MEDITAZIONE II
Valore e fine della preghiera
SACRA SCRITTURA
«E' bello dar lode al Signore, cantar inni al tuo nome, o Altissimo,
Per proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà durante la notte,
Sul decacordo, sul salterio, col canto della cetra.
Mi hai fatto rallegrare, o Signore, colle cose da Te create, ed io esulterò per le opere delle tue mani.
Come sono magnifiche le tue opere, o Signore! Quanto son profondi i tuoi pensieri!
L'insensato non lo riconoscerà; lo stolto non capirà queste cose.
Sebbene i peccatori siano venuti su come l'erba e facciano comparsa tutti gli operatori d'iniquità; essi periranno per sempre.
Tu invece, sei l'Altissimo in eterno, o Signore.
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Infatti i tuoi nemici, o Signore, i tuoi nemici, ecco periranno, e tutti gli operatori di iniquità saran dispersi.
E sarà esaltata la mia forza come quella del licorno e la mia vecchiaia per copiosa misericordia.
Il mio occhio può guardare con disprezzo i miei nemici, e il mio orecchio sentirà parlare dei maligni contro di me.
Il giusto fiorirà come palma, crescerà come il cedro del Libano.
Trapiantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri della casa del nostro Dio.
Si moltiplicheranno anche in feconda vecchiaia e si troveranno in sì buone condizioni.
Da proclamare che retto è il Signore Dio nostro e che in Lui non c'è ingiustizia».
(Salmo 91, 1-16).
*** Consideriamo nella presente meditazione il valore della preghiera. In ogni cosa il valore si desume dal fine cui tende la cosa stessa.
Il fine più o meno nobile stabilisce nelle creature un ordine, una scala su cui figurano secondo l'eccellenza che il fine, loro conferisce. Ugualmente avviene nelle azioni umane: il fine più o meno elevato, per cui si opera, dà
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all'azione un merito particolare. Or quali sono i fini della preghiera? I fini della preghiera, come insegnano i Santi Padri, sono: Adorazione, ringraziamento, soddisfazione, domanda.
I. - Adorazione.
L'Adorazione è il supremo culto che si dà a Dio e si distingue dalla semplice venerazione che si tributa ai Santi. Adorare significa:
a) riconoscere Dio sommo bene, infinito in tutte le sue perfezioni; «Dio è l'essere perfettissimo»: Ens perfectissimum;
b) riconoscere Dio come supremo Signore, autore di tutto: In principio creavit Deus caelum et terram: «In principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gen. 1, 1);
c) riconoscere Dio come ultimo fine: Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, principium et finis: «Io sono alfa e omega, primo e ultimo, principio e fine» (Ap. 22, 13).
a) Dio è l'ESSERE PERFETTISSIMO. Tutto ciò che vi è di bene negli Angeli, nei Santi, in tutti gli uomini viene da Dio.
Tutto il bene che è sparso nel mondo, nella natura, tutto viene da Dio. La bontà è diffusiva e Dio però diffonde ovunque la sua bontà senza esaurirsi, perché è infinito ed infinite
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sono le sue perfezioni: Egli è la verità, anzi la somma verità. Deus lux est, et tenebrae in eo non sunt ullae: «Dio è luce e in Lui non vi sono tenebre» (I Giov. 1, 5); Veritas Domini manet in aeternum: «La verità del Signore rimane in eterno» (Salmi 116, 2); Confitebuntur caeli mirabilia tua, Domine: etenim veritatem tuam in ecclesia sanctorum: «I cieli predicheranno le tue meraviglie, o Signore, e la tua verità la Chiesa dei Santi» (Salmi 88, 6); Ego sum veritas: «Io sono la verità» (Giov. 14, 6); Ego sum lux mundi; qui sequitur me, non ambulat in tenebris, sed habet lumen vitae: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giov. 8, 12); Erat lux vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum: «Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Giov. 1, 9); Deus est prima et increata lux; omnia trascendens, illuminans, vivificans, et a se quasi sol convertens: «Dio è luce prima ed increata, che tutto rischiara, vivifica e concentra in sé, come il sole» (San Dionigi); Dirige me in veritate tua et doce me: «Fammi camminare nella tua verità ed ammaestrami» (Salmi 24, 5).
Dio è infinita SCIENZA E SAPIENZA: O Altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei!
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«O abisso delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio» (Rom. 11, 33); Omnes viae hominis patent oculis eius, spiritum ponderator est Dominus: «Tutte le vie dell'uomo sono manifeste ai suoi occhi: il Signore pesa gli spiriti» (Prov. 16, 2). In Dio sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae: «Tutti i tesori di scienza e di sapienza» (Col. 2, 3).
Dio è BONTA', anzi la somma bontà e santità; Sancti estote, quia sanctus sum: «Siate santi, perché anch'io sono santo» (Lev. 19, 2); Confitemini Domino quoniam bonus: «Celebrate il Signore perché Egli è buono» (Salmi 105, 1); Bonus es tu; et in bonitate tua doce me iustificationes tuas: «Tu sei buono, o Signore, nella tua bontà insegni le tue leggi» (Salmi 118, 68); Aperiente te manum tuam, omnia implebuntur bonitate: «Quando tu apri la mano tutte le cose son ricolme di bene» (Salmo 103, 28); Misericordia Domini plena est terra: «La terra è piena della misericordia del Signore» (Salmi 32, 5).
Dio è somma BELLEZZA ED AMORE: Delectasti me Domine in factura tua; et in operibus manuum tuarum exultabo. Quam magnificata sunt opera tua Domine! Nimis profundae factae sunt cogitationes tuae: «Mi hai fatto rallegrare, o Signore, con le cose da Te
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create ed io esulterò per le opere delle tue mani. Come sono magnifiche le tue opere, o Signore, quanto sono profondi i tuoi pensieri» (Salmi 91, 5-6); Ecce tu pulcher es, dilecte mi, et decorus!: «Tu sei bello davvero, amor mio e pieno di grazia» (Cant. 1, 15); Specie tua et pulchritudine tua... prospere, procede et regna: «Nella tua maestà, nella tua bellezza... trionfa e regna, (o Signore)» (Salmi 44, 5).
Dio è L'ESSERE PER SE': Ego sum qui sum: «Io sono Colui che sono» (Es. 3, 14), dice il Signore. Tutte le altre creature ricevono l'essere da Dio, Egli invece è Dio. E' l'eterno. Vivo ego in aeternum: «Io vivo in eterno» (Deut. 32, 40); Priusquam montes fierent aut formaretur terra et orbis, a saeculo et usque in saeculum tu es Deus: «Prima che fossero fatti i monti e che fosse formata la terra e il mondo, da tutta l'eternità per tutti i secoli Tu sei Dio» (Salmi 89, 2); Solus habet immortalitatem, et lucem inacessibilem, quem nullus hominum vidit sed nec videre potest: «L'unico che possiede l'immortalità ed alita una luce inaccessibile e che nessuno degli uomini vide né può vedere» (I Tim. 6, 16); Ego enim Dominus et non mutor: «Perché io sono il Signore e non muto» (Mal. 3, 6).
Dio è INFINITAMENTE GRANDE, IMMENSO.
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«O Israele, quanto è grande la casa di Dio, quanto è vasto il suo dominio! È grande, senza confini, eccelso, immenso»: O Israel quam magna est domus Dei et ingens locus possessionis eius. Magnus est et non habet finem: excelsus et immensus (Baruc 3, 24-25); Non est ulla creatura in cospectu eius; omnia nuda et aperta sunt oculis eius: «Non vi è cosa creata che resti invisibile davanti a Lui perché tutte le cose sono svelate e nude agli occhi di Colui del quale parliamo» (Ebr. 4, 13); In Ipso vivimus, movemur et sumus: «In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo» (Atti 17, 28); Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in coelum tu illic es; si descendero in infernum, ades: «Dove potrò sottrarmi al tuo spirito? dove fuggire alla tua presenza? Se salirò in cielo, tu ci sei; se scenderò nell'inferno sei presente» (Salmi 138, 7-8).
Dio è ONNIPOTENTE. Non erit impossibile apud Deum omne verbum: «Niente è impossibile davanti a Dio» (Luca 1,37); Qui respicit terram et facit eam tremere: qui tangit montes et fumigant: «Egli che mira la terra e la fa tremare; tocca i monti e fumano» (Salmi 103, 32); Adonai Domine magnus es tu et parcellare in virtute tua et quem superare nemo potest: «Adonai, Signore, voi
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siete grande e bello nella vostra potenza e nessuno può vincervi» (Giud. 16, 16). Chi potrà celebrare la sua potenza? E' Dio, qui emittit lumen et vadit et vocavit illud et obedit illi in tremore. Stellae autem dederunt lumen in custodiis suis et laetatae sunt, vocatae sunt et dixerunt: adsumus: et luxerunt ei cum jucunditate qui fecit illas: «Colui che spedisce la luce, ed essa parte, la chiama ed essa tremante obbedisce; a cui le stelle brillano al loro posto, piene di letizia e chiamate rispondono: «Eccoci» e brillano di gioia per Colui che le creò» (Baruc. 3, 33-34).
Dio è l'essere più perfetto che si possa immaginare: Quis sufficit enarrare opera illius? quis enim investigabit magnalia eius?: «Chi potrà descrivere le opere di Lui? Chi potrà investigare le sue meraviglie?» (Eccli. 18, 2). In Lui tutte le perfezioni sono essenzialmente infinite e purissime.
Raccogliamo pure tutte le qualità belle e buone sparse nel creato ed in ogni creatura, spogliamole di ogni imperfezione e limitazione, ed applichiamole a Dio; Egli supererà ancora infinitamente tutte queste perfezioni: Dio è perfettissimo. Deus est quod cum dicitur non potest dici; cum aestimatur non potest aestimari: «Dio è l'essere di cui nulla può dirsi, anche quando si dice tutto quello
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che si può; e non si può abbastanza apprezzare, ancorché si apprezzi sopra ogni cosa» (S. Gregorio Magno).
b) Dio è AUTORE DI TUTTO. In principio creavit Deus caelum et terram: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen. 1, 1). Creò la luce e il firmamento, le acque e la terra, il sole, la luna, le stelle; creò ogni specie di animali, creò l'uomo, creò gli Angeli. Factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium. Dio è autore di tutto, e chiunque studia le creature studia in ultima analisi Dio, perché in principio ad ogni creatura si trova Dio che crea. Ex quo omnia, per quem omnia in quo omnia: «Da cui tutto, per cui tutto, in cui tutto» (S. Bernardo).
c) Dio è FINE DI TUTTO. Egli è fine verso cui tutto si eleva, fine che forma la felicità di tutti, fine che appaga ogni sentimento ed aspirazione.
Dio è fine di tutto perché ha operato tutto per sé. Universa propter semetipsum operatus est Deus (Prov. 16, 4). Tutto deve terminare in Lui. Noi possiamo lodare gli uomini degni, i Santi, la SS. Vergine; ma queste lodi devono terminare al Creatore.
Noi esaltiamo Maria SS. e la proclamiamo Immacolata, Vergine e Madre, piena di grazia, ma Ella dal suo trono risponde alla
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nostra lode: Magnificat anima mea Dominum... Fecit mihi magna qui potens est: «L'anima mia magnifica il Signore... Colui che è potente ha fatto in me grandi cose» (Luca 1, 46-49).
Duplice è la gloria di Dio: intrinseca ed estrinseca. La gloria intrinseca di Dio è eterna, infinita, immutabile essendo la gloria che si danno a vicenda le tre Persone della SS. Trinità. La gloria estrinseca è quella che è resa a Dio da tutto il creato. E' per questa gloria che Dio ha creato il mondo e l'uomo. L'esistenza nostra e la nostra felicità eterna sono ordinate a dare a Dio la massima gloria.
Quindi riconoscere Dio perfettissimo, autore e fine di tutto, vuol dire adorarLo. Perciò quando nella preghiera s'incontra il «Gloria» o il «Sanctus» o in qualunque modo la dossologia della SS. Trinità, si ha l'adorazione.
Tutte le preghiere che si rivolgono a Dio contengono l'adorazione, ma la preghiera che la contiene perfetta e completa è la S. Messa. Nelle preghiere comuni siamo noi che adoriamo Dio, ma questa adorazione è imperfetta per la nostra miseria e limitazione. E' maggiore la degnazione di Dio, che accetta la nostra preghiera, di quanto sia il merito nostro nel pregare.
Noi siamo miseri e quale cosa potremo dire a Dio? Una sola: «Signore, abbi pietà di me
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peccatore».
Nella S. Messa non è così. In Essa si dà a Dio una adorazione degna, perfetta, gradita, perché è Gesù stesso che adora.
II. - Ringraziamento.
E' il secondo fine della preghiera. Per esso ci poniamo davanti al Signore e riconosciamo che tutto quello che abbiamo viene da Dio: Quid autem habes quod non accepisti?; «Che cosa hai che non l'abbia ricevuto?» (I Cor. 4, 7). Di chi è il nostro essere? di chi il corpo? di chi il cuore?: di Dio; di chi il tempo? di Dio.
Dio ci ha data l'esistenza, ci ha resi cristiani, ci conserva la vita, ci ha dati tutti i doni di natura e di grazia, ci nutre e santifica: Dio ci dona tutto.
E' vero che il peccato originale guastò e tolse tanti preziosi doni di Dio. Ma: cuncta quae fecerat... erant valde bona: «tutte le cose che Dio aveva fatte erano molto buone» (Gen. 1, 31). Il castigo, privazione e il male, sono quanto abbiamo saputo fare e meritare noi. Da Dio abbiamo tutto il bene, perciò la nostra preghiera dovrebbe essere sempre: Gratias agimus Domino Deo nostro: «Rendiamo grazie a Dio Signor nostro».
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Riflettendo a queste cose, l'anima si effonde in ringraziamento, e nella sua preghiera e nella sua vita ripete l'incessante «Deo gratias!».
Il Santo Cottolengo voleva che la prima parola del giorno e l'ultima alla sera, fosse: «Deo gratias», e in tutto si ripetesse: «Deo gratias!».
S. Ambrogio dice: «Non vi è obbligo più grande del ringraziamento» e S. Paolo esorta più volte alla riconoscenza: grati estote:«siate riconoscenti» (Coloss. 3, 15); Instate in omni gratiarum actione: «Vegliate rendendo grazie» (Coloss. 4, 2); Omne quodcumque facitis in verbo, aut in opere, omnia in nomine Domini nostri Jesu Christi, gratias agentes Deo et Patri per ipsum: «Qualunque cosa diciate o facciate, tutto fate nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, rendendo per mezzo di Lui, grazie a Dio Padre» (Coloss. 3, 17); Obsecro primum omnium fieri gratiarum actiones: «Raccomando dunque prima di tutto, che si facciano ringraziamenti per tutti gli uomini» (I Tim. 2, 1).
Lo stesso sentimento di ringraziamento si riscontra spesso in altri punti della S. Scrittura: Exaltabo te Domine, quoniam suscepisti me: «Ti glorificherò, o Signore, perché mi hai protetto» (Salmi 29, 2); Per singulos dies benedicam tibi, et laudabo nomen tuum in
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saeculum et in saeculum saeculi: «Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome nei secoli dei secoli» (Salmi 144, 2). «Deo gratias! siano grazie a Dio! che cosa può concepire l'anima nostra, e la lingua esprimere, e la penna scrivere di meglio che queste parole? Deo gratias! niente si può dire di più breve, ma niente si può dire di più giocondo; nulla può immaginarsi di più grande, nulla può farsi di più vantaggioso» (S. Agostino). Ma gli uomini sono molto ingrati: «La maggior parte di essi, diceva S. Tommaso More, scrive i benefici sull'arena, incide le offese sul marmo».
Dio stesso ebbe a lamentare l'ingratitudine umana: Et obliti sunt benefactorum eius et mirabilium ejus, quae ostendit eis: «Si sono dimenticati dei suoi benefici e delle meraviglie di cui li aveva fatti testimoni» (Salmi 77,11)
E Gesù, guariti i dieci lebbrosi, all'unico che tornò a ringraziarlo disse con amarezza: Nonne decem mundati sunt? et novem ubi sunt? Non est inventus qui rediret, et daret gloriam Deo, nisi hic alienigena?: «Non sono stati guariti tutti dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio, se non questo straniero?» (Luca 17, 17-18).
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Gesù Cristo diede l'esempio della riconoscenza: prima di compiere i miracoli ringraziava Dio: Pater, gratias ago tibi quoniam audisti me. Ego autem sciebam quia semper me audis, sed propter populum, qui circumstat dixi: «Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Sapevo bene che mi esaudisci sempre; ma l'ho detto per il popolo che mi circonda» (Giov. 11, 41-42)
La Chiesa segue le orme di Gesù, dà l'esempio di riconoscenza e presenta tante preghiere di ringraziamento a Dio.
Il ringraziamento è ottimo mezzo per ottenere nuove grazie.
Si ringrazi il Signore anche quando prova, anche quando pare ci abbandoni al nostro dolore e alla nostra miseria. Egli ci è sempre a lato, sentirà la nostra preghiera e come a S. Paolo dirà: Sufficit tibi gratia mea: «Ti basta la mia grazia» (II Cor. 12, 9).
III. - Propiziazione.
La preghiera è pure ordinata ad ottenere il perdono. Per questo l'anima rientra in sé e considera le sue colpe, trascorrendo gli anni della sua vita. Esamina il tuo interno, i pensieri, i sentimenti, la volontà; quindi passando
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all'esterno considera le colpe commesse coi sensi.
Un altro ordine di esame può essere quello dato dai comandamenti, oppure dalle azioni della giornata.
Dio guarisce infallibilmente l'anima senza oro né argento: non esige altro che la preghiera, e guarisce sempre l'anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia il male che la travaglia. La preghiera risana i malati spirituali: essa è pronto ed efficacissimo rimedio per chi è fortemente tentato dai vizi (S. Lorenzo Giustiniani).
Ogni preghiera ha la parte di propiziazione, e alcune sono ordinate a quello in modo speciale come il Miserere e il De profundis... Ma la preghiera che dà a Dio la soddisfazione degna è la santa Messa perché in essa Gesù, come sulla Croce: Peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit: «Portò i peccati di molti e pregò per i peccatori» (Isaia 53, 12 b); e fu propitiatio pro peccatis nostris. «Vittima di propiziazione per i nostri peccati» (I Giov. 4, 10).
Scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudei (ed anche prima e dopo); e se da una parte vedete una catena di cadute, d'infedeltà, di delitti, di idolatria e quindi di sciagure, di
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disastri e di schiavitù, dall'altra si ammira una sequela di perdoni, di benefici e liberazioni rinnovatesi quante volte il pentimento gli toccò il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera (Cornelio a Lapide).
«Chi vuol liberarsi dal peccato e rompere la catena della sua vergognosa schiavitù, preghi. Dio spezzerà i suoi ceppi e gli userà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere la salvezza; ma gli è necessaria la grazia di Dio. Ora per mezzo della preghiera si ottengono tutte le grazie» (Cornelio a Lapide).
Vi sono alcuni infelici che amano le catene con le quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché son preghiere temerarie ed abbominevoli... Essi sono ordinariamente coloro che vanno avanti nella vita colla testa nel sacco, e presumono di poter compiere in ultimo gli atti necessari per salvarsi. Ma ecco invece ciò che scrive di essi il B. Claudio De la Colombiere: «Bisogna confessare che questa confidenza dei peccatori è ancor più grande di quella di Abramo. Abramo sperò contro la speranza; ma essi sperano contro la fede. Sperano in Dio contro Dio medesimo. Abramo credette che il Signore avrebbe fatto un miracolo, anziché mancare alla sua
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parola; e questi credono che Dio manchi alla sua parola, piuttosto che non fare un miracolo in loro favore... Sembra che questi vogliano dannarsi a bella posta, poiché è contrario al Vangelo che Dio loro perdoni in quell'ultimo punto.
Altri poi che peccano per fragilità o per impeto di qualche passione, e gemono sotto il giogo del nemico, e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio: l'orazione di costoro, s'ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore, il quale dice che ognuno che domanda riceve e che chi cerca la grazia la ritrova. «Ognuno» spiega un autore, «sia egli giusto o sia peccatore». (S. Alfonso).
«Orsù peccatori, non vi disanimate; non fate che i vostri peccati vi trattengano dal ricorrere al mio Padre e dallo sperare da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti per ottenere le grazie che chiedete, ma avete solo demeriti per ricevere castighi. Fate dunque così: Andate dal mio Padre in nome mio: per i meriti miei cercate le grazie che volete, ed io vi prometto e vi giuro: In verità, in verità vi dico che quanto domanderete il Padre mio ve lo concederà» (Parole che S. Alfonso mette in bocca a Gesù).
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IV. - Domanda.
Questa parte della preghiera è quella che si intende comunemente e facilmente.
In essa si chiedono al Signore le grazie.
E quali grazie? Tutte quelle che sono necessarie in ordine allo spirito e in ordine al tempo, per noi e per gli altri. Per noi chiediamo le seguenti grazie spirituali: le virtù fondamentali del cristiano, del religioso, del santo; la fede, la speranza, la carità; le virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; virtù che abbracciano tutte le altre e conducono l'uomo alla santità, alla gloria del cielo; le grazie temporali: la salute, i mezzi di bene, il tempo e tutto il necessario per il nostro sostentamento. Queste grazie dobbiamo chiederle in primo luogo per noi e successivamente per tutte le persone a noi care e per tutti gli uomini, poiché siamo tutti figli di un unico Padre e dovremo, un giorno, trovarci tutti cittadini del medesimo regno.
Chiediamo grazie per i tanti bambini insidiati nella loro innocenza, robustezza per la gioventù che lotta, luce per la virilità che lavora, conforti per la vecchiaia che attende al cielo, speranza per i moribondi, refrigerio per le anime sante del purgatorio.
Innumerevoli sono le grazie che occorrono
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per noi e per gli altri: la preghiera è quella divina moneta che ci permetterà di ottenere quanto vogliamo: Cum sit una, diceva Teodoreto, omnia potest: «da sola la preghiera può tutto». E Tertulliano si domanda e risponde: «Che cosa negherà Dio all'orazione? Vi è solo l'orazione che vince Dio. Gesù Cristo dà ad essa ogni virtù. La preghiera rinforza i deboli, sana gli ammalati, purifica dalle colpe, apre le prigioni, libera gli innocenti, cancella i delitti, respinge le passioni, estingue le persecuzioni, consola i pusillanimi, alletta i magnanimi, conduce i pellegrini, mitiga i flutti, intimorisce i ladroni, nutre i poveri, governa i ricchi, eleva i caduti, rinforza quelli che stanno per cadere, mantiene coloro che già camminano per le vie del bene».
La preghiera fatta bene presenterà sempre i quattro fini e sarà molto fruttuosa, specialmente se si farà con Gesù Cristo e in Gesù Cristo: Per ipsum, et cum ipso et in ipso. La nostra forza è in Gesù, non preghiamo mai soli, ma sempre: Per Christum Dominum nostrum: «Per Gesù Cristo Signor nostro».
Chi prega è sicuro dell'aiuto di Dio: vi è la sua parola che non può mancare, replicata tante volte nei sacri Vangeli: «Qualunque cosa domanderete nella preghiera, abbiate fede di riceverla e l'otterrete»; «Chiunque
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domanda riceve»; «
In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio, la otterrete». Iddio dà tutto quel che gli si chiede in nome di Gesù Cristo (
S. Alfonso).
PREGHIAMO. - «
Salga, o Signore, la mia orazione come l'incenso al tuo cospetto: sia l'elevazione delle mie mani come il sacrificio della sera. Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca e un uscio alle mie labbra che interamente le serri: affinché non declini il cuor mio a maliziose parole, a cercare scuse ai peccati»
(Dal Messale).
ESEMPIO
La preghiera di S. Corrado da Parzham Vicino alla portineria del convento, sotto la scala che dalla porta mette al dormitorio o corridoio delle celle dei frati, era uno stambugio chiamato la cella di S. Alessio. Ora in quello stanzino Fra Corrado passava di preferenza le ore, che poteva avere libere dal suo lavoro. Il motivo di questa sua predilezione era che da quel luogo mediante un finestrino laterale, poteva vedere l'altare del SS. Sacramento. Qui quell'anima serafica effondevasi nelle più infuocate aspirazioni al suo diletto; solo col suo Gesù, ne sentiva più da vicino la sua presenza divina. Gli parlava con gli slanci del cuore, ne sospirava più ardentemente l'intimità.
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I confratelli lo sapevano e per fargli piacere pregarono il Superiore che allargasse un po' il finestrino, perché gli fosse concesso di vedere tutto l'altare col Tabernacolo, della qual cosa Fra Corrado ne fu così lieto, che ne piangeva di consolazione. Per ammirarne l'ardente pietà, più volte i religiosi scendevano pian piano e si collocavano ai lati del finestrino, non visti da lui, e vi ammettevano pure alcuni devoti secolari, e sentivano che il servo di Dio, credendosi solo, si effondeva in queste e simili esclamazioni: «Dio mio e mio tutto! O Gesù siate amato da tutti! che tutti vi conoscano e vi servano, o mio Dio, divino Amore! O Gesù, pietà e misericordia per tutti!».
Qualcuno non contento di stare a sentirlo, si azzardò con tutte le cautele a guardarlo attraverso il finestrino, e ne vide la faccia illuminata da una luce celeste, le guance solcate da calde lacrime e le labbra tremolanti, che non si sapeva se piangevano o sorridevano al Diletto nascosto sotto le sacre Specie Eucaristiche. Non di rado la grazia del Signore e la presenza reale del suo Gesù dovevano investirlo potentemente, perché si sentiva singhiozzare esclamando: «Gesù, Gesù»! Altre volte il suo spirito dovette ricevere un irraggiamento tutt'affatto singolare, perché prima erano gemiti e singhiozzi, poi tutto ad un tratto era una dolce cantilena o melodia che sommessamente gli usciva dalle labbra. Sempre si rivelava un'anima innamorata del SS. Sacramento.
(Vita di S. C. da Parzham del Da Porretta pag. 230...).
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