Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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NECESSITÀ DELLA PREGHIERA

GIORNO III.

ISTRUZIONE I.


SACRA SCRITTURA
LA FIGLIA DI GIAIRO E L'EMOROISSA

Mentre Gesù parlava alle turbe, ecco uno dei capi accostarsi, inchinarsi e dire: - Signore la mia fìglia è morta or ora: ma vieni, imponi la tua mano su di lei e vivrà.
E Gesù, alzatosi, lo seguì coi suoi discepoli.
Ed ecco una donna, la quale da dodici anni pativa perdite di sangue, accostarsi a lui da tergo e toccargli il lembo della veste. Perché - diceva dentro di sé - sol ch'io tocchi la sua veste, sarò guarita.
Ma Gesù, rivoltosi e miratala, disse: - Confida, figliuola, la tua fede ti ha salvata.
E da quell'istante la donna fu liberata.
E quando Gesù arrivò alla casa del capo, avendo veduti i suonatori e la turba far strepito, disse: - Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme.
Ed essi lo deridevano. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò e prese la fanciulla per mano, e quella si alzò. E se ne divulgò la fama per tutto il paese.

(Matt. IX, 18-26).

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Si può distinguere la preghiera del buon cristiano, la preghiera del buon religioso e la preghiera del buon sacerdote. Ogni preghiera serve, ed è sempre efficace e di infallibile effetto, se è fatta bene e chiede delle grazie necessarie alla salute di ognuno. Ma la preghiera del buon cristiano serve ad ottenergli la grazia di vivere da buon cristiano: fede, speranza, carità, osservanza dei comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa. Essa dovrà essere almeno in una sufficiente misura.
La preghiera del religioso serve infallibilmente ad ottenergli, inoltre, la grazia della fedeltà ai santi voti della castità, obbedienza, povertà, l'osservanza della vita comune; naturalmente, questa preghiera deve essere in una misura maggiore di quella del cristiano, secondo le disposizioni canoniche e le regole proprie dell'istituto.
La preghiera del sacerdote serve ad ottenergli ancora le virtù pastorali, secondo l'ufficio speciale, i doveri dell'Ordine Sacro, le leggi della Chiesa. La preghiera è particolarmente necessaria al sacerdote, dovendo salvare le anime e se stesso.
La preghiera è potente presso Dio: e il cristiano, pregando, ottiene; il religioso ottiene anche più, come in particolare amicizia con
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Dio; il sacerdote poi, per le grazie necessarie al suo popolo, al suo gruppo d'anime, ai suoi lettori ed uditori, ha speciali promesse da Dio. I fedeli si raccomandano perciò con ragione e con ragione confidano nella preghiera dei buoni religiosi; le popolazioni hanno ragione di sperare nel loro pastore, il quale fu scelto da Dio per l'ufficio di trattare, in qualità di ministro, le cause delle anime. Il sacerdote, infatti, deve salvare le anime, anzitutto con l'apostolato della preghiera.
Come vi sono i doveri di stato, così vi sono le preghiere di stato: ognuno ha i suoi doni ed i suoi talenti; ognuno ha i suoi poteri ed i suoi doveri; ognuno risponderà innanzi a Dio di quello che poteva e doveva fare; ognuno ha la grazia di pregare in modo da potersi santificare nel suo stato. Dobbiamo perciò pregare tanto, per noi, quanto vediamo necessario per compiere i doveri ed esercitare le virtù proprie di tale stato. Chi si avvede di non riuscirvi ancora, si esamini: manca di preghiera, o nella quantità o nella qualità.

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Consideriamo perciò la necessità della preghiera. Essa è: 1) necessaria di necessità di mezzo; 2) necessaria di necessità di precetto.
Una cosa è necessaria di necessità di mezzo
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quando, omettendola, non si raggiungerebbe la salute, ancorché omessa senza colpa. Una cosa è necessaria di necessità di precetto, quando vi è un vero comando di farla: tuttavia, omettendola senza colpa, si conseguirebbe la salvezza ugualmente.
Quindi deduciamo una conseguenza, che potrebbe anche essere messa al termine, ma sta bene e forse meglio in principio: c'è bisogno di avviare, e con la parola e con l'esempio, le anime alla preghiera, e di parlare, di scrivere, d'insistere, d'insegnare e d'assistere perché si preghi.
Dicendo che ciò è necessario, parliamo in generale: il metodo e le preghiere da dirsi sono poi altra cosa.
Diciamo: la preghiera mentale è necessaria di necessità di mezzo. Chi non riflette sul suo destino, sui fini per cui noi siamo sulla terra, sulla necessità di onorare Dio, d'ascoltarlo, non può arrivare al fine. O si senta la predica, o si pensi, o si leggano libri buoni; diversamente non ci salviamo: «Desolatione desolata est omnis terra: quia nullus est qui recogitet corde»1.
Il metodo della meditazione è poi dato ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e agli aspiranti al sacerdozio.
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Vi è metodo e metodo; ma tutti i metodi convengono nella sostanza, cioè: ad illuminare la mente sopra le verità eterne, ad eccitare la volontà alla virtù, a pregare per seguire Gesù Cristo nella via buona.

I. - La preghiera è necessaria di necessità di mezzo.
Questo è chiaro dal semplice ragionamento. Vi sono tante grazie necessarie per la nostra eterna salute. Ora Dio, d'ordinario, non le concede se non a chi prega; dunque è necessario pregare. Perciò: o preghiamo, e ci salveremo; o non preghiamo, e ci perderemo. Né vale dire che faremo pregare, che vi sono anime da noi beneficate che pregano; no. Le preghiere degli altri possono aiutare, ma la sostanza del pregare è così individuale e personale quanto il respirare, il mangiare, ecc.; aiuti sì, parte sostanziale, d'ordinario, no.
Vi sono molte grazie che Dio non concede se non a chi prega. Il Signore suole concedere le prime grazie per sola sua misericordia, per es., l'invito alla fede, il battesimo. Ma allorché si è già arrivati alla fede, ricevuto il battesimo, si sviluppa l'uso di ragione, diviene possibile la preghiera, il Signore subordina le grazie alla nostra domanda. Egli darà la grazia di pregare; se si corrisponde a questa grazia,
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darà la perseveranza nel bene, anzi la perfezione. La vita buona renderà più santa la preghiera e questa, ancora migliore la vita: così si camminerà sempre meglio, perfezionandosi vicendevolmente l'orazione e la vita nostra.
I teologi insegnano che la preghiera, agli adulti, è necessaria non solo di necessità di precetto, ma anche di mezzo. Nella provvidenza ordinaria, un fedele, senza raccomandarsi a Dio, ed implorare le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. S. Tommaso dice che dopo il battesimo è necessario che l'uomo continuamente preghi, affinché possa entrare in cielo: poiché, quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, tuttavia rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente, e il mondo e il demonio che ci guerreggiano esternamente. La ragione che ci fa certi della necessità che abbiamo della preghiera è questa: noi, per salvarci, dobbiamo combattere e vincere: «Nam qui certat in agone, non coronatur nisi legitime certaverit»2. Senza l'aiuto divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto divino si concede solo per l'orazione. Dunque, senza orazione non vi è salute. Dunque occorre la preghiera. La grazia poi di pregare è di fede che l'hanno tutti.
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Di conseguenza: se vogliamo perseverare, bisogna che preghiamo. A questo riguardo così parla il Concilio di Trento: «Si quis dixerit, justificatum, vel sine speciali auxilio Dei, in accepta justitia perseverare posse, vel cum eo non posse; anathema sit»3. La ragione è chiara: noi abbiamo assoluto bisogno di Dio: «Sine me nihil potestis facere»4. Dice Sant'Agostino, commentando queste parole: «Sive parum, sive multum, sine illo fieri non potest, sine quo nihil fieri potest».
È necessario che noi prendiamo i mezzi che abbiamo, e i mezzi quali sono? I mezzi sono questi: i sacramenti, i sacramentali, l'orazione.

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Vi sono precetti che sono molto difficili ad osservarsi: il precetto del perdono dei nemici, il precetto «irascimini et nolite peccare»5, il precetto della castità. Per qualche tempo si può anche rimanere forti con la grazia che già abbiamo; ma a lungo andare, per tempo notevole, non si può sostenersi. Si ha un bel dire che vi sono nel mondo quelli che vivono onestamente e pregano poco; se preghino o non preghino, spesso, non lo si sa. Chissà che cosa
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facciano nel segreto della propria coscienza! Inoltre: chissà se pur mostrando all'esterno una vita regolare e regolata, nell'interno non vi siano desideri e disordini cattivi? Chi lo sa? Quanto poi ad osservare la castità, a perdonare i nemici in modo meritorio per la vita eterna, occorre assolutamente la grazia.
Vi sono precetti che non si possono osservare senza la divina grazia. Questi precetti sono difficili, ma non impossibili. S. Agostino dice: «Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis; et adjuvat ut possis».6. E il Concilio di Trento: «Si quis dixerit, Dei praecepta homini etiam justificato, et sub gratia constituto esse ad observandum impossibilia, anathema sit» 7.
La vita sacerdotale, la vita religiosa sono inconcepibili, più ancora che la vita cristiana, senza la preghiera. Perciò il religioso, il sacerdote adempiano prima i doveri di preghiera poi gli altri. Se non si prega o si prega scarsamente o si tramanda la preghiera all'ultimo posto, nel luogo meno adatto, nell'ultimo tempo, non si può vivere da buon religioso, da buon sacerdote; come non vivrebbe neppure
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da buon cristiano, colui che lasciasse quel tanto di preghiera che deve fare un buon cristiano.
Abbiamo forse tanto da riflettere, tanto da meditare. Noi troviamo sempre scuse per la nostra condotta, e non andiamo alla vera causa; sovente non mettiamo il dito sulla piaga e non curiamo il male dove esiste. Medichiamo la mano, curiamo la testa, ma spesso è il cuore che dovremmo sanare; la circolazione del sangue forse non è buona, e quando la circolazione non è buona si sente male un po' dappertutto, nelle mani, nei piedi, alla schiena, alla testa.
Quando il nostro cuore non è ben unito al Cuore di Gesù e non prega, non possiamo che sentir dei mali: «Religiosus, dice l'Imitazione di Cristo, negligens et tepidus... ex omni parte patitur angustiam, quia interiori consolatione caret et exteriorem quaerere prohibetur». Siamo noi che ci facciamo felici o infelici.
Il giogo di Dio è soave, il peso di Gesù è lieve, quando lo si porta con la preghiera; ma il giogo è pesante, il peso è enorme, è superiore alle forze, quando lo si porta senza di essa. Dice un ottimo libro: Se si fosse fedele con Dio quanta più facilità, più tranquillità e più letizia si proverebbe! ma perché noi prima non pensiamo all'anima, ecco
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che da tutte le parti e in tutte le cose troviamo disinganni. Da una parte non si vorrebbe offendere Iddio, per non incontrare pene e agitazioni; ma dall'altra parte non si sente la forza di compiere il bene. Perciò si tira innanzi passando di pena in pena, di tentazione in tentazione, alternando forse opere buone a opere insufficienti, opere di zelo a peccati.
Come chi vuole farsi l'idea di un libro, della tesi che tratta, per prima cosa guarda l'indice; così il Signore guarderà l'ultima ora del libro della nostra vita, che ne è d'ordinario il riassunto e lo specchio. Ma non solo l'ultima ora! E se il nostro libro fosse mal stampato nel primo sedicesimo, mal stampato nel secondo, mal stampato nel terzo, nel quarto, ecc., vi fossero sgorbi, ecc., che cosa avremmo? Sappiamo già come sono le prime pagine ed i primi quinterni del libro della nostra vita; possiamo rivederli in noi stessi. E fortunati noi che abbiamo ora il tempo di riparare convenientemente, per mezzo delle sante confessioni, e con una vera conversione.
La preghiera è il grande ed indispensabile mezzo di emendazione e risurrezione come di perseveranza finale.
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II. - La preghiera è necessaria di necessità di precetto.
Dio lo comanda. Abbiamo già detto come nella Sacra Scrittura si parli della preghiera ben più di quattrocento volte. Si può dire che il Signore, quasi in ogni pagina del suo Libro ritorni sull'argomento della preghiera. Ora la comanda: «Orate ut non intretis in tentationem»8; «Usque modo non petistis quidquam... petite et accipietis»9.
Ora c'invita all'orazione: «Oportet semper orare et non deficere»10; «Sine intermissione orate»11.
Ora ci suggerisce formole e preghiere. Qui bisognerebbe ricordare tutti i Salmi. Essi sono un gran libro di bellissime preghiere. Specialmente il «Padre nostro», le ottime preghiere di Mosè, di Daniele, di Salomone, di Giuditta.
Ora vi sono esempi: Giobbe esclama: «Nudus egressus sum de utero matris meae, et nudus revertar illuc: Dominus dedit, Dominus abstulit: sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum»12; e Tobia: «Justus es, Domine, et omnia judicia tua justa
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sunt, et omnes viae tuae, misericordia, et veritas... et judicium»13; e Neemia: «Domine Deus, omnium creator, terribilis et fortis, justus et misericors, qui solus es bonus rex..., solus justus et omnipotens et aeternus, qui liberas Israel de omni malo... accipe sacrificium... et custodi... et sanctifica»14.
Ora sono notati castighi venuti per mancanza di preghiera. Cosicché se vi è qualche pagina della Scrittura che taccia della preghiera, molte e molte pagine ne sono addirittura piene.
Che cosa concludere? Che il Signore vuole che si preghi. Quando ripete una cosa una, due, dieci, venti volte, non è chiara la sua volontà? Ebbene qui l'ha ripetuto quattrocento volte, sotto tutte le forme: con gli inviti, con le minacce, con le promesse, coi premi.
Gesù Cristo ne ha fatto un comando, mostrando anche i pericoli a cui gli Apostoli si sarebbero esposti, lasciando la preghiera. E perché non vollero credere, la profezia del Signore si adempì; e l'umiliazione degli Apostoli fu grande.
È precetto di Dio: «Oportet semper orare et non deficere». E che significa: non deficere? Non è già che noi dobbiamo star continuamente in ginocchio; ma significa che la
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preghiera vitale dev'essere continua, e che anche le altre preghiere non possono mai cessare. Occorre che preghiamo ai sette, ai dieci, ai quindici, ai venti anni; prima di essere religiosi e dopo che lo siamo; prima di esser sacerdoti e dopo che lo siamo; prima, per aver la volontà e la forza di fare il bene; poi, per adempiere ai gravissimi doveri che ogni giorno ci arreca: Nunquam deficere. Non dire: adesso son già perseverante nel bene! Persevera nella preghiera, se desideri che perseverino le grazie; nessun giorno, nessuna settimana, nessun mese, in nessun periodo della vita si può desistere dalla preghiera. Nunquam deficere: oggi, domani, sempre... Come in tutta la vita bisogna mangiare, per sostenere il corpo, poiché chi non mangia, non vive; così in tutta la vita bisogna pregare per sostenere l'anima. Non è necessario che si stia tutto il giorno a tavola, ma tutti i giorni bisogna andarvi; come non è necessario star tutto il giorno in orazione, ma tutti i giorni è necessario pregare; e pregare a sufficienza per nutrire la nostra anima, il nostro spirito.
Chi è costante nella preghiera, riceve costantemente da Dio; e chi persevera fino alla fine, passerà bene i giorni tutti della sua vita e sarà salvo. È massima dei Dottori, espressa con parole più esplicite dal Dottore della preghiera
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S. Alfonso: Chi prega, si salva; chi non prega, si danna. Tutte le dannazioni sono causate da difetto d'orazione, come tutti i peccati, tutte le opere buone e tutti i Santi sono tali per la preghiera.
S. Giovanni Grisostomo dice: «Come il corpo senza l'anima non può vivere, così l'anima senza orazione è morta, e manda sgradevole odore». E S. Agostino: «Senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza orazione non può conservarsi in vita l'anima».
La preghiera si può paragonare alla respirazione. Come il corpo cessa di vivere senza l'aria, così cessa di vivere l'anima priva di orazione. Non è necessario essere profeti; dal modo con cui si prega, si è assidui, raccolti, si conosce lo spirito, si conosce il buon cristiano, il buon religioso, il buon sacerdote. Non è necessario vedere il cuore, né aver doni straordinari. I doni straordinari sono dati dal Signore quando sono necessari; ma qui abbiamo già l'avviso della Chiesa, dei Padri: se preghiamo abbiamo le grazie, e quindi viviamo bene! Sebbene si cada forse e ricada qualche volta, se si prega, si finirà col trionfare. Purché l'anima si ostini a pregare finirà col trionfare; ma ci vuole un'ostinazione che duri per tutta la vita: essere santamente ostinati.
- Mi chiamano? - Sì.
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- Ma prima devo pensare a me, diceva uno zelante sacerdote. Lasciatemi mangiare prima, poi verrò. Bisogna nutrirsi.
La sentenza è tanto chiara: chi non prega, non ha le grazie per adempiere gli obblighi del suo stato; perciò chi non prega, si danna.
Nella prefazione al libro «Del gran mezzo della Preghiera», S. Alfonso de' Liguori ha scritto: «Io non ho questa possibilità, ma se potessi, vorrei di questo libretto stamparne molte copie, quanti sono i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarlo ad ognuno, acciocché ognuno intendesse la necessità che abbiamo di pregare per salvarci».
Quando avremo indotto un'anima a pregare, l'avremo messa sulla strada sicura della salute. Quando s'inducono e s'abituano i giovanetti a pregare, ancorché non chiamati a stato particolare, vivranno da buoni cristiani! e si salveranno. In quella famiglia, in quell'istituto, in quella parrocchia si prega: ecco, dunque, delle anime che si salvano!
S. Alfonso aggiunge nella citata prefazione: «Quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti (della preghiera): e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza: quando che tutti i predicatori e confessori,
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e tutti i libri non dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Ben essi inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza dei sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditare le massime eterne, ed altri mezzi tutti (non si nega) utilissimi: ma a che servono, io dico, le prediche e tutti gli altri mezzi che dànno i maestri spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? «Chiedete ed otterrete».
Quindi: anime che si sforzano, lottano, si umiliano, piangono e ritornano a cadere, e non camminano avanti. Siate espliciti e chiari, - dice egli nella guida del confessore, e lo ripete il Frassinetti - siate espliciti e chiari: Se vuoi salvarti, prega; se non preghi, non ritornare neppure a confessarti, io non ti guido. Se invece rispondi che ti obblighi e ti impegni a pregare e a pregare sempre, io ti guiderò e ti assicuro che potrai andare molto avanti nella perfezione, e salvarti. Non sprechiamo il tempo, né illudiamoci; in morte non ci gioverebbe che a tormentarci.
E non l'abbiamo noi studiato mille volte? Non lo vediamo noi quasi tutti i giorni? Iddio
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dà il necessario a tutti, «in necessariis non deest, ma in superfluis non abundat». Dà la grazia di pregare; come dà all'uomo le forze per lavorare. Ma data la forza di lavorare, il Signore non gli fa miracolosamente cadere il pane sulla tavola, dal cielo. Nello stesso modo, data la possibilità di pregare, il Signore non dà le grazie se non si prega; in superfluis non abundat. Allorché vi è la vita, si ha il potere di intendere, di sentire, di vegetare; e così quando si è in grazia di Dio, si ha il potere di riflettere e meditare sulle cose spirituali, il potere di recitare Rosari, di acquistare l'abito della preghiera, di eccitarsi a sentimenti soprannaturali, di far comunioni, raccomandarsi alla S. Madonna. Preghi, adunque, ed otterrà le virtù, i meriti, la santità.
Noi dobbiamo partire da quello che è più essenziale. Vi sono dieci comandamenti da praticare, cinque precetti generali della Chiesa, i doveri del proprio stato, le virtù, tutta la morale cristiana, in sostanza. Questa è una scala magnifica, per cui si ascende alle più alte perfezioni. Tutto però parte dal primo comandamento che impone il dovere di pregare. Come nella parte negativa proibisce la superstizione, la vana osservanza, l'idolatria, ecc.; così nella parte positiva impone il culto a Dio, la divozione e la preghiera. Non si può certamente
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arrivare al secondo, al terzo, al quarto scalino senza passare per il primo. Il secondo e il terzo precetto sono inclusi nel primo. Il primo passo in questa via è la preghiera, il primo comando è la preghiera. Ed è impossibile arrivare al resto senza la preghiera. Un re può fare eseguire tante cose dai suoi sudditi, può farsi preparare il cibo e può disporre tutte le cose in maniera da condurre la vita più comoda; ognuno può farsi preparare la casa dai muratori, le scarpe dal calzolaio, i mobili dal falegname, gli abiti dal sarto, ecc.; ma il re, e ognuno per proprio conto, ha bisogno di pregare. Non basta che alcuno veda e osservi gli altri a mangiare, ma occorre che mangi egli stesso. E quando noi fossimo di quelli che servono a tavola, cioè sacerdoti che insegnano a pregare, e non pregassimo, che cosa sarebbe di noi? L'anima nostra morirebbe di fame, in tanta abbondanza; come la candela illumina e intanto si consuma. Facciamo il contrario: preghiamo e nutriamoci bene, e poi, nutriremo bene anche gli altri. Così da una parte avremo provveduto all'anima nostra e dall'altra provvedendo alle anime altrui aumentiamo i meriti nostri. Quanto zelo, che non è zelo! Lo zelo vero è prima per se stesso.
La prima caratteristica dello zelo vero, dice il B. Cafasso, è lo zelare la salvezza e santificazione
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nostra. Questo è confermato dall'insegnamento di tutti i veri pastori di anime e specialmente dal loro agire.
Curiamo di possedere noi amor di Dio più di quanto vogliamo ne abbiano gli altri. Se lo zelo incomincia dagli altri c'è subito da dubitare, se esso sia di buona lega, o no.

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Domandiamo perdono al Signore di avere usato questo gran mezzo di salvezza, ma forse non ancora come sarebbe stato necessario all'anima nostra. Ognuno di noi ha pregato, ognuno ha ricevuto i sacramenti, ognuno ha celebrato la Messa, ognuno ha fatto la meditazione, ognuno ha recitato il Breviario, le orazioni, i Rosarii; bisogna però che ci esaminiamo se lo abbiamo fatto sempre bene.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Jer. XII, 11.

2 II Tim. II, 5.

3 Conc Trid., Sess. VI, Can. XXII.

4 Jo. XV, 5.

5 Eph. IV, 26.

6 De nat. et grat. cap. 43.

7 Conc. Trid., Sess. VI, Can. XVIII.

8 Matth. XXVI, 41.

9 Jo. XVI, 24.

10 Luc. XVIII, 1.

11 I Thess. V, 17.

12 Job. I, 21.

13 Tob. III, 2.

14 2 Mach. I, 24-26.