Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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13. DOMENICA X DOPO PENTECOSTE

Il Vangelo è tratto da san Luca, capo XVIII: In quel tempo: Gesù disse questa parabola... Due uomini salirono al tempio...e chi si umila sarà esaltato1.
Abbiamo da considerare in questa domenica la misericordia del Signore. L'Oremus dice: « O Dio, che la tua onnipotenza manifesti soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica sopra di noi la tua misericordia affinché, quanti anelano alle tue promesse, tu li renda partecipi dei beni celesti».
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Questo vuol dire che il Signore è onnipotente, sì; ma la sua onnipotenza può manifestarsi in tante maniere: la creazione del mondo, ad esempio; l'operare i miracoli come il ridonare la vista ad un cieco, come risuscitare un morto. Ma il Signore la sua onnipotenza la manifesta soprattutto col compatire e col perdonare. Col perdonare perché un'anima caduta in grave peccato sarebbe priva della vita, spiritualmente morta. Il Signore la richiama alla vita perdonando il peccato e infondendo di nuovo la grazia.
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Noi vediamo pochi miracoli nel corso della vita, ma vediamo tutti i giorni i penitenti che si accostano al confessionale per essere perdonati dei peccati, e sono perdonati. Perciò il Signore manifesta specialmente col perdonare, la sua onnipotenza. Egli può tutto. Dicevano gli avversari di Gesù: Chi può perdonare il peccato se non Dio solo?1, ecco.
Perché il perdonare il peccato è un atto di onnipotenza di Dio che può tutto e può anche perdonare il peccato. Grazia è, opera questa, molto più grande che non sia il nutrire gli uomini tutti i giorni con il pane quotidiano, che non sia la risurrezione di un morto, la guarigione di uno storpio, ecc. E compatisce il Signore. Nessuno comprende meglio di Dio le nostre debolezze, infermità spirituali; nessuno comprende quanto l'umanità sia fragile. E Dio manifesta la sua onnipotenza col compatire, col perdonare.
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Si trovano, alle volte, peccatori che sono stati ostinati tutta la vita e in punto di morte entrano in se stessi per la misericordia di Dio e con un atto di pentimento ottengono il perdono. L'avere il pentimento è già una misericordia perché è lui che conferisce la grazia di riconoscere i nostri torti, i nostri mali; di riconoscerli e di pentircene in quanto siam colpevoli. Dà la grazia di conoscerli, di pentircene e poi dà l'assoluzione, il perdono.
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Vediamo che il Signore soprattutto odia l'orgoglio, la superbia e ciò che lo commuove è sempre questo: l'umiltà, cioè che noi riconosciamo i nostri falli e che gli chiediamo la misericordia sua e che invochiamo la sua grazia per non ricadere più, anzi per diventar santi. E qui sta il grande atto di bontà di Dio, che converte un gran peccatore in un gran santo. Gesù crocifisso sente il buon ladrone che gli domanda perdono: «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno»1. E Gesù risponde: «Oggi sarai con me in paradiso»2.
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Come il primo a cui visibilmente, invisibilmente noi non conosciamo tutto quel che è successo, ma visibilmente ecco che questo peccatore ostinato fino che è già sulla croce, si pente, viene ascoltato, vien perdonato e nel giorno stesso in cui muore entra in paradiso, come il primo solennemente canonizzato da Gesù sulla croce. Poteva esserci un momento più solenne? Qui sta poi l'eccesso - diciamo - della misericordia di Dio che non solamente perdona, ma cambia tante volte un peccatore in un gran santo. E quanti ce ne ricorda la storia ecclesiastica! Sant'Agostino1 potrebbe essere un grande esempio.
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Ora la parabola lo spiega: il fariseo andava diritto verso l'altare per pregare e con orgoglio diceva al Signore ragionando fra di sé: «Io non sono come tutti gli altri, ti ringrazio, o Signore, e non sono neppure come questo pubblicano che sta in fondo al tempio. E gli altri sono adulteri, sono ingiusti, son ladri, ecc. Io invece digiuno, pago le decime, ecc.».
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Oh, e allora? Allora il Signore non guardò la sua preghiera orgogliosa, ma guardò la preghiera del povero pubblicano che stava in fondo alla chiesa, non osava alzare lo sguardo verso l'altare e col capo chino si picchiava il petto: «Signore, abbi pietà di me che son peccatore». E, ecco, il peccatore ritornò a casa giustificato, il che vuol dire, santo, perdonato del suo male e nello stesso tempo inondato dalla grazia di Dio. Giustificato. E allora il paradiso per lui è aperto. A differenza dell'altro che tornò a casa più peccatore di prima perché aveva aggiunto agli altri suoi difetti questo dell'orgoglio.
Ma ecco la condizione che vuole il Signore: che noi riconosciamo i nostri sbagli, le nostre debolezze e che ci rivolgiamo a lui per domandare il perdono, la grazia. E allora: «Chi si umilia sarà esaltato».
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E come viene esaltato l'uomo? L'uomo non viene esaltato tanto con degli onori sulla terra; no. L'uomo è esaltato quando sale al cielo. E un peccatore viene esaltato quando sale ai primi posti in cielo; ai primi posti in cielo, ecco. Quello è l'esaltazione esterna. Sulla terra, dicessero anche mille lodi non ci cambiano lo stato interiore, non contribuiscono per nulla ad aumentare i nostri meriti. Ma qui, chi vuol diventare grande bisogna che si umili: «Se non vi farete come questo bambino, voi non entrerete nel regno dei cieli»1. Bisogna che vi convertiate, ecco. Allora il Signore mette questa condizione: che noi ci riconosciamo come siamo.
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Quando uno non è peccatore, non ha commesso un certo errore non può mica dire che l'abbia commesso. Maria non si disse: ecco la peccatrice. Dice: «Ecco la serva di Dio»1. Sapeva ben di non aver peccati. Ma noi che abbiamo tante infermità, tante debolezze, tanti peccati, dobbiamo riconoscere fino al fine che diciamo la verità, in sostanza, a noi stessi.
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Se facciamo l'esame di coscienza ci troviamo macchiati dalla testa ai piedi: un poco è mancata la nostra mente con l'orgoglio, la nostra mente con pensieri vani, inutili; un poco è mancato il cuore con sentimenti, magari, d'invidia, freddezze nel pregare, ecc.; un poco è mancata la lingua in parole dette fuori di tempo o non a proposito; e un poco son mancati gli occhi, un po' l'udito, un po' il gusto, un poco il tatto; siamo macchiati dalla testa ai piedi e, tuttavia, siamo così ciechi che non arriviamo a riconoscerci. E guai se ci avvertono ancora! Chi ci avverte quasi diviene il nostro nemico. Orgoglio!
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Allora bisogna che noi mettiamo questa condizione: riconoscerci davanti a Dio e davanti agli uomini. E camminare sempre col capo chino e con l'occhio supplichevole domandando misericordia, pietà, perdono; domandando aumento di grazia dove c'era stato il peccato; e proprio che, se la testa ha mancato, ora con pensieri santi, ora con l'obbedienza rimediamo. In sostanza che, dove c'è stato il male, che noi mettiamo adesso il bene, e che vogliamo mettere il bene.
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E preghiamo il Signore che ci dia questa grazia di sostituire con opere buone e sante, con le virtù, quello che era stato cattivo, che era stato peccato. E allora: «Chi si umilia sarà esaltato». Il nemico primo, anzi numero uno della nostra santità è sempre l'amor proprio, l'orgoglio, la superbia, la vanità. «Chi si umilia [sarà] esaltato, chi si esalta sarà umiliato».
Oh, allora, non confidiamo in noi, ma confidiamo solo nella misericordia di Dio. Se noi confidiamo nella misericordia di Dio, avremo sempre, tutti i giorni aumento di grazia. Se noi invece confidiamo in noi stessi, magari pensiamo già ai nostri meriti e pensiamo di aver già fatto del bene, e allora ci svuotiamo dei doni di Dio. Nemici di noi stessi, allora.
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Se sapessimo quanto male ci facciamo a noi quando ci crediamo di farci del bene o di mettere in mostra qualche cosa di buono che abbiamo fatto! Domandare sempre questa grazia: dove c'è stato il peccato, che trionfi adesso la virtù; dove c'è stata la dissipazione, che venga il raccoglimento; dove c'è stato l'orgoglio, che venga l'umiltà; dove c'è stata l'indifferenza, che mettiamo spirito di fede, che mettiamo l'amore di Dio. Se ci umiliassimo quanto dobbiamo, faremmo presto a farci santi.
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Anime che sbagliano nel confessarsi, vogliono che si dicano molte parole. Devono mettere molte disposizioni, invece, disposizioni di umiltà e di fiducia. "Signore, io lo so, hai istituito questo sacramento per togliermi il male e per arricchirmi dei tuoi doni, io mi umilio dei miei mali e confido in te". Umiliarci, ma soprattutto poi, che ci sia la fiducia perché l'ultima azione dev'essere la confidenza in Dio, se no ci disperiamo solo a considerare come è lo stato dell'anima nostra. Ma noi soprattutto confidiamo nel Signore, nella sua grazia, nella sua misericordia.
Sia lodato Gesù Cristo
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1 Lc 18,9-14.

1 Mc 2,7.

1 Lc 23,42.

2 Lc 23,43.

1 S. Agostino (354-430), Padre e Dottore della Chiesa.

1 Cf Mt 18,3.

1 Lc 1,38.