Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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20.
LA SPERANZA

(PB 2, 1938, 717-724)

I.

1. La speranza è virtù infusa da Dio; per essa, con certa fiducia, aspettiamo da Dio l'eterna beatitudine ed i mezzi per conseguirla, con il divino aiuto.
La speranza è un moto dell'animo che procede da Dio, e che fermamente tende a Dio. Comprende l'attesa della beatitudine eterna, l'amore di concupiscenza verso Dio, il desiderio e la lotta contro gli ostacoli che s'incontrano, la ferma fiducia di conseguire ed il timore di perdere ciò che aspettiamo. «Aspetto la risurrezione dei morti, e la vita del secolo avvenire» (Messale Romano: Ordinario della Messa: Credo). «Aspetta l'anima mia il Signore più che le scolte l'aurora» (Sl 129,6). Dall'inizio della vita spirituale, e durante tutta la tua vita, e specialmente in punto di morte, «spera sempre nel tuo Dio» (Os 12,6).
La speranza nasce dalla fede: perciò, con S. Alfonso de' Liguori, io mi appoggerò interamente alla misericordia, all'onnipotenza ed alle promesse di Dio: «La mia speranza si appoggia su questi tre motivi: sulla misericordia ed onnipotenza divina, per cui il Signore ci concede gli aiuti per vincere i nemici spirituali;... e specialmente sulle divine promesse e sulla divina fedeltà con cui queste promesse verranno mantenute, di salvarci per i meriti di Cristo» (Theol. Mor. II, 21; Homo Apostolicus IV, 6, 7).
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2. La speranza riguarda in primo luogo la beatitudine eterna, nella quale si possederà lo stesso Dio: «Io sono tuo scudo; la tua ricompensa è grande assai» (Gn 15,1). In secondo luogo, la speranza riguarda le grazie divine e le opere nostre buone da compiersi con l'aiuto di Dio. Farò mie le parole di Giobbe: «Io lo so: il mio Vindice è pur vivo e ultimo si ergerà sulla polvere. E dopo che della mia pelle sarà circondata questa spoglia, dalla mia carne vedrò Dio; io lo vedrò, io stesso» (Gb 19,25-27); e le parole di S. Paolo: «Poiché la grazia di Dio si è manifestata fonte di salvezza per tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinnegare l'empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, con giustizia e pietà, aspettando la beata speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,11-13).
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La speranza è virtù teologale; è virtù soprannaturale, e dista dalla speranza naturale come una particola consacrata da una non consacrata1. Tuttavia, come l'ostia, dopo la consacrazione, conserva le apparenze ossia gli accidenti [di prima], così è della speranza soprannaturale in relazione a quella naturale. La speranza soprannaturale verte non soltanto sul bene ma sul Sommo Bene; la speranza soprannaturale riguarda il fine ultimo, ossia la visione, il possesso ed il godimento di Dio nella vita futura.
La speranza soprannaturale è dono di Dio: «Vengono disposti [gli uomini] alla stessa giustizia, mentre mossi ed aiutati dalla grazia divina... sono liberamente orientati a Dio,... vengono rinfrancati nella speranza, confidando che Dio sarà loro propizio, per Cristo...» (Conc. Trid., s. 6, c. 6. - Denzinger n. 798). La speranza conferisce una forza soprannaturale: «Il regno dei cieli si acquista colla forza e sono i violenti che se ne impadroniscono» (Mt 11,12); «Tutto io posso in colui che mi dà forza» (Fl 4,13).
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3. La speranza è sollievo nelle avversità, forza nelle fatiche, gaudio nelle tribolazioni: «Beato l'uomo che soffre tentazioni, perché, quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita da Dio promessa a quelli che lo amano» (Gc 1,12). La speranza aumenta la costanza nel le difficoltà pastorali: «Fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). Il secondo dei sette fratelli detti impropriamente «maccabei», perché martirizzati al tempo dei Maccabei, disse al carnefice: «Tu, o scelleratissimo, ci togli la vita presente, ma il re dell'universo risusciterà nella vita eterna noi che moriamo per le sue leggi» (2Mb 7,9).
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L'attaccamento alla vita presente è di ostacolo al desiderio della beatitudine. Ordinariamente questo attaccamento disordinato è solo peccato veniale, ma può giungere al peccato mortale, quando ci si attacca alle cose terrene, fino a desiderare di lasciare il cielo a Dio, pur che lui ci doni la terra. Molti desiderano eccessivamente gli onori, i beni terreni, e le umane soddisfazioni; e raramente pensano al cielo; come se tutto dovesse per loro finire su questa terra.
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Sono pure contrarie alla speranza la disperazione e la presunzione: la prima per difetto, e la seconda per eccesso. La disperazione è la diffidenza di raggiungere la salvezza, o di avere i mezzi per conseguirla; raramente raggiunge la colpa grave, ma facilmente spinge l'uomo al pessimismo. E così, molti che disperano della propria santificazione, fanno poco per il cielo, e sono spesso assaliti dalla noia delle cose spirituali. Le cause di questa condizione di spirito sono: mancanza di fede, disordinato attaccamento ai piaceri, accidia spirituale, presunzione, carattere malinconico.
La presunzione invece è originata da mancanza di timore di Dio ed è una temeraria attesa della beatitudine e delle grazie per raggiungerla. Il presuntuoso confida nei meriti proprii, o confida nei meriti di Cristo, ma senza mettere la sua vera cooperazione. Con la speranza del perdono, facilmente pecca e vive nel peccato, e moltiplica i peccati, dicendo che per Dio è lo stesso il perdonare cinque come dieci peccati.
Il pastore di anime si trova in pericolo di presumere, sentendo spesso le confessioni dei peccatori: può temere poco per sé e sentirà con indifferenza il racconto dei peccati gravi. Si deve ogni giorno pregare: «Fa', o Signore, che noi abbiamo parimenti l'amore ed il timore perpetuo». S. Pietro ci esorta: «Sperate interamente nella grazia che vi è recata quando apparirà Gesù Cristo» (1Pt 1,13).
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II.

1. La speranza è necessaria. L'uomo infatti, per divina misericordia è destinato alla visione di Dio ossia all'ultimo fine. Tendere a Dio, desiderare veramente Dio è già sperare la beatitudine eterna; ugualmente necessario è cercare Dio e sperare Dio. «Non abbiamo quaggiù una città permanente, ma andiamo in cerca di quella avvenire» (Eb 13,14).
Per sperare il cielo è necessario avere la fiducia di ottenerlo, come retribuzione delle opere buone fatte; come per poter rettamente pregare è necessaria la speranza di venire esauditi. «Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto al termine della corsa, ho serbato la fede. E ormai mi sta preparata la corona di giustizia, che mi darà in premio il Signore in quel giorno, lui il giudice giusto; né solo a me, ma anche a quanti hanno atteso con amore la sua venuta gloriosa» (2Tm 4,7s.).
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Per credere occorrono i motivi di credibilità, e per rettamente operare sono necessari i motivi di speranza. Chi inizierebbe una buona opera, se non avesse la speranza della felice riuscita? Maggiore si richiede speranza nel successo, quanto più l'opera richiede sacrifizi e fatiche. La vita cristiana e specialmente la vita pastorale e religiosa esigono molti sacrifizi: ogni giorno bisogna mortificarsi in qualche cosa, e sostenere difficoltà. Del medesimo Signore nostro Gesù Cristo, l'Apostolo perciò dice: «Invece del gaudio a lui proposto, sopportò la croce, disprezzandone l'ignominia» (Eb 12,2). Di qui quell'interrogazione fatta al Signore da S. Pietro: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito: che cosa dunque avremo noi? E Gesù rispose loro: In verità vi dico: voi che avete seguito me nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sederà sul trono della sua gloria, sederete anche voi sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d'Israele. E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per il mio nome, riceverà il centuplo, e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,27-29).
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2. Fecondità della speranza. Nella scala di perfezione, che va dalla terra al cielo, vi sono molti gradini. Così è per la virtù della speranza. La speranza non si richiede solo per il gradino più alto, ma per ognuno in particolare: «Ho piegato il mio cuore a praticare i tuoi statuti in eterno, per amore della ricompensa» (Sl 118, 112 Vg).
Sapendo che ciascuno riceverà la mercede anche per un bicchiere di acqua fresca, ogni giorno mortificherò il mio corpo e lo costringerò a star sottomesso; ogni giorno esaminerò me stesso per essere degno di cibarmi del pane e del vino eucaristico; ogni giorno, lasciando il resto, lavorerò alacremente per la salvezza delle anime. Sapendo che il mio lavoro non è vano, aderirò fino alla fine della vita a Dio; e fino a quando sia giunto il tempo del riposo, amerò Iddio con tutte le forze della mia mente, del mio cuore e del mio corpo.
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«In speranza noi già siamo salvati» (Rm 8,24). La speranza è certa da parte di Dio, e poggia su fondamento divino; nulla infatti vi è di più solido e di più sicuro dell'onnipotenza, della fedeltà e della misericordia divina. Da parte nostra invece la speranza è incerta: si richiede infatti la nostra cooperazione alla grazia di Dio: «Chi ti ha creato senza il tuo concorso, non ti salverà senza il tuo concorso» (S. Agostino); di qui la necessità di continuamente temere, come anche scrive l'Apostolo: «Conducete a termine la vostra salvezza con timore e tremore» (Fl 2,12). Due cose specialmente sono per noi incerte: incerta è la nostra giustificazione: «L'uomo non sa se sia degno di amore o di odio» (Ec 9,1 Vg). Questa incertezza però moralmente si toglie con l'esercizio della carità: «La carità copre la moltitudine dei peccati» (1Pt 4,8). Inoltre incerta è anche la nostra perseveranza fino alla morte. La perseveranza infatti è dono speciale di Dio, che a nessuno strettamente è dovuto, e che neppure l'uomo giustificato e santo può meritare de condigno. Ma questa grande incertezza può, almeno in parte, essere tolta, se usiamo quel grande mezzo di perseveranza che è la quotidiana orazione, la devozione verso Maria SS., madre di perseveranza, e l'esame giornaliero di coscienza.
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3. «Affinché abbondiate nella speranza» (Rm 15,13). S. Paolo infatti dice: «Quello che fate, fatelo di cuore come per il Signore e non per gli uomini; sapendo che per ricompensa dal Signore voi riceverete l'eredità» (Cl 3,23s.); se soffriremo con Cristo, con lui pure saremo glorificati (cf Rm 8,17).
La speranza ha diversi gradi, e non esclude completamente il timore. «Temete piuttosto colui che può far perdere anima e corpo nella Geenna» (Mt 10,28); questi dobbiamo temere. Questo è il timore iniziale: «Il principio della sapienza è il timore del Signore» (El 1, 16 Vg). Vi è un altro timore detto filiale, mossi dal quale si evita il peccato in quanto è offesa di Dio Padre. Questo timore è ottimo ed è prodotto da un motivo di carità, ed aumenta con l'aumento della carità. Questo timore aiuta magnificamente la speranza; da esso attingiamo maggior motivo di sperare, in quanto maggiormente evitiamo l'offesa di Dio.
Tutte le virtù, anche quelle che nella vita dei santi toccarono l'eroismo, procedono dalla speranza: «Saprò rispondere a chi m'insulta, che io confido nella tua parola» (Sl 118,42).
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III.

1. La speranza deve essere massimamente esercitata nell'orazione. «Andiamo dunque con fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia ed aiuto opportuno». La confidenza ci è necessaria, affine di ottenere con la preghiera la divina misericordia. Nei Salmi leggiamo: «Ma ecco Dio che veglia sui timorati di lui, su quelli che da lui aspettano grazia, per strapparne le anime dalla morte» (Sl 32,18s.); «Essendosi a me affezionato, io lo scamperò, lo trarrò in salvo,... io lo esaudirò... lo libererò e lo farò onorato» (Sl 90,14s.); «In te fidato corro alla mischia» (Sl 17,30); «Egli è scudo a tutti, che si rifugiano in lui» (Sl 17,31); «O Salvatore di chi... si rifugia nella tua destra» (Sl 16,7), «Si allietino invece quanti in te si rifugiano, esultino sempre, perché tu li proteggi» (Sl 5,12).
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Molti sono i fatti che provano questa verità. Il Signore dice ad Abramo: «Prendi il tuo figlio unico, tanto a te caro, Isacco, e vattene alla terra di Moria, ed offrilo ivi in sacrificio sopra un monte, che ti indicherò» (Gn 22,2). E S. Paolo commenta: «Abramo credette a Dio, e ciò gli fu contato a giustizia;... per essere il padre di tutti i credenti... senza vacillar nella fede... non esitò diffidando; reso invece forte dalla fede... assolutamente convinto che (Dio) è sì potente da effettuare qualunque cosa abbia promessa» (cf Rm 5,3.11.19.20.21). Giuditta pose tutta la sua fiducia in Dio, dicendo: «Dio dei cieli,... ascolta una miserabile che a te ricorre e tutto spera nella tua misericordia» (Gi 9,17), e Dio la fece trionfare di Oloferne e le diede modo di liberare Betulia. Susanna fu accusata da due vecchi, ed «essa, piangendo, alzò gli occhi al cielo, col cuore pieno di fiducia nel Signore» (Dn 13,35); e Dio la liberò dalle insidie e dalle calunnie. Il popolo adirato si sollevò: «Li fecero morire. Così in quel giorno fu salvato il sangue innocente» (Dn 13,62), e benedissero Dio che salva quelli che in lui sperano.
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Consideriamo le parole del Maestro divino: «Abbiate fede in Dio. In verità vi assicuro che se uno dirà a questa montagna: Sollevati e gettati in mare, e non esiterà in cuor suo, ma crederà che quanto dice, avvenga, gli avverrà. Per questo io vi dico: tutto quello che voi chiederete, pregando, credete che l'avete ottenuto e vi avverrà» (Mc 11,22-24 ).
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2. La fiducia è la misura dell'esaudimento: «Mentre Gesù partiva di là lo seguirono due ciechi che gridavano e dicevano: Figlio di David, abbi pietà di noi! Giunto alla casa, i due ciechi si avvicinarono a lui. E Gesù disse loro: Credete che io possa far questo? Sì, o Signore, gli risposero. Allora toccò loro gli occhi, dicendo: Vi sia fatto secondo la vostra fede» (Mt 9,27-29). Gesù pure, al centurione che lo prega per il servitore suo malato, dice: «Va', e come hai creduto, ti avvenga. Difatti, in quell'ora stessa il servo fu guarito» (Mt 8,13).
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Gli Apostoli insegnarono la stessa cosa appresa dal divino Maestro. S. Giacomo dice: «Se alcuno di voi ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio,... e gli sarà concessa. Ma chieda con fede, senza esitare, perché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Un tal uomo non si aspetti di ottenere qualche cosa dal Signore» (Gc 1,5-7). E l'apostolo S. Giovanni: «E noi abbiamo da Dio questa fiducia, di essere esauditi, qualunque cosa chiederemo, secondo la sua volontà. Anzi sappiamo che ci esaudisce, qualunque cosa gli chiediamo, dal fatto che sono ascoltate le richieste che gli facciamo» (1Gv 5,14s.).
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Anche i peccatori devono avere questa fiducia, e non soltanto i giusti. Dio non ascolta i peccatori quando gli chiedono qualche cosa per i loro fini peccaminosi; li ascolta invece quando in cuor loro risolvono di risorgere dal peccato, e di ritornare al Padre. Questo buon desiderio concepito dai peccatori proviene già da Dio e dispone a penitenza. Dice S. Bernardo: «A che pro Dio darebbe un desiderio se non lo volesse poi esaudire?». S. Giovanni Crisostomo aggiunge: «Non desideri tu tanto che ti siano rimessi i peccati, quanto piuttosto è Iddio che desidera perdonarteli».
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3. Perché dunque trepido ed esito? Mentre la mia speranza ha solidissime fondamenta, che sono l'onnipotenza, la misericordia e la fedeltà divina?
a) Onnipotenza. - Dio che mi ha creato, può pure aiutarmi nelle mie necessità. Isacco disse a Giacobbe: «L'Onnipotente Iddio ti benedica» (Gn 28,3). Il Signore, apparendo ad Abramo, gli disse: «Io sono Iddio Onnipotente» (Gn 17,1). Dio creò dal nulla il cielo e la terra e fece tutto ciò che volle, in cielo ed in terra, nel mare ed in tutti gli abissi.
b) Misericordia. - «Dio è amore» (1Gv 4,8). Abbiamo però l'argomento più forte nelle parole: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha sacrificato il suo Figlio Unigenito, affinché ognuno che crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). «Dio adunque non ha mandato il Figlio suo nel mondo, perché condanni il mondo, ma perché il mondo per mezzo di lui venga salvato» (Gv 3,17). E se il Padre ci ha donato il Figlio suo, come non ci darà ancora con lui ogni altra cosa? Cristo sparse per noi il sangue suo, ed istituì per noi il Sacramento del corpo e del sangue suo, in modo che ci è lecito cibarci ogni giorno delle sue carni. Chi di fronte a questo rimarrà ancora dubbioso? S. Tommaso perciò dice: «L'orazione ha la forza di meritare dalla carità, ma l'efficacia di impetrazione l'attinge dalla fede e dalla fiducia» (cf Summa 2.a 2.ae, q. 83, a. 15 passim); poiché, come dice S. Bernardo: «O Signore, non versi tu l'olio della misericordia, se non in vasi di fiducia».
c) Fedeltà. - Dice infatti il Signore: «Chiedete e vi sarà dato: cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto...
Concederà cose buone a coloro che gliele chiedono» (Mt 7,7.11). S. Agostino a questo punto osserva: «Chi temerà ancora di essere ingannato, mentre è la Verità che promette? Non ci esorterebbe a chiedere, se non intendesse di esaudirci». La fede dunque nelle preghiere sarà la mia forza ed il mio rifugio.
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Tertulliano dice: «Che cosa Dio negherà all'orazione?... L'orazione è la sola cosa che vince Dio. Cristo... le ha dato ogni potere... Pertanto l'orazione... imparò a rafforzare i deboli, a sanare gli infermi, a liberare gli indemoniati, ad aprire le porte delle prigioni, a spezzare le catene agli innocenti. La medesima purga dai delitti, caccia le tentazioni, fa cessare le persecuzioni, consola i pusillanimi, sostiene i magnanimi, riconduce i pellegrini, mitiga i flutti, stupisce i ladroni, nutre i poveri, sostiene i ricchi, rialza i caduti, tiene coloro che stanno per cadere, rafforza coloro che stanno eretti» (De oratione, c. 29). Teodoreto dice: «L'orazione, pur essendo una, può tutto»; e S. Bernardo: «L'orazione vince tutti i demoni»; e S. Bonaventura: «Con essa si ottiene di venir forniti di ogni bene, e di essere liberati da ogni male».
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1 Paragone improprio (n. d. T.).