Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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46.
L'UFFICIO DIVINO

(PB 5, 1941, 378-384)

I.

1. Il Breviario è un complesso di preghiere e letture tratte dalla sacra Scrittura e dai Padri, o composte dalla Chiesa, che devono essere recitate, in tempi stabiliti, da persone a ciò deputate. Viene chiamato anche: ufficio ecclesiastico, perché viene recitato in nome della Chiesa; ufficio canonico perché fu istituito secondo le regole dei canoni; ufficio divino, perché viene eseguito per il culto e l'onore di Dio. Si dice invece breviario, sia perché in breve ricorda le parole della Scrittura, la dottrina dei Padri e la vita dei Santi, e sia perché è un compendio tratto da diversi libri usati una volta dai sacri ministri. Spesso viene chiamato dai dotti anche salterio, opus Dei, orarium, canon, synoxis, collectae, ore canoniche, ecc.; tutti questi nomi illustrano ottimamente l'eccellenza e lo scopo del breviario.
La storia dell'ufficio divino prova meravigliosamente la cura che la Chiesa ha perché venga data al breviario una forma sempre più perfetta ed una maggiore santità, e perché i ministri sacri dalla recita di esso, possano sempre più ricavare copiosi frutti.
Nella prima epoca, fino al Papa Damaso, vige quasi la stessa divisione del tempo già praticata dagli ebrei nella loro preghiera pubblica. Tuttavia, nei secoli terzo e quarto, le ore canoniche sono già tante quasi come oggi. Nella seconda epoca, per opera di S. Damaso Papa, le preghiere devono essere recitate con un dato ordine unico, e sono distribuite equamente lungo la settimana, per ogni giorno. Nella terza epoca, S. Gregorio il Grande di molti libri destinati all'ufficio divino ne compone uno solo. Ai tempi di Gregorio VII, il breviario subisce nuovamente una elaborazione. Nella quarta epoca, vengono fatte da S. Pio V alcune variazioni ed aggiunte accidentali, fino a che Pio X non ne intraprende una nuova riforma: restituisce alle Domeniche il loro antico valore, e dispone le cose in modo che tutto il Salterio possa essere recitato entro la settimana.
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2. Con il breviario odierno sale a Dio il culto in ogni tempo, e la preghiera della Chiesa, fatta dai ministri di Dio, si intreccia senza fine alle lodi dei beati. Il breviario si compone di sette ore: mattutino e lodi; succedono le quattro ore minori, ed i vespri e completorio. Il mattutino si suddivide in tre notturni, ognuno dei quali consta di salmi e di letture. Nelle feste dei Santi le letture del primo notturno sono tratte dalla sacra Scrittura; le lezioni del secondo notturno, dalla vita dei Santi; quelle del terzo notturno, dalle omelie dei Dottori sul Vangelo della festa.
Ed ecco l'efficacia santificatrice dell'ufficio divino: nel primo notturno si legge la parola di Dio; nel secondo si dice come la parola di Dio fu tradotta in pratica dai santi; nel terzo notturno si dice in quale maniera la stessa parola di Dio debba da noi essere osservata, affinché possiamo riceverne il premio. Il divino ufficio è una lode perenne a Dio: in ogni ora dell'ufficio vi è un inno, posto o in principio o in fine dei salmi.
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3. Il breviario (sia che se ne consideri il contenuto, che è tutto divino, perché è o desunto dalla Scrittura, o composto con l'ispirazione o con l'approvazione della Chiesa; sia che se ne consideri la disposizione secondo le diverse ore; sia che se ne consideri la distribuzione lungo i diversi giorni della settimana) è tale che non se ne può desiderare uno migliore o più adatto a riempire l'anima dei ministri di Dio di spirito divino.
Anche la grande efficacia impetrativa del breviario appare se si considera che l'ufficio divino viene recitato in nome e per comando della Chiesa. I ministri divengono presso Dio il cuore e la bocca della Chiesa; essi in Cristo e con Cristo compiono la lode di Dio, ed offrono per gli uomini il sacrifizio importantissimo di impetrazione. Essi, tra il vestibolo e l'altare, sono la propiziazione per i peccati degli uomini.
S. Alfonso raccomanda molto l'ufficio divino, affinché i Sacerdoti, specialmente se pastori, lo recitino con vero spirito di pietà. Ne esalta l'importanza con queste parole: «Cento orazioni private non possono avere tanto valore quanto ne ha una sola orazione dell'ufficio divino; poiché questa viene offerta al Signore, a nome di tutta la Chiesa, e con le stesse parole di Dio... Siamo fermamente persuasi che, dopo il santissimo Sacrifizio della Messa, nella Chiesa non vi è tesoro più prezioso del divino ufficio, dal quale, ogni giorno, noi possiamo attingere fiumi di grazie» (Opp. ascet. III, § 847, L'Officio strapazzato).
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II.

1. Il principale dovere del Sacerdote è quello di offrire per il popolo doni e sacrifizi; egli è incaricato della lode divina: deve pregare per il popolo e per le necessità della Chiesa. Affinché non fosse lasciato all'arbitrio di ciascun Sacerdote lo stabilire la quantità di preghiera che deve fare, la Chiesa ha determinato quale sia il minimo di questa preghiera a cui il Sacerdote è tenuto, prescrivendo cioè la recita del divino ufficio. Quest'obbligo proviene da tre titoli: dal sacro ordine del sottodiaconato; dal beneficio ecclesiastico, per la legge del Concilio Lateranense V che stabilisce anche pene per chi l'omette; dal titolo di vita religiosa; se la istituzione religiosa è tenuta al coro, in ogni casa religiosa si debbono recitare le ore canoniche in coro, da tutti i religiosi propriamente detti.
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L'obbligo di recitare le ore canoniche è grave; pecca perciò gravemente colui che è tenuto alla recita, e tralascia tutto l'ufficio di un giorno, od una notevole parte di esso, e lo tralascia senza una legittima causa. La recita fa parte dell'importantissima virtù della religione: e chi la omette lede il precetto in materia grave. S. Alfonso considera materia grave quando tutte le parti omesse, unite assieme, arrivano alla lunghezza di una delle ore minori.
Scusa dalla recita dell'ufficio l'impotenza sia fisica, sia morale; così è scusato chi è gravemente malato o colui che è convalescente da malattia grave; costui è scusato per alcuni giorni, a giudizio di persona prudente, fino a che non si sia rimesso in forze. Scusa pure dalla recita un motivo di carità, come è un'occupazione importante che dura lungo tempo, e che non può essere interrotta senza scandalo o notevole danno del prossimo; il precetto della carità prevale sulla legge ecclesiastica. Perciò è scusato, sia totalmente e sia parzialmente dalla recita dell'ufficio quel Sacerdote che passa tutta una giornata ad udire confessioni che non può differire; o che inaspettatamente viene chiamato presso un moribondo, e dopo non gli rimane più tempo per dire l'ufficio; o che deve preparare in fretta una predica, che non può omettere senza recare scandalo; o che è occupato tutto il giorno a sedare risse, o ad assistere i malati in tempo di epidemia. Il buon Sacerdote però si esime dalla recita dell'ufficio solo a malincuore e raramente.
La dispensa ottenuta toglie l'obbligo del breviario, se il dispensante è il Sommo Pontefice, od il Vescovo munito di facoltà; spesso però si suole concedere non la dispensa, ma la commutazione in altre preghiere.
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2. Le ore canoniche devono essere recitate secondo la forma prescritta dalla Chiesa; tale forma è quella conforme alla costituzione Divino afflato di Pio X; a meno che non si debba osservare la forma speciale del calendario o direttorio proprio, nel qual caso l'ufficio deve essere recitato ogni giorno come è ivi prescritto. Chiunque si allontana dalla propria diocesi per qualche tempo, può conformarsi o al calendario della propria diocesi, oppure al calendario della diocesi in cui dimora; durante il viaggio però ognuno può seguire il calendario universale.
Inoltre le ore canoniche devono essere recitate sia secondo gli uffici, sia secondo l'ordine delle varie ore. La disposizione degli uffici si trova nel calendario delle feste della diocesi o della congregazione religiosa, o nelle rubriche che riguardano la traslazione delle feste, quando ne cadono più di una in uno stesso giorno. Chi scientemente e senza una causa ragionevole sconvolge quest'ordine, recitando invece dell'ufficio del giorno un altro ufficio, pecca, gravemente o lievemente, secondo la diversità degli uffici; non pecca invece se fa ciò per una certa necessità o causa notevole, il che deve però succedere rare volte. Le disposizioni per la recita si trovano nello stesso breviario: si recitano prima mattutino e le lodi e poi le ore brevi: prima, terza, sesta e nona, ed in fine il vespro e completorio. Ancorché si possano addurre cause ragionevoli per inficiare quest'ordine, il buon Sacerdote tuttavia osserverà le rubriche con spirito di ubbidienza e di pietà.
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3. Nella recita è richiesta e raccomandata almeno quella devozione che renda la recita medesima atto di religione; né soddisferebbe al precetto del breviario chi leggesse le ore canoniche solo per acquistare scienza, o per uniformarsi all'agire di un amico, ecc. È necessaria l'intenzione di pregare, non però attuale ed esplicita, ma almeno virtuale ed implicita; che abitualmente si ha quando si prende il breviario e si recita per soddisfare al precetto. Chi non si curasse in nulla dell'attenzione interna, peccherebbe almeno venialmente, perché si diporterebbe con irriverenza verso Dio. Perciò all'inizio della recita si dice: «O Signore,... purifica il cuor mio da ogni pensiero vano, cattivo ed estraneo» (Breviarium Romanum: Aperi).
Chi invece non si accontenta di strettamente soddisfare solo al precetto, ma intende di pregare con pia devozione ed utilità propria, con tutto il cuore premette all'ufficio quella preghiera che lo unisce a Cristo, affine di dire le varie ore con Gesù che prega, per Gesù che prega ed in Gesù che prega: «O Signore, io recito queste ore, in unione a quelle intenzioni divine con cui tu in terra, hai lodato Dio» (Breviarium Romanum: Domine, in unione...).
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Dio non sopporta che le cose che lo riguardano vengano compiute con negligenza: «Maledetto chi fa con negligenza l'opera del Signore» (Gr 48,10). Quale maledizione? «Maledirò le vostre benedizioni» (Ml 2,2). Medita gli avvisi di un certo Concilio: «Non pigri, non sonnolenti, non neghittosi, non guardando in giro, non in posa del corpo indecente» bisogna essere durante la recita del divino ufficio (cf Conc. Lat. IV, a. 1215). La recita del breviario sia fatta generalmente prima delle altre opere di ministero, perché tra i doveri sacerdotali il principale è quello di pregare per il popolo, «affinché quello che il popolo da solo non può fare verso Dio egli (il Sacerdote) meriti di ottenere ciò che ha chiesto per il popolo» (S. Agostino). Che cosa dolorosa è vedere il pastore che, lasciata l'orazione, comincia a combattere da solo contro il demonio! Che relega all'ultima ora del giorno, quando è già stanco, la recita del breviario! Che ne sarà della sua anima? Quale frutto riporterà dalle sue fatiche ? Non riporterà frutto stabile, né abbondante. Beato invece il pastore che confida nella preghiera: egli riporterà grande frutto, perché avrà Dio con sé; Dio che lavora per lui.
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III.

1. Iniziando l'ufficio divino si dice: «Apri, o Signore, la mia bocca, affinché io benedica il tuo santo nome,... affinché possa recitare questo ufficio in modo degno, con attenzione e devozione» (Breviarium Romanum, Aperi). Le ore canoniche devono essere recitate in modo degno, ossia vocalmente, per intero, ed in maniera continuativa. Con queste parole si esprime il munus oris, che, secondo il Concilio Lateranense IV, a. 1215 (c. Dolentes), deve essere adempiuto con diligenza.
Bisogna recitare l'ufficio vocalmente, ossia distintamente, perché è una preghiera vocale, e non semplicemente mentale. Perciò non è sufficiente leggere solo mentalmente, e percorrere le parole stampate soltanto cogli occhi. Né è sufficiente recitare le parole con la gola e fra i denti, o sincopando, o solo muovendo la lingua, o volontariamente abbreviando o precipitando. Non si richiede però che colui che recita l'ufficio oda le sue parole. Quando si recita in due bisogna che ambedue pronunzino le parole in modo da udirsi reciprocamente. Recita l'ufficio per intero colui che dice anche le parti introduttive e conclusive delle singole ore, come è prescritto dalle rubriche. Si deve recitare in maniera continuata, ossia senza interrompere una stessa ora, eccetto che vi sia una ragionevole causa scusante, che si ha, secondo la dottrina dei vari autori, quando vi è qualche utilità propria od altrui, per urbanità, per devozione, per eseguire i comandi dei superiori, per udire la confessione di uno che non ha pazienza di attendere. Si può anche sospendere la recita, quando vi è da fare qualche cosa all'improvviso, o si deve prendere una nota, e tanto più quando si vuole emettere qualche pio affetto del cuore, o qualche breve preghiera.
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L'ufficio deve essere recitato con attenzione, per rendere a Dio l'ossequio della mente. È certo che nella recita dell'ufficio si richiede una certa attenzione, giacché se questa manca, la recita delle ore non può più essere un ufficio spirituale, che si offre a Dio. Dicono i dottori che chi, recitando il divino ufficio, non ha almeno l'attenzione esterna, non adempie alle sue obbligazioni; così colui che fa una cosa incompossibile con l'attenzione interiore, come è, per esempio, parlare, scrivere, ascoltare attentamente altri a parlare. Chi vuole pregare in modo utile fa ancora di più: non si permette facilmente di osservare le persone o le cose circostanti, di cogliere fiori, di istruire i bambini, di assistere altri, e simili. L'attenzione interna consiste nell'applicazione della mente a ciò che si sta facendo; e questa, nella recita dell'ufficio può essere fissata su tre cose: l'una più perfetta dell'altra, ossia: alle sole parole, badando a pronunziarle giustamente; al senso delle parole per comprenderle; a Dio od alle cose divine, in modo che durante la recita il pensiero rimanga fisso in Dio, o negli attributi divini o nei misteri della passione di Cristo, o nelle azioni della SS. Vergine o dei Santi. Impediscono l'attenzione interna le distrazioni volontarie, che, costituiscono facilmente peccato veniale. È sufficiente l'attenzione morale e generale alle parole, con l'intenzione di pregare.
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L'ufficio deve essere recitato con devozione. Per eccitare la devozione vengono usate dai Sacerdoti pii alcune industrie: alcuni, nelle diverse ore, da mattutino a completorio, pensano principalmente alla passione del Signore: nel mattutino pensano all'ultima Cena, nelle lodi all'orazione dell'orto; a prima, alla sentenza pronunziata contro Gesù dal tribunale ebraico; a terza, alla flagellazione ed alla incoronazione di spine; a sesta, alla condanna a morte; a nona, al viaggio al Calvario; a vespro alla morte di Cristo, a completorio, alla sua risurrezione. Altri, ad ogni singola ora chiedono le principali grazie per santificare una parte del giorno, da essi pure diviso in sette parti. Altri mettono un'intenzione speciale per ogni parte del breviario: di aderire cioè a Dio con la mente, con la volontà, con il cuore; di evitare il peccato, di adempiere il proprio dovere pastorale, di amare la Chiesa, di soccorrere i moribondi, di liberare le anime purganti, di ottenere una buona morte, e simili.
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2. Molti Sacerdoti mettono, per ogni giorno della settimana, le diverse intenzioni, stampate al principio di qualche edizione del breviario, e cioè: Domenica: in unione con...; ad onore della SS. Trinità; in ringraziamento del beneficio della creazione, della redenzione, ecc.; a soddisfazione dei peccati...; per ottenere l'aiuto divino... Feria II: in unione con...; ad onore dello Spirito Santo; in ringraziamento per i benefici speciali...; in riparazione delle ispirazioni trascurate...; per ottenere la grazia di non essere pigro o sordo alle buone ispirazioni, ma pronto e diligente... Feria III: in unione con...; ad onore dei santi Angeli custodi; in ringraziamento del loro aiuto naturale e soprannaturale...; a riparazione di tutte le ispirazioni trascurate...; per ottenere la grazia di essere in avvenire docile alla loro guida...
Feria IV: in unione con...; ad onore di S. Giuseppe e dei santi Apostoli...; in ringraziamento per il gloriosissimo esempio di virtù da loro lasciatoci...; in riparazione per tutte le ingiurie loro arrecate con la parola, con lo scritto e con le azioni...; per ottenere la grazia di seguire generosamente i loro esempi eroici, e di conseguire una morte preziosa al cospetto del Signore... Feria V: in unione con...; in onore della santissima Eucaristia; in ringraziamento per la sua istituzione, per le singole Messe, per i sacrifizi da me offerti...; in soddisfazione e riparazione di tutte le ingiurie verso questo sacratissimo sacramento dell'amore...; per ottenere la grazia di non celebrare mai indegnamente, ma di celebrare invece sempre devotamente...
Feria VI: in unione con...; ad onore del sacratissimo Cuore di Gesù...; in ringraziamento dell'immenso amore che questo Cuore ci porta...; a soddisfazione e riparazione di tutte le ingiurie degli uomini ingrati...; per ottenere amore ardentissimo, per evitare la tiepidezza nel convertire i peccatori... Sabato: in unione con...; ad onore della beata Maria Vergine; per tutte le grazie ricevute mediante la sua pia intercessione presso Dio...; in riparazione di tutte le negligenze nel servizio di sì grande ed amorevole Signora...; per ottenere la grazia della continua fede, speranza e carità.
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3. Luogo opportunissimo per l'ufficio divino è la chiesa, specialmente se in essa si conserva il SS. Sacramento, affinché si possa lucrare l'indulgenza plenaria. Privatamente però si può recitare in ogni luogo, purché la recita sia fatta senza disprezzo e purché il luogo non sia incompatibile con l'attenzione e l'intenzione richiesta. Se si tratta invece della recita corale, allora bisogna osservare la prescrizione delle rubriche in quanto allo stare in piedi, genuflettere, ecc. Molto giova alla più fruttuosa recita dell'ufficio l'osservanza dei tempi convenienti dalla Chiesa prescritti, come viene esposto dagli autori approvati.
I mezzi più adatti per evitare le distrazioni della mente sono: a) In principio della recita del breviario, mettere l'intenzione di lodare Dio; b) Rinnovare questa intenzione ad ogni singolo Gloria al Padre, od al principio di ogni Salmo; c) Rappresentarsi qualche mistero della passione; d) Custodire diligentemente i sensi; e) Leggere almeno una volta in vita una traduzione ed un commento dei Salmi; f) Unirsi agli altri Sacerdoti che pregano, ed agli angeli che salmeggiano a Dio; g) Mettersi in ispirito alla presenza della SS. Trinità. Ed altri accorgimenti del genere.
Dopo la recita dell'ufficio è cosa lodevole dire la preghiera Sacrosanctae, con la quale Pio X intese ottenere a chi devotamente la recita il perdono dei difetti e delle colpe commesse nella recita stessa dell'ufficio.
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Esame di coscienza. - Quale è la stima che io ho dell'ufficio divino? Quale conoscenza ne ho delle singole sue parti? Quale sollecitudine ho di adempiere questo precetto? Ho sempre soddisfatto alla mia obbligazione, recitandolo in modo degno, con attenzione e devozione, ed osservando le prescrizioni riguardo al luogo ed al tempo debito?
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