Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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31.
GESÙ NEL PRESEPIO

(PB 6, 1942, 509-514)

I.

1. Il presepio è scuola di verità. - È veramente notevole il numero dei buoni Sacerdoti. È un buon Sacerdote quello che stima grandemente la meditazione, l'esame di coscienza e la visita al SS. Sacramento; quello che, vivendo la propria vocazione, si infiamma di zelo per le anime; quello che, considerando la brevità della vita, è affamato ed assetato di giustizia; quello che realmente mortifica se stesso, prende la sua croce e segue Gesù. Il buon Sacerdote lavora seriamente per la sua emendazione, e per il quotidiano profitto, sotto la guida di un sapiente e pio direttore.
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Il Bambino Gesù, pur tacendo, insegna, dal presepio, molte cose al pio Sacerdote e specialmente l'umiltà, la povertà e la pazienza.
Insegna l'umiltà. Considera le parole che S. Paolo apostolo dice di questo Bambino: «Poiché egli, sussistendo nella natura di Dio, non stimò di dover ritenere come preda gelosa l'essere in uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso prendendo la natura di schiavo, divenendo simile agli uomini» (Fl 2,6s.). Questa è l'umiltà di abiezione: impariamo ad abbassare noi stessi. S. Gregorio il Grande dice: «Sarebbe difatti intollerabile imprudenza, che, dove la Maestà si annichilò, quivi un vermiciattolo si gonfiasse ed inorgoglisse». Per noi annientarsi consiste nel non cercare la nostra gloria ma soltanto la gloria di Dio; consiste nell'attribuire il bene che abbiamo non a noi ma a Dio, consiste nel non venire meno di animo a causa delle tribolazioni; consiste nel rallegrarci di ogni tribolazione come di ben meritata pena: «Sono inondato di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni» (2Cr 7,4); consiste nel riconoscere i nostri errori e peccati.
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2. Gesù insegna la povertà. Si contempli la stalla piccola, sporca, disadorna, aperta ai venti ed alla pioggia; si contempli la mangiatoia destinata in uso agli animali e non agli uomini, cambiata in culla, e contenente un po' di strame; si contempli Gesù piccolino posto in essa, non coperto di vesti indorate o preziose, ma avvolto in poveri pannicelli. Ognuno costata che questa è povertà somma: come prima casa Gesù ha una stalla, come culla ha una greppia, per fasce ha rudi panni.
Questo bambino, ancorché bisognoso e povero ed abbandonato dagli uomini, è il Figlio di Dio, ed è lo stesso Dio, come mi insegna la fede: «Dio vero da Dio vero,... per il quale tutte le cose furono fatte» (Simbolo Niceno. - Denzinger n. 54). Poteva egli scegliere un altro modo, se avesse voluto, per mostrarsi agli uomini: avvolgersi in un lussuoso e regale apparato; ma non volle. Desiderò piuttosto essere privo di tutte le cose, affinché noi imparassimo a stimare e ad amare la povertà, e ad amare con vera carità i poveri. Davanti al presepio si capisce meglio il significato delle parole: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli!» (Mt 5,3).
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3. Gesù insegna la pazienza. «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli... e si fece uomo» (Simbolo niceno-costantinopolitano. - Denzinger n. 36). Ma come fu accolto? «Venne in casa sua, e i suoi non lo ricevettero» (Gv 1,11). Altri invece lo condannarono a morte. E tuttavia egli non si lamenta: tace quando è abbandonato, come tacerà quando sarà ingiustamente accusato e condannato. Avrebbe potuto lamentarsi dell'incuria degli uomini, della crudeltà usata verso di lui e verso la madre sua; preferì però tacere; e tacendo, dice S. Agostino, combatté la malizia dei suoi nemici, e col silenzio riportò su di essi vittoria.
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La pazienza è necessaria nelle ingiurie, nelle avversità, nelle fatiche, nelle malattie, nelle pene spirituali. Se manteniamo il silenzio, moltiplicheremo le vittorie. Il Sacerdote tutto pazientemente tollera, in Cristo Gesù. Dobbiamo distinguere in questa equanimità tre gradi.
Primo grado: Il Sacerdote che soffre cose moleste e dure non si perde di animo, non desiste dal lavorare, non cerca di distrarsi per ricevere sollievo. Conserva egli la stessa fedeltà di prima, la stessa applicazione della mente, la stessa sollecitudine nell'operare. Sente il peso della tribolazione, ma non ne è vinto. Geme sotto questo peso, ma è sempre disposto a fare la volontà di Dio, anche se dovesse per questo affrontare altre e più gravi sofferenze. Egli ripete: «Padre mio, se è possibile passi da me questo calice; tuttavia non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu» (Mt 26,39); «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42).
Secondo grado: Sopportando cose moleste e gravose, il Sacerdote ringrazia Dio, ben sapendo che è utile patire con Cristo Gesù, per la salvezza delle anime. Umiliato, dice al suo Dio: «Buon per me che ho avuto a soffrire, che così mi sono avvezzato alle tue istituzioni!» (Sl 118,71).
Terzo grado: Non soltanto il Sacerdote sopporta con pazienza e con gioia i suoi dolori, ma ne cerca con giocondità altri, ne desidera altri, e ripete: «O soffrire, o morire!». Risplende infatti davanti a lui l'esempio del divino Bambino, che per primo cercò per noi tanti e così grandi dolori. Per te, o Gesù dolcissimo, voglio sopportare ciò che soffro.
O buon Maestro, queste lezioni sono utilissime. Io umile tuo scolaro ti supplico: traimi dietro ai tuoi esempi; correrò dietro al profumo delle tue virtù!
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II.

1. Il presepio è via. - Mondano è il Sacerdote che si lascia guidare dallo spirito del mondo e non dallo spirito di Cristo. I mondani si preoccupano unicamente della vita presente. Il mondo insegna che l'uomo non può essere felice se non aumenta di continuo le sue ricchezze, se non risplende per gli onori, se non guazza nelle delizie. I Sacerdoti mondani stimano, amano e cercano con grande avidità i beni temporali, gli onori, la fama. Fanno grande estimazione delle comodità della vita e dei piaceri. Sono uomini terreni nei pensieri, negli affetti, nelle parole, nelle azioni; non gustano le cose dello spirito; non cercano le cose del paradiso. Questi Sacerdoti vadano al presepio, ed ascoltino e comprendano quanto severamente Gesù Bambino li condanni. Gesù «sopportò di giacere sul fieno, non disdegnò la greppia, si accontentò di poco latte, lui che dà da mangiare agli uccelli» (Breviario Romano: In Nativitate Domini, Inno di Lodi, str. 6.a).
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Mi figurerò di udire Gesù dire ad ognuno di questi Sacerdoti: Io ti ho eletto, o Sacerdote, preferendoti fra mille. Con rilevanti spese fatte dai tuoi genitori e con tante cure, ti ho educato per lunghi anni, fino a quando hai potuto salire all'altare. Ti ho innalzato col sacerdozio; ti ho destinato ad una sublimissima missione, affinché a te ed a molti venissero aperte le sorgenti della vera felicità. Ed ecco che ora ti vedo, o Sacerdote, diportarti come si diportano tanti mondani; con grande fatica ti scavi delle cisterne aride, che non possono contenere acqua di felicità. Tu sei vano come le cose che cerchi. Vani sono i beni temporali: io non li ho cercati; «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30). Tu ti agiti per la tua dignità dicendo che il Sacerdote è un altro Cristo! Ma quanto la tua condotta è diversa dalla mia! Dicendo di essere tu un altro Cristo, riconosci quali dovrebbero essere i tuoi doveri e la tua condotta, ma con i fatti poi ti contraddici. Io ho cercato le cose spregevoli; tu cerchi le cose preziose e le ricchezze; la perdita dei beni temporali ti reca tristezza. Grande errore! La felicità non sta nelle ricchezze. Da quando hai cominciato a cercare i comodi ed il danaro, sei divenuto meno felice e più misero. Se le ricchezze fossero bastanti per rendere felice il cuore dell'uomo, io, quando venni nel mondo, le avrei procurate ai miei amici; ne avrei riservata una parte speciale ai miei eletti, ai Sacerdoti; avrei resa ricca la beata Madre mia ed il mio padre nutrizio. Invece, al contrario, io entrai nel mondo povero, vissi sempre povero, morii povero. Ecco la via che deve battere il Sacerdote, colui cioè che tiene le mie veci.
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2. Gesù continua: Cisterne aride sono per te gli onori e la stima degli uomini; non desiderare queste cose; non invidiare i fratelli che le hanno; la perdita di queste cose non ti addolori, né ti abbatta. Ancorché l'onore sia migliore di molte ricchezze, tuttavia il cercarlo è vanità ed afflizione di spirito. Io invece non ho cercato la mia gloria, ma la gloria di colui che mi ha mandato, del Padre. Considera la mia nascita ed i desideri del tuo cuore, e giudica, tra me e te, chi sia il più sapiente. In quelle cose che tu predichi agli altri, non è posta la tua condanna? Tu dici: «Imparate da me, perché sono dolce ed umile di cuore» (Mt 11,29), e tuttavia nel tuo operare desideri la gloria umana, gli onori, le dignità. Ti addolori poco della perdita delle anime, ma molto della perdita della stima. La mia vita ti condanna; il mio presepio è contro di te; confronta lo stato della mia umiliazione con le aspirazioni del tuo cuore. Medita e cerca di comprendere: «La grazia di Dio si è manifestata fonte di salvezza per tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinnegare l'empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, con giustizia e pietà, aspettando la beata speranza» (Tt 2, 11-13).
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3. Cisterne senz'acqua sono le comodità, le lussuosità, i cibi squisiti sulla mensa, le agiatezze della vita. Ecco io, - continua a dire Gesù, - nato da poco, sono in somma povertà, in angustie, in incomodi. Son nato nel cuor dell'inverno in una notte burrascosa, sotto il freddo cielo, in luogo esposto a tutti i venti, mancante di tutto ciò che è maggiormente necessario per la tenera età. Seguire me comporta di passare per la strada stessa per la quale passai io, e di premere le mie stesse orme, come dice il mio Apostolo: «Chi dice di stare in lui deve vivere come Gesù ha vissuto» (1Gv 2,6). Seguire me comporta imitare le mie virtù; agire come ho agito io; parlare come ho parlato io; rivestirsi dei sentimenti miei; inoltre: stimare ciò che io ho stimato, e disprezzare quello che io ho disprezzato. Mi seguirai in grado sommo, o Sacerdote, se completamente e non solo in parte, aborrirai tutto ciò che il mondo ama ed abbraccia, se accetterai e desidererai con tutte le tue forze quello che io ho amato ed ho abbracciato.
Io poi sono stato gradito al Padre mio, testimone della mia perfezione: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17). Ti vedo cercare in tutto le comodità, le giocondità, le golosità e le sensualità. Sei dunque tu cristiano? Ti conviene questo nome? O a te si deve piuttosto dire: O cambia nome, o cambia costumi? Il mio presepio è la tua condanna; e, quando parlerò con il Padre mio, gli dirò: Non conosco costui! Non è egli il mio ritratto, non è tra quelli che sono predestinati, come dice il mio Apostolo: «Poiché coloro che egli ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8,29).
Impara dunque da me, o Sacerdote, affinché tu possa far parte dei predestinati ed eletti miei; non chiunque siede sulla cattedra di Mosè si salverà, ma colui che, nel giorno del giudizio, sarà trovato simile a me.
O Signore Gesù, fammi piamente piangere davanti al tuo presepio. Io verrò alla tua scuola, ed imparerò le tue lezioni. Ma tu accrescimi la fede; donami la compunzione del cuore, affinché io impari quale via debba tenere; affinché disprezzi le comodità, gli onori ed i beni della vita presente; affinché cominci veramente ad aderire a te. O Maria, Madre di grazia, introducimi alla scuola del Maestro divino. Rendimi discepolo fedele.
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III.

1. Il presepio è vita. - Io vengo a te, o buon Gesù. È apparsa la grazia del mio Salvatore. Dammi lo zelo degli angeli. In quel tempo, ai pastori che vegliavano a custodia del gregge, apparve un angelo del Signore, «e la gloria del Signore li avvolse di luce, sicché furono presi da un grande timore. Ma l'angelo disse loro: Non temete: ecco, vi porto una lieta novella, che sarà di grande gioia per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di David il Salvatore che è Cristo Signore. Questo vi servirà di segno: voi troverete un Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Poi subito si unì all'angelo una moltitudine della milizia celeste, che lodava Iddio, e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2,9-14). Gli angeli con il massimo zelo si affrettarono di far conoscere il Salvatore agli uomini, ed i grandissimi tesori che poterono trovare nell'umile stalla.
Io devo mostrare alle anime i tesori del tabernacolo, e devo attirare con la parola e con l'esempio i popoli a Gesù eucaristico. Egli è veramente il Dio nascosto; coloro che si avvicinano a lui attingeranno nel gaudio la vita eterna.
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2. Dammi, o Gesù, l'amore dei pastori. In quel tempo, «quando gli angeli li ebbero lasciati per tornare in cielo, i pastori si dicevano a vicenda: Andiamo dunque fino a Betleem e vediamo qual è questo avvenimento, che il Signore ci ha fatto conoscere. Allora se ne vennero in fretta, e trovarono Maria con Giuseppe, e il Bambino adagiato nella mangiatoia. E, dopo aver veduto, fecero conoscere quanto era stato loro detto del Bambino» (Lc 2,15-17).
Colui che ama, cerca la persona amata; quando essa è assente, si addolora; quando è presente, si rallegra. Il Sacerdote con Cristo forma un unico sacerdozio; con il divino Pastore, un unico pastore delle anime; ambedue stanno in mezzo al popolo, per la sua salvezza. Quanto spesso dovrò perciò fare visita al SS. Sacramento! Quanta comunanza di vita, di sentire, di pensare dovrò avere con Gesù! Bisogna che non più due, ma uno sia lo spirito, un solo cuore, un solo modo di parlare, un solo modo di agire. Il pastore di anime che ogni giorno medita il Vangelo e che ogni giorno fa con fervore la visita al tabernacolo, a poco a poco, diventa immagine vivente di Gesù Pastore.
Dammi, o Signore Gesù, una insigne pietà eucaristica.
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«Nato Gesù in Betleem di Giuda, al tempo del re Erode, ecco dei magi arrivarono dall'oriente a Gerusalemme, e chiesero: Dov'è il re dei Giudei nato da poco? Perché noi abbiamo visto la sua stella in oriente e siam venuti per adorarlo... Ed entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua Madre e, prostratisi, lo adorarono; aperti poi i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,1 s. 11). I santi magi, per la loro fedeltà nel ricercare Gesù, ottennero la grazia della santificazione. Questo sarà il primo frutto della devozione eucaristica: una certa ed abbondante comunicazione di beni da parte di Gesù al suo Sacerdote diletto. I magi sopportarono molte fatiche, per poter giungere sino a Gesù e offrirgli i loro doni. Spesso per visitare il tabernacolo è necessario superare numerose difficoltà. Dobbiamo tuttavia sempre offrire a Gesù l'oro della carità, l'incenso della preghiera, la mirra della penitenza. Gesù per piccole cose darà grandi beni.
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3. Esame di coscienza e proposito. - «Quale nazione è sì grande, che abbia la divinità così vicina a sé, qual è il Signore, nostro Dio, ogni volta che lo invochiamo?» (Dt 4,7). Credo che Gesù Cristo è presente, realmente, veramente, sostanzialmente, nel SS. Sacramento. «Quanto sono amabili le tue dimore, o Signore degli eserciti! Anela e spasima l'anima mia verso gli atrii del Signore... Presso i tuoi altari, o Signore degli eserciti, mio re e mio Dio» (Sl 83,2 s. 4).
Stai spesso alla presenza del tuo Re come suo aulico; ricorri spesso dal tuo Signore, come suo servo, per udire i suoi desideri; ricorri spesso, come un buon figliuolo, al tuo amantissimo Padre, pendendo in tutto dal suo labbro? Fai tutto il possibile, perché anche i tuoi parrocchiani visitino frequentemente la chiesa, al fine di salutare il divino Ospite che vi abita? Fai chiudere forse troppo presto la porta della chiesa, togliendo così ai fedeli l'occasione di appressarsi al tabernacolo? E tu stesso visiti più volte al giorno il Santissimo con semplicità ed amore? Preferisci alla visita a Gesù la visita ai parenti ed agli amici, tanto da omettere quella per queste? Sei solito rifugiarti presso Gesù durante il tempo della tentazione, della tristezza, della tribolazione; presso Gesù che dal suo tabernacolo grida ancora come una volta: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò completo riposo» (Mt 11,28)? Ad ogni visita hai quella modestia, quella riverenza e quel raccoglimento che esige la maestà di così grande Re? In ogni visita fai atti di fede, di speranza e di carità? Fai la comunione spirituale; confermi i tuoi propositi; rinnovi i tuoi voti? In ogni visita usi quella santa familiarità e fiducia, parlando con Gesù, come l'amico parla ad un amico; come parla il malato al medico, il colpevole all'avvocato, il figlio al padre? Ogni giorno, in questa visita, ti raccomandi al Cuore di Gesù, per mezzo di Maria, affinché egli cancelli i peccati tuoi ed i peccati dei tuoi parrocchiani; affinché perfezioni e purifichi le tue buone opere e le opere buone dei tuoi figli spirituali; affinché egli provveda ai tuoi bisogni, ed ai bisogni temporali e spirituali dei tuoi parrocchiani? In queste visite quotidiane attendi dal Cuore di Gesù, a mezzo di Maria, per te e per i tuoi parrocchiani, quelle doti che sono convenienti ai diversi stati di vita, e cioè: per te: amore, fermezza, soavità e prudenza? Per gli altri: riverenza, ubbidienza, fiducia filiale? Sei solito partirti da Gesù con rincrescimento, dicendo: Rimani con noi, o Signore? Sei solito unirti agli adoratori perpetui? Ti ricordi lungo il giorno del tabernacolo, dicendo la giaculatoria: O Ostia di salute, che apri le porte dei cieli, ecc.?
Il buon Sacerdote, quando non può andare in chiesa all'ora consueta, per causa di malattia o per altro impedimento pensa spesso a Gesù sacramentato, ed emette atti di adorazione. Quando è fuori od in viaggio, incontrando qualche chiesa, si volge verso di essa, e compie quegli atti che compirebbe stando nella chiesa stessa.
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