Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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20. FEDE- RICONOSCENZA
(Domenica XIII dopo Pentecoste)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 9 settembre 19621

Il Vangelo: san Luca, capo 17°.
Gesù andava a Gerusalemme seguendo i confini della Samaria e della Galilea. Nelle vicinanze di un villaggio gli vennero incontro dieci lebbrosi che, fermatisi in distanza, secondo la legge, gridarono: «Gesù Maestro, abbi pietà di noi». Visto che erano lebbrosi Gesù disse loro: «Andate e mostratevi ai sacerdoti incaricati di constatare la guarigione». Durante il cammino si trovarono guariti. Uno di loro, che era Samaritano, vedendosi guarito, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce, si prostrò ai piedi di Gesù, chinando la fronte a terra. Gesù si meravigliò: «Non sono stati guariti tutti dieci? E gli altri nove dove sono? Soltanto questo straniero è venuto a ringraziar Dio». Poi disse al risanato: «Alzati e va' pure, la tua fede ti ha guarito»1.
Il che significa che la fede era in quell'uomo e, perché aveva una fede nel potere di Gesù e nella misericordia di Gesù, ecco, l'ha risanato. Perché non sono mica i Santi che facciano i miracoli, è la fede dei richiedenti, e cioè, di coloro che pregano. I miracoli vengono da Dio e li concede, li compie quando sono nei suoi disegni, ma secondo la fede di chi prega.
La fede è sempre quella che ci manca in molte cose, e in altre cose è scarsa, la fede. A misura della fede siamo esauditi, se manca del tutto non siamo, esauditi, e se la fede è poca riceviamo secondo la scarsità; sì, riceviamo secondo la fede che c'è, ma in quella misura in cui la fede è in noi. Perché tutto si può chiedere, si deve chiedere al Signore, però ci vuole sempre la fede. Non possiamo farci santi senza la fede, e ci facciamo santi a misura della fede, e i peccati son perdonati a misura della fede, e anche le grazie temporali son concesse a misura della fede, quando però le grazie temporali sono nei disegni di Dio.
Allora, qual è la riflessione che sembra principale su questo tratto del Vangelo? La riflessione principale è proprio questa della fede.
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Dieci lebbrosi si mettono d'accordo. Gesù stava per passare in un villaggio che si trovava sulla strada camminando verso Gerusalemme. Dieci lebbrosi escono di là (erano così segregati dal consorzio umano perché il male non si allargasse). E seppero di Gesù e seppero anche che Gesù stava per passare e, per guadagnarsi il suo cuore, la sua bontà, ottenere la misericordia che desideravano, gli danno il titolo: "Maestro". Questo titolo riesce sommamente caro a Gesù e allora sempre chiamiamolo con questo nome nelle varie occasioni, quando le occasioni sono propizie, perché Gesù può essere invocato sotto molti titoli, supponiamo, redentore. «Gesù Maestro, abbi pietà di noi». E vide che erano lebbrosi e li mandò ai sacerdoti - perché per rientrare nel consorzio umano e nei loro paesi, e nelle loro famiglie, era necessario che i sacerdoti constatassero che la lebbra era cessata -, quindi Gesù li manda ai sacerdoti: «Andate e mostratevi». Essi obbedirono e, camminando, la lebbra scomparve. Ma nove continuarono la strada per recarsi dai sacerdoti, felici di poter rientrare nelle loro famiglie. Ma uno sentì il bisogno di ringraziare, ecco, e andò a ringraziarlo. E Gesù constatò che nove avevano, essi, dimenticato questo dovere di ringraziare. Invece questo sentì il bisogno e andò a ringraziare il Signore e il Signore lo lodò: «La tua fede ti ha fatto salvo».
E molte volte quando chiediamo grazie, non abbiamo ancora ringraziato il Signore abbastanza di quelle già ricevute. E allora? E allora le grazie tarderanno. Quei nove non pensavano che era un prodigio che avevano ricevuto, quindi la grazia straordinaria e perciò l'obbligo della riconoscenza.
Che cosa dobbiamo dire? Noi crediamo, alle volte, che le cose capitano da sé, che sia il naturale sviluppo delle cose. Invece è Dio che è intervenuto e noi crediamo, magari, che il merito sia nostro, l'abilità sia stata nostra o che siamo stati prudenti o perché avevamo salute o perché abbiamo ricevuto aiuti materiali di qua e di là, e crediamo che tutto dipenda dagli uomini o da noi medesimi o dall'avvicendamento delle cose. C'è sempre Dio, Dio. Perciò il primo dovere è riconoscere Dio: questo è adorare.
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[1.] Riconoscere vuol dire ringraziare, perché non si ringrazia se non c'è la fede che tutto sia fatto per la misericordia di Dio, per la potenza di Dio. Noi ne capiamo ben poco delle cose della terra, della vita nostra. Se un momento solo il Signore ci dimenticasse, si può dire - facciamo questa supposizione ridicola - cadiamo tutti nel nulla, immediatamente, perché [egli] ci sorregge in tutto. Stiamo vivi e non solamente vivi, esiste anche il nostro corpo e, se il Signore si ritirasse per un istante col suo potere non ci resterebbe nulla, neppure il segno del luogo dove siam passati o della fisionomia o del corpo o delle opere. Tutto è così dipendente dalla potenza di Dio che il mondo sta proprio su per il potere di Dio continuamente esercitato, non solo perché ha creato, ma perché lo sostiene, e ci sostiene in ogni momento e ci sostiene anche quando facciamo delle birichinate, quando facciamo dei peccati. Ma non che intervenga lui col peccato, ma l'uomo è libero e il Signore lo conserva e gli usa la misericordia e lo tiene in vita; ma l'uomo è fatto libero ed è allora che l'uomo sceglie quel che vuole, ha la libertà e può adoperare i beni di Dio, può adoperarli al male, la salute, ad esempio, la lingua, ad esempio.
Noi ringraziamo troppo poco e troppo chiediamo, alle volte. Non perché non si chieda, ma perché chiediamo senza aver ringraziato, e domandiamo e non meritiamo perché non abbiamo ringraziato in anticipo, prima di quello ricevuto. E cioè: «creato, fatto cristiano, conservato, condotto in questa Congregazione». Questi sentimenti di riconoscenza sono assolutamente necessari se noi vogliamo ricevere altre grazie da Dio. Riconoscenza.
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[2.] La riconoscenza dunque consiste in un sentimento profondo, in una persuasione profonda che tutto è di Dio e che dobbiamo quindi adorare il suo potere, la sua misericordia, la sua bontà. Riconoscere che siamo nulla e che Dio è tutto. Il Signore disse a santa Caterina da Siena: "Tu sei il nulla, io sono il Tutto". Finiamo con l'esser persuasi di questo? E quando arriveremo lì, avremo messo la base della santità, perché il Signore dà a chi riconosce. Oh, allora, riconoscenza. E riconoscere che Dio è il Tutto e noi siamo niente e che tutto ciò che c'è in noi, anche di grazia, è tutto di Dio.
Poi, dopo aver riconosciuto questo, mostrarla questa riconoscenza esteriormente ringraziando il Signore come fece la Madonna quando entrò nella casa di Elisabetta la quale conobbe il mistero della incarnazione del Verbo di Dio in Maria, ecco: Magnificat anima mea Dominum1: l'anima mia loda il Signore. E come lo loda il Signore! Che bei versetti, che belle espressioni degni di Maria! Ecco, ricordiamo questo.
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3a. La riconoscenza è amore. Perché nasce poi spontaneo l'amore verso chi ci benefica, verso chi ci vuol bene e chi ci vuol ancora dare grazie e ci vuol dare la somma grazia, il paradiso, e che vuol comunicarsi a noi, e vivere in noi, e vivere eternamente in cielo beati della stessa beatitudine che lui ha, Dio stesso, che gode egli, Dio stesso per l'eternità.
Sia dunque più abbondante la preghiera di riconoscenza che non l'abbondante preghiera della domanda, perché la riconoscenza attira da sé le grazie di Dio, attira da sé. Poi possiamo aggiungere le domande, ma prima, aver ringraziato.
E sentir profondamente la riconoscenza e sentire che siamo di Dio il quale ha già disposto tanta misericordia per noi, tante grazie, solo aspetta che noi siamo degni e cioè che noi abbiamo le disposizioni: che siamo nulla e che dobbiamo essere riconoscenti a lui per tutto ciò che ci ha dato e, nello stesso tempo, sappiamo che quel che desideriamo da lui è per nuova misericordia che ce lo darà. Quindi fede profonda. Cosa vale dir tante volte... questo nostro io che cosa conta? Dio che conta, Dio che è tutto: «Io sono il Tutto, tu sei il nulla».
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 113/b (= cassetta 112/b). Per la datazione, in PM nessun accenno (cf PM e nostra nota in c162). - dAS, 9/9/1962: «m.s.» (cf dAS in c112).

2 Lc 17,11-19.

1 Lc 1,46.