Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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6. IL FINE DELL'UOMO E DEL RELIGIOSO
Esercizi Spirituali (14 23 marzo 1958) alle Pie Discepole del Divin Maestro insieme al gruppo formazione.
Roma, Via Portuense 739, 15 marzo 19581
La Chiesa nell'incominciare l'anno liturgico ci fa leggere il Vangelo che parla del giudizio universale e, ugualmente, al termine dell'anno liturgico, nell'ultima domenica, ci fa pure leggere quello che riguarda il giudizio universale, nel Vangelo. Questo significa che noi abbiamo sempre da tener presente la nostra fine, come ci troveremo al giudizio universale: se risorgeremo gloriosi o se pure si risorgerà, invece, nell'ignominia; se saremo messi alla destra o saremo messi alla sinistra; se la venuta, l'apparizione di Gesù con la sua croce ci recherà gaudio oppure darà un tremendo spavento alle anime nostre; se nella manifestazione delle coscienze verranno fuori atti di virtù e sacrifici compiuti, oppure verranno fuori malizie e peccati; se la sentenza che si rivolgerà a noi sarà la sentenza dei buoni: "Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio"2, oppure la sentenza: "Andate, o maledetti, nel fuoco eterno"3. Se l'ultimo passo sarà: ibunt iusti in vitam aeternam4i giusti andranno alla vita eterna, oppure l'ultimo passo sarà quello dei dannati i quali saranno precipitati nel fuoco, nei supplizi eterni. Sempre pensare al fine, meglio, la nostra fine, quello che toccherà a noi. E allora, verrà di conseguenza: indirizzare tutta la nostra vita verso una fine felice, lieta, eternamente gaudiosa.
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Abbiamo da fare tre considerazioni: primo, il fine in generale, per ogni uomo; poi, il fine del religioso, della religiosa; in terzo luogo, il fine della vocazione alla Pia Discepola di Gesù Maestro.
Prima considerazione: il fine per cui siamo creati.
Il catechismo è chiaro: creati per conoscere, amare, servire il Signore e poi arrivare alla eterna beatitudine, a godere il Signore in eterno. Il Signore ci ha creati per sé, ci ha creati per la felicità e ha infuso in noi una tendenza, diciamo, quasi irresistibile, verso la felicità, il bene. Creati per sé. E potevamo essere ordinati a lui nella maniera naturale, cioè arrivare a una beatitudine semplicemente naturale, come il bambino che muore prima del battesimo. Invece il Signore, nella sua immensa bontà, ci ha destinati ad una beatitudine soprannaturale, qual è la visione di Dio, il gaudio di Dio, il possesso di Dio in modo soprannaturale. Questo appunto perché in noi il Signore ha infuso delle virtù soprannaturali nel battesimo, virtù soprannaturali come sono la fede, la speranza, la carità. Il Signore ci amò oltre misura. Ecco, allora, la nostra fine, o, meglio, il nostro fine: arrivare alla visione beatifica di Dio, conoscerlo, cioè, in una maniera che non sarebbe comportabile, per sé, alla natura umana, ma questo per un lume straordinario che darà il Signore, quasi dicendo qui: In lumine tuo videbimus lumen1: con la luce eterna noi vedremo il lume eterno che è Dio.
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E poi, il possesso di Dio. Dio che si comunica all'anima e che abita nell'anima per la grazia del battesimo e che si comunica all'anima e abita nell'anima ancora più strettamente per la grazia della santa comunione. Dio lo si possederà in eterno in quella misura in cui si possiede sulla terra da un'anima, cioè secondo i meriti, secondo l'amore che si è portato a Gesù. Coloro che sono buoni, che vivono santamente, godono già sulla terra una certa consolazione, una beatitudine imperfetta e quindi: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati coloro che piangono, perché saranno consolati, ecc."1. Questa beatitudine, conforto e consolazione temporale che si gode da coloro che vivono uniti al Signore sulla terra, sarà perfetta in paradiso; qui vi è un saggio di beatitudine con cui il Signore incoraggia a perseverare nella virtù della povertà, della purezza, della mitezza, ecc. Ma là questa beatitudine sarà completa e sarà eterna. Paradiso, ecco; chiamati al paradiso, siamo.
Abbiamo sempre da alzare il nostro sguardo al cielo. Là Gesù ci attende, Maria ci attende, i Santi ci attendono, gli angioli ci attendono1. La vita è assai breve e fosse anche una vita di cento anni, in confronto di centinaia di secoli di eternità, anzi, in confronto dell'eternità stessa, cosa sarebbe? Siamo chiamati al cielo. Questo è il fine nostro.
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Secondo: occorre pensare che il Signore in paradiso ha costituito una città tutta ordinata, la celeste Gerusalemme. In quella città vi sono cittadini privilegiati, quelli che abiteranno più vicini al Signore, più vicini a Gesù, più vicini a Maria, contempleranno più profondamente la Trinità, possederanno più completamente Dio e lo godranno maggiormente. Questi sono coloro che sulla terra sono chiamati alla vita perfetta. Un cielo più bello, ma una vita più bella sulla terra. Sì, chiamati alla perfezione sulla terra e quindi al distacco dalle cose terrene. Allora, cosa consegue? Consegue che in paradiso si avrà una cognizione più profonda di Dio, un possesso più completo di Dio, un gaudio più ampio di Dio, in Dio. " Se vuoi esser perfetto, lascia tutto, vieni, seguimi ed avrai un gran tesoro in paradiso, in cielo"1ecco.
Perciò abbiamo la duplice via: la via dei comandamenti e la via dei consigli evangelici. Quando si vivono già perfettamente i comandamenti, si può pensare ai consigli evangelici. E cioè, l'anima prima di desiderare la perfezione occorre che intanto eviti il peccato e osservi i comandamenti di Dio. Ogni comandamento ha una parte negativa, proibisce qualche cosa, e una parte positiva, comanda qualche cosa. Quando si è arrivati all'osservanza dei comandamenti, allora il Signore fa sentire, ad alcune anime, la sua voce: "Vieni e seguimi, se vuoi esser perfetto". Perciò facendo una vita più pura sulla terra, eh, si avrà una maggior gloria in cielo. E perché? Per arrivare al paradiso ci vuole una fede viva, ci vuole la speranza ferma, ci vuole la carità, l'amore di Dio, l'amore del prossimo. Queste son le virtù fondamentali, teologali, senza delle quali non è possibile entrare in cielo.
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Il religioso dovrà fare quel che fa il semplice cristiano e un po' di più. Non solo la fede, la fede del semplice cristiano: conoscere Dio e credere a Dio e credere in Dio; non solo, ma il religioso godrà del dono dell'intelletto per cui le verità della religione le conoscerà più profondamente.
Che cosa è la vita? La vita è un breve passaggio in cui dobbiamo dimostrare al Signore la nostra fedeltà, il nostro amore, dobbiam dimostrare a lui la nostra fede. Questo per tutti. Ma la religiosa, il religioso hanno compreso meglio, per un lume dell'intelletto, compreso meglio le verità essenziali, fondamentali della religione; hanno compreso a che cosa è ordinata la vita, compreso meglio. Hanno compreso meglio che tutto il bene è posseder Dio, che tutta la fortuna di un'anima è di arrivare alla beatitudine eterna; hanno compreso che la sapienza sta nel lasciare ciò che impedisce la salute eterna per prendere ciò che ce la rassicura, la salute eterna; sì. E il religioso, la religiosa, hanno compreso che coloro che vogliono utilizzare meglio la vita cercano ogni giorno di guadagnare il massimo sulla terra, guadagnare il massimo.
Ora, per guadagnare il massimo, ecco scegliere ciò che è migliore, cioè la vita perfetta. Per guadagnare il massimo, distaccarsi dalle cose della terra e tendere [ad] amare Iddio con tutto il cuore, sopra ogni cosa. E per distaccarsi meglio, ecco la povertà, con cui si lasciano le cose della terra; ecco la castità, con cui si lasciano i godimenti che può portare anche, alle volte, giustamente, soddisfazioni che potrebbero essere, in altra via, anche giuste; e lasciare la propria volontà, per compiere soltanto quella di Dio e compierla, questa volontà, più perfettamente.
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La religiosa, il religioso, hanno una comunicazione speciale dello Spirito Santo coi quattro doni intellettuali: il dono della sapienza, il dono della scienza, il dono dell'intelletto, il dono del consiglio. E allora vogliono assicurarsi il paradiso e assicurarsi un paradiso più completo, più bello, ecco. Il fine è questo: un paradiso più bello, un'eternità più felice, perché lassù vi sarà distinzione tra persona e persona1. Ciascheduno riceverà secondo che avrà faticato e, se vogliamo dire più chiaramente, chi avrà avuto più fede, avrà avuto più speranza, avrà avuto più carità. Più fede: quindi la pratica dell'obbedienza perfetta; e più speranza: quindi la pratica dei comandamenti; e più carità: un amore più intenso a Dio, amar Dio solo. Questa è la religiosa, questo è il religioso. Fanno ciò che fanno i cristiani: conoscere, amare e servir Dio. Ma conoscerlo meglio, amarlo meglio, servirlo meglio per goderlo meglio. Questo è il fine della vita religiosa.
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Allora abbiamo da pensare a domandare al Signore:
[Primo.] una fede più intensa e il dono dell'intelletto: comprendere meglio le verità. Vi sono anime che penetrano nelle verità religiose assai di più; nell'intimità con Dio, hanno una luce speciale, e in queste anime i quattro doni intellettuali sono abbondanti e il frutto, poi, è la vita religiosa, la vita di perfezione, la scelta della vita religiosa, la vita di perfezione.
In secondo luogo: praticare, domandare la speranza. Vogliamo esser salvi per Gesù Cristo, per i suoi meriti, ma mediante le buone opere che dobbiamo e vogliamo fare. E le opere buone sono appunto l'osservanza dei comandamenti e qualche cosa di più [di] quel che è strettamente obbligatorio per tutti, cioè l'osservanza dei comandamenti, ma ancora i consigli evangelici.
Terzo: chiedere una carità ardente: amar Dio solo con tutto il cuore e sopra ogni cosa perché egli è Bene infinito, perché egli è l'eterna felicità.
Quindi la vita religiosa è il frutto di una fede più viva e di una speranza più ferma e di una carità più ardente. E questa vita in una fede più viva, in una speranza più ferma, in una carità più ardente prelude: ad una visione più profonda di Dio in cielo; ad un possesso di colui che è il Sommo Bene, più completo possesso di Dio; e terzo, ad un gaudio più intenso, gaudio in Dio che corrisponde alla virtù della carità praticata in modo eroico sulla terra. La vita religiosa è frutto delle tre virtù fondamentali: fede, speranza e carità, non in modo comune, ma in un modo più perfetto. E la vita eterna in cielo corrisponde ad una maggior fede sulla terra, una speranza più ferma sulla terra, e una carità più ardente sulla terra.
Comprendiamo la grazia che il Signore ci ha fatto a noi indegni? Ci ha prevenuto con la sua misericordia, con le sue consolazioni. Non eravamo capaci di domandare né il battesimo, né la vocazione, quando noi siamo nati. Il Signore ha usato a noi una predilezione. E allora amiamolo maggiormente. Siamo tenuti a seguirlo meglio, anche perché egli promette un premio più ampio a chi lo seguirà nell'osservanza dei consigli evangelici.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 20/a (= cassetta 44/b). - Per la datazione, cf PM: "Abbiamo da fare tre considerazioni: primo, il fine in generale per ogni uomo; poi il fine del religioso/a; in terzo luogo, il fine della vocazione alla PD di Gesù Maestro" (cf PM in c45). - dAS, 15/3/1958.: "Va [il PM] a tenere due meditazioni alle PD di via Portuense, Casa Generalizia, che hanno iniziato gli Esercizi". - dAC, in data 14/3/1958, scrive: "Sera, iniziano gli Esercizi in preparazione al noviziato e alle Professioni... In parte sono predicati dal PM" (cf PM in c86).

2 Mt 25,34.

3 Mt 25,41.

4 Mt 25,46.

1 Sal 35,10.

1 Mt 5,3ss.

2 Cf Sal 141,8.

1 Mt 19,21.

1 Cf 1Cor I5,41.