Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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31. FESTA DI SAN GIOVANNI *


«Valde honorandus est beatus Joannes qui in coena supra pectus Domini recubuit: È degno di molto onore S. Giovanni Evangelista, il quale nell’ultima cena posò il capo sopra il petto adorabile del Salvatore». Questa espressione va d’accordo con l’altra che si legge ugualmente nel Breviario1, dove si dice che: «Fluentia sancti evangelii de sacro pectore Domini laute potavit: Giovanni ricavò dal cuore di Gesù Cristo quel Vangelo che si può chiamare il Vangelo della divinità, della confidenza, dell’intimità». Oggi la Chiesa l’onora grandemente. Noi abbiamo anche la grazia di [lucrare] due indulgenze plenarie: una concessa come per gli altri apostoli e l’altra per chi nella giornata compie qualche esercizio di pietà come la Visita ad onore del santissimo Sacramento e dell’augusta Regina degli Apostoli.
S. Giovanni Evangelista era il fratello di S. Giacomo maggiore, ed era il più giovane dei chiamati all’apostolato e poiché era vergine fu subito carissimo al divin Maestro, il quale lo ammise a confidenze particolari. Infatti lo chiamò con Pietro e con Giacomo ad assistere alla Trasfigurazione sul Tabor e lo volle più vicino a sé nel Getsemani, quando si preparava alla sua passione e morte. Volle, particolarità non concessa a nessuno degli altri Apostoli, che assistesse alla sua agonia e alla sua morte e lo accompagnasse con Nicodemo alla sepoltura. S. Giovanni non venne mai meno nel suo amore a Gesù. Era vergine, e quando vi è la verginità, la purezza, fiorisce più spontaneo l’amore a Gesù. Predicò in Gerusalemme e in tanti altri luoghi, specialmente ad Efeso. Morì ultimo degli Apostoli, si dice settantacinque anni dopo la risurrezione di Gesù Cristo. Ebbe
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meriti speciali nella Chiesa, e da una parte fu martire anche se morì di morte naturale, di vecchiaia. Egli fu Apostolo e nello stesso tempo fu il grande profeta del Nuovo Testamento. Fu Evangelista e scrisse pure tre lettere e tanto nel Vangelo quanto nelle lettere egli insegna specialmente la carità. La sua predicazione sulla carità era nota e quando già vecchio, non potendo più reggersi da sé, lo portavano in chiesa, seduto in mezzo ai discepoli cominciava la sua predica dicendo: Figliolini, amatevi a vicenda, come io ho amato Gesù; «ut diligatis invicem: così amatevi tra di voi»2. I discepoli erano alquanto annoiati di sentire sempre ripetere la medesima cosa e perciò gli fecero osservare: Voi avete sentito il Maestro divino, avete da lui appreso tante cose, diteci anche altro, fateci anche altre prediche. Ma S. Giovanni, riprendendo il suo pensiero, rispondeva: Figliolini, amatevi a vicenda e se vi amerete questo basterà3. Basterà nel senso in cui noi cantiamo: Ubi caritas et amor, ibi Deus est4. Dove vi è la carità, ivi è Dio, e dove manca la carità vicendevole non vi è Dio, ancorché si facciano opere stupende o si faccia ottima riuscita in qualche cosa, per esempio nello studio. Se non vi è carità nel cuore, nel cuore non c’è Dio.
S. Giovanni ebbe anche altri privilegi, quello che ricorda il Vangelo e che S. Agostino commenta, quando Gesù stava per lasciare questo mondo e come suo estremo testamento gli affidò la custodia di Maria: Giovanni, ecco tua Madre. E alla Madre: Donna, ecco tuo Figlio5. Così che Giovanni prese con sé Maria e visse nell’intimità con lei. Quante cose imparò da Maria e quante grazie ottenne per mezzo della sua intercessione! Grande fortuna questa, privilegio particolare concessogli dal Maestro divino.
Abbiamo poi da rilevare che mentre gli altri tre evangelisti narrano specialmente la storia di Gesù Cristo come Messia promesso, come taumaturgo, come colui che veniva ad accogliere i peccatori, S. Giovanni, per la sua purezza, si eleva a contemplare la divinità. Il suo Vangelo comincia con le parole: «In
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principio erat Verbum»6. Da tutta l’eternità esisteva il Figlio di Dio, il quale nella pienezza dei tempi: «Verbum caro factum est et habitavit in nobis»7. Vangelo che per la sua altezza viene ripetuto frequentemente al termine della Messa, ogni volta che il rito liturgico lo permette8.
Leggere il Vangelo di S. Giovanni, specialmente il capitolo III, e poi dal capitolo XVI in avanti, ed elevarsi. Nella Visita aiuteranno a entrare nell’intimità di Gesù, così che l’anima riposi, come Giovanni, sul petto sacratissimo del Salvatore. Che tesoro abbiamo! E quanto sarebbe preferibile adoperare questo Vangelo, anziché fare letture che sono alle volte di discussa autorità e si potrebbe anche discutere se producono frutto nell’anima nostra, oppure eccitano soltanto la curiosità.
Perché Giovanni, il discepolo che Gesù amava, ebbe tanti privilegi? Per la sua castità, per il suo amore a Gesù, per la sua generosità. Per questo vinse tutte le difficoltà, sfidò i nemici e con la sua presenza sul Calvario confessò di essere discepolo di Gesù, mentre lo stesso Pietro ai nemici non ebbe la forza di mostrarsi qual era, cioè seguace di Gesù. Perché tutto questo? Quando il cuore ha alti ideali, ideali di sapienza, di scienza, ideali di anime, di apostolato, di consacrazione totale a Dio, ideali di sacerdozio, quando si ha elevatezza di mente e aspirazioni grandi nel cuore, allora il Signore concede grazie e dà lumi, infonde forza, benedice la vita, gli anni e l’apostolato, consolerà in morte e accoglierà in cielo. Generosità, elevatezza di pensiero, elevatezza di sentimenti! Perché stare sempre in basso, per terra? Sursum corda! 9.
Non essere schiavi di noi medesimi, non perderci attorno a ciò che alletta i sensi! «Considerate la vostra dignità, considerate la vostra vocazione: Agnosce dignitatem tuam. Videte vocationem vestram»10. Più nobiltà, più elevatezza, anche nei discorsi, nel modo di trattare il corpo, nella posizione del corpo quando si prega, nel dominio della lingua, degli occhi, dell’udito,
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della fantasia. Elevatezza, siamo fatti per il cielo, non abbassiamoci alla terra! Della terra dobbiamo servircene quanto è necessario per guadagnare il cielo, ma lassù è il nostro destino. Troppa bassezza, troppa terra! Più cielo! La Chiesa fa dire al sacerdote: Sursum corda! Ma i fedeli possono sempre rispondere con verità: Habemus ad Dominum? 11. Li abbiamo alzati, elevati verso il cielo? Alle volte sì, e qualche volta forse no, perché le aspirazioni non sono sempre di cielo.
Considerare il nostro fine, il fine per cui siamo stati creati, perché se sulla terra dobbiamo conoscere, amare e servire il Signore, ci aspetta poi un’eternità per goderlo. Dobbiamo aspirare a quella città eterna dove regna il bene, la felicità senza alcuna tentazione e senza alcun pericolo, dove il Signore consola tutti i servi fedeli e dà un premio stragrande. Qual è l’elevatezza dei nostri pensieri? Qual è l’elevatezza dei sentimenti?
Abbiamo da notare inoltre la pratica della carità: volersi bene, volersi bene! L’egoismo vuole indirizzare tutto all’amor proprio, la carità invece allarga il cuore e ci fa pensare al prossimo, ai fratelli, alle sorelle, alle anime. Se però non si pratica la carità nell’ambito della comunità, come si avrà frutto predicando agli altri la carità?
Altra conseguenza: leggere il Vangelo così da meritare l’elogio che faceva S. Girolamo della vergine romana: Essa ha sempre in mano le Scritture, notte e giorno, e le medita, quella è la sua istruzione. E noi dobbiamo dire: [La Scrittura] è la scuola divina, non abbassiamoci a troppe scuole umane, a scuole di dubbia utilità, a scuole equivoche.
Questa mattina perciò ascoltiamo la Messa con molto raccoglimento, nella Comunione pensiamo alla gioia e ai frutti che ricavò S. Giovanni nel riposare con il capo sopra il petto adorabile del Salvatore. Anche noi «de sacro Dominici pectoris fonte12», sappiamo ascoltare Gesù e rispondergli, e rinnovare la consacrazione fatta nella professione o nel santo Battesimo per mezzo dei voti battesimali.
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* Meditazione, tenuta alla FP, [Roma], 27 dicembre 1954, stampata in Prediche del rev. Primo Maestro, Esercizi di Grottaferrata e di Albano 1954, ed. 1957, pp. 140-145. Anche per questa meditazione vale quanto le curatrici hanno annotato nella nota dell’asterisco (*) della meditazione n. 30.

1 Queste espressioni, come altre che ricorrono in questa meditazione: antifone, responsori, commenti, ecc., sono citate da Don Alberione a memoria, e sono contenute nella liturgia propria di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, 27 dicembre, in Breviarium Romanum.

2 Cf Gv 13,34.

3 S. Girolamo nel Commento della lettera ai Galati 6,10, riferisce che S. Giovanni ormai vecchio ripeteva ai discepoli: “Figlioli, amatevi l’un l’altro; se fate questo, basta”.

4 Inno liturgico.

5 Cf Gv 19,26.27.

6 Gv 1,1: «In principio era il Verbo».

7 Cf Gv 1,14: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».

8 Il Prologo di S. Giovanni è stato eliminato dalla riforma liturgica del Vaticano II.

9 In alto i cuori!

10 Cf 1Cor 1,26.

11 Sono rivolti al Signore. Dal Prefazio.

12 Cf Festa di S. Giovanni apostolo e evangelista in Breviarium Romanum, I Nocturno, Lectio II, Responsorium: «Dal sacro fonte del petto del Signore».