Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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VI. MORIRE AL PECCATO
Può essere che dopo la meditazione sopra la penitenza venga una tentazione: non mangiar più, non dormir più, adoperare i flagelli e stare in chiesa anche in tempo di ricreazione (a). La vita comune!
La vita comune è maggior penitenza. Andar a far ricreazione quando è tempo, e mangiare come le altre e praticare invece la vita comune e la carità, e adempiere quanto è possibile quell'ufficio [vostro], rispondendo alla vocazione, con la buona preparazione al futuro ministero e con l'esercizio del ministero quando arriverete, andrete...
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La Quaresima poi ci suggerisce la mortificazione.
La mortificazione ha sempre due sensi, uno negativo e l'altro positivo.
Ad esempio: «Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso» [cf. Mc. 8,34]. Sì, rinnegarsi in quello che ci darebbe soddisfazione umana. Et sequatur me! [Mc. 8,34], e mi ami, non ami un'altra cosa, ami me, ecco. Non ami altro, rinnegarsi nelle altre cose, parte negativa. E sequatur me, venga dietro di me, parte positiva.
Così la mortificazione: non essere negligenti, parte negativa; esser diligenti nelle cose da farsi, parte positiva. Perché tutto il bene richiede fatica e di conseguenza sia per pregare, sia per studiare, sia per praticare la vita comune, sia per compier l'apostolato, occorre fatica.
Ecco la mortificazione positiva. Mortificazione positiva: non si ameranno cose che non si devono amare e invece si ama il Signore, con tutto il cuore sopra ogni cosa, sì! Quindi, la mortificazione c'è sempre, quando si cerca di compiere il proprio dovere, il proprio ufficio.
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La mortificazione è necessaria. Necessaria!
Mortificazione della mente: non pensieri cattivi, invece pensieri buoni.
Mortificazione del cuore: non desideri cattivi, invece desideri buoni.
Non superbia ma umiltà, pensieri di umiltà.
Non attaccamento alle cose della terra, invece attaccamento a Gesù, desiderio della santità.
Non l'invidia, ma la bontà per tutte.
E non la tiepidezza, ma il fervore, la diligenza.
Ecco, mortificazione così: parte negativa e parte positiva.
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È necessaria dunque la mortificazione? È necessaria la mortificazione per osservare i consigli evangelici.
Osservare i consigli evangelici dell'obbedienza è una mortificazione della volontà, è mortificazione anche del nostro giudizio.
Osservare la castità è mortificazione per tutto il corpo e intanto ci porta all'amor di Dio.
Osservanza della povertà è mortificazione perché si deve stare al cibo comune quando si può, all'orario comune quando si può e all'adempimento degli uffici che si hanno da compiere per quanto è possibile.
Così è necessaria questa mortificazione per vivere bene la vita religiosa, osservare i consigli evangelici.
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La vita <della> religiosa importa sempre mortificazione. Se c'è la regola, ad esempio, di non stare da sole quando si ha da andare in qualche posto o quando si tratta con qualche persona, con certe persone, ecco è già una mortificazione. Se si scrive una lettera e si deve dare aperta, è già una mortificazione. Per l'osservanza in sostanza dei consigli evangelici, è sempre necessaria la mortificazione. Del resto questa mortificazione ha un grande frutto: crescere nell'amor di Dio.
Quanto più togliamo l'egoismo, che è una immortificazione, tanto più viene nel nostro cuore l'amore al Signore. E si può fare un gran progresso in quest'amore a Dio che sta nel compimento della sua volontà, quest'amor di Dio, compiere la volontà del Signore! Qui è il vero amore al Signore, sì.
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La mortificazione è necessaria per non cadere in peccato.
Gli occhi che siano tenuti a freno e quindi si adoperino in quel che è buono per esempio a leggere i libri di scuola, leggere i libri di preghiera, la meditazione, e [con] questi occhi non guardare quello che può portare al male. Sì. Non è necessario camminare con gli occhi chiusi ma è necessario ritirare lo sguardo se questi occhi s'incontrano con qualche oggetto pericoloso. Mortificazione degli occhi.
Così se si sentono discorsi o anche canzoni che non sono buone, allora ci allontaniamo. Invece i nostri orecchi li apriamo a sentire nella scuola le spiegazioni, a sentire gli avvisi che ci vengono dati o in comunità o anche in confessionale, e tutto quello che ci serve per progredire.
Mortificazione della lingua parlando quando è necessario parlare, dicendo la verità e tacendo quando non è il tempo di parlare oppure si tratta di cose che non è conveniente dire.
Così la mortificazione del tatto: stare composte, stare in posizione giusta e comportarsi esteriormente con quella delicatezza e riguardo che è conveniente per una persona consecrata al Signore.
E così si può dire del gusto. Alle volte questo gusto si mortifica prendendo qualche cosa che non ci piace, fosse una medicina ad esempio, e lasciando invece quello che forse ci piacerebbe, ma meglio di tutto è prendere con indifferenza quello che è dato: Manducate quae apponuntur vobis [Lc. 10,8], dice s. Paolo (a), con semplicità, per servire il Signore, per dar gloria a lui: «Sia che mangiate, sia che beviate, tutto nel nome di Dio» [cf. 1Cor. 10,31]. Così il riposo.
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Mortificazione del corpo: il faticare. Le penitenze che estenuano, tolgon le forze, non si facciano; invece si adoperan tutte le forze per il Signore. Averle le forze per darle al Signore! Impiegarle per il servizio di Dio e per l'apostolato.
Noi non dobbiamo buttar via il denaro, ma non usarne e a scopi vani e intanto più se ne ha e più si fan delle opere buone, sì. Come chi ha più intelligenza, dovrebbe prendere delle medicine per non averne? Per arrivare a qualche malattia psichiatrica? No! Si benedice il Signore e si usa l'intelligenza per servire a lui, per capire meglio le cose, per spiegarle meglio le cose, per penetrare quelle verità, quella dottrina e tutto quel complesso di materie scolastiche.
E poi, /per/ (a) capire anche poi le anime, quando si è nell'apostolato, capire i mezzi perché l'apostolato renda al massimo per Dio e per le anime stesse.
Mortificarsi vuol dire reggersi bene, governarsi bene. E più si acquista questa padronanza di noi, di non lasciarsi guidare dal senso, /più ci si lascia/ (b) guidare dal Signore.
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/Mortificazione della fantasia/ (a). La fantasia può essere che porti a ricordare, a riprodurre, meglio, certi fatti veduti o certe parole sentite, ma fatti e parole che si dovrebbe lasciar da parte e allora non seguire la fantasia. La fantasia è facile che ritorni sopra fatti veduti o cose lette, ma se non sono fatti buoni e cose buone, voltar la fantasia ad altro, ad esempio allo studio, a ricordare cose sante.
Se la fantasia ci riproduce un po' il paradiso, se la fantasia ci serve a ricordare il calvario dove Gesù sta morendo, oppure la scena del presepio, ecc., se ci porta a ricordare fatti della scrittura o fatti di vita di santi allora la fantasia fa un ottimo servizio. E astenersi dalle fantasie che non son buone per nutrire e favorire le fantasie buone, è una doppia mortificazione.
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Così bisogna anche dire riguardo al futuro. Si possono, per il futuro, pensare cose molto sante, buone che si vogliono fare, per esempio si vuol raggiungere un certo grado di santità, ecco. E questi progetti, che si fanno per raggiunger la santità, quando sono regolati bene sono meriti. Se invece uno immaginasse di fare una cosa che non è buona nel futuro, magari una piccola vendetta, eh, certo non sarebbe a posto. E mortificare quel desiderio o quella immaginazione di cose future, non buone, ecco, mortificare è un merito. Sempre, quindi la mortificazione ci deve accompagnare.
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E in generale si deve dire lo stesso della nostra vita. Avete lasciato la famiglia e siete qui raccolte per restare con Gesù. Lasciar la famiglia è una mortificazione, un sacrificio. E quante volte verrà in mente qualcheduno della famiglia.
Lasciar la famiglia è una mortificazione e un sacrificio, ma voi lo fate per unirvi di più a Gesù, per mettervi sulla via della santità e dell'apostolato, ecco, un'altra mortificazione! Quando si lascia il male, oppure si lascia quello che è meno bene, per quello che è più bene, allora doppia mortificazione. La pratica della mortificazione.
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Per incoraggiarci, bisogna che ricordiamo tre pensieri. Il primo pensiero è questo: Gesù crocifisso. Vediamo le sofferenze e le pene che ha sopportato Gesù durante la sua passione: i flagelli, gli sputi, l'incoronazione di spine, la condanna a morte; il viaggio al calvario, la crocifissione, l'agonia, la morte. Ecco Gesù ci ha amato fino a morire per noi: Dilexit me, et tradidit semetipsum pro me [Gal. 2,20]. E allora se Gesù tanto si è mortificato, tanto ha sofferto... e noi che vogliamo amarlo? Lo lasceremo da solo sul calvario? No, seguire Gesù crocifisso.
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Secondo pensiero: la Vergine. Eccola ai piedi della croce. Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Filius (a). Pensare a una mamma che assiste il figliuolo agonizzante! È una gran pena quando questa mamma ama tanto il figliuolo. Ma una mamma che assiste il figliuolo in quella agonia, condannato a morte, inchiodato sulla croce, egli innocentissimo, eh, allora il dolore è inesprimibile. Tuam ipsius animam pertransibit gladius [Lc. 2,35]. E vogliamo rassomigliare a Maria. Regina Martyrum (b), è la regina dei martiri. Allora mortifichiamoci in cose piccole pensando così: noi non siam capaci di grosse mortificazioni, facciamo le piccole, quelle necessarie e quelle comandate e quelle che s'incontrano nella giornata. Qualche volta può anche esser la salute che è meno buona; e qualche volta qualche travaglio interno, qualche delusione, qualche umiliazione, qualche rimprovero, qualche richiamo. Ecco, accettiamo queste mortificazioni. Sono piccole cose in confronto di quanto ha sofferto Maria. Siamo capaci solo di piccole cose ma accettiamole con grande amore. Il grande amore, cioè l'accettarlo con gran amore a Gesù che tanto ha sofferto per noi, ci guadagna tanto merito.
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Terzo pensiero, questo: i protettori sono san Pietro e san Paolo. Tutti e due sono stati martirizzati: Pietro crocifisso, Paolo decapitato. Ecco fino a che punto hanno amato il Signore! Ma questo, dopo una vita di tanti anni di apostolato, tanti anni di predicazione, tanti anni di preghiera, tanti anni impiegati nel ricercare <delle> le anime, nell'adoperarsi per la loro conversione, nel fondare chiese. E nella loro vita erano stati quante volte in carcere! Quante volte battuti con le verghe, schiaffeggiati, sputacchiati! E quante volte avevano dovuto sopportare il freddo, il caldo, la fame! Oh, l'apostolato richiede tante volte sacrificio! Pensare: i nostri protettori come sono stati generosi!
È sempre poco quel che facciamo noi rispetto a questi grandi nostri protettori, questi grandi pastori di anime, è sempre poco; ma almeno farlo con umiltà e poi con amore.
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Così la nostra vita sarà sempre più santa, la Quaresima passerà bene e si avranno più abbondanti grazie nella Pasqua. Se passiamo bene il tempo quaresimale saremo molto benedetti nel tempo pasquale, particolarmente nel giorno della Risurrezione e nel giorno della Pentecoste. Il Signore pagherà bene ogni nostra mortificazione e lo Spirito Santo ci infonderà i suoi doni di sapienza, di scienze, di intelligenza, di consiglio, di pietà, di fortezza, di timor di Dio. I doni dello Spirito Santo! Eh, sì sì!
Allora santificare la Quaresima per accettare e ricevere con maggior abbondanza i doni pasquali.

Albano Laziale (Roma)
2 marzo 1958

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79 (a) Tono scherzoso.

84 (a) Don Alberione qui cita impropriamente san Paolo: la frase è di Luca. Quella che segue è invece di Paolo.

85 (a) R: a.
(b) R: ma lasciarsi.

86 (a) Così T. Omette R.

90 (a) Prima strofa di una delle più celebri Laudi di Jacopone da Todi e tra le più belle della poesia religiosa del '200, lo Stabat Mater.
(b) Dalle litanie lauretane