Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LA TIEPIDEZZA DELLA PREGHIERA

GIORNO I.

MEDITAZIONE II.


SACRA SCRITTURA

All'Angelo della Chiesa di Efeso scrivi: ecco quanto dice Colui che tien nella destra le sette stelle e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro: So le tue opere e le tue fatiche e la tua pazienza e che non puoi sopportare i cattivi, e che hai messo alla prova coloro che si spacciano apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi, che sei paziente ed hai sofferto pel mio nome e non hai ceduto, ma ho contro di te che hai abbandonata la primiera tua carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e fai penitenza, e torna ad operare come prima, altrimenti, se non ti ravvedi, verrò da te e torrò dal suo posto il tuo candelabro. Hai però questo di buono, che odii le opere dei Nicolaiti, che odio anch'io. Chi ha orecchi ascolti quel che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore io darò a mangiare dell'albero della vita che è in mezzo al Paradiso del mio Dio.

(Apoc. II, 1-7).


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La prima tentazione che il demonio muove ad un'anima è, ordinariamente, contro l'orazione. Se noi leggiamo il Diario Spirituale e gli scritti dei Dottori e dei Ss. Padri, veniamo
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nella conclusione di dover cambiare in parte la nostra mentalità. Generalmente, ci si arma contro le tentazioni della purezza, dell'umiltà, della pigrizia, ecc., raramente invece ci prepariamo a vincere le tentazioni contro la preghiera. Eppure, sarebbero proprio le prime da allontanare, e per questo, dovremmo specialmente dire la preghiera: «Et ne nos inducas in tentationem. Sed libera nos a malo. Amen»1.
Chi prega si salva; e il demonio, che non vuole che ci salviamo, cerca che lasciamo la preghiera. Chi prega molto si fa santo; e il demonio, che non vuole che ci facciamo santi, cerca di farci allontanare dalla preghiera.
I sacerdoti che pregano, sono pieni di zelo vero, zelo efficace, zelo stabile; e il demonio, che è il nemico dello zelo, cerca che sotto ogni pretesto lasciamo un po' in disparte la preghiera, oppure la facciamo senza le disposizioni necessarie, perché la preghiera sia esaudita e salutare.
Armiamoci contro questa tentazione. Ricordiamo che per la china si discende dapprima con ripugnanza e rimorso; poi precipitosamente e senza rimorso. Vigiliamo sul principio delle tentazioni.
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Meditiamo la tiepidezza nell'orazione. Vedremo: 1) che cosa sia la tiepidezza nella preghiera; 2) quali mali causi; 3) quali siano i rimedi.

I. Che cosa sia la tiepidezza nella preghiera.
La tiepidezza è lo stato di un'anima che non si trova ancora in peccato grave, ma, facilmente, si permette ed acconsente a venialità, sotto pretesto che il peccato veniale non priva ancora della Comunione, non merita ancora l'inferno. Ma noi, dovendo considerare solo la tiepidezza nel pregare, come possiamo definire questa tiepidezza? La tiepidezza nel pregare è il lasciare facilmente l'orazione o il farla abitualmente senza le dovute disposizioni.
Da una parte, trascuranza abituale della preghiera, e dall'altra orazioni così mal fatte, così distratte, così interrotte ed abbreviate da non ricavarne frutto. Nostro Signore ha da lagnarsi dell'anima tiepida, specialmente quando si tratta di religiosi e di sacerdoti. Di questi particolarmente è il dovere della preghiera. Nell'Apocalissi fa scrivere all'Angelo di Efeso, rimproverandolo che abbia abbandonato il primitivo fervore, e che sebbene sia ancora pieno
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di zelo, tuttavia non abbia più la carità che aveva da principio, e lo minaccia fortemente: «Habeo adversum te, quod charitatem tuam primam reliquisti. Memor esto itaque unde excideris: et age poenitentiam, et prima opera fac: sin autem, venio tibi...»2, e quando interviene Iddio coi suoi castighi, che cosa si annuncia per quell'anima?...
L'uomo tiepido non sente attrattive né per Dio né per il cielo: «pro nihilo habuerunt terram desiderabilem»3, perciò non ha gusto né per la Comunione, che lascia più facilmente che la colazione; né per la meditazione, che gli pesa assai; né per la Confessione, che tramanda facilmente come l'esame di coscienza; né per la parola di Dio, cui preferisce letture e discorsi frivoli; né per le divozioni varie, cui sostituisce l'abituale dissipazione. La fede in lui è così teorica e ridotta, la speranza del premio e dei beni spirituali così fiacca, la carità così languida, che non ha fame né sete di Dio. Il tiepido è all'opposto della beatitudine «Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam»4; non ha né vera fame né vera sete della santità. E come la chiederà? E quale calore potrete attendervi da costui nella penitenza,
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acquisto delle indulgenze, amore alla S. Madonna?
Non già che si incominci subito col lasciare le preghiere essenziali, no; ma si lascia il contorno, il complesso di preghiere di supererogazione, l'abituale unione con Dio, l'uso delle giaculatorie, le comunioni spirituali. Si sgretolano, si smantellano i muri in maniera che l'edificio diviene pericolante, perde la dovuta resistenza. Si lasciano i rosari, si trascurano gli esami di coscienza, si abbandonano le preghiere brevi, prima e dopo lo studio, prima e dopo il lavoro. Si va man mano riducendo: la divozione alla Santa Madonna, la divozione agli Angeli Custodi, la divozione a S. Paolo, la divozione a S. Giuseppe.
Si potrà dire: non siamo più bambini! Ma che significa ciò? Purtroppo qualche volta non siamo più, come il bambino, innocenti, umili, schietti, aperti. Ma forse, mentre abbiamo perduto il bello che trovasi nel bambino, siamo divenuti ancor più deboli e fragili e bisognosi di soccorso, di grazie, di avvisi.
Ricordiamo un po' i santi entusiasmi delle prime Comunioni, i fervori delle prime Messe! Ricordiamo un po' gli slanci del nostro cuore quando arrivava il mese di maggio; che cosa provavamo allora? e che cosa proviamo adesso? Qualche volta ci vuole tutto a ritenere
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un po' di quella devozione e a non ridurre la preghiera ad un meccanismo.
Inoltre è tiepidezza il pregare male. «Ante orationem praepara animam tuam, et noli esse quasi homo qui tentat Deum»5: prima della preghiera prepara l'anima tua. Il tiepido fa la sua orazione senza la fede, l'umiltà, la perseveranza necessaria; anzi senza preparazione remota e prossima. Preparazione remota è lo stato di grazia, la fede umile, il raccoglimento abituale. Il tiepido invece è d'ordinario assorbito da altri pensieri e da altre occupazioni. Preparazione prossima è il mettersi alla divina presenza, destare i sentimenti di fede, speranza, amor di Dio; all'incontro il tiepido ha fiducia in sé stesso, è dominato dalla vanità, fa poca stima delle cose sante, non sente alcuna impressione degli stessi sacramenti. Quando immediatamente dal chiacchierare cogli uomini si passa a trattare con Dio, è ben difficile che lo spirito sia subito raccolto. Prepariamo il cuore. Inoltre, durante la preghiera siamo diligenti, attenti ad applicare le debite disposizioni? oppure facilmente le lasciamo, e così facilmente, che non ne abbiamo neppure più rossore con noi stessi e dinanzi
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a Dio, e non lo rileviamo negli esami di coscienza?
Ha la nostra preghiera quella fede che aveva una volta? ha l'umiltà, la costanza di una volta? S. Bernardo entrando in chiesa diceva a se stesso: «Pensieri e preoccupazioni, attendetemi, all'uscita vi riprenderò. Ora lasciatemi, devo parlare con il Dio dell'anima mia».
Il tiepido fa delle Comunioni fredde, non gusta, non prova quello che sentivano i santi. Il tiepido, anche nel momento che precede immediatamente la Messa, ha altre preoccupazioni. Ah! il sacerdote fervoroso dopo una santa Comunione, dopo una santa Messa, esclude tutto quello che non è Dio, per intrattenersi col suo Signore in quei minuti preziosissimi.
Il tiepido non medita, non ha neppure nessuna conoscenza dei libri a lui convenienti.

II. - I mali causati dalla tiepidezza nella preghiera.
La tiepidezza è peccato che disgusta il Signore.
Vi sono dieci comandamenti, ma il primo ordina la preghiera. Infatti, esso ha una parte negativa: proibisce cioè l'idolatria, la superstizione, l'ateismo, l'irreligiosità. Poi ha una
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parte positiva, ed ordina appunto la preghiera, la divozione, il culto divino. La trasgressione di ogni comandamento è peccato; ma se Iddio ha messo prima quello della preghiera, bisogna dire che questo è il principio degli altri, questo è scala ai seguenti. Come si fa a salire una scala di dieci scalini? Si sale passando per il primo.
E dopo i dieci comandamenti, vi sono le virtù cristiane, religiose e sacerdotali. Come saliremmo a questa altezza se noi non oltrepassassimo il primo gradino?
Non è ora il caso di fermarci a distinguere particolarmente dove già è peccato, o dove solo si trascura un consiglio lasciando la preghiera. Sarebbe occupazione della scuola; ma noi sappiamo che Iddio ha messo a base di tutti i suoi comandamenti: Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori che me. In generale, ne segue che si deve pregare tanto quanto occorre per salvarci nel nostro stato. Occorre cioè tanto di preghiera, quanto ci basta per non peccare, anzi, praticare i comandamenti, i doveri dello stato, le virtù religiose, sacerdotali, cristiane. Meno di questa misura, sarebbe privarci dell'alimento e forza, esporci ai peccati, mettere a serio pericolo la salvezza eterna. E se manchiamo in quello che Dio ha messo come primo obbligo, in quello che egli
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segna come prima prova di fedeltà, come possiamo sperare? Come potrà Iddio essere contento di noi? Come possiamo poi sperare di osservare gli altri comandamenti? Sa bene il Signore quanto si richiede per evitare il peccato, vivere casti, sobri, obbedienti, ecc.; è davvero soprannaturale: ed il Signore, prima di darci obblighi, ci offre il mezzo per adempierli. È possibile osservare i comandamenti, sempre e da tutti, a questo patto: che si preghi: «Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet, et facere quod possis et petere quod non possis» (S. Agostino).
Tutti i peccati offendono il Signore, ma la trascuranza nella preghiera più di tutti: poiché è principio d'ogni peccato. Di Pietro è detto «sequebatur eum a longe»6, seguiva da lontano il Divin Salvatore; simbolo questo di tiepidezza, che preludeva alle fatali cadute.
Non possiamo, certo, dire: preghiera più o preghiera meno, è lo stesso! Quei che si vantano di essere galantuomini, senza osservare il primo precetto della preghiera, non possono fidarsi di essere in realtà sulla buona via. Il Signore ci ha dato il quarto, quinto, sesto, settimo comandamento, ma ancora prima il culto e l'orazione; perciò, questo comandamento,
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essendo base di tutti gli altri, deve essere oggetto primo del nostro esame di coscienza.
Il Signore, volendo ribadirci questo obbligo di dargli il debito culto e di pregare per avere la grazia, ha messo ancora un altro comandamento, «santificare le feste» perché se tutti i giorni bisogna pregare, un giorno bisogna poi dedicarlo tutto alla preghiera ed al culto di Dio. Ma quanto disgusta Dio quel figlio che comincia subito a disobbedirlo la prima volta che egli manifesta la sua volontà!

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Di più: la tiepidezza nella preghiera ha purtroppo molte e dolorose conseguenze. Chi non prega, non ha luce alla mente, va indebolendosi nella volontà, va perdendo i sentimenti di generosità, specialmente l'amor di Dio, il fervore, ed infine, va disponendosi al peccato. Da principio, saranno piccole cadute, poi cadute più gravi, poi gravissime e poi...
a) Il peccato toglie la luce alla mente. Chi si allontana da Dio, perde la luce della mente. Quando noi facciamo gli Esercizi o il Ritiro mensile, abbiamo una luce per cui vediamo bene, e proponiamo: «Io il peccato non lo voglio: io voglio fare bene i doveri, e farli con generosità; non sarò per metà dell'io e
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per metà di Dio, ma tutto di Dio». L'anima allora vede bene. Ma quando abbandona la preghiera, i motivi non sono più chiari nella mente; la luce va illanguidendosi, estinguendosi; il peccato non fa più orrore; il pensiero del paradiso non ci attrae più, e quindi forse si rimane in piedi ancora un po' di tempo, quasi per forza di inerzia, ma intanto, sensim sine sensu, l'anima va man mano accostandosi sempre più all'orlo del precipizio. E quando verrà il giorno fatale: «Oh, non pensavo; non avrei mai più creduto; avevo fatto tanti propositi». Eh! sì, occorreva che fra i tanti propositi vi fosse per primo quello della preghiera. Oh, quante lacrime e quanti gemiti, quanti atti di dolore abbiamo poi dovuto dire perché non abbiamo pregato! Si commettono peccati, e, d'ordinario, le conseguenze che noi dobbiamo poi piangere, hanno un'unica causa e spiegazione: la fiducia in noi, la mancanza di preghiera: per la superbia non vediamo i nostri bisogni e quindi non preghiamo; e, non pregando, confidiamo sempre più in noi stessi. Guai a chi conta su di sé! Si appoggia ad una canna fessa... L'uomo dopo il peccato originale è in deterius commutatus, secundum animam et secundum corpus.
Quando Davide dovette andare contro Golia, provò a rivestirsi dell'armatura dei soldati;
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anzi, il re stesso gli pose indosso l'armatura reale. Ma quando si vide così inceppato e quasi nell'impossibilità di muoversi, buttò via l'armatura. Pregò il Signore con gran cuore e andò avanti «in nomine Domini»7, prendendo una fionda, cinque sassi, un bastone: armi che sembravano davvero ridicole in confronto a quelle che portava il gigante. Il gigante lo rimproverò: «Numquid ego canis sum, quod tu venis ad me cum baculo?»8. Le tue armi sono appena sufficienti per far fuggire un cane, voleva dire, non per abbattere un uomo della mia statura e forza, e fornito di ogni arma più potente.
Ah! Iddio è onnipotente; se avessimo pregato, anche con piccole armi, con semplicità, noi avremmo vinto il demonio; avremmo operato prodigi, anzi, potenti della stessa virtù che rese Davide vittorioso.
b) Indebolisce la volontà. La nostra forza viene da Dio; chi lascia la preghiera, gradatamente se ne priva. Il fervore libera anche dal peccato mortale, appunto perché è un calore spirituale. Dio allontana il tiepido da sé, lo rigetta. E che significa questo? che il tiepido rigettato da Dio, da lui si allontana; cammina sempre più verso la rovina. La vita diventa come
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pesante; la pianta riesce ancora a far qualche fiore e qualche foglia, ma dei frutti veri di virtù e zelo ben raramente. Le virtù, da vis, vir, richiedono forza. E che sarà di costui, che è sempre più spossato, debole, sfiduciato? Il primo urto un po' grave lo manderà a terra.
Infatti, l'anima resta priva di generosità e così si avvicina al peccato. Pietro arrivò a quell'eccesso di rinnegare il Maestro, appunto perché non pregò. Che cosa sarà di noi? Ah, quanti misteri svelerà il giudizio di Dio! E noi tutti sentiamo il bisogno di coprirci la faccia e dire al Signore: «Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam»9.
c) È pericolo gravissimo la tiepidezza. Pericolo di una vita vuota di meriti; pericolo di infecondità pastorale; pericolo di venir rigettato da Dio.
Vita vuota: il merito prende valore dal calore di amor di Dio, non tanto dalla esteriorità dell'opera: «Non ex quanto fit, sed ex quanto amore agitur». Chi trascura la vigna, presto la vedrà piena di sterpi o senza frutti. In tanto l'anima ha rigoglìo di vita e frutti di merito, in quanto aderisce a Gesù Cristo
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e ne riceve l'umore vitale: «Sine me nihil potestis facere»10.
Sterilità del ministero: «Qui manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum»11. Come potrebbe dare la vita soprannaturale quando non la possiede? Inoltre, mancando l'orazione, l'anima si accascia, illanguidiscono le forze: «Per teporem vires et ingenium defluent», dice S. Giovanni Crisostomo.
3° Dio rigetta il tiepido. Egli è, in certo modo, in uno stato peggiore che quello del cattivo: infatti non sente orrore della sua condizione e neppure concepisce il desiderio di risorgere; soprattutto, perdendo il timore di Dio, arriva ad uno stato di depressione morale, di accecamento, e pericolosissimo in ordine all'eternità.
d) Altro accecamento: il tiepido s'illude di essere in regola, poiché non trova in sé peccati gravi; egli giustifica se stesso al modo dei Farisei; si illude di essere sano e robusto spiritualmente. «Dicis: Quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et caecus, et nudus»12.
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III. - I rimedi contro la tiepidezza.
I rimedi contro la tiepidezza nella preghiera sono:
a) Considerare i mali che ci vengono dall'abbandono della preghiera. Dice il Signore: «Qui neque frigidus es, neque calidus: utinam frigidus esses, aut calidus; sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo»13. Ma un peccatore non si trova in uno stato peggiore? Il peccato mortale non è peggiore della tiepidezza? Notiamo bene: la tiepidezza è uno stato in cui non si prega più, e quando non si prega, non c'è neppure il modo di risorgere.
S. Alfonso usa delle espressioni che noi non osiamo quasi ripetere, ma che negli Esercizi è bene ricordare almeno una volta: «Uffici, che sembrano piuttosto latrati di cani che non canti dell'anima sacerdotale, canti che dovrebbero salire a Dio in odore di soavità». Iddio è più onorato dai latrati dei cani, che da certe ufficiature.
La perdita della vocazione, qualche volta, avviene nel corso degli studi con l'abbandono della carriera. Altre volte, e forse più frequenti, allorché un sacerdote si rende quasi inutile per Dio e per le anime, va perdendo lo zelo; ecco
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una impressionante, ma reale e vera perdita della vocazione! Meno male qualche caduta isolata; ma quando uno costantemente non compie il dovere, non è acceso di zelo contro il peccato, non fa atti di fede, non arde dell'amore di Dio, non si spende e sopraspende: «Ego autem libentissime impendam, et superimpendar ipse pro animabus vestris»14, che cosa abbiamo? Sale che non condisce, luce che si è spenta, città sprofondata nell'abisso; a che cosa gioverà dunque? Meglio un calzolaio, un contadino, un artigiano, un professionista. L'arrivare a questo punto non è difficile; e tuttavia chi si trovasse in tale stato, sarebbe cieco e non lo vedrebbe, incolperebbe tutti meno che se stesso. Riflettiamo spesso ai mali della tiepidezza.
b) Pregare, appunto perché non si era pregato: contraria contrariis curantur. «Sperate in eo omnis congregatio populi»15; «Quoniam in me speravit, liberabo eum: protegam eum... eripiam eum, et glorificabo eum» 16. Ricominciare davvero a fare ciò che si era trascurato. Incominciamo a pregare in questi giorni: gli Esercizi stessi sono preghiera, preghiera vocale, preghiera mentale, preghiera vitale.
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Il nostro orario, lo spirito di mortificazione, tutto quello che ci si offre in questi giorni, è preghiera vitale; le meditazioni, le riflessioni, gli esami di coscienza sono preghiera mentale; le orazioni, che andiamo dicendo nella giornata, sono preghiere vocali. Abbondiamo, suppliamo e ripariamo.
Il sacerdote che prega, è un sacerdote formidabile al demonio: «Tamquam leones exspirantes ab hac mensa recedamus, facti diabulo terribiles», specialmente per la S. Messa; ma il sacerdote che non prega, diventa uno zimbello del diavolo. Il diavolo lo avrà solo legato con un filo, con piccole negligenze, ma basta un filo per l'uccello. Se il ragazzo ha legato l'uccello per una zampa, lo fa ricadere come vuole, quando vuole, dove vuole. Invece, quando un sacerdote prega, è potente. Dio solo è potente; ma stando con Gesù Cristo, partecipiamo della sua potenza: «Qui manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum».

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Diceva il B. Cafasso ad un'anima:
- Ebbene, giacché non volete arrendervi a nessuna esortazione, permettetemi almeno che io preghi per voi.
- Ma sì, preghi subito, mi farà piacere.
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- Ma, badate bene: un prete quando prega è ascoltato da Dio!
- Sarà tanto meglio.
- E allora preparatevi alle conseguenze, a quello che succederà.
- Ma che cosa vuol dire? - domandò l'ostinato peccatore, un po' sconcertato.
- Vi dico di prepararvi a quello che può succedervi.
- Ma mi dica, per carità...
- Ripeto che quando un prete prega, viene ascoltato; io pregherò per voi, che questa catena sia finita; e allora il Signore, vedendo che non la fate finita voi, la farà finita lui, onde non abbiate da meritarvi un inferno più profondo.
- Ma allora non preghi.
- Vi ripeto: o finitela, oppure pregherò: non occorre più il vostro permesso.
Preghiamo, onde ottenere le grazie alle anime a noi affidate e condurle tutte al porto della salvezza: «Quos dedisti mihi, custodivi: et nemo ex eis periit»17. Scuotiamo la nostra tiepidezza. È qui, che trovasi il bacillo dello spirito, la ragione di tutti i nostri dubbi, disorientamenti e scontenti; è qui la spiegazione di una vita senza frutti, con solo foglie e fiori
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di parole e desideri, simile alla ficaia del Vangelo.

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Ti avverto - dice S. Paolo a Timoteo - perché tu faccia rivivere la grazia che ti venne comunicata coll'imposizione delle mie mani: «Admoneo te ut resuscites gratiam Dei, quae est in te per impositionem manuum mearum»18. Gli Ebrei, che non fecero alcun conto della terra promessa, meritarono di venire esclusi: perirono prima; S. Ambrogio dice: «Dio è presente a quelli che lo cercano, ma si nasconde ai tiepidi; i benefici celesti sono concessi non a quei che dormono, ma agli avveduti e vigilanti».
Ricordiamo Giuditta. Era oramai decisa la resa della città di Betulia ad Oloferne entro cinque giorni. Infatti, l'esercito di Oloferne era di 120.000 combattenti; gli acquedotti che conducevano acqua alla città erano stati tagliati; il popolo era oramai senza cibo.
Giuditta esortò alla preghiera, alla penitenza, alla fede in Dio. Ella pregò lungamente. Sappiamo ciò che avvenne. Oloferne fu ucciso; l'esercito sbaragliato e disfatto; la città liberata.
Allora il Sommo Sacerdote Ioachim da Gerusalemme
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andò a Betulia con tutti gli anziani. Il canto fu commovente. Giuditta venne esaltata: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia d'Israele, tu l'onore del nostro popolo; perché hai agito virilmente e il tuo cuore è stato forte»19. Giuditta, a sua volta, cantò: «Cominciate a lodare il Signore... Egli stritola gli eserciti... Egli pose il suo campo in mezzo al suo popolo, per liberarci dalle mani di tutti i nostri nemici»20.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Matth. VI, 13.

2 Apoc. II, 4-5.

3 Ps. CV, 24.

4 Matth. V, 6.

5 Eccli. XVIII, 23.

6 Matth. XXVI, 58.

7 I Reg. XVII, 45.

8 I Reg. XVII, 43.

9 Ps. L, 3.

10 Jo. XV, 5.

11 Jo. XV, 5.

12 Apoc. III, 17.

13 Apoc. III, 15-16

14 II Cor. XII, 15.

15 Ps. LXI, 9.

16 Ps. XC, 14-15.

17 Jo. XVII, 12.

18 II Tim. I, 6.

19 Giuditt. XV, 10.

20 Giuditt. XVI, 2-4.