Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15. OBBLIGO DI TENDERE ALLA PERFEZIONE
OSSERVANZA RELIGIOSA

Articoli 175-181


II Istruzione, Castel Gandolfo, 18 agosto 19581




Nella vita religiosa bisogna considerare tre parti. Primo: i princìpi su cui si fonda, le verità del Vangelo; gli esempi che ci han lasciato il Divino Maestro, la Regina degli Apostoli, san Paolo; e poi, in terzo luogo, c’è la parte tecnica della vita religiosa. La parte tecnica è quella che riguarda l’organizzazione esterna: come il postulato, fare il noviziato, ammettere alla professione; poi, più avanti ci sarà il governo generale, il governo delle case, il modo pratico di organizzare studi, eccetera. Invece, per quello che riguarda proprio la vita quotidiana, i capitoli principali stanno e sono quelli che stiamo esaminando adesso: tutto quello che si ha da fare… e poi dopo i mezzi per fare, per ottenere la santità. Dopo viene, poi, quello che riguarda invece l’apostolato.
La vita interna, e cioè obbedienza, povertà… e quello che abbiam da considerare adesso: tendere alla perfezione e l’osservanza religiosa, e poi la carità. Quindi, obbligo di tendere alla perfezione, l’osservanza religiosa.

«175. Tutte e singole le religiose, le superiore anche per obbligo di precedere con l’esempio, devono non soltanto osservare fedelmente e integralmente i voti che hanno professato, ma anche conformare la loro vita alle presenti Costituzioni,
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e così tendere alla perfezione del loro stato». Alle presenti Costituzioni: è proprio quello che stiamo meditando.
«176. La diligente osservanza delle Costituzioni, la fedeltà agli atti comuni, la puntualità agli orari, offrono tante occasioni di esercitare la virtù, specialmente la carità, l’umiltà, la mortificazione. Nessuna quindi si esima facilmente dal compiere gli atti comuni, dimostrando poi sollecitudine per le cose singolari». Considerare questo come principio che illumina tutto il resto. E gli atti particolari, di grande importanza, sono da compiersi raramente: per esempio, l’entrata al noviziato, la professione… e subire qualche prova straordinaria; poi, supponiamo, l’apertura di una casa, eccetera… sono rari. Invece, quello che è cosa di ogni momento è questa osservanza comune, è questa povertà esercitata quotidianamente, è questa applicazione alle tre particolari penitenze: carità, obbedienza e intenso lavoro d’apostolato; e poi quell’abituale raccoglimento per cui l’anima vive unita a Dio: quest’unione con Dio.
La vita della religiosa è tutta una preparazione al paradiso. In paradiso non ci entra niente di macchiato; allora bisogna lavarsi, purgarsi continuamente con l’esame di coscienza, con le Confessioni, con gli atti di pentimento, con i corsi di Esercizi nella parte che hanno di vita purgativa: purgarsi, togliere i difetti. Prima parte della santificazione: togliere i difetti, il male… perché non si potrebbe entrare in paradiso. E si capisce: togliere i difetti volontari; le imperfezioni non si toglieranno tutte: ma che almeno le detestiamo e le condanniamo, e cerchiamo con l’impegno di ridurle al minimo e anche che non siano così importanti, ecco. Allora abbiamo da fare questo lavoro di purgazione e di togliere la nostra volontà e togliere le nostre tendenze, i nostri gusti, i nostri modi di vedere… E togliere anche quello che è attaccamento persino a delle cose che sono per sé sante: uno può avere una divozione sua particolare, ma la divozione deve essere la comune… le divozioni comuni. Ecco: togliere.
E secondo: conquistare i meriti. Perché togliere il peccato è la parte negativa; la moneta con cui si paga l’entrata in cielo
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sono i meriti, i meriti… i meriti quotidiani, minuti, di ogni momento: la santificazione della giornata, anzi del momento presente. Qui, in questi due capitoli2, anzi tre, sembra che ripeta persin troppo, che insista sempre sugli stessi pensieri e concetti… ma perché è la moneta quotidiana. Perché lo stipendio si può ricevere una volta al mese, ma la spesa si fa tutti i momenti, ogni giorno: e occorrono il pane, i vestiti e occorrono le medicine, occorre tutto quel che è necessario per il sostentamento, per preparare il pranzo, la cena, eccetera. Certamente che è un sacrificio più grosso che abbracciar la povertà in generale, per chi non ha fatto l’abitudine da piccola a lavorare. Coloro che si sono abituati [che] il padre porta lo stipendio e tutti si vive lì… e gli altri non hanno nessun fastidio: quello forma poi un’abitudine che, entrando nella vita religiosa, si trova un sacrificio. Bisogna cambiare mentalità, cambiar mentalità… e certamente non è questo che si faccia con la recita di una formula! Si fa con una mentalità diversa, cioè si vive del lavoro e della beneficenza, ma in primissimo luogo del lavoro… poi per le cose nuove allora si ricorre alla beneficenza. Oh! Poi praticare gli atti comuni e la puntualità, la sveltezza dell’obbedire, ilare obbedienza!
Quindi: «Le suore - il 177- siano profondamente convinte che l’osservanza religiosa è necessaria sia per il progresso nella perfezione, sia per l’incremento della Congregazione a cui ogni suora deve contribuire specialmente con l’orazione, con l’esempio nella pratica della vita religiosa, con lo zelo industrioso per le vocazioni e per le opere di apostolato. Le suore si esaminino con diligenza sopra queste obbligazioni». Ecco. Potrebbe essere che, siccome questo corso di Esercizi si fa leggendo le Costituzioni, non si trovi abbastanza materia per l’esame di coscienza: no! Questi capitoli ci fanno esaminare bene il nostro modo di pensare e di sentire e di agire: la santificazione fatta di cose piccole, ma continue. L’esempio che credo più chiaro: si intesse una stoffa, si tesse una stoffa… ecco che si unisce filo a filo, e la stoffa, la pezza, può venir lunga 1000 metri ma fatta tutta di piccoli
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fili; e si può arrivare a grandissima santità con piccoli atti, piccoli, piccoli atti di virtù quotidiani, ininterrotti. A poco a poco la persona prende l’abitudine, non si accorge neppur più e non sente più fatica, ma in principio ci vuole una certa diligenza, una certa riflessione e una certa generosità; perché alle volte siam fatti così: che [di] una cosa che è nostra ci interessiamo quanto mai, e una cosa che invece è degli altri non ci fa impressione perché è una cosa comune magari… E invece L’imitazione di Cristo dice tanto chiaro che è un difetto che si trova fra i religiosi e le religiose: molto zelo per le cose proprie, per le proprie vedute… voler riuscire... molta diligenza; e dimenticare le cose comuni mentre che proprio le cose comuni sono nell’obbedienza e acquistano il merito dell’obbedienza3, sì. Una sua idea particolare e [la] vuole seguire, una occupazione che preferisce vuole compiere... e no, bisogna che noi siamo non di noi, non servi di noi, ma servi di Dio attraverso la Congregazione, servi di Dio attraverso la Congregazione!
E allora l’applicazione a tutto. Se si dovesse anche solamente lavare i piatti… applicazione: si fa bene. Come se uno ha da studiare e guarda di studiare davvero: e diligenza ogni giorno a leggere e mandar a memoria ciò che bisogna ricordare, e poi andare e venire che è faticoso, e poi l’attenzione alla scuola e la preparazione diligente agli esami. Questo che si fa da tanti che han volontà di studiare, di riuscire per una carriera, eccetera, la religiosa ha da farlo in ordine al paradiso che è la carriera eterna in una felicità inestimabile, incomprensibile per adesso… del tutto non si può comprendere, sì.
Oh! Sempre il paradiso davanti e tutte le piccole occasioni. Vi sono persone che son sempre distratte: quindi si lasciano sfuggire innumerevoli occasioni di meriti. Vi sono persone che vivono nel raccoglimento, attente, e allora istante per istante radunano piccole monete: ma alla sera han fatto una gran somma!, gli eroismi. La vita religiosa non è per sé un eroismo, ma diventa eroismo quando si è costanti nell’osservanza,
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quando si è costanti nell’osservanza: è la continuità nell’osservanza che porta la virtù all’eroismo, perché virtù è perseveranza nel bene.
«178. Nelle mortificazioni o penitenze private», vi sono persone che vogliono far mortificazioni o penitenze private: questo richiede il consiglio del confessore, non una scelta. Noi non scegliamo neppure il bene da farsi, eh! Nella vita religiosa il bene è già scelto e noi dobbiamo prendere, accettare quello. Non tanto facili alle cose private, siano pur mortificazioni, e poi sempre con il consiglio del confessore. Se si tratta poi di penitenze che hanno un riflesso esterno, ci vuole la superiora anche, oltre il confessore, perché può essere che danneggi la salute e allora non fai più la volontà di Dio che è il cercar le vocazioni, il lavoro: la volontà di Dio per te è il tuo apostolato; oppure, anche senza che uno si danneggi la salute, viene un po’ singolare… le singolarità procedono dal diavolo. Cose comuni!, ma fatte in modo non comune. E per quanto è possibile allontanarle anche le eccezioni, le dispense, e raramente chiedere permessi che non siano nell’ordine; ci son dei permessi che sono nell’ordine e sono vita comune, ma certi permessi non sono nell’ordine, quindi non sono nella vita comune. Oh!
E quindi lì nel 1794 enumera le penitenze da scegliersi in primo luogo. Primo, la carità5: quando siete perfette già nella carità, potete pensare alle altre penitenze. Poi la vita comune6 e cioè l’obbedienza - questo è nella ultima riga del 179 -. E poi, terzo, l’intensa applicazione all’apostolato7 che è il lavoro. Sono quelle, come dicevo stamattina: il lavoro come mortificazione esterna; e invece carità e sottomissione nella vita comune per quello che è, in primo luogo, interno.
E poi ritorna sul lavoro al 180. Perché? Perché era entrato un poco nella mentalità di molte religiose che lavorare fosse
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umiliazione. Già! Non è stato umiliazione per Gesù Cristo, Dio-Uomo, per Maria la più santa creatura, per Giuseppe, quello [cioè il lavoro]… e allora? E in conventi in cui tutti i lavori venivano fatti da persone di servizio quasi… ah! Perché? 8Perché [c’era] un falso concetto, un errore fondamentale […].

[…] 9suo sostentamento; e poi a guardare in queste richieste di aiuti […]10.
La vita religiosa è un’imitazione più perfetta di Gesù Cristo. Gesù Cristo ha lavorato, ha compiuto il lavoro vocazionario, ha redento ogni uomo e l’umanità, ecco. Bisogna prendere la vita proprio come deve essere: plasmata sopra Gesù Cristo, sopra Maria, sopra san Paolo11. Il quale di giorno lavorava a far le stuoie e le vendeva per mantenersi e mantenere anche a volte le sue vocazioni, i suoi compagni di viaggio, e poi di notte predicava, alla sera, predicava finché gli uditori si allontanavano per l’ora tarda. Sì, questo che cosa significa? Significa che il Vangelo è quello lì, non ne facciamo un altro Vangelo: è quello! E perciò il Santo Padre quante volte ha richiamato le religiose12
«181. Soprattutto le suore vivano nella carità verso Dio e verso il prossimo, legge suprema della vita cristiana e della vita religiosa. Dalla carità nasce ogni buona e generosa disposizione dell’anima; la carità rende l’osservanza religiosa facile e grandemente meritoria. Perciò le suore promuovano le opere di apostolato e adempiano gli uffici loro affidati, animate da vero amore di Dio e delle anime, non cercando ricompense umane13, ma unicamente quel premio che il Signore ha promesso ad ogni opera buona, anche minima, fatta per lui, o al prossimo per suo amore. Le suore ripensino
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spesso che, in forza della loro professione, devono imitare Gesù Cristo in modo più perfetto del semplice cristiano. Gesù scelse per sé la povertà, il lavoro, l’obbedienza, l’amore a Dio e agli uomini. La religiosa si studia di seguirlo nella tendenza a ciò che è più povero, più umile e più perfetto». Sì, è questo. E quante volte bisogna dire a coloro che lamentano di aver tentazioni: Va’ a lavorare! Anzitutto ti stanchi e quindi la passione si rallenta; e poi, in secondo luogo, hai da pensare ad altro. E i pensieri cattivi non hanno più posto nel cervello perché ce ne sono degli altri.
Questo è stato l’insegnamento delle religiose. Dicono - anche se il fatto non corrisponde del tutto, tuttavia che insegna - che il demonio andò un giorno dall’abate di un convento per farsi le sue ragioni: I tuoi frati mi accusano ingiustamente di cose che io non son colpevole. Oh, di’ un po’, di cosa ti accusano di cui non sei colpevole, tu che sei il continuo operatore di male, il continuo istigatore al male? Eh?!. Ad ogni momento, dicono: il diavolo mi tenta di gola, il diavolo mi tenta contro la castità, il diavolo mi tenta contro l’obbedienza. Non sono mica io che li tento, son loro che si tentano, sono oziosi… poi dan la colpa a me. Eh, sì, l’essere continuamente occupati, non lascia posto a tentazioni. Tuttavia una può dire: Ma continuano nella mia testa. Va’ avanti senza neppure badarci, e una volta ci si raccomanda alla Madonna e poi dopo si lavora, e si mette tutta l’applicazione perché il lavoro riesca bene; e se poi il lavoro è tale che permetta anche di dire… la recita del rosario, reciterai il rosario - perché può essere lavoro, per esempio, di cucito dove la testa non è da applicarsi tanto -.

Vi benedica il Signore tanto tanto.
Imitare Gesù e Maria e Paolo: tutto lì. Pensare come loro, secondo la fede; sentire come loro nei nostri cuori; ed operare, vivere come loro.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastri originali 33/58 (Nastro archivio 37b. Cassetta 37, lato 2. File audio AP 037b) e 35/58. Titolo Cassetta: “Art. 175ss. La vita religiosa”.

2 Probabilmente il PM intende dire: articoli.

3 Cf L’imitazione di Cristo, I, XIV,1. XIX,2; III, XIII,1.

4 Nel Ds, all’inizio di questo articolo che non legge, il PM aggiunge di sua mano al nome Istituto “Regina Apostolorum”: «per le vocazioni».

5 Nel Ds la parola è sottolineata in modo marcato dal PM più volte.

6 Parole sottolineate nel Ds dal PM: vita comune.

7 Sottolineati nel Ds dal PM due termini: intensa e apostolato.

8 Le parole che seguono, non passate sul Nastro archivio, sono ricavate dal Nastro originale.

9 Il testo che segue, fino alla conclusione dell’Istruzione, non passato sul Nastro archivio, è ricavato dal Nastro originale 35/58 (inizio del lato 1).

10 Breve interruzione del nastro magnetico.

11 Cf il Ds, in cui alla fine dell’articolo si ricorda l’esempio del Divino Maestro e della Regina degli Apostoli, e dove il PM aggiunge di sua mano: «e di San Paolo Ap.».

12 Vedi p. 39, nota 10.

13 Il Ds porta: ricompensa umana.