Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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24.
LA FORTEZZA

(PB 3, 1939, 265-269)

I.

1. La fortezza è virtù cardinale che rafforza l'animo dell'uomo ad affrontare e sopportare in modo debito le cose difficili, anche i tormenti, e lo stesso pericolo di morte. Se la fortezza è sostenuta dalla grazia divina ed opera per amore di Cristo, diventa virtù soprannaturale; ne abbiamo un esempio nei martiri. La fortezza è la fermezza dell'animo nelle fatiche e nei pericoli, giacché è nell'intraprendere e sostenere cose ardue che si dimostra la costanza. Senza perseveranza non vi può essere alcuna virtù, e perciò senza fortezza non vi è santità.
Nella fortezza si trovano due parti: intraprendere e sostenere con fermezza di animo. Il sostenere è l'atto principale, perché è più difficile reprimere il timore che non l'audacia. Per questo S. Tommaso d'Aquino dice: «La fortezza è circa i timori e le audacie, quasi coibitiva dei timori e moderativa delle audacie» (Summa, 2.a 2.ae, q. 123, a. 3).
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Mentre viviamo su questa terra, si oppongono al nostro progresso nella virtù molti e gravi ostacoli, ogni giorno rinnovantisi. Non bisogna temere, ma coraggiosamente agire; essere forti, umilmente avanzare sempre. Spesso gli uomini santi, sull'esempio di Cristo Maestro, trovano calunnie, malattie, ludibri, persecuzioni, secondo quel detto: «Tutti quelli che piacquero a Dio passarono per molte tribolazioni, restando fedeli» (Gi 8, 23); e: «Nel mondo voi avrete afflizioni; ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). «Sostenere è più difficile che aggredire» (S. Tommaso, Summa, 2.a 2.ae, q. 123, a. 6, ad l.um).
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2. Nella fortezza vi si distinguono tre gradi: quello degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti.
Vi è il grado degli incipienti, perché la vita dell'uomo sulla terra è una milizia, una guerra cioè continua contro gli ostacoli, per vivere rettamente. Coloro che aspirano alle cose celesti devono sostenere fatiche ed avversità, in questa vita. Anche il minimo grado di grazia è un bene maggiore di tutti i beni naturali, quali possono essere la fama, le ricchezze, le comodità. Il male più grande è il peccato, ed è meglio morire che peccare. I forti nella fede attendono agli uffici ed ai doveri del proprio stato; essi resistono e non paventano le derisioni e le dicerie degli uomini.
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Il pastore di anime fortemente propugna i diritti della Chiesa e di Dio; quando si tratta della salvezza del gregge è pronto a dare la sua vita. Cristo confessò il Padre davanti ai giudici, e disse: «Chi pertanto mi riconoscerà davanti agli uomini, anche io lo riconoscerò davanti al Padre mio» (Mt 10, 32). Chi bada soltanto alla gloria di Dio non teme neppure l'indignazione dei falsi fratelli ed il loro dispiacere, memore delle parole di S. Paolo: «Se io cercassi di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo» (Gt 1,10). Nell'incoronazione del Sommo Pontefice si usa bruciare un po' di stoppa ed ammonire: Padre, così passa la gloria di questo mondo!
Iddio è colui che ci deve giudicare; e bisogna solo badare al giudizio di Dio: «Mio giudice è il Signore» (1Cr 4,4); «Chi si gloria, si glorii nel Signore» (1Cr 1,31); «Poiché, non chi loda se stesso è uomo provato, ma chi è lodato da Dio» (2Cr 10,18).
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3. Vi è la fortezza dei proficienti, ossia di coloro che imitano la fortezza di Cristo. Il Signore venne nel mondo per redimere gli uomini. Nella sua vita privata si assoggettò alla povertà, alla mortificazione ed all'ubbidienza. Fin dalla culla è cercato a morte; deve fuggire in esilio, e per trent'anni conduce una vita umile e dura, e nel lavoro quotidiano ci ammaestra a vivere con fortezza ed umiltà.
Nella vita pubblica poi Gesù vince il demonio, sostiene il digiuno per quaranta giorni, condanna i pregiudizi dei giudei; con pazienza istruisce gli apostoli, si erige contro gli scandali e contro l'errata interpretazione della legge e contro le insidie dei farisei. In fine della sua vita terrena vi è la passione: «Ed essendo in agonia, pregava ancor più intensamente» (Lc 22,44); «E cominciò a sentirsi oppresso dallo spavento e dall'abbattimento» (Mc 14,33). Davanti ai giudici, nella flagellazione, nella coronazione di spine, nella condanna a morte e nel viaggio al patibolo, mentre viene crocifisso ed agonizza sulla croce, Gesù esercitò le virtù della mansuetudine e della fortezza, e ce ne lasciò l'esempio: «Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi l'esempio» (1Pt 2,21).
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Il terzo grado di fortezza è quello dei perfetti. Essi chiedono a Dio anche il dono della fortezza, e verrà dato loro lo spirito di fortezza; il dono infatti perfeziona la virtù, infondendo la vitalità dello Spirito Santo, come si legge di S. Stefano: «Or Stefano, pieno di grazia e di fortezza...» (At 6,8); «pieno di Spirito Santo» (At 7,55). Questo dono spinge ad operare ed a sopportare fino all'eroismo. Ne abbiamo degli esempi in S. Vincenzo de' Paoli ed in S. Teresa, i quali, pure in una vita occupatissima, esercitavano costantemente uno spirito di altissima orazione; nei santi Tommaso d'Aquino e Carlo Borromeo che conservarono la castità anche in mezzo ai pericoli; in S. Luigi, S. Francesco Saverio, S. Giovanni Crisostomo che sostennero le tribolazioni della vita con grande cuore e buona volontà; nei santi martiri i quali non si lasciarono smuovere né da blandizie né da paura della morte, e riportarono la palma del martirio. Questo dono viene promesso a tutti quelli che perseverano nell'orazione: «Ricevete la virtù dello Spirito Santo che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni» (At 1,8); «Agli occhi degli stolti parve che essi morissero... ma essi sono nella pace» (Sp 3,2.3).
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II.

1. Le virtù annesse alla fortezza sono quattro: due ci inclinano ad operare cose grandi, ossia la magnanimità e la magnificenza; le altre due ci inclinano a sopportare fortemente.
a) La magnanimità d'animo o la nobiltà di spirito è la disposizione che inclina ad opere grandi ed eroiche in ogni genere di virtù, quando si tratta della gloria di Dio e del bene del prossimo. Differisce dall'ambizione che è egoista, mentre la magnanimità è l'abnegazione di se stesso e la dedizione al bene del prossimo: come fa il medico durante il contagio, il soldato durante la battaglia, il pastore che vede il lupo venire ed espone a pericolo la sua vita per la salvezza del gregge. A questa virtù appartiene la fiducia ossia la confidenza e la sicurezza. La differenza tra la sicurezza e la fiducia consiste in questo: la sicurezza richiede una certa perfetta tranquillità dell'animo; la fiducia invece è una certa forza della speranza. Spesso la magnanimità si manifesta nelle opere di beneficenza, quando si sacrifica per il prossimo ogni cosa: salute, denaro e la stessa fama; e ciò si fa con prontezza, con speditezza, e con gioia.
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b) La magnificenza è virtù che inclina ad opere grandi, e primieramente a ciò che riguarda il culto di Dio, anche da eseguirsi con grandi spese, secondo la guida della retta ragione. Differisce dalla magnanimità, perché la magnificenza riguarda, secondo S. Tommaso (Summa, 2.a 2.ae, q. 134, a. 2, ad 2.um), qualche cosa di fattibile. È in merito a questa virtù, che da tanti secoli ed anche al presente, si erigono nuovi templi, si moltiplicano le scuole, si sostentano i chiamati al sacerdozio, si istituiscono sindacati, missioni, patronati, congregazioni religiose ed università. Non si richiedono sempre le ricchezze, ma si richiede invece sempre quella carità paziente che spinge ed infiamma i cuori, come si può vedere nei santi Giuseppe Cottolengo e Giovanni Bosco. Un certo vescovo, dopo l'edificazione di un grande tempio a Cristo Re, fece porre questa iscrizione: «Questa chiesa venne costruita con il consiglio dei ricchi e con i soldi dei poveri».
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2. c) La pazienza è una virtù che rende forte l'animo a sopportare afflizioni. Essa ci conserva, nella tristezza, il bene della ragione, affinché la ragione non venga travolta dall'afflizione. La pazienza è sommamente necessaria all'uomo, perché, in questa vita mortale, i mali da sopportarsi sono di numero e gravità forti, e perché la passione della tristezza impedisce l'uso della ragione secondo S. Paolo: «La tristezza del mondo produce la morte» (2Cr 7,10), e secondo l'Ecclesiastico: «La tristezza ne ha fatti morire molti, e non serve a nulla» (El 30,25 Vg). Si possono leggere i capi 5 e 17 della Pratica di amar Gesù Cristo di S. Alfonso de' Liguori.
Alla pazienza si aggiunge la longanimità: «Avendo dunque Cristo patito nella carne, ornatevi anche voi dello stesso pensiero» (1Pt 4,1); «Con Cristo sono confitto in croce» (Gt 2,19); «Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia» (Mt 5,10); «Se però soffriamo con lui per essere con lui glorificati» (Rm 8,17); «Volentieri adunque mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, affinché abiti in me la virtù di Cristo» (2Cr 12 9); «Sono inondato di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni» (2Cr 7,4).
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3. d) La perseveranza è virtù per la quale l'uomo con fermezza persiste in ogni opera buona, non ostante le molestie e le difficoltà che provengono dalla lunga durata dell'opera. Questa virtù è affine alla longanimità che è l'equanimità nel tollerare l'afflizione, mentre il bene sperato si allontana da noi. Ancora: la perseveranza è affine alla costanza, virtù che dà quell'immutabilità nel bene, tanto necessaria al Sacerdote, per mantenersi equanime nel pensiero in ogni cosa, e per perseverare invariabile contro tutte le difficoltà che possono sorgere. «Il regno dei cieli si acquista colla forza, e sono i violenti che se ne impadroniscono» (Mt 11,12). «O patire o morire», diceva S. Caterina; «Patire e non morire», ripeteva S. Teresa.
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III.

1. Esame di coscienza sui vizi che si oppongono alla fortezza: a) L'ignavia, vizio per difetto, rifugge dall'intraprendere ciò che si deve, per ricacciare il male. S. Agostino pregava: «Da', o Signore, ciò che comandi, e comanda ciò che vuoi». La troppa timidezza impedisce spesso di fare il bene; il Signore infatti disse: «Non si turbi il vostro cuore» (Gv 14,1). b) La temerità, vizio per eccesso, intraprende ciò che un uomo prudente non oserebbe. In pratica è assai difficile determinare quando si devono seguire i consigli dettati dalla prudenza e quando invece quelli dettati dallo zelo. L'audacia si ha quando si confida troppo nelle proprie forze. c) Alla magnanimità si oppongono: la presunzione, l'ambizione, la pusillanimità; alla magnificenza si oppongono: la pignoleria e la profusione inutile, alla pazienza si oppongono: l'insensibilità o la viziosa indifferenza, e la impazienza, perché «La carità... tutto spera, tutto sopporta» (1Cr 13,4.7); alla perseveranza si oppongono tanto la pertinacia irragionevole, quanto l'incostanza e la mollezza, poiché «tutto io posso in colui che mi dà forza» (Fl 4,13).
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2. «Beato l'uomo che soffre tentazioni, perché, quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita da Dio promessa a quelli che lo amano» (Gc 1,12). «Se uno mi vuol servire, mi segua; e dove sono io, ivi sarà pure il mio servo; se uno mi serve l'onorerà il Padre mio» (Gv 12,26), dice il Signore. «Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna» (Gv 12,25). «Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua!» (Lc 9,23). «Una corona d'oro stava sopra la sua mitra coll'iscrizione di santità, magnifico ornamento, prezioso lavoro che rapiva gli occhi colla sua bellezza» (El 45,14 Vg).
«Il discepolo non è da più del maestro, né il servo da più del suo padrone. Basta al discepolo d'essere trattato come il maestro, e al servo come il padrone. Se han chiamato Beelzebul il capo di casa, quanto più i suoi familiari! Non li temete adunque, poiché non c'è niente di nascosto che non debba essere rivelato, e nulla di segreto che non si debba sapere. Quel che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce del sole; e quello che vi è stato detto all'orecchio predicatelo sui tetti. Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perdere anima e corpo nella Geenna» (Mt 10,24-28).
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3. Condizioni per la fortezza: a) Fiducia in Dio, che può liberarci da ogni male, e darci ogni bene. Egli infatti «ciò che è stolto agli occhi del mondo ha scelto... per confondere i sapienti, e ciò che per il mondo è debole, per confondere i forti,... e ciò che non esiste, per ridurre al niente ciò che esiste» (1Cr 1,27s.). Iddio strappò Susanna dalle mani dei due vecchi, diede Oloferne nelle mani di Giuditta, conferì a Davide potere sopra Golia, ed alla Chiesa concesse sempre la vittoria sui nemici. «Accostiamoci pertanto con piena fiducia al trono di grazia per ottenere misericordia e trovare grazia ed aiuto al momento opportuno» (Eb 4,16).
b) Guardare in tutte le cose al fine. Fare perciò tutto a gloria di Dio, a pace e santificazione delle anime. Allora sarà con noi Iddio, e se noi moriremo, Dio non muore, e mentre noi moriamo giungiamo a Dio.
c) Prevedere le difficoltà, come deve fare ogni uomo prudente; non diminuirne l'entità, né esagerarla. Disporre ogni cosa rettamente, e con fiducia dire: «Io levo il mio sguardo ai monti; donde può venirmi l'aiuto?» (Sl 120,1).
d) Amare Iddio; veramente forte è colui che ama Iddio, perché: «L'amore è forte come la morte» (Cn 8,6); «Tu sei il mio Dio tutelare» (Sl 42,2). Degni di essere ricordati sono gli esempi degli Apostoli e specialmente le parole di S. Paolo: «Chi accuserà gli eletti di Dio?... Chi ci potrà separare dall'amore di Cristo? La tribolazione o l'angoscia o la persecuzione o la fame o la nudità o il pericolo o la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per mezzo di colui che ci ha amato. Sì, io ne sono sicuro: né la morte né la vita... né alcun'altra creatura ci potrà separare dall'amore di Dio» (Rm 8,33.35.37.38s.).
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