Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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GIORNO UNDICESIMO

La fede di Maria SS.

S. SCRITTURA

Or in quei giorni Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente in una città di Giuda sulle montagne, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il Bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo; ed esclamò ad alta voce: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. E d'onde mi è dato che venga a me la Madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all'orecchio, il bambino m'è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s'adempiranno le cose a te predette dal Signore (Lc. 1,39-45). (Dal Messale: Festa della Visitazione).

Le virtù teologali o divine costituiscono la parte essenziale della nostra santità. Sono la fede, la speranza e la carità: la maggiore però è la carità come dice S. Paolo. Da esse dipendono tutte le altre virtù cristiane e religiose.
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Prima tra le virtù teologali è la fede.
La fede è la virtù soprannaturale per cui crediamo sull'autorità di Dio, ciò che Egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa.
E' il primo passo per accostarsi a Dio: «Credere oportet accedentem ad Deum» (Eb. 11, 6).
Essa ci viene infusa da Dio nel S. Battesimo; è quindi un puro e gratuito suo dono; noi non possiamo né meritarlo, né acquistarlo con le sole nostre forze. S. Paolo scrive: «Non che siamo capaci di pensare qualche cosa da noi come venisse proprio da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2 Cor. 3,5). La fede è la più grande ricchezza della terra. S. Luigi Re di Francia stimava più l'unzione della fede che l'unzione regale, più il Battesimo che la corona di Re. E' più da stimarsi, ed è davvero più grande, chi conosce e crede le verità di un piccolo Catechismo, che un superbo filosofo il quale fermandosi alle verità naturali, non ascende a Dio né si piega alla dottrina della Chiesa.
La fede è il principio della salute: l'uomo non può tendere a Dio e al Paradiso senza conoscere questo Dio, il suo fine soprannaturale e i mezzi per conseguirlo.
E' il fondamento e la radice della giustificazione. Come una radice non solo sostenta l'albero, ma gli presenta l'alimento onde possa produrre foglie, fiori e frutti, così la fede non solo sostenta la vita spirituale, ma la nutre, facendo produrre atti di timore, di speranza, di carità, infine da essa dipendono la perfezione cristiana, la vocazione religiosa, lo zelo dell'apostolato.
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La fede non è solo necessaria di necessità di precetto, per conseguire la salute, ma di necessità di mezzo. Sono note le parole di S. Paolo: «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb. 11,6); e quelle di Gesù: «Chi non crederà, sarà condannato» (Mc. 16,16). Per questo il Concilio di Trento dichiara che la fede è «il fondamento e la radice di tutta la giustificazione». Chi non crede è già giudicato.
La fede di Maria fu la più perfetta che sia stata esercitata da persona umana: a Maria furono proposte a credere verità altissime ed Ella fu pronta e costante nell'accettarle.

A Maria furono proposte a credere le cose più alte e difficili. L'Angelo le annunzia una serie di prodigi e di misteri altissimi: l'ineffabile mistero della SS. Trinità sì nascosto nella legge di natura e sì poco conosciuto nella legge scritta: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; il mistero dell'Incarnazione velato fino allora sotto simboli e figure; che Ella è la Vergine profetizzata da Isaia, che unirà in sé, con inaudito prodigio, la maternità più eccelsa colla verginità più illibata; che il frutto delle sue visioni sarà santo per eccellenza e Figliuolo dell'Altissimo Iddio «et regni ejus non erit finis» (Liturgia: Festa di Gesù Cristo Re). L'Angelo propone sì grandi cose con ammirabile semplicità; porge solo il segno di Elisabetta: «Et ecce Elisabeth cognata tua et ipsa concepit filium in senectute sua: Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia» (Lc. 1,36); reca per ragione soltanto l'onnipotenza di Dio: «Quia non erit impossibile apud Deum omne verbum: perché niente è impossibile presso Dio»
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(Lc. 1,37). Il Sacerdote Zaccaria, scrive ammirato Sant'Ambrogio, non credé che Elisabetta avanzata in età e sterile potesse divenire Madre d'un figliuolo: «Zacharias autem... non credidit», e Maria invece credette che una Vergine concepirebbe e darebbe alla luce un Dio fatto uomo.
Maria credette prontamente. Non esitò un istante: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum: Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola» (Lc. 1,38): ecco la risposta che Maria dà alla grande ambasciata. Non fu restia come Mosè, non domandò prove come Gedeone, non chiese tempo per consultare. Al primo annunzio dell'Angelo si conturbò è vero: «Turbata est in sermone eius: si turbò a quelle parole» (Lc. 1,29); ma il suo turbamento derivava solo dall'amore alla sua illibata verginità e dalla sua umiltà. Maria credette, e la sua prontezza nel credere, dice S. Agostino, aprì il cielo ed attirò nel suo seno il Verbo eterno: «Fides Mariae coelum aperuit cum Angelo nuncianti consensit». Credette prontamente e intraprese subito il viaggio per le montagne della Giudea al fine di offrire i suoi servizi ad Elisabetta: «Abiit in montana cum festinatione in civitatem Juda; et intravit in domum Zachariae; si recò frettolosamente in una città di Giuda sulle montagne ed entrò in casa di Zaccaria» (Lc. 1,39).
E S. Elisabetta esaltò Maria per la sua fede ferma e profonda ed a questa attribuì l'adempimento delle divine promesse: «Et beata quae credidisti: perché hai creduto si avvereranno in te le cose che ti ha detto il Signore; perficentur in te ea quae dicta sunt tibi a Domino» (Lc. 1,45).
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Maria credette con costanza. La fede di Maria, posta alla prova, apparve sempre forte e generosa. Fu come uno scoglio in mezzo al mare, che non si smuove per l'infuriare di marosi e di tempeste. Prova alla fede di Maria fu l'adorare come Figliolo di Dio, consustanziale al Padre, quel Bambino che Ella diede alla luce in una povera stalla, privo di tutti gli agi che non mancano ai più poveri figliuoli degli uomini. Prova fu il doverlo trafugare in Egitto per eludere il furore di Erode, come se Egli temesse la persecuzione di un uomo, o non potesse altrimenti liberarsene. Prova fu il vederlo tanti anni nell'oscurità di una umile bottega maneggiar la pialla e il martello senza dar segno manifesto della sua divinità. Prova fu la sua passione e morte, quando parve che anche l'Eterno Padre si dimenticasse del suo Unigenito o non lo riconoscesse per Figlio. «Deus meus, ut quid reliquisti me?: Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt. 27,46; Mc. 15,34). L'Apostolo S. Pietro, benché formato alla scuola dei miracoli dubitò, dubitò l'Apostolo S. Tommaso; dubitarono tanti altri. «Vix in eis ulla fidei scintilla remanserat, dice S. Tommaso da Villanova; ma non dubitò Maria: sola omnium... plena fide, plena spe mysterium pectore solvebat suo». Costante e generosa adorò in
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Gesù il suo Dio, quando richiamava i morti a nuova vita come quando pendeva dalla croce.

Dobbiamo nutrire la nostra fede:
Con la preghiera, perché essa è dono di Dio. Occorre pregare per ottenere da Dio il lume della fede, una volontà docile nell'assentire alle verità rivelate. Questo specialmente nelle tentazioni contro la fede, nelle tribolazioni e nelle angustie.
Con la lettura dei libri sacri quali ci vengono dati dalla Chiesa. La S. Scrittura contiene la stessa parola di Dio; se la leggiamo con quello stesso spirito col quale fu scritta, Dio rivela a noi i suoi segreti. Leggiamola assiduamente, con semplicità di cuore, cercando la mente di Dio e la sua divina volontà: «Pingebat actibus paginam quam legerat». La Chiesa vuole che si legga la Bibbia commentata dai Santi Padri. «Molti cattolici crederebbero di inclinare verso il Protestantesimo se leggessero la Bibbia. Quale aberrazione! Si è protestanti, quando si cerca nella Bibbia, interpretata arbitrariamente, la regola di fede; si è cattolici quando si cerca nella Bibbia, integrata dalla Chiesa, l'alimento del pensiero cristiano, il nutrimento dell'anima; perché la Bibbia è la parola di Dio, è il pane dell'anima» (D'Hulst).
La Fede si nutre poi ancora con l'ascoltare la parola di Dio e specialmente con l'esercizio della fede. E cioè: pensare e giudicare tutte le cose secondo la dottrina e gli esempi di Gesù Cristo. Ben a ragione dice l'Apostolo (Rm. 8,7) che la prudenza delle carne è nemica di Dio e che la prudenza del mondo è stoltezza. Che dunque? Ecco:
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Gesù Cristo, che non si sbaglia, ha voluto scegliere quanto dispiace alla carne: dovunque è meglio, è più utile che eleggiamo questo anche noi; chiunque insegna diversamente è un seduttore.
Come nei pensieri e nei giudizi, così anche nei discorsi è necessario l'esercizio della fede. Gesù chiama beati i poveri, i miti, gli umili, i casti, i perseguitati.
Adoperarsi per la diffusione, la conservazione e la difesa della fede. Mentre molti s'industriano per togliere la fede dal cuore dei nostri fratelli, dev'essere nostro santo desiderio adoperarci a combattere per la fede. A tale scopo giova: far parte dell'Azione Cattolica, interessarsi per l'istruzione cristiana, per le Opere Missionarie Pontificie, il diffondere giornali che illuminano e difendono dagli attacchi degli eretici.
Concludendo:
S. Ildefonso esorta: Imitamini signaculum fidei Mariae. Ma come abbiamo da imitare questa fede di Maria? La fede è insieme dono e virtù. E' dono di Dio in quanto è una luce che Dio infonde nell'anima; è una virtù per l'esercizio nella vita. La fede è regola di credere, ma anche di operare. Quindi disse S. Gregorio: «Ille vere credit, qui exercet operando quod credit: crede veramente colui che opera secondo ciò che crede». E San Agostino: «Dicis credo: quod dicis, et fides est». E questo è l'avere una fede viva, cioè il vivere secondo la fede. «Il giusto vive di fede» (Eb. 10,38). E così visse la B. Vergine, a differenza di coloro che non vivono secondo quel che credono, la fede dei quali è morta, come dice San
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Giacomo: «Fides sine operibus, mortua est» (Gc. 2,17).
Preghiamo la SS. Vergine ad impetrarci una fede viva: Domina, adauge nobis fidem.

DIVOZIONE A MARIA

MARIA MEDIATRICE UNIVERSALE DI GRAZIA

Questo titolo racchiude la missione di Maria rispetto agli uomini. Ella è Mediatrice di grazia, perché per mezzo suo il mondo ha ricevuto nostro Signore Gesù Cristo e tutte le grazie che ne derivano, secondo il piano divino, saranno applicate e distribuite per mezzo di Lei. S. Bernardo ha posto questo principio accettato dalla Chiesa: «Omnia nos habere voluit per Mariam: Dio ha voluto che ogni cosa venga a noi per Maria». Da parte sua Ella è felice quando può dispensare queste grazie a noi suoi figli adottivi. Per qualunque grazia ricorriamo a Maria: ciò è gradito a Gesù che per Lei vuole applicarci i frutti della sua Passione e morte.

PREGHIAMO MARIA

Orazione: Signore Gesù, nostro Mediatore presso il Padre, che ti sei degnato di costituire la beatissima Vergine tua e nostra Madre mediatrice presso di Te, concedici, nella tua bontà che chiunque si accosterà a Te per domandare i tuoi benefici, si rallegri d'impetrarli per la sua intercessione.

Secreta: Deh, o Signore, per le preghiere della tua Madre e Mediatrice nostra, quest'offerta di ostie faccia di noi con la tua grazia, un olocausto eterno.
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Dopocomunione: Ci venga in aiuto, o Signore, la preghiera della tua beata Madre e nostra Mediatrice Maria, in modo che per questi sacrosanti misteri facciamo progressi col dono della tua grazia, nell'aumento dell'eterna redenzione.

ESEMPIO

S. Giovanni Bosco, nel Maggio 1869 si recava a Lanzo coi giovani e la banda dell'Oratorio per celebrare in quel Collegio la festa di S. Filippo Neri, titolare dell'Istituto. Sette giovani si trovavano coricati in una camera isolata, perché colpiti dal vaiuolo. Il loro maggior cruccio però era di non poter godere la bella festa... Tuttavia pieni di fiducia nella bontà della Madonna e nella sua benedizione fecero pregare Don Bosco perché si degnasse, appena giunto, di recarsi a benedirli. Egli arrivò in Collegio e tutti e sette si fecero preparare gli abiti in fondo al letto. Tardando ad andare presso di loro, mandarono di nuovo a sollecitarlo. E appena entrato in camera esclamarono: «Oh, Don Bosco, ci dia la sua benedizione!». Il Santo fece recitare un'Ave Maria e li benedisse. Certi allora della grazia, stendendo le mani ai vestiti: «Don Bosco, dissero ad una voce, ora possiamo alzarci?»
- Avete fede nella Madonna?
- Sì.
- Ebbene alzatevi!
E Don Bosco si ritirò col Direttore, il quale sentì il bisogno di ritornare in fretta a vedere gli ammalati. Erano ormai tutti vestiti, tranne uno che dubitava della guarigione:
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- Baravalle non è certo di essere guarito, gridarono i compagni.
E questi per ordine del Direttore rimase a letto, mentre gli altri scendevano in cortile a divertirsi. Cercandoli poco dopo il Direttore li trovò impegnati in una calorosa partita di giuoco fra i compagni. Le pustole erano scomparse, e, poiché era una giornata molto umida i Superiori, a dir il vero, erano in apprensione.
Il giorno seguente si fece la distribuzione dei premi agli alunni giudicati migliori. Era presente anche il medico, Dott. Magnetti. Primo ad esser chiamato fu il giovane De Magistris.
«Infermo!» esclamò il Dottore.
«Presente!» rispose ancor più forte l'alunno. Era uno degli ammalati.
Il secondo fu Passerini.
«Infermo!» ripeté il Dottore.
«Presente!». Era un altro degli ammalati.
Il buon medico s'inquietò per l'imprudenza e si affrettò a recarsi nella stanza ove non trovò che il Baravalle il quale con le cure guarì, ma dopo venti giorni mentre gli altri che ebbero fiducia nella SS. Vergine, guarirono all'istante.

LODE

O Sanctissima, o piissima, dulcis Virgo Maria!
Mater amata, intemerata,
Ora, ora pro nobis.

Tu solatium, et refugium, Virgo Mater Maria!
Quidquid optamus, per Te speramus,
Ora, ora pro nobis.

Tua gaudia et suspiria iuvent nos, o Maria!
In Te speramus, ad Te clamamus,
Ora, ora pro nobis.
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