri invece che si ebbero come membri della società: apostolato, uffici di direzione, saranno esaminati al giudizio universale, innanzi all'umanità intera: una maestra di fronte ai suoi scolari; una scrittrice di fronte alle anime dei lettori; una propagandista di fronte alle anime avvicinate... E siccome noi operiamo sempre in pubblico, si vedranno i buoni esempi e i cattivi.
In ogni giudizio vi è la citazione, la discussione della causa e la sentenza.
Iddio esercita il giudizio per mezzo di Gesù Cristo: «Omne judicium dedit Filio»2.
Dio ci inviterà al giudizio con una citazione solenne, potente, chiamandoci a sé con la morte.
II giudizio si fa in un istante, però in quel brevissimo istante si compiono tante cose, che ora hanno bisogno di spiegazione (quelle di cui parlano i libri di ascetica intorno all'accusa, condanna, ecc.). Per intenderle noi abbiamo bisogno di considerarle una per una.
Questo Gesù ci giudica sempre: noi siamo continuamente giudicati. Gesù vede ogni anima e poiché vede fino in fondo al cuore
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egli può dire ad ogni istante: Quest'anima mi ama; oppure: Quest'anima non mi ama. Il suo giudizio sulla nostra vita è continuo. Ora però egli tace.
Anche alla sera quando si va a riposo, sentiamo che Gesù ci approva: Tu mi ami; oppure | [50] disapprova: Tu sei piena di te stessa, tu non mi ami.
Il suo giudizio, dopo la morte, sarà manifestato anche a noi. E' il giudizio che Gesù ha di noi nel momento in cui spiriamo.
L'anima è trascinata dal peso delle colpe all'Inferno o, se è senza peccato, è attirata da Dio. Dio è una calamita che attira l'anima. Non c'è bisogno né dei demoni che vengano a tirare l'anima, né che vengano gli angeli: vi è il peso dei peccati o il peso dei meriti che porta l'anima al luogo meritato.
Siccome il Paradiso (come l'Inferno e il Purgatorio) oltre che uno stato, è anche un luogo, l'anima è attirata nel luogo beato dal peso dei propri meriti, o all'Inferno dai peccati, o essa stessa desidera purificarsi se non lo è completamente.
Il giudizio è il parere che ha Gesù sulla nostra anima. In vita questo giudizio può mutare mutando l'anima, ma dopo la morte il giudizio divino resta immutabile poiché allora l'anima non può più né fare un atto di dolore, se in peccato, né aumentare i suoi meriti.
È questa una gran consolazione sulla terra. Sei tu davvero diligente in tutti i tuoi doveri? Cerchi veramente il Signore? Gesù può avere su te un parere buono? Fa' in modo che egli non debba più cambiarlo. Che importa ciò che dicono gli uomini? Le opere nostre sono manifeste a Dio. Dio scruta le reni e i cuori3. Devono temere quelli che hanno intenzioni non buone, che | [51] fanno il male, che cercano ancora di soddisfare se stessi.
Che cosa può contare il giudizio degli uomini? Essi possono ingannarsi, scambiando un'ipocrita che copre il male con bene apparente, per una devota; ma davanti a Gesù quest'anima è doppiamente colpevole.
Ciascuno di noi può conoscere quale è il parere, il giudizio di Gesù su di sé, in questo momento: se egli è contento di lui o se non lo è. Così è ogni volta che ci presentiamo a Gesù, al mattino, alla Visita, ecc.
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Il giudizio di Gesù è favorevole se il nostro cuore è retto; sfavorevole se il cuore non è retto.
Appena uscita l'anima dal corpo, Gesù sfolgora su di essa una luce, in modo da manifestare il suo giudizio. E in quella luce che Gesù manderà su di noi, in un baleno si vedrà tutto: si vedranno i doveri che avevamo, le grazie ricevute e tutta la storia della misericordia che Dio usò verso di noi, cioè gli sforzi di Dio. D'altra parte quella luce ci farà vedere tutte le nostre opere compiute dal primo istante dell'uso di ragione; tutti i pensieri, i desideri, le parole dette, i sentimenti del cuore. L'anima allora capisce se è degna di odio o di amor di Dio.
E la sentenza verrà subito eseguita. L'anima buona entrerà immediatamente in cielo. Che gaudio entrare nella città santa, nella Gerusalemme celeste! Essa passerà fra gli angeli e i santi, si presenterà al trono della SS. Trinità, si | [52] avvicinerà a Gesù; comincerà la visione beatifica, il gaudio beatifico, l'amore beatifico. Occorre però esser molto puri per entrare subito in Paradiso. L'anima che non è del tutto monda desidera andare in Paradiso, ma prima desidera purificarsi e va diritta in Purgatorio, e vi andrà da sé, non volendo portare il peccato là dove tutto è luce, splendore.
Se poi l'anima avrà dei peccati gravi dal peso di essi sarà trascinata nell'Inferno. Quale terribile giornata per quest'anima: fiamme e fuoco che non si estingueranno in eterno! L'anima sentirà come una divisione: disruptio, si sentirà cioè attirata a Dio, verso il cielo e nello stesso tempo trascinata dalle sue colpe all'Inferno, respinta da Dio; sarà come disfatta da questa attrattiva e da questa ripulsa.
Quali responsabilità abbiamo noi! Sulla terra abbiamo quattro grandi mezzi di santificazione: ci salveremo se useremo bene questi mezzi. Primo mezzo: i sacramenti in cui Gesù stesso opera e produce il frutto. Specialmente i due sacramenti che riceviamo più spesso: la Confessione e l'Eucaristia (come Sacrificio, come presenza reale e come Comunione). Grandi mezzi per farci santi. «Quid ultra debui facere et non feci?»4 può domandarci Gesù. Terribile responsabilità!
Secondo mezzo per farci santi ci è dato dalla Chiesa nei sacramentali: acqua benedetta, rosario, tutte le cerimonie della
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Messa, abito religioso, | [53] vita religiosa, le preghiere che si dicono da mattino a sera, la vita liturgica, le processioni. Approfittare di questi mezzi, specialmente della vita religiosa.
Terzo mezzo: la pratica delle virtù: le virtù teologali, le virtù religiose, le virtù quotidiane, le virtù di famiglia.
Quarto mezzo: l'orazione, con la quale otteniamo tutto: le grazie attuali, la santificazione, la vita eterna.
Al giudizio di Dio vedremo la responsabilità nostra davanti a questi mezzi di salvezza che Dio ci ha offerti.
La morte ci inviterà al tribunale di Dio dove la luce divina ci farà vedere lo stato nostro: le grazie ricevute e la nostra corrispondenza. Subito sarà eseguita la sentenza (il parere che Gesù ha su di noi). Pensiamo alle nostre responsabilità. Siamo noi che facciamo dire a Gesù: Sono contento di te; oppure: Non sono contento di te. E Gesù è contento se adoperiamo bene i mezzi di salvezza che egli ha messo a nostra disposizione.
Ognuna veda di poter indovinare il giudizio che Gesù ha su di lei. Umiliamoci pure: pensiamo che è un giudizio veritiero e non possiamo davvero ingannare Gesù, né valgono davanti a lui le nostre scuse.
Egli sa che cosa possiamo e dobbiamo fare: nessuno ci capisce meglio di lui. Egli sa se | [54] siamo scusabili o se è solo l'amor proprio che ci guida, se è ipocrisia, passione, finzione quello che ci tiene indietro e ci fa mancare ai nostri doveri. Certe volte sembra amor di Dio e invece è amor proprio.
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1 Gv 15,5: «... senza di me non potete far nulla».

2 Cf 1Cor 13,3.

3 Cf Mt 6,2.

1 Cf Mt 25,31-46.

2 Gv 5,22: «... ha rimesso ogni giudizio al Figlio».

3 Sal 7,10.

4 Is 5,4: «Che cosa dovevo ancora fare... che io non abbia fatto?».