Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LA MORTE DEL FERVOROSO

GIORNO II.

MEDITAZIONE II.


SACRA SCRITTURA
IL FARISEO E IL PUBBLICANO

In quel tempo Gesù disse pure questa parabola, per certuni, i quali confidavano in se stessi, come giusti, e disprezzavano gli altri: Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era Fariseo, l'altro pubblicano. Il Fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro; perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

(Luc. XVIII, 9-14).


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Un'alternativa terribile ci sta innanzi: fra breve tempo sarà decisa la nostra sorte, saremo o sempre salvi in cielo, o sempre disperati
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nell'inferno. La morte del tiepido ci lascia in tanta incertezza sulla sua salute eterna, se consideriamo come egli riceva i Sacramenti della Penitenza, della Comunione e dell'Estrema Unzione. Eppure la nostra salvezza è il negozio necessario, il negozio unico per cui viviamo, il negozio eterno. Come viviamo così moriremo; è certo che chi in vita si fa molti meriti, muore con molti meriti, poiché tutti li troverà: «Opera tua sumus, non te deseremus»; mentre chi in vita si fa pochi meriti, in morte si troverà con pochi meriti; chi ha peccato in vita, si troverà a mal partito in morte. Abbiamo preso una risoluzione di voler ricevere fervorosamente i Sacramenti della Penitenza e dell'Eucarestia, e di sempre approfittare delle SS. Indulgenze della Chiesa.
A confermarci in questa risoluzione, consideriamo ora la morte felice e serena del cristiano, del religioso e del sacerdote fervente.

I. - Egli è preparato alla morte.
La morte del fervoroso non è mai imprevista, fosse pure improvvisa.
a) Egli è vissuto per l'eternità. La morte del fervoroso sarà illuminata dal raggio di luce celeste, sarà come una caparra del paradiso, sarà preludio della beata eternità. Si tratta
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del figlio che va al padre che da tanto sospira di vedere. È l'operaio che va alla paga che ha meritato con tante fatiche. È l'esule che arriva alla patria. Siamo fatti per il cielo; la terra non è il nostro posto: «Non enim habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus»1. Dobbiamo stare sulla terra, ma siamo figliuoli del cielo. Come il figlio di un re che va sospirando il giorno in cui sarà incoronato; così vive e desidera la corona questo sacerdote, questo religioso, questo cristiano ferventi. «Jam non estis hospites et advenae: sed estis cives sanctorum et domestici Dei»2.
Verrà colpito da un'infermità che spesso dipende dall'aver compiuto esattamente i doveri, e quindi è dessa una prova del fervore. È forse un'infermità che dipende da stanchezza e da esaurimento. Pel Signore non diceva mai basta! per le anime era sempre poco il fatto! Ed in un santo eccesso ripeteva il Beato Cafasso: «Lavoriamo, lavoriamo! Riposeremo in paradiso».
Consumano la vita e le energie del pigro come quelle del fervoroso; ma quanto diverso è il risultato eterno!
Quale fortuna poter dire alla sera: Le ore della giornata furono tutte per Dio! Fortuna
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assai maggiore ancora poter dire al termine della mia vita: Anni brevi o lunghi, poco conta; negli anni che ebbi, sempre ho amato e servito il Signore. San Luigi è un gran santo, pur essendo morto giovane; e San Tommaso è un gran santo, avendo raggiunto la cinquantina; e Sant'Alfonso è un gran santo, avendo oltrepassato i novant'anni: ognuno ha corrisposto alla propria vocazione, ed ha impiegato bene il poco o il molto che ebbe da Dio.
b) Dio l'assiste. Si ammala il fervoroso, ma ricordiamo subito che una vita buona è una garanzia di una morte serena. Dio non abbandona mai chi lo cercò sempre: tanto meno lo abbandona in quel gran momento. Dice infatti: «Cum ipso sum in tribulatione»3. Il fervoroso stesso ha un po' forse preveduto la sua fine da segni esterni e spirituali che egli ha considerati attentamente e con fede. Preghiamo nel salmo: «Notum fac mihi, Domine, finem meum, et numerum dierum meorum quis est: ut sciam quid desit mihi»4. La morte per lui, ancorché fosse improvvisa, non è imprevista, è sempre attesa. I santi sono soliti fissarsi così: voglio passare la giornata presente come se fosse l'ultima di mia vita;
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voglio ogni sera andare a riposo con le disposizioni in cui desidererei presentarmi al tribunale di Dio, se nella notte mi chiamasse. Come, dunque, sarebbe imprevista la sua fine, se è, anzi, attesa ogni giorno?
Il fervoroso è raffigurato nelle vergini prudenti. «Sint lumbi vestri praecincti, et lucernae ardentes in manibus vestris»5. E le vergini prudenti avevano vegliato, tenevano la lampada fornita d'olio; venne lo sposo e subito l'accompagnarono alle nozze.
c) «Lumbi praecincti». Tre pratiche, tenute fedelmente, caratterizzano il fervoroso: Esercizi Spirituali, Ritiro mensile, Confessione settimanale.
Il fervoroso è sempre pronto alla morte. Egli fa gli Esercizi Spirituali spesso, ed in essi assesta i suoi conti con Dio; se la morte viene nel corso dell'anno, ben poco tempo gli rimane da rivedere e regolare. Che gran cosa è questa: far gli Esercizi Spirituali ogni anno, come tanti sacerdoti ferventi praticano; ed in tali giorni metterci nelle disposizioni per le nostre cose esterne di beni e preoccupazioni, come se nell'anno potesse incoglierci la morte; ma specialmente sistemare i conti dell'anima
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in tal modo che venga anche rimessa la pena del peccato e cancellato il purgatorio!
Il fervoroso è fedele alla pratica del Ritiro mensile. È stato scritto da un piissimo Autore: la fedeltà al Ritiro mensile è uno dei segni più evidenti di attività spirituale. Nel ritiro mensile tre fini sono da ottenersi: a) preghiera per la buona morte; e chi sempre la chiede, perseverando, l'otterrà; b) buona confessione di tutto il mese che si chiude, cosicché ogni mese vien regolato innanzi a Dio; c) disposizione d'amore e fervore per santificare il mese che si è incominciato.
Il fervoroso si confessa con fedeltà e con tutte le necessarie disposizioni ogni otto giorni. La confessione settimanale, fatta così come l'ultima della vita, ci ottiene il perdono dei peccati, la remissione totale od almeno parziale della pena, lo stato di attuale e vivo amor di Dio, la vigilante e previdente attesa dell'ora di Dio. È scritto anzi: «Beati servi illi, quos cum venerit dominus, invenerit vigilantes: amen dico vobis, quod praecinget se, et faciet illos discumbere, et transiens ministrabit illis. Et si venerit in secunda vigilia, et si in tertia vigilia venerit, et ita invenerit, beati sunt servi illi. Hoc autem scitote, quoniam si sciret paterfamilias, qua hora fur veniret, vigilaret utique, et non sineret perfodi domum suam.
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Et vos estote parati: quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet»6.
Quale dubbio che per un tal servo la morte sarà buona, perché attesa serenamente?
d) Ed in questa sua aspettazione della morte, si è andato ogni giorno lavorando la corona. Fece una lotta continua alle sue passioni, attese alle opere di zelo, fu generosamente fedele ai doveri del suo stato.
È da tenersi in sommo conto questa riflessione: una vita piena di meriti è prova costante di vero amor di Dio. Poiché le confessioni in punto di morte hanno somma importanza per scancellare il peccato. Ma una vita buona, per anni ed anni, è la prova provata che il peccato fu perdonato e fu riparato.
Inoltre essa dimostra che si servì il Signore: «Vir fidelis multum laudabitur»7. E ciò che importa anche più, le opere buone, l'immolazione penitente delle nostre passioni, i doveri quotidiani rimangono là, sulle porte dell'eternità, per accompagnare al premio. Altra cosa è aver amato il Signore pochi giorni, o poche ore, prima di morire; altra cosa l'averlo amato anni ed anni, con fatti, quando «potuit
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transgredi, et non est transgressus: facere mala, et non fecit»8.

II. - Come si dispone a morire.
Due atti sono grandemente meritori: 1) la scelta della vocazione, quando risolviamo di darci al Signore e gli facciamo l'offerta della vita, o almeno si elegge il servizio fedele a Dio; 2) l'accettazione della morte, la distruzione dell'essere, atto che è adorazione, ringraziamento, propiziazione, domanda a Dio.
All'annunzio della morte anche il fervoroso, forse, avrà avuto un brevissimo turbamento; ma si mette in pace e serenità, presto. La parola: «Non la mia volontà sia fatta, ma la tua»9, egli si era abituato a ripeterla; ed ora, sebbene sia anche più difficile pronunziarla, egli prega subito, e nella preghiera ha forza, anzi conforto.
a) Confessione. Il suo primo pensiero è di confessarsi, raccogliersi, fare l'esame della sua vita; vedere se vi è stato qualche difetto, debolezza da detestare, dall'ultima confessione, dagli ultimi Esercizi Spirituali.
Quando S. Giuseppe Benedetto Cottolengo presentì prossima la sua fine, fece il giro della Piccola Casa. Si portò nelle varie famiglie a
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congedarsi. Qui dava un ricordo: «Ricevete la benedizione di un povero vecchio, ed è l'ultima che vi dò, perché in questo mondo non ci vedremo più». Là un ricordo: «Addio, arrivederci in paradiso». Alle Suore del Suffragio: «Lasciate dunque, figlie mie, lasciate che questo arnese vada in pezzi!». Ad altra famiglia: «Che cosa facciamo ancora su questa terra?». «Desiderium habens dissolvi, et esse cum Christo»10.
Così, col cuore commosso, si congedava da quei suoi cari figli e figlie, per cui aveva tanto lavorato, pregato e sofferto.
Andò a Chieri, e là domandò al fratello un po' di ospitalità e gli disse: «Per tre giorni mi servirai tu solo, e non lascierai entrare nessuno, ché questi tre giorni li passeremo insieme, nel silenzio, nella solitudine e nella preghiera, mi confesserò. Poi... poi...». E guardava sospirando il cielo, ed esclamava: «O paradiso, paradiso!». Ecco la tranquillità del fervoroso: «Ecce quomodo moritur justus».
Il nostro infermo domanderà di confessarsi, ma era già così aperto, così famigliare col suo confessore che oramai pochissimo, o nulla, gli rimane da aggiungere. Mentre che la morte sembrava spaventarlo di lontano, ora presentasi
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meno paurosa. È la grazia che il Signore dà ai morenti, l'assistenza della SS. Vergine e di S. Giuseppe. Vede il confessore, lo accoglie come Gesù, fa un'accusa la quale potrà avere delle particolarità, ma in generale è una ripetizione in sunto di quanto ha già accusato, domanda per l'ultima volta l'assoluzione. Dirà al sacerdote: Domando perdono a Dio e agli uomini di tutto quello che ho fatto, detto e compiuto di male; ringrazio Iddio di tutte le grazie che mi ha concesse; credo a tutte le verità che Dio ha rivelato e la S. Chiesa ci insegna, offro la mia vita in isconto dei miei peccati, per la salvezza di tutte le persone che ho amato su questa terra, colle stesse intenzioni che ha Gesù nell'immolarsi sugli altari; spero dalla misericordia di Gesù crocifisso il paradiso.
Un sacerdote, davvero tutto di Dio, stava morendo; abbondanti lacrime scorrevano dai suoi occhi; non si sapeva se fossero più di compunzione, o più di amore, o di gioia, ma erano tutto insieme. Confessore, amici, figli spirituali, tutti attorno, piangevano, pregavano; ne contavano i sospiri e movimenti e pareva volessero trattenerlo, impedire alla morte di venire; mentre l'infermo volgeva gli occhi ora al Crocifisso, ora al cielo ed un dolce sorriso veniva di tanto in tanto a sfiorare le sue labbra.
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Avremmo detto che cielo e terra si contendevano quell'anima: che il cielo la chiamasse, che la terra volesse ancora trattenerla, e che il moribondo avesse solo una parola: «Fiat voluntas tua»11.
È un bel confessarsi questo, che lascia la più profonda serenità, la più dolce persuasione che i conti sono assestati con Dio. E se la morte fosse venuta in un istante? Sarebbe stata una morte repentina, ma non improvvisa, perché già l'ultima confessione era stata buona.
Riflettiamo: quando è che le confessioni sono in morte così facili, brevi, chiare? Quando furono sempre ben fatte in vita.
Negli Esercizi mettiamo totalmente in pace l'anima nostra sul passato: se la coscienza ce lo richiede, facciamo una confessione generale o almeno straordinaria di un tempo notevole. Con sincerità confessiamo il male fatto, ma specialmente il bene non fatto. Come il dannato è più tormentato dal cielo che non possiede, che dai mali dell'inferno, così in punto di morte i sacerdoti sono più tormentati dal bene omesso, che non dal male commesso, per lo più. Non mi son fatto santo quanto comportavano le grazie ricevute; non ho zelato sufficientemente
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la gloria di Dio; non ho speso tutte le forze per le anime!
Diceva al confessore un sacerdote morendo: Lei ha un bel dire, ma non sa che nella mia vita si tratta di scandali? Dei peccati che ho commesso io, so il numero, li confessai, spero il perdono; ma gli scandali non so come si siano moltiplicati! Pensi lei al bene che potevo fare con la mia salute, la lunga vita, i talenti d'intelligenza e d'abilità ricevuti!... Non lo si poteva eccitare a fiducia e speranza...
b) S. Viatico. Domanderà poi il Viatico, questo infermo fervoroso. Sì, domanda Gesù; nei momenti difficili non si deve ricorrere a Gesù? Sempre egli faceva così: nelle tentazioni, nelle difficoltà, nelle contraddizioni subito ricorreva a Gesù. Gesù è stato la sua luce, la sua speranza, il suo conforto in ogni passo; e come non lo sarebbe ora che si tratta del passo decisivo per cui metterà piede in paradiso?
Dolce comando: il Viatico agli infermi! Gesù viene all'infermo per incontrarlo, per dirgli che speri come nel più buono degli amici e che non devono temerlo giudice, quelli che lo cercano salvatore.
Sacerdote zelante della cura spirituale per gli infermi, che soccorreva, consolava, preparava
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al passo: tutto il conforto portato agli altri, viene dato a lui dal Signore! La misura usata per gli altri verrà applicata a voi: «In qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis»12. Chi ha cuore per i bisognosi, trova il Cuore di Gesù: «Salus in Te sperantium, spes in Te morientium, deliciae sanctorum omnium»13. Quest'anima fervente ben poco ricorreva agli uomini in vita: sempre a Dio! Ed ora crediamo noi che faccia lunghi trattenimenti coi medici, cogli amici? Denaro, salute, posizione, scienza, tutto sta per fallire: l'àncora di salvezza è il Signore! In Lui risurrezione e vita: «Ego sum resurrectio et vita»14. Pare che gli faccia sentire il Signore dall'Ostia: «Qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet»15; «In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum»16. Una sola è la vera amicizia: quella di Dio.
Devotamente aspetta e si prepara. Arriva il sacerdote portando l'Ostia Santa. Con che sguardo si salutano Gesù e il suo buon amico, il sacerdote zelante, il religioso fervente, il cristiano sincero! come si guardano in faccia! L'amplesso che ora si daranno, sarà un amplesso
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che principia nel tempo e durerà nell'eternità: questo sarà l'ultimo indistruttibile sigillo di amore. «Ecce Agnus Dei», dice il ministro di Dio; guarda per l'ultima volta Gesù coperto dai veli eucaristici: da qui innanzi lo contemplerai svelato in cielo. «O sacrum convivium in quo Christus sumitur... futurae gloriae nobis pignus datur»17.
Infatti, Gesù, nel Sacramento d'amore, prega il Padre per l'anima fedele: «Pater, quos dedisti mihi, volo ut ubi sum ego et illi sint mecum»18.
Ricevuta l'ultima comunione, fa seguire un fervoroso ringraziamento. L'infermo vuole starsene solo a colloquio con Gesù, e ringraziarlo d'averlo fatto cristiano, sacerdote e religioso; vuol sfogare i sentimenti del suo cuore: fede, speranza, carità, dolore dei peccati; vuole immedesimarsi con Gesù quando agonizzava nell'orto del Getsemani, vittima per i peccatori; vuol dire con Gesù agonizzante sulla croce: «Domine, in manus tuas commendo spiritum meum»19; vuol sentire dalle labbra del Crocifisso: «Hodie mecum eris in paradiso»20.
Chi in vita riceve bene la comunione, ha una caparra di ricevere bene il Viatico in morte;
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chi celebra bene la Messa, ha una caparra di trovar dolce l'incontro, là in quella camera, su quel letto, per l'ultima volta, con Gesù; chi fa bene la Visita al SS.mo Sacramento e si intrattiene con familiarità col Signore, ha una caparra di sentire allora: Vengo a te, perché tu venisti a me: «In carcere eram, et venistis ad me»21.
c) Estrema Unzione. E quel morente ha fretta che gli si amministri anche l'Olio Santo. Egli stesso lo chiede, od almeno, se gli viene proposto, accetta volentieri. L'Estrema Unzione gli porta un gran conforto, perché gli sembra che lo mondi dalle ultime reliquie del peccato e lavi l'anima dalle ultime imperfezioni e dalle piccole macchie che ancora vi fossero.
Sembra che le sue orecchie oramai diventino degne di udire le melodie celesti, degne di udire «arcana verba, quae non licet homini loqui»22, che debbano aprirsi per sentire la voce del Padre che chiama: «Euge, serve bone et fidelis... intra in gaudium Domini tui»23.
Gli sembra che la sua lingua sia monda per cantare cogli Angeli: «Sanctus, Sanctus, Sanctus
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Dominus Deus omnipotens, qui erat, qui est, et qui venturus est»24.
«Quam speciosi pedes evangelizantium pacem, evangelizantium bona!»25. E questi piedi oramai possono dare lestissimi gli ultimi passi. Accelerate, o miei piedi, diceva un santo, cercando di camminare verso il luogo del supplizio con più prestezza, ormai un piccolo spazio ci separa dal paradiso. E S. Ignazio scriveva ai Romani, mentre era condotto da Antiochia a Roma, per subire il martirio: «Obsecro vos, ne intempestivam mihi benevolentiam exhibeatis. Sinite me ferarum cibum esse, per quas Deum consequi licet. Frumentum Dei sum, et per ferarum dentes molar, ut purus panis Christi inveniar... Tunc vere Christi discipulus ero, cum neque corpus meum mundus videbit»26.
Anche l'unzione delle mani: mani che hanno benedetto, assolto, toccato e portato alle anime Gesù; mani, non già alla cintola, ma in fervida attività per tutta la vita.
Si tratta di un servo buono, fedele, operoso. Gli pare che ad ogni unzione cadano delle squame dal suo corpo; è condannato ancora, è vero, alla umiliazione del sepolcro, ma per risorgere
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glorioso, leggero, splendente, sottile, immortale, impassibile.
Intanto, si è sparsa notizia che quell'anima eletta è vicina a lasciare la terra per volarsene al cielo. Ed ognuno si duole perché perde un amico; perde un esempio continuo di ogni virtù; perde un cuore che lo comprendeva. Ognuno vorrebbe ritardare il passaggio, ma l'infermo oramai sente le voci che lo sollecitano dal cielo: «Me expectant justi, donec retribuas mihi»27.
Che cosa si direbbe di noi, in tale circostanza? Del buon ministro di Dio si numerano le opere buone: chi parla di quel che ha scritto; chi parla di quel che ha predicato; chi parla del confessore e chi della guida spirituale; chi ne ammira la fede, chi la saggezza, chi lo spirito di preghiera.
Soprattutto, due cose vengono lodate nel buono sacerdote, nel buon religioso e nel fedele cristiano: la pietà e la bontà. La pietà infatti supplisce a tutto, è utile a tutto: «Pietas autem ad omnia utilis est»28; la bontà si imprime nel cuore come un'immagine della Bontà Divina. Quando si può dire di uno, che amava, si dimenticano difetti e debolezze. Sì, sì, anche davanti agli uomini vale un po' il «charitas
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operit multitudinem peccatorum»29; «Et universa delicta operit charitas»30.
d) Raccomandazione dell'anima. Si viene alla raccomandazione dell'anima: «Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo, in nomine Dei Patris omnipotentis, qui te creavit, in nomine Jesu Christi, Filii Dei vivi, qui pro te passus est; in nomine Spiritus Sancti, qui in te effusus est». Il Padre ti ha creato pel cielo e ti aspetta; il Figlio ti ha redento e tu sei un trofeo di sua vittoria sull'inferno; lo Spirito Santo ti ha preparato all'entrata in cielo, con unguenti e brillanti preziosi. «In nomine gloriosae et sanctae Dei Genitricis Virginis Mariae; in nomine beati Joseph,... ejusdem Virginis Sponsi; in nomine Angelorum et Archangelorum,... Patriarcharum et Prophetarum,... Apostolorum et Evangelistarum,... Martyrum et Confessorum,... Monachorum et Eremitarum,... Virginum, et omnium Sanctorum et Sanctarum Dei». Tutte le creature belle, adunque, Angeli e Santi ti aspettano: proficiscere. «Hodie sit in pace locus tuus, et habitatio tua in sancta Sion»31. Oh, la bella cosa che avrai! La bella pace che ti aspetta! «Surge, propera, amica mea, columba mea, formosa mea, et veni.
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Jam enim hyems transiit, imber abiit, et recessit»32. La prova è finita, rimane la corona.
Quel sacerdote, o religioso, o cristiano fervente sta licenziandosi dalla terra, e prendendo famigliarità col cielo. Diceva S. Paolo, a conclusione della sua vita: «Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. In reliquo reposita est mihi corona justitiae, quam reddet mihi Dominus in illa die justus judex»33.
Spira quel fervoroso nel bacio di Dio. Attorno si prega! Dall'alto discendono gli Angeli, arriva Gesù in quella camera. Silenzio! L'ultima parola la dice Gesù Cristo sulla nostra vita. Sentitela: «Serve bone et fidelis... intra in gaudium...».
La terra ha un angelo di meno, il cielo un angelo di più, la Chiesa un intercessore potente, come sante furono le opere.
In questi giorni disponiamo il cuore a ricevere anche l'indulgenza plenaria, per essere interamente purificati e santificati. Ricordiamo però il principio generale: la preghiera e i sacramenti in morte, saranno come erano in vita. Chi fu fervente, sarà fervente.
«Lectulus morientis, cathedra docentis». Prima di lasciare questa camera, ricaviamo un proposito.
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Vi è una grande verità da tener presente: è il complesso della vita santa che assicura un gran premio. Chi è fedele alla sua vocazione ed ai doveri dello stato, con amore e costanza, merita un gran premio! Ma chi non è fedele, che cosa avrà?
Chi è fedele può anche aver debolezze e qualche volta cadere nel cammino della vita, ma si rialzerà e continuerà con più umiltà e preghiera la sua strada; sarà così sostanzialmente fedele alla Divina Volontà, avrà il suo premio finale.
Ma chi, pur facendo qualche opera buona, non adempie alla sua vocazione, e nella vita si mette al posto di sua scelta, e se ne sta spettatore invece che lottatore, che cosa avrà? Sostanzialmente non ha adempito alla Divina Volontà. Quale mercede riceverà egli?
Siamo fedeli, adunque, e generosi operai nella vigna di Dio. Le cadute ci stabiliscono nell'umiltà; il fervore di carità copre i peccati; le opere buone glorificano Iddio e compiono la corona.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Hebr. XIII, 14.

2 Eph. II, 19.

3 Ps. XC, 15.

4 Ps. XXXVIII, 5.

5 Luc. XII, 35.

6 Luc. XII, 37-40.

7 Prov. XXVIII, 20.

8 Eccli. XXXI, 10.

9 Luc. XXII, 42.

10 Phil. I, 23.

11 Matth. VI, 10.

12 Marc. IV, 24.

13 Lit. Ss. Cor. Jesu.

14 Jo. XI, 25.

15 Ib.

16 Ps. XXX, 2.

17 Rit. Rom.

18 Jo. XVII, 24.

19 Luc. XXIII, 46.

20 Luc. XXIII, 43.

21 Matth. XXV, 36.

22 II Cor. XII, 4.

23 Matth. XXV, 21.

24 Apoc. IV, 8.

25 Rom. X, 15.

26 Ep. ad Rom.

27 Ps. CXLI, 8.

28 I Tim. IV, 8.

29 I Petr. IV, 8.

30 Prov. X, 12.

31 Rit. Rom.

32 Cant. II, 10-11.

33 II Tim. IV, 7-8.