Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15. MERCOLEDÌ SANTO1


Questa settimana la preghiera ha un carattere particolare. Primo, ricorda articoli fondamentali della nostra fede, della salvezza nostra. Secondo, ci porta a riflettere sulla nostra condotta, sulla nostra vita, cioè se siamo veramente cristiani. Terzo, la fiducia nella Passione di nostro Signore, cosicché se ci fanno pena le nostre iniquità passate, ci venga a consolare il pensiero che nostro Signore è morto per noi e ha pagato i nostri debiti.
Quindi la preghiera in questo tempo sia ben illuminata, sentita, praticata e portata veramente a un pentimento sincero e alla risurrezione che dobbiamo celebrare il giorno di Pasqua, accompagnando e seguendo il Signore Gesù che è risorto. Risorgere anche noi da tante nostre debolezze, fragilità e imperfezioni che si riducono poi a vivere pienamente la vita cristiana, perfezionata in quell’osservanza delle Costituzioni. Dunque, primo pensiero è un pensiero di umiliazione. Secondo, un pensiero di fiducia; e terzo, un esame di coscienza, preghiera per capire meglio la vita cristiana e la vita religiosa onde viverla.
Pensiero di umiliazione. La domanda: Quale e quanto è stato il nostro contributo alle sofferenze di Gesù Cristo? Quale parte abbiamo avuto nelle sue pene? Perché il carnefice vero di Gesù, dice il card. Schuster2, è il peccato, e noi abbiamo avuto una partecipazione ai dolori, alle pene del Salvatore. Grande è stato il nostro peccato, la nostra vita infelice, le nostre giornate, le più disgraziate dell’esistenza.
Gesù ha sofferto interiormente, e quelle sono le sue pene più intime, più dolorose. Ha sofferto nel suo corpo, in tutti i
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suoi sensi, in tutte le parti del suo corpo. Allora, quale parte abbiamo avuto nelle sue pene interne e quale parte abbiamo avuto nel far soffrire Gesù durante la sua passione per le pene che egli ha sofferto nel corpo? Dobbiamo sempre pensare che in quell’orazione del Getsemani Gesù accettava la croce e ci aveva tutti presenti, non solo come fossimo stati vicini a lui, come erano gli Apostoli che dormivano, ma vedeva nel fondo della nostra coscienza e in tutta la nostra vita trascorsa.
Ha pagato per ogni nostro peccato interno: pensieri non buoni o contro la carità; scoraggiamenti o pensieri troppo terreni, troppo umani; mancanza di fede, distrazioni volontarie, giudizi, sospetti, ecc. Gesù nelle sue pene intime ha sofferto e ha pagato per le nostre mancanze commesse con la sentimentalità, con il cuore: attaccamenti, desideri non regolati e forse qualcosa contro la carità o contro la fiducia, la speranza; peccati di presunzione, peccati di orgoglio, di superbia interiore, anche se non manifestata all’esterno. Poi per i peccati di volontà: siamo stati teste dure. Gesù ha sofferto dicendo: «Non mea, sed tua voluntas fiat: Non sia fatta la mia volontà, ma la tua»3.
E le pene esteriori? Ha pagato per gli sguardi non santi, per ciò che si è udito e non bisognava ascoltare; per ciò che si è guardato e non bisognava guardare; per ciò che si è detto e non bisognava dire con la lingua; per ciò che ha soddisfatto il gusto e non bisognava soddisfarlo. Così per tutto il corpo, per il tatto nel suo senso più diffuso. A ogni dolore di Gesù corrispondono mancanze e peccati dell’umanità, tra le quali c’erano anche le nostre personali. Nessuno è innocente, tutti dobbiamo piegare la testa, sebbene: «Si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit?»4.
Allora, una profonda umiliazione, che sia detestazione del peccato, delle mancanze. E quando si baciano le piaghe dei piedi, delle mani, del costato di Gesù, intendere di far riparazione. Questo particolarmente quando si posano le labbra sul costato aperto del Salvatore, su quell’apertura che indica l’estremo del suo amore per noi, e ci ricorda che è aperto quel
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costato e noi abbiamo contribuito al colpo che è stato dato dal soldato con la lancia.
Secondo pensiero che deve dominare tutte le preghiere di questa settimana è la fiducia, la speranza. Tolta la fiducia in noi che siamo colpevoli, siamo tutti invitati a confidare nella passione di Gesù Cristo. Perché? Perché lì sta la nostra forza, da lì viene la nostra santificazione, la forza per mantenere la buona volontà e la preghiera per avere la grazia di santificarci. Al Venerdì Santo portare un cuore contrito ed umiliato, ma anche fiducioso. I meriti di Gesù Cristo sono stati acquistati per noi dal Signore. Le sue pene interne sono non solo in riparazione dei peccati, ma perché santifichiamo la mente e la purifichiamo. Quanto alla mente, quanto al cuore tutte devono spazzare molto, molto per fare la pulizia pasquale! Chi non è orgoglioso, superbo? Umiliarsi della nostra superbia che tante volte fa velo ai nostri occhi e ci lascia in un’oscurità per cui non capiamo bene l’amore di Dio per noi e la nostra ingratitudine per lui.
Gesù ha ottenuto la grazia perché noi purificassimo l’anima nostra e purificassimo il nostro cuore. Per le pene del suo cuore in quella conclusione della sua vita, chiediamo la santificazione del cuore, dei sentimenti, e mettiamo sentimenti di amore: amare Gesù con tutto il cuore. Niente orgoglio, ma umiltà! Niente attaccamenti, ma attaccamento solo a Dio con tutto il cuore, sopra ogni cosa, sopra noi stessi. E Gesù ci ha ottenuto la grazia di saper piegare la nostra volontà: «Non sicut ego volo, sed sicut tu»5, dirà il Signore. Nelle piccole cose noi non pensiamo a grandi cose, ma qualche volta rifiutare un ufficio è una mancanza notevole. Non misuriamo quel che passa in una coscienza, ma [di solito] è il frutto di piccole disobbedienze, di piccole inosservanze delle Costituzioni, delle disposizioni: «Non mea, sed tua voluntas fiat». Poi, anche in punto di morte si trova difficoltà ad accettare la volontà di Dio, quando nella vita si sono fatte mancanze di obbedienza, resistenza alla volontà di Dio, si è stati sordi al suo volere. Tutto si riflette [in punto di morte].
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Guardare a quel capo chinato di Gesù morto in croce, piegato davanti alla volontà del Padre. Allora, pensare che Gesù nella passione ha ottenuto la grazia, e se noi vogliamo, l’avremo. Non mancanze di occhi, ma santificare la vista e chiuderli davanti a cose che ci portano solo distrazioni o pensieri inutili, fantasie vane. Santificare l’udito: solo per Dio, per ascoltare la sua voce e quelle cose che ci portano a compiere il volere di Dio e che sono volere di Dio. Santificazione della lingua: Gesù ci ha ottenuto le grazie, e tutti ne abbiamo bisogno un poco. E può essere che si abbia anche bisogno molto di questa grazia: dominare la lingua! Dominare anche il gusto, e Gesù ci ha ottenuto la grazia per santificare tutto il corpo, con la sua passione, particolarmente con la flagellazione, l’incoronazione di spine, la fatica e il dolore nel portare la croce pesante sotto cui è caduto.
Con queste sue sofferenze e per le sue sofferenze, noi possiamo sperare la grazia di santificare il nostro interno e il nostro esterno, cioè il nostro corpo. Se c’era un corpo innocente, era quello santissimo di Gesù. Conservare l’innocenza del corpo, delle mani e dei piedi, e... beati coloro che portano la parola di Dio. Chi è in propaganda in questo tempo, che bell’ossequio presentano al Signore con i loro passi, con le loro parole sante! Si ottiene così il fine di ogni studio e di ogni impegno nell’osservanza religiosa paolina.
Terzo, considerare: Viviamo cristianamente, per poter vivere religiosamente? Gesù ha dato la sua vita per noi e a chi è consacrato a Dio, chiede la vita per sé, per la sua gloria, per l’amore verso di lui. La vita cristiana è descritta in queste parole: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»6. «Veni, sequere me»7.
Quando noi non comprendiamo che la vita cristiana è rinnegamento di quello che non piace al Signore, in fondo dell’amor proprio, e che la vita cristiana consiste nell’amore a Gesù Cristo, a Dio, allora noi non capiamo la vita cristiana. Essere un po’ più cristiani, cioè rinnegamento delle nostre tendenze
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non sane, non gradite al Signore, in quanto possono trascinarci al male. Rinnegare noi stessi, molti desideri, molte soddisfazioni, che possiamo offrire a Dio come sacrificio nella nostra giornata.
Bisogna ben dire che spesso vogliamo un po’ il Signore e un po’ noi stessi. Un po’ il Signore nel cuore, ma tante volte senza fargli posto pieno e lasciargli tutto il cuore, in modo che l’occupi interamente. Un po’ gli occhi, un po’ la curiosità, un po’ la pigrizia, e specialmente l’orgoglio; chiudere gli orecchi a quelle esortazioni che sono fatte per la nostra santificazione: «Abneget semetipsum», se no, non c’è vita cristiana. La vita cristiana ha una parte negativa: «Abneget», e una positiva: «Sequatur me». Ma nell’abneget è specificato un punto oltre l’abnegazione: «Prenda la sua croce chi vuol venire dietro di me». Ognuno ha il suo tormento. Può essere esterno, nel corpo, può essere interiore, può essere in tutto il complesso della vita nostra passata o presente o per quello che si prevede in avvenire. Hanno posato sulle spalle del Salvatore la croce: egli l’ha baciata, l’ha presa. S. Andrea, ricordando il Maestro divino, salutava la croce che gli era preparata: O crux, diu desiderata: O croce, che io da lungo ho desiderato8. Che io la porti, perché l’ha portata prima il mio Maestro Gesù Cristo.
Prendere la croce proprio com’è, come la presenta il Signore. Se fossimo diligenti nelle piccole mortificazioni, noi troveremmo abbastanza occasioni di fare penitenza, per evitare il purgatorio, ecc. Il Signore, perché è buono, ci manda tutte le condizioni, le circostanze, le consolazioni e anche le afflizioni che si presentano nella nostra vita, e che noi quasi crediamo che vengano a caso. È tutta provvidenza di Dio! «Et sequatur me», che vuol dire profonda fede, credere: vuol dire amore sincero, tutto il cuore e disposizione della volontà a compiere la volontà di Dio, talmente impressa e diventata gustosa: «Cibus meus est ut faciam voluntatem Patris mei». Sia come il nostro cibo, ciò che noi mangiamo, e l’ha detto Gesù: «Cibus
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meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me, Patris mei»9. Cibo, vuol dire che viveva di quel cibo e ha condotto la sua vita fino al termine e negli ultimi tempi come ha annunziato più volte: «Ecco, andiamo a Gerusalemme, il Figlio dell’uomo sarà tradito»10, ecc. Viveva così, di quello. E non era venuta ancora la sua ora, quindi si difendeva dai nemici. Poi, venuta la sua ora, si dava in mano a loro, in mano al Padre: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum»11, per chiudere la sua giornata, la sua vita terrena.
Dunque, riflettere. Adesso bisognerebbe fermarsi un po’ a riflettere, ma ho detto questi tre pensieri perché siano come il filo di guida per le nostre preghiere in questo triduo della Settimana Santa e poi nel giorno che chiude la Settimana Santa. Umiliazione, fiducia, amore senza misura per il Signore che ci ha amato fino a dare la sua vita e nulla ha risparmiato per noi. Non risparmiare nulla, non dire mai: Questo è troppo, no. È troppo che facciamo dei peccati, ma non è mai troppo amare Gesù. Amarlo senza misura!
Domandiamo queste grazie alla Vergine Addolorata. Che giorni tremendi ha passato! Allora sappiamo comprendere il suo cuore, il suo amore, sappiamo comprendere anche le sue intenzioni per cui accettava le pene di quella settimana ultima della vita di Gesù.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 29 marzo 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 102a = ac 170a.

2 Beato Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), monaco benedettino, abate della basilica di San Paolo fuori le mura, fu nominato cardinale e consacrato arcivescovo di Milano da Pio XI nel 1929. Fu proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II nel 1996.

3 Cf Lc 22,42.

4 Cf Sal 130,3: «Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?».

5 Cf Mc 14,36: «…non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».

6 Cf Mt 16,24.

7 Cf Mt 19,21: «Vieni, seguimi».

8 Cf Breviarium Romanum, antifona al Magnificat della festa di S. Andrea Apostolo.

9 Cf Gv 4,34: «Mio cibo è fare la volontà del Padre mio che mi ha mandato».

10 Cf Mc 10,33.

11 Cf Lc 23,46: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».