Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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33. OPERARE PER IL PARADISO

Il mese di luglio da molte anime è consecrato al pensiero del paradiso; altre anime consacrano invece al pensiero del paradiso, alla meditazione del paradiso, il mese di agosto. Ma la meditazione del paradiso va bene tutti i mesi dell'anno. Sempre noi siamo in cammino per l'eternità. Il secondo - diciamo - dogma dopo che noi diciamo di essere creati da Dio, è questo: per il paradiso, creati. Conoscere, amare e servire il Signore quaggiù e poi arrivare lassù1.
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La vita presente è un viaggio. Si è partiti dalle mani del Padre celeste che ci ha creati; si fa la nostra via, il nostro cammino e si arriva finalmente alla patria. Nella Salve Regina diciamo: «esuli figli di Eva». Siamo esuli sulla terra perché la patria nostra è il cielo.
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Vi sono persone che vorrebbero tendere a compiere tutto e solo per amor di Dio. Ottima cosa. Punto di arrivo. Ma in generale noi siamo anche un poco egoisti, santamente egoisti: per amore di Dio e per amore del paradiso, operare. Del resto le due cose infine infine si equivalgono perché si aspira al cielo per godere Iddio, per amarlo e per tutta l'eternità lodarlo, benedirlo, ringraziarlo. E operare in quelle mansioni che avremo in cielo, quelle mansioni che corrisponderanno ai meriti che avremo radunati sulla terra. Il paradiso, quindi, è il pensiero che deve dominare nella vita.
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Quando si sceglie la strada da percorrere sulla terra, e cioè si studia la vocazione, quello che ci deve dominare, regolare, guidare è questo: qual è la via che posso tenere e per la quale arrivare sicuramente al paradiso e arrivare al più bel posto in paradiso, proprio quello che il Signore mi ha preparato? E allora si trova facile lasciare il mondo, lasciare la famiglia e donarsi a Dio, donarsi a Dio.
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La suora poi si è donata completamente appunto perché, lasciando tutto sulla terra, è sicura di guadagnarsi un paradiso più bello. Lascia il poco per il molto. Che cosa sono queste cose che si potrebbero avere e possedere e godere sulla terra? Sono piccole cose e poche cose che durano poco tempo; anche quelli che sulla terra si chiamano fortunati perché: o son ricchi, o sono onorati, o hanno buona salute, o si godono la vita in molte soddisfazioni. E poi? Tutti si riducono un giorno a passare all'eternità, alla morte; e tutti si finisce col corpo al cimitero e con l'anima si va al giudizio di Dio. E allora che cosa valgono le cose della terra?
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Ecco, Salomone aveva goduto quanto poteva godere. E alla fine? E alla fine conchiuse che: «tutto è vanità»1. Perché è vanità? Perché passa. D'altra parte, quei che fanno il male, all'esterno fanno il male, ma dentro sentono una puntura, un dolore, un rimorso per cui anche quando ridono, interiormente tante volte piangono. Piangono la loro infelicità, le loro pene; e capiscono che operano contro se stessi, cioè lavorano a prepararsi tormenti, pene.
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Invece, chi si è consecrato a Dio, anche quando fatica, anche quando ha qualche pena o interiore o esteriore, sa che tutto è a profitto suo, cioè per l'eternità, per il paradiso. Creati per il cielo. E solamente in Dio abbiam pace: Fecisti nos, Domine, ad te, inquietum est cor nostrum donec requiescat in te1. Signore, ci hai fatti per te, e siamo inquieti sempre e turbati quando il nostro cuore non riposa in te.
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E quell'inquietudine che si può sentire sulla terra per il male fatto, nell'eternità, oh, per quelli che non si convertono, quell'inquietudine sofferta sulla terra, quanto sarà più grave nell'eternità! Che cosa aspetta allora a un'anima che non ha voluto ordinare la sua vita verso il cielo?
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Il Padre celeste è buono, è tanto buono e vuole metterci a parte della sua felicità eterna. Per ricordare il pensiero del Vangelo, il Padre celeste aspetta i suoi figli per farli sedere alla sua mensa in cielo. E godrà egli di essere da loro lodato, ringraziato, amato; ed egli gode nel lasciare sopra di essi la sua gioia e nel far partecipi essi della sua felicità eterna. Paradiso! Tutto, solo, sempre per il paradiso, per rimanere continuamente, eternamente con Gesù. Siete di Gesù Maestro, ecco. Ora, in tutta la vita, in morte, al giudizio, nell'eternità, con Gesù Maestro, sempre. Pensare, dunque, al paradiso.
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Notiamo, però, che la gloria, la felicità dei beati non è uguale per tutti. È proporzionata ai meriti fatti sulla terra. Chi fa più meriti avrà un premio maggiore. E cioè, avrà una visione più profonda di Dio, un possesso più intiero, più ampio, meglio, di Dio, un gaudio più profondo di Dio; in Dio, ecco. Vi sarà, quindi, diversità fra beato e beato; come vi è una stella più splendente e una meno splendente1, così in cielo, i beati. Dipende dalla quantità di meriti fatti sulla terra.
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Ognuno di noi si fa il paradiso giorno per giorno, se lo fa più bello o meno bello. Chi opera con fede, con speranza viva, in carità sempre più profonda, ecco guadagna assai più di chi ebbe poca fede, poca speranza, poca carità, si capisce. Potrà ancora esser salvo se c'era la carità sufficiente, l'amor di Dio, lo stato di grazia sufficiente. Ma quale diversità!
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Anime che spendono tutto ciò che hanno per Dio. Quando la loro mente si è aperta all'uso di ragione, hanno offerto giorno per giorno le loro azioni al Signore: «Vi offro le azioni della giornata»1. E son passati nell'innocenza e sono andati avanti giorno per giorno corrispondendo alla grazia del Signore e facendo quello che potevano. E vanno avanti così nella vita fino a che il Signore le chiama all'eterno riposo.
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Anime invece che passano la vita nella tiepidezza e vogliono mettere insieme un po' di soddisfazioni e, nello stesso tempo, un po' di amor di Dio. Tiepidezza, per cui tante volte, meno pietà oppure venialità anche deliberate. Anime poi che dimenticano il cielo e vivono sulla terra come se non dovessero mai passare all'eternità.
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Oh, allora, ecco noi abbiamo da ricordare il paradiso e il più bel posto per il paradiso. Quando Gesù ha detto agli Apostoli: «Vado a prepararvi il posto»1 non intendeva solo parlare dei Dodici, intendeva parlare di tutti quelli che l'avrebbero amato, che avrebbero creduto in lui: «Chi crederà sarà salvo»2, ecco. Come quando ha istituito l'Eucaristia non intendeva solo di darla ai Dodici, di darla agli Apostoli che erano radunati all'Ultima Cena accanto a lui; intendeva di dire: «Prendete e mangiate»3, intendeva di dirlo a tutti i secoli, anche a noi. Così: «Vado a prepararvi il posto», preparare a ognuno di noi.
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Ricordare che qui, una ha un posto, l'altra ha un altro; chi fa un ufficio, chi ne fa un altro; chi ha un ufficio che piace di più, chi ha un ufficio che piace di meno. Ma il posto che ci danno sulla terra, l'ufficio che ci danno sulla terra è temporaneo; mentre che abbiamo un posto sulla terra, Gesù ne prepara un altro in cielo, e proprio per ciascheduno di noi, non può occuparlo nessun altro. E Gesù ce lo prepara bello il posto, bellissimo. Però, se noi perdiamo dei meriti, ecco discendiamo a un posto inferiore, a un gradino inferiore. E se invece noi, tutto e con retta intenzione facciamo per il Signore, per il paradiso, ogni atto diviene come il salire di un gradino in più, il salire un gradino in più, ecco. Non perdiamo tempo.
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Allora, come si fa a meritare di salire un gradino in più? Si può pensare a questo: le cose che voi avete da fare nella giornata, son tutte belle e buone, e son tutte di volontà di Dio. Questo è la base. Voi fate la volontà di Dio dal primo segno, al mattino, della levata fino all'ultimo segno del riposo alla sera, e anche il riposo alla sera offerto al Signore; quindi per questa parte siete sicure di camminare nel volere di Dio e di fare quello che piace al Padre celeste. E al Padre celeste piace dare il premio; ricompensare, piace al Padre celeste. Non solamente godremo noi nel ricevere il premio, ma godrà il Signore nel darcelo e nel darcelo abbondante.
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Oh, poi, tutte queste azioni che sappiamo che piacciono a Dio, ecco farle in retta intenzione, proprio solo per il Signore, per il paradiso. Si possono mettere poi tante altre intenzioni che son comprese in questa: di far le cose per Dio, far le cose per il paradiso. Una può mettere l'intenzione per la conversione di un peccatore, per la santificazione dei religiosi, per il Concilio Ecumenico che tanto raccomanda il Papa, per l'aggiornamento del Codice. Uno può mettere l'intenzione di vincere se stesso in un dato punto, nel crescere in una data virtù. Le intenzioni possono esser tante e, se sono ordinate all'ultima intenzione del paradiso e di piacere al Signore, allora son tutte belle le intenzioni.
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Tuttavia noi abbiamo quel gran segreto in Congregazione di dire sempre il «Cuore divino di Gesù» e allora mettiamo tutte le intenzioni che ha Gesù nella Messa. Come potrebbero essere più sante, più numerose le nostre intenzioni che quelle che possiamo abbracciare e comprendere «per quelle intenzioni per cui Voi continuamente vi immolate sugli altari»? Son tutte, riguardano sempre la gloria di Dio e la pace degli uomini, la pace delle anime purganti, la pace dei morenti, la pace dei giusti e la pace che il Signore vuole dare a tutti gli uomini: Pacem meam do vobis1. Vi do la mia pace.
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Orbene, ecco noi abbiamo da dirizzare bene le intenzioni. Si può anche solo dire: «Vi offro le azioni della giornata, fate che siano tutte secondo la tua santissima volontà». Però noi con questa abitudine «con le intenzioni con cui continuamente vi immolate» partecipiamo alle circa 400 mila Messe della giornata, 400 mila che si celebrano sui varii punti della terra. E quindi mentre che si fanno gli uffici, alle volte anche molto umili, noi siamo come davanti all'altare, e il Signore accetta le nostre cose e le offre all'eterno Padre con le intenzioni stesse con cui lui si immola sugli altari.
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Quindi, rettissima intenzione. La retta intenzione poi indica, è il grado di amore che abbiamo a Dio. Quindi basterebbe dire: far le opere che piacciono a Dio, in grazia di Dio e la retta intenzione. Si può anche dire: con grande amore. Ma la retta intenzione indica l'amore, e più è pura l'intenzione e più indica il nostro puro amore verso Dio.
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Allora, ecco la conclusione, per quest'oggi, della meditazione: pensare al paradiso e operare per il paradiso con la più retta intenzione, giacché sapete che quel che fate lo fate in grazia di Dio, e di più sapete che quel che fate piace a Dio. C'è solo da farlo con la più retta intenzione. E intenzioni migliori non ce ne possono essere di quelle che Gesù ha nell'immolarsi sugli altari. Se siete di Gesù Maestro, siate di Gesù Maestro anche in questo: le sue intenzioni, in maniera tale che diamo tutto a lui, che viviamo in lui e secondo i suoi pensieri, i suoi desideri, ecco.
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Allora il nostro dono a Dio è sempre più sentito ed è sempre più fruttuoso, più costante, più intiero. Il pensiero, dunque, della giornata: ricordati che hai da morire, ma ricordati che ti aspetta il paradiso; non solo ricordare la morte. La morte è un passaggio ed è una porta un po' dolorosa aprirsi, ma ci immette nel paradiso, paradiso eterno: «Vieni, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore»1, come abbiamo letto anche adesso nella Messa, perché hai fatto mica molto sulla terra, ma per quel poco che hai fatto, un eterno premio, un eterno premio.
Sia lodato Gesù Cristo
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1 Cf Catechismo della Dottrina Cristiana..., EP 1961, n. 13.

1 Cf Eccl (Qoelet) 1,2 et passim.

1 S. AGOSTINO, Le Confessioni, 1,1,1.

1 Cf 1Cor 15,41.

1 Dalla preghiera «Cuore Divino di Gesù».

1 Gv 14,2.

2 Mc 16,16.

3 Mt 26,26.

1 Gv 14,27.

1 Mt 25,21.23.