Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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I. CONVERSIONE DI SAN PAOLO (1)
L'unica festa di una conversione che si celebri nella Chiesa è questa che celebreremo mercoledì, e cioè la conversione di san Paolo, perché è stata una conversione strepitosa. E' stata una conversione che ha portato il massimo bene alla Chiesa. Ed è stata una conversione che fu piena dal profondo dell'anima.
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Conversione vuol dire: lasciare una strada non buona per prenderne una buona. Anche alle volte, quando partiamo per andare in qualche posto, sbagliamo la via e a un certo punto magari ci accorgiamo, e allora si torna indietro. Si ritorna indietro per trovare la strada buona. Ecco.
Così nella vita: alle volte sbagliamo un po' la strada. E allora a un certo punto, accorgendoci per la grazia di Dio, ecco: il desiderio di rimetterci sulla via che piace al Signore, che è la via della perfezione, della santità, dell'apostolato.
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Vi sono difficoltà per una conversione. La prima è di conoscere che non siamo sulla buona strada. Se noi, facendo l'esame di coscienza, troviamo che la nostra condotta non è tanto buona, se troviamo che si vive ancor nell'indifferenza, se troviamo che ci manca il fervore, ecc. ecco: riconoscere.
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Persone che si conoscono e si riconoscono. Alcune conoscon da sé i propri difetti. Altre persone invece non li conoscono, ma se vengono avvertite, queste persone, <le> li riconoscono, e cioè ammettono lo sbaglio. Ammettono lo sbaglio, e quindi l'atto di umiltà attira la grazia. Agli umili il Signore dà sempre la grazia.
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Gli orgogliosi né conoscono, né si riconoscono. Non conoscono se stessi perché poco esame di coscienza fanno e non riconoscono gli sbagli quando altri usa la carità di avvertirli. Si scusano, si difendono. Allora niente conversione perché non si parte neppure. La partenza è sempre di conoscerci o riconoscerci, per arrivare a una vera conversione.
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Secondo: supponiamo che ci sia la grazia e l'umiltà o di conoscere o di riconoscere i nostri sbagli. Allora, in secondo luogo, cosa si richiede? Si richiede <l'umi> la buona volontà: «Io cerco Dio, io voglio arrivare alla santità. Io riconosco che questo stato non piace al Signore, che il Signore invece si aspetta da me molto di più».
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Riconoscere noi stessi o conoscer noi stessi.
Vedi un po' lo studio come va. Vedi un po' il comportamento come va. Vedi un po' l'andamento e l'osservanza della vita religiosa come va. Vedi un po' lo spirito di fede o di carità o di umiltà o di obbedienza. Ecco.
Allora, se vi è la buona volontà, subito si ricorre alla preghiera e ci si confessa: si condanna la vita trascorsa e si vuole riguadagnare il tempo perduto. La buona volontà!
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San Paolo aveva preso una strada sbagliata, ma la credeva giusta e credeva di fare il suo dovere. Ma il Signore lo fermò: «Perché mi perseguiti?» [At 9,4]. E allora aprì gli occhi - non gli occhi del corpo perché era rimasto abbagliato dalla luce, è rimasto cieco, oh - ma aprì il suo spirito alla luce. Capì: «Chi sei /tu/ (a), o Signore?» [At 9,5]. Eh, son Gesù che perseguiti tu [cf. At 9,5]. E' cosa dura resistere alla grazia, ecco. E allora si arrese subito: «Cosa vuoi che faccia?». E il Signore gli diede l'ordine di andare a Damasco e là avrebbe trovato chi gli avrebbe parlato a nome di Dio. Ora, mostrò subito la sua buona volontà: «Cosa devo fare?».
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Invece vi sono persone che cominciano a compatir se stesse e a scusare se stesse. Allora la volontà buona manca. Quindi cosa si deve fare? Avere il gran dono della buona volontà. Sì è un dono di Dio questo! Sì.
Qui dat posse et velle (a) [cf. Fil 2,13]. Il Signore dà il potere di riuscire e il volere. Il volere è dono di Dio. Dà il potere e il volere, cioè: la grazia - il potere - per migliorare, per convertirci; e poi la volontà, perché il potere dipende dalla preghiera e il volere dipende da noi; ma lo stesso volere dev'essere eccitato in noi e ottenuto per mezzo della preghiera.
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San Paolo si è convertito da persecutore in grande apostolo. Il più grande apostolo quanto a opere, quanto al bene che ha fatto, alle chiese che ha fondato e /alle/ (a) anime che ha guadagnato a Gesù Cristo. Una conversione quindi di massima <van> utilità per la Chiesa.
E certo nessuno di noi è persecutore, ma quanti difetti abbiamo! E quello è il punto su cui fermarsi: sopra i difetti. Vedere che cosa c'è ancora in noi da convertire, cioè da migliorare.
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La Chiesa fa a noi ripetere ogni giorno: «Signore convertici». Vuol dire che tutti abbiamo un po' bisogno di conversione o da un difetto o da un altro. Abbiam bisogno di conversione!
E allora con l'occasione della festa della conversione di san Paolo esaminarsi più a fondo. Ma non diventar malinconici perché si trovan dei difetti, no. Umiliarci, pregare e volontà seria!
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Il combattere i nostri difetti, il combattere è quello che ci arricchisce di meriti. Valgono più tante volte - e per lo più si può dire il massimo delle volte - le lotte interne. Chi ha più amore a lottare contro se stesso, contro l'amor proprio, ecc., che non a cullarsi nell'idea di essere già santo, chi ha più amore alla lotta, ecco, guadagna molti più meriti.
Una vittoria sopra di noi che grande merito è! Alle volte è più che un rosario, alle volte è certamente ancor più <di una pre> di una comunione, dico: non sempre, ma alle volte sì.
Vincere noi stessi! Vincere noi stessi.
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Il libro che ci facevano sempre leggere da chierici era: Il combattimento spirituale dello Scrufoli La lotta contro i difetti. Togliere i difetti per poter metterci le virtù opposte. E chi è superbo mettere l'umiltà, e chi invece è inclinato all'invidia mettere la carità, e chi /è/ (a) inclinato alla pigrizia mettere il fervore. E chi è fiacco, chi è fiacco domandare al Signore la fortezza che è virtù cardinale ed è anche dono dello Spirito Santo, sì.
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Allora con questa occasione domandare a san Paolo la grazia di una vera conversione. «Oggi voglio far meglio. Sì. Ieri forse si è fatto bene o è mancato qualche cosa, ma oggi meglio». Tutte le mattine: «Comincio. Sì. E comincio e mi rifornisco di forza con la comunione ben fatta, con la messa ben ascoltata, con la meditazione ben conclusa, conclusa con dei buoni propositi». Avanti, sì.
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E la vostra volontà è buona in tutte. Sì. Però qualcheduna scambia la buona volontà col sentimento vuoto, qualche volta. Sentimento vuoto: il vorrei.
«Dei vorrei o dei voglio di quel genere lì - diceva san Teresa - è lastricato l'inferno».
Ecco: vorrei: vago, incerto, debole. Un vorrei o un voglio di quel genere: nessuno si fa santo così. Si fan /sante/ (a) le persone ostinate: voglio. E se non son riuscito adesso, tento di nuovo.
Come la formica che vuole forse salire <e> sopra un muro e sale un po' poi cade; poi ricomincia, riprende e poi di nuovo magari ricade; e finché, finalmente, dopo molti tentativi arriva. Arriva, ecco. Eh, così!...
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Prendi esempi <dalla> dalla <pi> formica.
Stamattina abbiamo fatto quella meditazione sul libro della Scrittura: «Va' a imparare dalla formica, o pigro che sei!» [cf. Pr 6,6]. Eh, piger, va' a imparar dalla formica! Tentare e ritentare. E il tentare e [ritentare] (a) è sempre meritorio: è sempre atto di amor di Dio. E anche quando non si riesce, c'è già stato l'atto di amor di Dio e finalmente il Signore ti darà la vittoria, sì. <Nèh>. Sante nèh? Non scherzare nella via di Dio, eh!
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Voglio! O come diceva l'Alfieri: «Volli, sempre volli, fortissimamente volli». Ed è riuscito a vincere il suo carattere, vincere se stesso. Così son tutti i santi. Non si nasce santo, ci si fa santi, se vogliamo.
Vi do la benedizione perché entri in tutte la buona volontà.

Albano Laziale (Roma)
23 gennaio 1961

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(1) Albano Laziale (Roma), 23 gennaio 1961.

8 (a) V: omette.

9 (a) V: Deus est enim, qui operatur in vobis, et velle et perficere pro bona voluntate.

10 (a) R: le.

13 (a) Così T, Omette R.

15 (a) R: santo.

16 (a) R: parola poco comprensibile.