MEDITAZIONE XIII
La Preghiera è preparazione al Paradiso
SACRA SCRITTURA
«Le anime dei giusti sono in mano di Dio e il tormento della morte non li potrà toccare; agli occhi degli stolti parve che essi morissero e la loro partenza fu stimata una sciagura e la loro separazione da noi una distruzione; ma essi sono nella pace e se nel cospetto degli uomini han sofferto dei tormenti, la loro speranza è piena d'immortalità. Dopo breve afflizione, saran messi a parte di grandi beni perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé. Li ha provati come oro nel crogiolo, li ha graditi come vittime d'olocausto, e a suo tempo saran consolati. I giusti brilleranno, correranno qua e là come scintille in un canneto,
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giudicheranno le nazioni, domineranno i popoli, e il Signore regnerà in essi eternamente. Quelli che confidano nel Signore, comprenderanno la verità; i fedeli vivranno uniti a lui nell'amore, perché grazia e pace è riservata agli eletti di Dio»
(Sap. 3, 1-9).
** Il Signore concede all'anima una grande grazia quando le dà il dono della preghiera. Avere questo dono significa possedere pieno potere di usare secondo il proprio desiderio la chiave dei tesori eterni.
La preghiera è onnipotente, tutto ottiene e particolarmente apre le porte del cielo:
Unam petii a Domino hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitae meae: «Una cosa sola ho chiesto al Signore e cerco questa sola: d'abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita» (Ps. 26, 4).
L'anima che prega si dispone in vita alla preghiera eterna del cielo.
Consideriamo dunque: 1) la preghiera preparazione al Paradiso; 2) il Paradiso.
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I. - La preghiera è preparazione all'eterna felicità.
Qual'è il nostro fine? Conoscere, amare, servire Dio in questa vita, per goderlo eternamente in Cielo. «Fecisti nos Domine ad Te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te» (S. Agostino). Il fine che abbiamo sulla terra è intermedio, ordinato ad un fine ultimo: godere Dio in paradiso. Noi siamo creati per il cielo e ci conforta tale pensiero: «Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Andremo nella casa del Signore».
O voi che faticate e siete esuli dalla patria, esultate! verrà il giorno in cui intoneremo: In exitu Israel de Aegypto. Usciremo dall'Egitto del mondo, usciremo dalla schiavitù del peccato e delle passioni, e l'anima nostra, sciolta dai legami della terra, si innalzerà libera verso il cielo. Là in quel regno beato quale sarà la nostra occupazione?
1) Contempleremo Dio faccia a faccia. Lo contempleremo nella sua bellezza ed immensità: Videmus nunc per speculum in enigmate; tunc autem facies ad faciem. Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum: «Ora noi vediamo come in uno specchio in modo enigmatico, ma allora vedremo
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faccia a faccia; ora conosco parzialmente ma allora conoscerò come io sono conosciuto» (I Cor. 13, 12). Adimplebis me laetitia cum vultu tuo: «Mi colmerai di gioia con la tua faccia» (Salmi 15, 11).
2) Possederemo Dio eterna nostra ricchezza, autore di ogni bene: Noli timere... ego protector tuus sum, et merces tua magna nimis: «Io sono il tuo protettore e la tua ricompensa oltremodo grande» (Gen. 15, 1), Dominus pars haereditatis meae, et calicis mei: tu es qui restitues haereditatem meam mihi: «Il Signore è la parte della mia eredità e del mio calice. Sei tu che mi restituisci la mia eredità» (Salmi 15, 5).
3) Godremo Dio. Egli sarà la nostra gioia piena e ci farà partecipi del suo stesso gaudio: Intra in gaudium Domini tui: «Entra nel gaudio del tuo Signore» (Matteo 25, 21). «Essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con essi il loro Dio. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più morte, né lutto, né grida, né vi sarà più dolore, perché le cose di prima sono sparite... A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita. Chi sarà vincitore possederà queste cose» (Apoc. 21, 3-4.6-7). «E' vita beata (o Signore) il godere Te, da Te, per Te» (Conf. S. Agost.). Secundum multitudinem
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dolorum meorum in corde meo, consolationes tuae laetificaverunt animam meam: «In proporzione dei dolori che ha provato il mio cuore, le tue consolazioni hanno rallegrata l'anima mia» (Salmi 93, 19).
In Dio avrà piena soddisfazione l'intelligenza, la volontà, il cuore. «Dio sazierà ogni nostro desiderio perché lo vedremo senza fine, lo ameremo senza tedio, lo loderemo senza fatica... Là desidereremo e vedremo, vedremo ed ameremo, ameremo e loderemo» (S. Agostino).
L'inganno grande cui gli uomini vanno soggetti è il desiderare la terra, le vanità, le ricchezze, le soddisfazioni terrene, che sono solamente mezzi: il fine unico e vero è il Paradiso. Non inganniamoci, quand'anche si potessero avere tutte le soddisfazioni e piaceri, tutte le ricchezze della terra, quale sarebbe la conclusione? Vanitas, vanitatum, et omnia vanitas: «Vanità delle vanità e tutto è vanità» (Eccl. 1, 2) e: Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? «Che giova all'uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde l'anima sua?» (Matteo 16, 26).
Orbene, la preghiera ha sulla terra l'ufficio importante di disingannare l'uomo.
L'anima che prega non si lascia vincere dalle teorie fallaci, dai beni passeggeri, dalle
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soddisfazioni terrene, ma tiene in alto la sua mente, la sua volontà, il suo cuore e cerca Dio disponendosi a goderlo in Paradiso.
II. - Che cosa è il Paradiso.
1) Il Paradiso è visione di Dio. E chi lo vedrà? Chi si abitua a vedere Dio in tutto, chi compie atti di fede, chi offre l'omaggio della preghiera mentale, della meditazione, delle letture spirituali, dello studio continuo della vita di Gesù, della sua dottrina. Vedrà Dio colui che santifica la sua mente, tenendola lontana dall'errore e adornandola delle verità divine; colui che presentemente si abitua a contemplarlo nel SS. Sacramento; colui che lo fa conoscere agli uomini. Infatti tutta la nostra vita deve essere una preparazione alla vita futura e la mente deve compiere una particolare preparazione alla visione beatifica che sarà nell'eternità il principio e il centro irradiatore di tutta la nostra felicità.
Ora la visione beatifica ha la sua speciale caratteristica: è la mente che vede Dio per mezzo di Dio e in Dio; la mente per quanto è possibile a creatura, indiata e deificata. Ego dixi: dii estis (Giov. 10, 34).
Perciò la preparazione della mente da farsi
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in questo mondo deve necessariamente consistere in una vita di fede. La preparazione deve sempre presentare la forma più rassomigliante col termine a cui mira. Ora è appunto nella fede che la mente si allena a vivere in Dio. Non sono le verità di fede verità divine? Più di tutto: non è forse sull'autorità di Dio che l'intelletto presta loro l'assenso? Il fedele crede, non perché così sembra al suo senso o alla sua ragione, ma perché così dice Dio. Può anche intendere nulla del mistero creduto: ma che importa? Lo dice Dio e basta. Se non è questo per la mente una rinunzia a vivere in se stessa per vivere in Dio, che altro potrà essere?
Viviamo adunque di fede. Questa è l'unica via di salute: Iustus ex fide vivit. Non temiamo di avvilirci: la mente nostra nella fede raggiunge il massimo grado di nobiltà, perché s'innalza all'altezza di Dio. Chi non crede, non ha una mente più forte, ma più debole perché gli manca la forza di elevarsi a Dio. Né dimostra di avere una mente più larga, ma accusa piccolezza e meschinità intellettuale come il selvaggio, che si figura il mondo limitato dalla valle in cui vive, o come uomo che manca di un senso.
Non lasciamo passare nessuna occasione per gettare e sviluppare negli animi i germi salutiferi
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della fede. La scuola deve educare alla vita. Ora la vita dell'uomo in questo mondo consiste essenzialmente nel vivere di fede. Senza di questo alla nostra vita manca l'anima. Si potranno far lunghi passi, ma saranno fuori di strada.
Ricordiamoci però che la fede è dono di Dio. Chiediamola umilmente nelle nostre preghiere e conserviamola con l'umiltà. «Se stai ritto nella fede, non gloriarti, ma temi di cadere»: Tu fides stas; noli altum sapere sed time (Rom. 11, 20). Schiviamo perciò i pericoli di perdere la fede; anzi usiamo tutti i mezzi che sono in mano nostra per conservare la fede, per fortificarla ed accrescerla: la preghiera, l'istruzione, la meditazione, la lettura spirituale, le buone opere. Conservando la fede conserveremo il fondamento della nostra vita o della nostra futura felicità. Fides est fundamentum totius iustificationis.
2) Il paradiso è possesso di Dio e Lo possederà chi Lo ama sulla terra ed è fedele nel suo servizio. Chi lo prega ottiene dal Signore luce per comprendere le proprie infermità, debolezze e difetti e ottiene forza per lottare e correggersi: Patientia vobis necessaria est, ut reportetis repromissiones: «Or vi è necessaria la pazienza affinché possiate conseguire ciò che vi è stato promesso» (Ebr. 10, 36).
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In questa lotta l'anima si sforza di togliere il proprio io e sostituirvi Iddio; e quanto più cresce nel fervore e combatte, tanto maggiore è la grazia e quindi maggiore il possesso di Dio. Questo si compie specialmente coll'esame di coscienza e la confessione che allontanano dal peccato e portano sulla via dei comandamenti e della volontà di Dio, finché la morte stabilirà in essa eternamente.
Incominciare, dunque, fin da questa vita a vivere nella volontà di Dio e non nel nostro egoismo.
Vi sono uomini che vivono in se stessi, e uomini che vivono in Dio. Vivono in se stessi quelli che in tutto cercano di fare quello che loro piace.
Non questa è la via che ci ha insegnato il nostro Salvatore e modello Gesù che è Via, Verità e Vita. Egli ci ha ammaestrati coll'esempio prima e poi con la parola, che la via da tenere è ben altra. Io sono disceso dal cielo, egli dice, non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Giov. 6, 38). Anzi come ad un vivente è necessario il cibo e non può stare senza di esso, così Gesù afferma di aver necessità di far la volontà del Padre suo. Meus cibus est ut faciam voluntatem eius qui misit me (Giov 4, 34). E queste parole furono confermate dai fatti.
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Nell'orto del Getsemani si trattava di accettare la morte, e morte di croce; il calice che l'eterno Padre gli presentava conteneva tutte le amarezze che potessero immaginarsi. Eppure che dice Gesù? Fiat voluntas tua!:«Sia fatta, o Padre, la tua volontà».
Nella preghiera che Egli insegnò, ci ammaestra appunto a chiedere questa grazia al Padre suo: Fiat voluntas tua, sicut in coelo, et in terra.
3) Il paradiso è gaudio di Dio e Lo godrà chi sulla terra tiene il cuore fisso in Lui. Solo la preghiera tiene il cuore nella giusta posizione ed evita la confusione del Creatore con le creature. Chi prega trova in Dio la sua felicità, il suo tesoro: «Dio solo mi basta»; «Dov'è il tuo tesoro ivi è il tuo cuore» (Matt. 6, 21).
La vita di preghiera è dunque preparazione all'eternità, e le anime che pregano vanno sempre più perfezionandosi nell'esercizio della lode e adorazione, ringraziamento, propiziazione e supplica che compiono in cielo i beati.
L'anima che prega previene l'occupazione del cielo. Col S. Viatico compirà l'ultimo perfezionamento per unirsi a Gesù e iniziare la preghiera eterna senza noia, senza tedio, senza fatica. L'anima vedendo Dio l'adorerà, possedendolo si compiacerà e si unirà così intimamente a lui da godere dello stesso suo gaudio.
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Oh, ineffabile felicità: Oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit, quae preparavit Deus iis qui diligunt illum. «Né occhio vide, né orecchio udì, né entrò in cuore dell'uomo quali cose ha Dio preparate per coloro che lo amano» (I Cor. 2, 9).
La preghiera unisce a Dio e molte anime trovano tale gioia nella preghiera che non cambierebbero una mezz'ora di preghiera con tutti i godimenti della terra. Vi sono santi così elevati nella preghiera da giungere all'estasi ed ai gradi più alti della mistica. Verso la fine della vita essi non trovano altro conforto che stare con Dio.
«Lasciatemi stare con Dio, tacete, sento bisogno di riposare con Dio, presento il cielo la cui eco scende nel mio animo», diceva un morente.
L'orizzonte si rischiara e sentono di immergersi in Dio. Queste anime così ferventi non attraversano il purgatorio, sono già abituate a cibarsi di Dio, e lo possederanno eternamente: Et anima mea illi vivet: «L'anima mia vivrà per lui» (Salmi 21, 31).
Il Signore è un Pane celeste che soddisfa ogni anima. Beata l'anima che si dispone al banchetto eterno! Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam quoniam ipsi saturabuntur. «Beati
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quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati» (Matt. 5, 6).
Prepararci a fare ora, quel che faremo allora, in cielo.
Il beato nell'eternità vive di Dio, ossia colla forza che gli viene da Dio, perché solamente con questa luce potrà fissare i propri sguardi nella infinita profondità dell'essenza divina, nella visione beatifica e solamente con questa forza gli sarà possibile sostenere la veemenza del gaudio beatificante.
Insomma allora si vivrà di questa vita divina. Ebbene incominciamo fin d'ora a vivere di essa
Alleniamoci, a far funzionare la nostra anima a pressione soprannaturale; ossia a vivere di cose spirituali.
Se noi vivremo nella carne, ossia se noi faremo una vita di piacere, occupati nel cercare le vanità del mondo, le ricchezze, gli onori, moriremo. Si in carne vixeritis moriemini. Se invece noi con lo spirito, mortificheremo i desideri della carne, noi vivremo. Si autem spiritu facta carnis mortificaveritis vivetis. (Rom. 8, 13).
Vi sono mezzi soprannaturali per aiutaci a vivere di fede. Essi sono specialmente il santo Sacrificio della Messa, i sette Sacramenti, i
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Sacramentali e la preghiera in tutte le sue svariate forme.
I Sacramenti ci comunicano la grazia santificante e la grazia sacramentale. La grazia santificante è il principio della vita soprannaturale, come l'anima nostra è principio di vita nel corpo.
La grazia sacramentale varia nei singoli Sacramenti:
Nel Battesimo rende figli di Dio, nella Cresima rende soldati di Gesù Cristo, nell'Eucarestia nutre, nella Penitenza risuscita, nell'Estrema Unzione consola, nell'Ordine e nel Matrimonio abilita al ministero sublime del Sacerdozio, o alla formazione e al governo della famiglia.
Vi sono inoltre i Sacramentali tra i quali le sacre funzioni e la parola di Dio quali si hanno specialmente nei giorni di domenica e nelle feste di precetto.
Infine la preghiera, destinata a sviluppare la grazia dei sacramenti e ad ottenere tutte le grazie attuali necessarie per conservare ed accrescere la grazia santificante.
Ora una persona che viva i Sacramenti, i Sacramentali e la preghiera con sincerità, allena il suo cuore a quella vita che è congrua preparazione alla futura nostra destinazione.
Il cuore è, fisiologicamente parlando, il
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centro della vita vegetativa. Nella vita morale ha eguale importanza. Mentre la fede e la legge sono le guide, il cuore ha da essere il focolare che produce l'energia per spingere avanti la vita sulla via dell'eternità.
Si vede così che tutto il mondo liturgico in cui si esplica il culto religioso col suo sacrificio, coi suoi Sacramenti, Sacramentali e preghiere, con le sue chiese, funzioni, processioni, splendori di apparati, preziosità dei vasi, coi suoi incensi, suoni dei sacri bronzi, musica sacra e tutte le altre manifestazioni di culto, hanno la loro profonda filosofia. Sono destinati a costituire, o corteggiare quel ministero di grazia che è necessaria al nostro cuore per aver forza e fare la debita preparazione alla gloria futura.
PREGHIAMO. - Eterno Dio..., vi prego in nome di Gesù Cristo a donarmi un gran dolore dei miei peccati, la santa perseveranza nella vostra grazia, una buona morte, il paradiso; ma soprattutto il sommo dono del vostro amore ed una perfetta rassegnazione alla vostra santa volontà. Io già so che non le merito queste grazie; ma voi le avete promesse a chi ve le domanda per i meriti di Gesù Cristo: io per i meriti di Gesù Cristo a voi le chiedo e le
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spero. - O Maria, le vostre preghiere ottengono quanto domandano: pregate voi per me. (S. Alfonso)
ESEMPIO
La Culla, la Croce, il Tabernacolo Gesù Cristo è Dio. I Santi lo hanno amato con tutto l'impeto della passione, che si consuma nella fedeltà e nel sacrificio. I martiri in pegno d'amore sono corsi a deporre la testa sotto la mannaia del carnefice, preferendo alla vita la gioia di morire per lui.
Santa Lucia Filippini sovente diceva: «Io non ritrovo oggetto più bello, più ricco, più nobile del mio caro Gesù; perciò Lui sarà il mio sposo in eterno, l'unicamente amato da me e se mai gli dovessi negare la fedeltà, mi contento mi neghi prima il vivere, non essendo degno di vivere chi non vive solamente a Gesù». E per Lui visse, consacrandogli con fedeltà di sposa tutti i palpiti del cuore, tutti gli atti della vita, tutte le fatiche e le angosce dell'Apostolato
Il presepio, il Calvario, il Tabernacolo; la nascita, la passione, l'Eucarestia; la culla, la croce e l'Ostia santa divisero, o meglio, unirono tutti i palpiti di Lucia, che non seppe meglio amare il suo Gesù, se non tra i ricordi della povertà, del dolore e delle delizie dell'amore Nella culla di Betlemme era la povertà di Gesù, che avendo voluto nascere non in una Reggia, tra gli agi e le ricchezze, ma in una squallida capanna, avvolto in rigido strame, destava nell'anima della santa il desiderio di essere povera e vivere poveramente come Lui. Nella Passione e nella Croce era il dolore di Gesù che la trafiggeva e la faceva spasimare con Lui. Nel Tabernacolo e nell'Ostia era
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l'amore che la trasumava, sollevandola ai godimenti di quell'unione mistica, in cui il cuore di Dio si congiunge con quello delle creature.
Il mistero di Betlemme le era immensamente caro. Ma soprattutto era viva in lei la dolorosa memoria della Passione e morte di nostro Signore. Il Calvario, nella sua sanguinante tragedia, le si rinnovava nell'anima, comunicandole tutti i patimenti del Salvatore. Pari divozione nutriva verso Gesù Sacramentato e si cibava del Pane divino quasi tutti i giorni della settimana. Era mirabile l'umiltà di cuore con cui s'avviava all'altare. Non avendo ardire di alzare gli occhi al cielo per la confusione dei suoi difetti, si raccoglieva in se stessa, e sentivasi talmente trasportata da un impeto gagliardo d'amore, che sembrava impazzita.
Era la pazzia dei santi, che dinanzi al Divin Tabernacolo sperimentavano le ebbrezze di un amore, alle quali uomini dominati dal senso, non potranno mai assurgere
(Da «Santa Lucia Filippini» del Salotti - pag. 232).
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