Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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9. IL LAVORO NELLA FAMIGLIA PAOLINA *


È utile che domandiamo a Gesù Maestro l’amore al lavoro e lo domandiamo anche per intercessione di Maria Regina Apostolorum e per intercessione di S. Paolo apostolo. Credo che abbiate meditato la circolare ultima: Il lavoro nelle famiglie paoline; ma negli Esercizi spirituali è bene che la consideriamo con maggior calma, ossia il lavoro preso nello spirito della sacra Famiglia. Contemplare la sacra Famiglia come ho visto che è lì rappresentata in quelle cartoline che stanno in parlatorio. La sacra Famiglia: Giuseppe che sega, Gesù che adopera il martello e Maria che fila al fondo del banco di lavoro. Ecco la sacra Famiglia al lavoro.
Così se le famiglie religiose sono l’unione di persone che intendono imitare la sacra Famiglia, se le famiglie religiose devono conformarsi alla sacra Famiglia, consideriamo quello che avveniva a Nazaret. Quella era la casa di lavoro, di preghiera e dell’esercizio di ogni virtù. Casa di lavoro, ma a noi fa bene ricordare specialmente questo: il lavoro della sacra Famiglia non era come il lavoro delle famiglie ordinarie o delle donne casalinghe, era un lavoro redentivo, di apostolato, sebbene non fosse ancora portare il libro, e non ci fosse ancora la predicazione di Gesù. Anche le aspiranti che non vanno in propaganda, in casa fanno già il lavoro redentivo, lavoro di apostolato. Da che cosa dipende questo? Da due motivi: 1) è l’intenzione che dà il significato preciso al lavoro: se si fa per redimere le anime è lavoro di apostolato; infatti non è meno
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apostolato quello che si fa mettendo le pentole al fuoco o lavando i piatti di quello che sia capire una lezione o brossurare i libri. Nell’Istituto tutto il lavoro è redentivo come nella famiglia di Nazaret: Gesù Cristo è redentore, Maria e Giuseppe corredentori. Quindi l’Istituto è tutta una istituzione di apostolato. Poi vi è l’intenzione che mettiamo noi.
2) Ma come fa il lavoro ad essere apostolato? Ciò che fa il lavoro umano è l’attività cosciente, il farlo con coscienza. Il bue che tira l’aratro non fa lavoro umano, perché la sua non è una attività cosciente della fatica che fa, fosse pure grossa fatica, fosse pure se stenta a tirare avanti l’aratro. Il lavoro umano è quello che è fatto con consapevolezza, cioè con intelligenza, con libera volontà. Il lavoro di apostolato è quello che è fatto con intelligenza per la salute delle anime e con il desiderio della loro salvezza. Non è bene che si legga la circolare soltanto a tavola, bisogna che sia meditata nella Visita o al mattino nel tempo che si dedica alla meditazione.
Il lavoro redentivo è una eredità sacra, perché le famiglie non si abbandonino mai all’ozio, padre dei vizi, e alla tiepidezza che è accidia spirituale. Il lavoro è compiere il dovere naturale: «Mangerai il pane con il sudore della fronte»1. Anche prima della caduta di Adamo ed Eva lavorare era dovere, diventò fatica mentre prima non era fatica. È passato da punitivo a redentivo, cioè ci redime in quanto facciamo penitenza dei nostri peccati. Nelle Famiglie Paoline non ci sono grandi penitenze. Diciamo sempre: fate solo le astinenze e i digiuni che sono prescritti nelle singole nazioni; [le vostre] penitenze [sono] la carità, la vita comune e l’apostolato. Noi non invitiamo le suore al venerdì ad andare in coro o a ritirarsi nella loro cella, e darsi la disciplina e attaccare vicino al loro letto il cilicio o la catenella, ma non dobbiamo sfuggire la nostra penitenza, e che [alla sera] si arrivi a letto stanchissime sentendo il bisogno del riposo. [Occorre però] che ci diamo il riposo necessario, sufficiente, così che dopo possiamo continuare ad esercitare l’attività umana.
Il lavoro è un complesso di penitenze perché concentra l’attenzione, quindi penitenza di mente, progredire, farlo sempre
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meglio. Chi compone alla lino non può pensare al carnevale che si festeggia malamente a Viareggio2, ma è una mortificazione di mente. Come pensare a organizzare la propaganda, ecc., è un lavoro che impegna la testa, la nostra mente, ed è la prima mortificazione individuale e sociale riguardo all’apostolato e alla vita comune. Bisogna mortificare la testa, l’intelligenza perché una delle grosse conseguenze del peccato originale è questa: indipendenza della mente […]3. Il lavoro che fa la studente o la maestra è un lavoro di pensiero: concentrarsi, studiare delle materie, spiegare alla cattedra è penitenza.
Il lavoro è penitenza della volontà: sforzarsi a fare una cosa e amarla. Penitenza del cuore: vi sono persone così amanti del loro apostolato che anche quando non ne possono più, soffrono perché non possono lavorare. Ho sempre chiesto al Signore la grazia di morire sul campo dell’apostolato. Amare: e il cuore è assorbito dall’amore alle anime e dall’amore all’apostolato. Allora la fatica, quelle determinate ore del tempo di apostolato sono tutte impiegate in esso. Ecco, che andiamo a fare la nostra flagellazione, cioè andiamo a fare la nostra penitenza, la nostra fatica. Il lavoro bisogna però intenderlo bene, non essere di vista corta. Altro è il lavoro intellettuale, altro il lavoro morale di chi guida e assiste, altro è specialmente il lavoro corporale. Faticare non è solamente del lavoro corporale, cioè del lavoro in cui prevale la parte fisica, ma tutto ciò che è il complesso delle occupazioni paoline. Tutto è lavoro redentivo, è apostolato, è penitenza, è esercizio della nostra missione, quella che ci ha affidata Iddio.
Ora, perché il nostro lavoro diviene redentivo? Perché è associato alla passione di Gesù Cristo. Gesù Cristo ha redento il mondo non solo con il sudore di sangue nel Getsemani, ma con il sudore della fronte a Nazaret. In paradiso Gesù Cristo mostra al Padre le ferite delle mani, ma mostra anche mani che
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avevano i calli per la fatica sostenuta. E così Maria presenta al Padre celeste il lavoro che esercitò tutta la vita, sebbene il lavoro andasse variando con il passare degli anni. In modo speciale noi abbiamo da ricordare la Costituzione apostolica Sponsa Christi che dice: «Al lavoro, manuale o intellettuale, sono obbligati tutti, non esclusi gli uomini e le donne che si dedicano alla vita contemplativa, non solo per legge naturale, ma anche per un dovere di penitenza e di soddisfazione»4. Dunque, per legge naturale, «chi non lavora non mangi»5, ma anche per penitenza. Mi lasci portare il cilicio. Ti lascio fare uno straordinario di lavoro.
Vedete che il Papa è chiaro e aggiunge: «Il lavoro inoltre è il mezzo comune con cui l’anima è preservata dai pericoli e si eleva a cose più alte». Sono quelli che non lavorano che fanno mille pettegolezzi e [hanno] mille difficoltà, tentazioni, pericoli e il diavolo, se ci trova disoccupati, ci darà lui il lavoro. C’è un proverbio che ho sentito andando in giro per le nazioni: Tentare una persona laboriosa è difficile, per farla cadere ci vogliono sette diavoli, ma per tentare una persona oziosa basta un diavolo. Il Papa dice: «[Il lavoro] è il mezzo con cui, come è nostro dovere, prestiamo la nostra opera alla divina Provvidenza». E come vanno alla Comunione quelli che perdessero il tempo abitualmente? Credono di non fare peccato, ma è più dovere il lavoro della povertà, sebbene anche l’esercizio della povertà richieda il lavoro, perché è dovere naturale che ci assumiamo volontariamente. Quando facciamo i voti ci assumiamo altri doveri, ma quello [del lavoro] ci è già imposto quando nasciamo… Quindi «il dovere del lavoro è prima del dovere con cui prestiamo la nostra opera alla divina Provvidenza tanto nell’ordine naturale che soprannaturale», perché non ci si fa santi senza lavorare, non è possibile, e non troverete mai nessun santo ozioso. Avevano proposto la canonizzazione di un certo religioso: Ha fatto questo ed era così dolce, mite, ecc.
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Coloro che lo avevano conosciuto hanno detto: Ma perdeva tanto tempo. Il Papa allora disse: Via, mettete via le carte, nessun ozioso può essere canonizzato perché manca al dovere naturale. I doveri naturali vengono prima. [Il lavoro] soprannaturale vuol dire combattere di spirito per vincere se stessi, per vincere l’ira, l’invidia: il lavoro interiore è il primo dei doveri. Solo andare in chiesa, dire parole e stare seduti è pigrizia. Però in tutti i casi deve sempre precedere il lavoro interno, per chiedere la grazia di vincere ogni cosa, la grazia di acquistare la virtù, di salire in perfezione. Il primo lavoro è l’interiore, mezzo con cui si esercitano le opere di carità.
Le opere di carità come si fanno? Si fanno con il lavoro o direttamente o indirettamente. Quindi il Papa esclude che si vada a cercare la beneficenza, si vada alla questua. Come in primo luogo bisogna lavorare, e poi ciò che manca chiederlo, così il ricco deve dare ai poveri ciò che ha in soprappiù. Quale nobiltà ha il lavoro! Però bisogna che sia fatto con intenzione retta, non è vero? E poi sapere che il lavoro nostro non è solamente lavoro, [ma è] come [quello] di Gesù quando era nella bottega di Nazaret, che era apostolico per intenzione, ma faceva dei banchi e dei tavoli e delle sedie. Voi invece portate la verità, quindi il vostro lavoro è imitazione di quello che Gesù compiva nella predicazione.
Oh, educare al lavoro! Innanzitutto non accettare in Congregazione delle giovani oziose, bisogna cercare persone [laboriose]. Ve ne accorgete quando in casa sono pulite, attive. Entrate in quella casa e vedete subito se c’è spirito di ordine, ma quando trovate tutto in disordine, tutto sporco, ecco lì non vi può essere amore per il lavoro. Queste [persone] non hanno la vocazione. Come potranno arrivare al voto di povertà se non hanno neppure amore al lavoro? È come dire di cominciare a costruire la casa dal tetto, la casa si comincia dalle fondamenta, da terra. Quando una figlia si mostra laboriosa in casa, ordinata, attiva, inventiva, progressiva nei suoi lavori, ecco allora qui dà segno di avere vocazione e di [potere apprendere] lo spirito paolino. Del resto le nostre forze o le consacriamo per Dio o le consumiamo in bagatelle da nulla, o le consacriamo per qualche altra cosa di brutto. Donne che stanno sugli angoli della via
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a chiacchierare interminabilmente con la comare vicina e si lamentano poi che hanno tanto da fare. Una volta ho detto a una: Il lavoro più grosso che fai è di lamentarti che hai molto lavoro. Quanto ne fai?
I santi sono tutti lavoratori e tengono conto anche dei minuti di tempo. Tante volte ho visto dei chierici, dei compagni che, tenendo conto dei minuti di tempo che spesso si perdono, hanno letto dei volumi e hanno imparato tante cose utili. Se il maestro tarda un po’ ad arrivare a scuola, ecco, hanno lì il libro pronto; qualche volta finito il lavoro, mancano ancora cinque minuti al finis, [hanno] sempre un libro di riserva. [Ci sono] chierici che sono diventati sacerdoti, lavoratori infaticabili!
Che perversione di idee era subentrata in certi conventi di vita contemplativa! Che cosa voleva dire certa vita contemplativa così male intesa! Un sacerdote in autorità diceva: Bene, contemplate anche a tavola, contemplate il piatto vuoto. Lì mancavano anche i soldi per comperare le medicine agli ammalati. Noi siamo di vita contemplativa, non dobbiamo adoperare l’ago e la scopa! […]6.
Ma voi siete figli dell’Apostolo e S. Paolo scriveva ai Tessalonicesi: «Quando eravamo presso di voi vi davamo questo precetto: Chi non vuole lavorare non mangi. Ma ora sentiamo... che nel Signore Gesù Cristo mangiano il loro pane lavorando tranquillamente»7. E ai Corinti scrive che lavorava faticando con le sue mani8. Egli fu un grande lavoratore e dichiarava che quanto occorreva a lui e ai suoi [avevano provveduto le sue stesse mani]9. Paolo è il più felice interprete e imitatore di Cristo. Anche la sua pietà, la sua vita è Cristo: «Mihi vivere Christus est»10. Noi abbiamo [in Paolo] un operaio lavoratore da considerare; bisogna quindi […]11 che ognuno faccia il proprio lavoro: chi deve guidare, quello è il suo lavoro; chi deve studiare, insegnare, fa il suo lavoro; chi ha la brossura,
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brossuri, questo è il suo lavoro; e colei che è in libreria quello è il suo lavoro.
Non dobbiamo fare il lavoro degli altri, [ad esempio] la studente non può impiegare tanto tempo nel lavoro tecnico. Sono stati richiamati i preti operai12 in Francia perché non devono fare il mestiere del minatore, del meccanico di officina, del bracciante, del contadino. No, il sacerdote deve andare ai minatori, ai meccanici, ai braccianti per insegnare il catechismo, per guidare e amministrare i sacramenti: questo è il suo lavoro. Ognuno prenda il lavoro che gli è assegnato. Sono stati richiamati perché è sbagliato il concetto: sì, possono fare delle ore di lavoro anche i preti, ma non devono farlo abitualmente. Potrà forse fare il tipografo, potrà scrivere, spedire, ecc., ma in questo caso il lavoro è propriamente di apostolato, non materiale.
Ora leggerete la circolare13; un po’ l’avete già letta, ma è specialmente utile leggerla negli Esercizi. È molto importante che non perdiate di vista il vero concetto del vostro lavoro che è dovere naturale, è redentivo, apostolico, salvifico, mezzo di santificazione, e sempre ci stabilisce in Cristo, il gran lavoratore. Bisogna stabilirci in Cristo, e le Figlie di San Paolo non sarebbero veramente figlie del loro padre, se non seguissero lui che fu un grande lavoratore, camminatore, un grande Apostolo. Quando si dice l’Apostolo si intende parlare di S. Paolo.
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* Meditazione, in dattiloscritto, carta vergata, fogli 4 (20,5x28,5), tenuta a [Roma] il 24.2.1954. Non è indicato il luogo, ma dalla cronaca di don Speciale risulta che in quel giorno il Primo Maestro aveva tenuto la meditazione alle Figlie di San Paolo durante gli Esercizi. Le curatrici dei dattiloscritti successivi hanno aggiunto a mano il titolo: “Il lavoro nella Famiglia Paolina”. Probabilmente l’originale è una trascrizione da pellicola. È chiaro il riferimento all’articolo pubblicato in San Paolo e in Regina Apostolorum, 1(1954)1-10: “Il lavoro nelle Famiglie Paoline”. Cf anche Carissimi in San Paolo, pp. 1075-1095; Anima e corpo per il Vangelo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, pp. 165-197.

1 Cf Gen 3,19.

2 Città della Toscana, dove per tradizione si festeggia il carnevale con carri allegorici.

3 Originale: “Prima Adamo non pensava a quello che voleva, del resto le cose cattive non gli facevano impressione, prima del peccato si trovavano senza vesti ma se ne accorsero dopo perché prima i pensieri erano retti, non veniva nessun pensiero cattivo per sé. Potremmo essere soggiogati dal diavolo come avvenne per Eva”.

4 Cf Pio XII, Sponsa Christi, Costituzione apostolica per le religiose di vita claustrale, 21 novembre 1950, AAS 48 (1951), in Enchiridion della Vita Consacrata, EDB, nn. 2244-2245.

5 Cf 2Ts 3,10.

6 Originale: “Bisogna scopare via le suore allora dai conventi”.

7 Cf 2Ts 3,10.

8 Cf 1Cor 4,12.

9 Cf At 20,34.

10 Cf Fil 1,21: «Per me il vivere è Cristo».

11 Originale: “prendere le cose nel loro senso”.

12 Il movimento dei preti operai sorge in Francia, verso il 1943. Progressivamente si estende nei principali paesi dell’Europa occidentale come esperienza di inculturazione nel mondo del lavoro: essere per, con, come il lavoratore. La Chiesa però guarda con occhio critico lo sviluppo di questo movimento e nel 1954 pone il veto. Dopo il Concilio Vaticano II la Santa Sede permette, nonostante le molte difficoltà, la ripresa del movimento dei preti operai.

13 Cf “Il lavoro nelle Famiglie Paoline”. Vedi med. n. 9, nota dell’asterisco (*).