Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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V. «COR POENITENS TENETE»
La liturgia in questo tempo di Quaresima ci fa domandare frequentemente il perdono dei nostri peccati e lo spirito di mortificazione. Quindi due cose, che noi abbiamo da fare la penitenza del male commesso - questo riguarda il passato nostro - e [che] abbiamo da imitare il Signore Gesù buon Pastore nella sua pazienza, nella sua passione, nella sua agonia; e questo particolarmente per il presente e per il futuro.
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Penitenza ha vari sensi. Primo senso è il pentimento interiore, pentimento del cuore, penitenza sacramento, quando cioè ci accostiamo al sacro tribunale per ricevere il perdono delle nostre colpe. Penitenza può essere un atto di espiazione o di riparazione, ad esempio in penitenza dei peccati di lingua si tace qualche parola che si può tacere, oppure in penitenza di peccati di pigrizia si cerca di essere più puntuali, più fervorosi nella vita.
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Pensiamo alla penitenza in generale. Poenitere, pentirsi, detestare, il che ha come quattro atti.
In primo luogo l'anima, guidata dalla fede, considera che cosa sia il peccato, quale male sia davanti al Signore l'offesa fatta a Dio nostro Padre, l'offesa fatta a Gesù nostro buon Pastore, e quale sia il danno che viene a noi in causa del peccato. Allora l'anima si pente, si trova in stato di penitenza. Cor poenitens tenete (a), conservate il dolore dei vostri peccati, abitualmente.
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Inoltre l'anima, mentre che detesta il peccato in generale, pensa al peccato proprio, perché, come quando noi meditiamo sulla morte non dobbiamo pensare alla morte in generale o alla morte altrui, dobbiam pensare alla nostra morte. Allora pensando che il peccato noi lo abbiamo commesso, abbiamo commesso insipientemente quello che era l'offesa a Dio, abbiamo disgustato il Signore. Allora noi domandiamo perdono in particolare dei peccati nostri. Possono essere contro il primo comandamento, possono essere contro il quinto, possono essere contro l'ottavo, possono essere contro i consigli evangelici, questi peccati.
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Poi l'anima, pentita delle sue colpe, promette di non commetterne più, di evitare il peccato e le occasioni di peccato, sì. E dall'esame di coscienza, vedendo quali possono essere queste occasioni di peccato, ecco, viene a proporre di evitare proprio quelle persone, quelle cose, quei luoghi o quelle disposizioni interne che possono portare al peccato, fosse pure soltanto lo scoraggiamento che generalmente produce poi la tiepidezza della vita spirituale.
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In quarto luogo si vuole riparare il peccato. Riparare il peccato con una vita diversa, da prima, e ripararlo anche con qualche mortificazione, o perché imposta dal confessore o perché ce la scegliamo noi. Riparare il peccato. Facendo un esempio, voi dite a chi ha rubato e può restituire: tu devi restituire, poi ti confesserai. Senza la restituzione non ci può esser la remissione. È vero che la restituzione può anche farsi dopo la confessione, ma bisogna che sia fatta. E in ogni modo, quando si riceve l'assoluzione, occorre che ci sia la volontà seria di farla.
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Così la riparazione. Se si sono dette parole di critica, giudizi contrari alla carità e falsi, riparazione vuol dire: dopo ti ritratti e dirai che ti sei sbagliato a giudicare così. E così si ripara al male fatto e, se troppo si è parlato, eh, dopo si farà il silenzio più abbondantemente; si ripara. E [un altro esempio]: non aveva studiato e quindi è andata a studiare in ricreazione, avendo perso tempo quando doveva studiare.
Oh, perché noi ci induciamo a penitenza occorre pensare che chiunque voglia farsi santo deve detestare la vita non santa, condotta prima, la vita tiepida ad esempio. Sapere che cosa è il peccato. Gesù Cristo ha detto: «Se non vi convertirete, se non fate penitenza, vi perderete tutti» [cf. Lc. 13,5]. Parlava a coloro che si trovavano in peccato mortale. Chiunque che vuole arrivare al cielo, quando si tratta di peccato grave, sempre deve pentirsi e possibilmente confessarsi. Può anche arrivare al momento in cui non possa più parlare, ma se può parlare e se può dare segno di pentimento, ecco, deve farlo.
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L'offesa di Dio! Pensiamo che cosa sia il peccato, il peccato mortale, e che cosa sia il peccato veniale.
Il peccato mortale ci chiude il paradiso e ci apre l'inferno. Il peccato mortale è una grave offesa commessa contro Dio: usare del tempo, usare della salute contro Dio che ce l'ha data.
Il peccato mortale priva della grazia e priva anche dei meriti fatti antecedentemente. Priva della grazia di Dio, chiude l'amicizia con Dio, cioè [priva] della vita soprannaturale così che chiunque in peccato grave, non abbia tempo a pentirsi, se viene sorpreso dalla morte in quello stato, ha l'eterna dannazione. E tutto il bene che aveva fatto prima, in antecedenza, in altre occasioni, non conterebbe. Non conterebbe!
E bisogna pentirsi e confessarsi e mettersi a posto perché quel bene si riacquisti, quel bene che era stato fatto antecedentemente. Il peccato grave!
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Vi possono essere delle persone che sono in dubbio perché allora non sanno se la materia fosse grave, perché allora non sanno se il consenso fosse pieno, non sanno allora se la conoscenza era completa del male che si faceva. Perché quando il consenso o l'avvertenza non sono pieni anche che vi sia materia grave, non c'è l'offesa, non c'è il peccato mortale, certamente. Qualche volta non c'è neppure il veniale, qualche volta ci può essere il veniale.
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Di più, considerare che il peccato lascia sempre in noi delle conseguenze, specialmente una maggiore inclinazione al male e per rimetterci a posto bisogna far tanti atti contrari. Se uno a poco a poco è caduto in questo difetto, di curiosare troppo con gli occhi e poi, a un bel momento, curiosando e usando tanta libertà di occhi, ha finito col commettere colpa grave, e dopo, per rimediare e cioè per correggersi di questa abitudine che ha preso posto nella sua anima, occorre per molto tempo frenare gli occhi, per correggere l'abitudine cattiva con una abitudine buona. Ma, generalmente si parla /dei peccati/ (a) veniali. E tuttavia, ancorché siano /peccati veniali/ (b) è sempre necessario che noi ci pentiamo e se non ci pentiamo qua andremo a scontarli di là.
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Però vi sono delle venialità che sono di sorpresa.
Non c'è stato tempo a pensare e la bugia le è sfuggita prima di aver riflettuto: eh, non sarà peccato. Così può essere uno scatto di ira, può essere una distrazione un po' prolungata nella preghiera, inavvertita. Non sono peccati veniali, sono piuttosto peccati di sorpresa.
Ma quando proprio si pensa che quella parola non si può dir perché è una bugia e offende il Signore e si risolve di dirla lo stesso la bugia, allora il peccato è deliberato.
Non farsi, diciamo, delle preoccupazioni quando è debolezza o sorpresa, ma quando c'è vero consenso: «So di far peccato e lo faccio ugualmente, so di non poter dir queste cose e le dico ugualmente», ad esempio, allora il peccato veniale c'è, offende Iddio. E quindi raffredda la carità, quindi priva di meriti, quindi ci porta delle inclinazioni non buone, e le inclinazioni, per esempio, all'orgoglio, a far le cose per ambizione, per esser veduta, ecco!
Allora l'offendere Gesù, perdere i meriti, acquistar l'abitudine al male col pericolo poi che dal veniale si passi al grave; oh, bisogna detestare!
Pentirsi, ecco la penitenza! Si detesta il mortale, si detesta il veniale e si propone di non commetterne più per l'avvenire e di adoperare i mezzi che sono necessari per evitarlo, il peccato.
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Ecco, allora abbiamo veramente quello stato di animo che si può dire umiliazione, confusione, disgusto o dolore, penitenza in sostanza. Quella persona si è pentita e cammina sempre ricordando, diciamo così, in qualche maniera il peccato, anche /le/ (a) sia perdonato, non perché dubiti del perdono ma perché è ancora sempre /disgustata/ (b) di aver offeso in quell'occasione il Padre celeste, di aver disgustato in quel momento Gesù, con quella ingratitudine, con quella venialità.
Questo stato di animo, questa specie di confusione <e> è sempre giusta: è perdonato il peccato! Ma una figlia che sia stata perdonata dal papà perché l'aveva disgustato il papà, però anche in avvenire sebbene il papà l'abbia perdonata le dispiace sempre di aver dato quel disgusto, di aver dato quella pena al papà. Sa del suo perdono, ma sa che ha fatto male in quell'occasione. Quello è uno stato di penitenza.
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E quello stato lì: confusione, rammarico e pena di aver offeso in quell'occasione il Signore, si chiama «virtù della penitenza». L'anima vive una virtù, una virtù che inclina il cuore a detestare sempre il male e voler impegnarsi ad evitarlo, a non commetterne più per l'avvenire.
E poi questa virtù può arrivare al desiderio - e deve arrivare - di fare il contrario. Se prima ha mancato di carità, dopo usar carità. E poi ripararlo, il male commesso.
Per ripararlo vi sono le buone confessioni. Poi per ripararlo giova fare il contrario di quel che si è fatto prima. Per riparare il peccato di tiepidezza, di freddezza eh, si arriva, si cerca almeno di arrivare al fervore, a uno stato di calore spirituale. E allora è riparato il peccato.
Niente ripara di più il peccato che fare il contrario /di/ (a) quello che si è commesso quando si è mancato.
Se si son lasciate le orazioni o si è abbreviata la visita, eh, poi si prolungheranno un po' forse le orazioni quel giorno che ha tempo, perché non ha potuto far tutta la visita lungo la settimana però alla domenica supplirà.
E può essere che non abbia potuto e può essere anche che potendo non l'abbia fatta, intiera, la visita, allora ripara.
E se è stata molto distratta nella preghiera, adesso si raccoglie, si impegna.
E se c'è stata una mancanza di obbedienza, adesso sottomette di più la volontà, [è] più docile. Ecco la riparazione.
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Oh, la penitenza. Questa penitenza si può compiere in varie maniere, ma le maniere più utili, che fan più bene, sono queste: vita comune in primo luogo per noi. Poenitentia mea maxima, vita communis (a), la mia penitenza massima, la vita comune. Cioè essere pronta agli orari, impegnarsi a far bene l'ufficio che si ha da fare, comportarsi lietamente, caritatevolmente con tutte le persone che vivono in casa, obbedire docilmente, essere generose nell'aiutare, <nel> diciamo anche nell'essere servizievole con le persone che convivono.
Vita comune. Contribuire all'istituto nel modo migliore: e chi contribuisce per esempio studiando, e chi contribuisce facendo scuola, e chi contribuisce dal lato materiale aiutando l'istituto in quello che è possibile, e chi contribuisce nel lato spirituale col dar buon esempio, col pregar molto per l'istituto...
Poenitentia mea maxima, vita communis. Com'è bello questo e come la vita di comunità riesce bella!
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Seconda penitenza, questo: la carità, l'esercizio continuato di carità: pensare in bene, giudicare in bene, desiderare il bene, pregare per il bene di tutti, parlarne in bene, aiutare quanto si può le persone che sono attorno a noi. E poi particolarmente prepararsi all'apostolato nelle parrocchie, in tutte le maniere che sono suggerite in casa. E poi, quando si è nelle parrocchie, l'esercizio di questo apostolato: verso i bambini, verso le giovani, verso gli infermi e, in sostanza, tutto quel che è vostro apostolato, foss'anche il canto in chiesa, la pulizia della chiesa, fosse anche la cura della gioventù <di azione> femminile di Azione Cattolica. Proprio corrispondenza alla vocazione e veramente riparazione del male e degli sbagli che si son fatti nella vita.
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Oh, «Io - dice quella persona - son tanto disgustata dal passato, penso che abbia privato l'anima mia di molte grazie, non so neppure se potrò far ancora molto bene nella mia vita con tutte le mancanze che ci sono state nella gioventù...». Niente. Far bene per l'avanti: si ripara al passato e si forma la corona del cielo. E solamente il disperarsi così, quasi non si riesce più: «Non avrò più tutte le grazie!», è una specie di disperazione che non è spinta all'ultimo, ma è una diffidenza, è una mancanza di fede.
Spinta fino all'ultimo la disperazione è quando uno non crede più di salvarsi. E allora commette un peccato contro la speranza.
Ma quel dubitare della bontà di Dio, oppure ricordare i peccati commessi solo per scoraggiarsi! No! I peccati commessi, se ricordati, ci mettano <in questa> in questo stato, in questa virtù della penitenza, ci portino all'umiltà e alla prudenza per non commetterne più e adoperare i mezzi per non commetterne più.
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Ma devono conchiudere, le anime, con un'altra risoluzione: ho amato poco il Signore? Adesso voglio amarlo tanto tanto, anche per il tempo che non l'ho amato *** sono stato negligente in questo o in quello? Voglio adesso essere tanto diligente da riparare al Signore e voglio amar di più il Signore perché mi ha sopportato, ha avuto tanta pazienza. Poteva castigarmi! Se egli mi avesse castigato in quel giorno, in quell'ora; fossi morto in quel giorno, in quell'ora, dove sarei adesso? Perciò, amare di più Gesù, che sia amato di più!
Nessuno deve amare di più Gesù perché è stato peccatore, perché non solamente ha ricevuto il battesimo quindi il sangue di Gesù fu applicato allora, ma il sangue di Gesù viene ancora applicato nelle confessioni e quante volte ci son perdonati i peccati? Tante volte! Noi abbiamo avuto e /trovato/(a) la misericordia di Dio. E quindi più impegno di amarlo, come chi ha ricevuto un dono una volta, ama il benefattore, ma se il dono vien fatto un'altra volta lo dovrà amare doppiamente.
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Si conchiuda sempre con la fiducia e con l'amore. Sempre! Non c'è mai ragione di dire: «Per me non c'è via di santità». No. Vedremo in paradiso quanti peccatori! Sono stati un giorno, magari infelicemente, peccatori, ma poi, dopo che il Signore ebbe misericordia di loro, quanto hanno progredito! Quanto sono andati avanti nella santità! E hanno sorpassato nei meriti e nella gloria forse tanti innocenti.
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La carità, cioè l'amor di Dio, copre anche una quantità enorme di peccati, fossero pure gravissimi [cf. Pt. 4,8]. E quando la Maddalena si è convertita, si è pentita, è diventata un'anima amantissima, santissima, e una vera apostola, per cui ha anche riparato i cattivi esempi che aveva seminato prima. E che gran santa! E come l'ha amata Gesù! [tanto] che l'ha voluta favorire di una speciale apparizione dopo la risurrezione! «Maria!» [Gv. 20,16] l'ha chiamata, e l'ha mandata ad avvertire gli apostoli che era risuscitato e che dovevano andare in quel certo luogo fissato perché là si sarebbe a loro manifestato.

Albano Laziale (Roma)
2 marzo 1958

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62 (a) Queste parole sono riportate dallo stesso Don Alberione nel volume Abundantes divitiae gratiae suae, storia carismatica della Famiglia Paolina, al n. 152 quando parla del sogno avuto in cui Gesù diceva: Nolite timere, Ego vobiscum sum. Abhinc illuminare volo; cor poenitens tenete.

69 (a) Così T. Omette R.
(b) Parole non chiare ma facilmente deducibili dal senso del discorso.

71 (a) R: gli
(b) R: disgustato.

72 (a) R: a.

73 (a) Detto di san Giovanni Berchmans.

76 (a) R: trovata.