Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
OBBLIGO DI TENDERE ALLA PERFEZIONE1


Abbiamo considerato stamattina la grazia immensa, grazia concessa a noi per tutta la vita e per tutta l’eternità: la grazia della vocazione religiosa, per gli immensi beni che in essa si trovano. Però ricordiamo sempre che alla vita religiosa si corrisponde in proporzione della fede che si ha. È la fede che ci ha condotti a consacrarci a Dio, ed è la fede che ci fa perseverare, è la fede che ci conduce alla corrispondenza piena nel perfezionamento e nell’apostolato. Se la fede si illanguidisce allora arrivano gli scoraggiamenti, poi si può arrivare anche all’abbandono della vocazione. Abbandono volontario oppure anche imposto, quando la persona non coopera più all’Istituto, invece disturba, guasta, fa perdere tempo alle altre sorelle e forse comunica alle sorelle lo scoraggiamento che ha nel cuore. Corrispondere dunque. Corrispondere vuol dire in primo luogo attendere a perfezionarci.
Perché ci sono gli Istituti religiosi? Fine generale, la gloria di Dio; fine particolare, la perfezione nostra che non si ottiene in qualunque modo, ma mediante l’osservanza dei voti di povertà, castità e obbedienza. Poi c’è la vita comune, ma in primo luogo, l’osservanza della povertà, castità e obbedienza. Oh, se si stava in famiglia, si poteva anche attendere alla perfezione? Si poteva anche attendere alla perfezione, ma alla perfezione cristiana, non alla perfezione religiosa. Secondo, attendere alla perfezione come individui, ma nella vita religiosa, si è in uno stato di perfezione. Tre sono gli stati di perfezione: gli Ordini, specialmente antichi, le Congregazioni religiose e terzo, gli Istituti Secolari. In tutti e tre si vive nello stato di perfezione.
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Prima di Leone XIII2 non si pensava a stabilire e dare la dignità a coloro che potevano seguire la perfezione nel mondo, adesso invece, praticamente, i membri degli Istituti Secolari hanno i vantaggi della vita religiosa. La distinzione è che vivono nel mondo, senza abito comune e praticano, cioè traducono la loro vita in un apostolato libero. Infatti ognuno può scegliersi il suo apostolato: scegliere l’apostolato del catechismo, l’apostolato della beneficenza, supponiamo, nelle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli3, un altro può scegliere l’apostolato del cinema oppure della stampa. In questi Ordini, Congregazioni religiose e Istituti Secolari si è in uno stato di perfezione, con diversità che sono accidentali, ma la sostanza è uguale.
Il beneficio degli Istituti Secolari sta in questo: si porta la vita di perfezione a contatto con le famiglie e nella società, negli uffici e un po’ in tutti gli ambienti dove vivono queste persone che sono consacrate a Dio. Anche loro fanno il noviziato, la professione temporanea e poi la professione perpetua. Il loro secondo impegno è di tradurre la loro vita in apostolato, che è vario secondo le loro attidudini, secondo l’ambiente e secondo le necessità in cui vivono.
In tutti i casi, si è in stato di perfezione, e in tutti e tre i casi bisogna si faccia ciò che è il primo lavoro, il più grande lavoro, il dovere più fondamentale. Se non si lavora a perfezionarsi è come se una giovane desse gli esami negli Istituti magistrali, ottenesse un posto per la scuola e dopo non la facesse. Noi mancheremmo al dovere grave, sostanziale. Si è pensato a questa gravità? È vero che il lavoro di perfezionamento può essere più o meno intenso, ma occorre che ci sia in modo assoluto. Non si può ottenere nessuna dispensa né si può presentare nessuna scusa, perché si ha molto lavoro esterno, perché si è ammalati o perché ci si trova in ambiente che non sembra molto favorevole o perché ci sono molte tentazioni. Per questo sem-
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pre ho consigliato di dire in confessionale se avete progredito o no, perché questo è il lavoro sostanziale. Le altre cose sono necessarie secondo la loro importanza, ma questo è il lavoro essenziale.
Tralasciando il lavoro di perfezionamento, praticamente cessa la vita religiosa. Sì, cessa la vita religiosa. Non importa che uno continui a portare l’abito, a chiamarsi con il nome religioso, continui a vivere nella casa religiosa: questo non fa niente. Se non fa questo lavoro di perfezionamento, praticamente non si è religiosi, ci si mette fuori. Oppure, se vogliamo conservare i voti, bisogna dire che noi trasgrediamo e pecchiamo, perché non lavoriamo.
Si ha da perfezionare che cosa? Il lavoro interiore, quindi la scelta dei propositi, poi la scelta del programma. I propositi individuali possono essere tanti, secondo le necessità e secondo il consiglio di chi dirige la coscienza e di chi dirige anche la comunità, proporzionatamente però, si capisce. Proposito, supponiamo sulla fede, sulla fiducia, sulla carità, sull’obbedienza, sull’umiltà, sulla prudenza, ecc.
Poi il programma: compiere bene gli uffici assegnati, quindi l’obbedienza, perché ognuno deve contribuire all’Istituto facendo un lavoro, il lavoro che viene assegnato da chi guida l’Istituto. Però, il primo ed essenziale dovere è: povertà, castità e obbedienza. Perfezionarle sempre di più, fino a poter dire: Vi amo, o Signore, secondo la vostra legge, ossia «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze»4. Ecco con tutte le forze. Questo amore che cresce, che ci distacca sempre più dalle cose materiali: voto di povertà, mortificazione della concupiscenza che si chiama concupiscentia oculorum. Poi osservanza dell’obbedienza, la quale dà la morte all’orgoglio, e allora noi mortifichiamo la superbia vitae, concupiscenza della superbia della vita. Quindi mediante l’osservanza delicata della purezza, allora si mortifica la terza concupiscenza della carne, concupiscentia carnis5.
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Quindi, si lascia quello che è illecito, quello a cui si è rinunziato per abbracciare proprio la povertà, la castità e l’obbedienza, e viverle.
Questa osservanza può essere graduale e cioè: Quando amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore? Si può crescere in questo amore di Dio? Perché non si tratta solamente di togliere il peccato contro la bella virtù, si tratta di amare di più Gesù. Il cuore non deve essere sterile e solitario: il cuore si dà a Dio amando il Signore con tutto il cuore, compiendo quindi il primo comandamento, bene e perfettamente. Si è in questo stato, in questo lavoro.
Il perfezionamento è diventato il lavoro necessario, perché ci si è messi in uno stato di perfezionamento. Poi si può crescere nella virtù dell’obbedienza, ascoltando sempre di più. Più facilmente si ascoltano le disposizioni esterne, ma ascoltarle bene, cioè accettarle bene e compiere bene quello che è stabilito. Però l’abbandono sereno nelle mani di Dio, non è solamente un’obbedienza a chi guida, un’obbedienza al confessore nelle materie che riguardano la Confessione, un’obbedienza a chi è nel reparto e può disporre delle cose, ecc. Invece è arrivare all’osservanza e all’obbedienza di tutti i comandamenti, di tutti i consigli, di tutte le Costituzioni, di tutte le disposizioni e di tutto quello che permette il Signore.
Il Signore può permettere che siamo calunniati, il Signore può permettere che siamo lodati. Non dobbiamo fare nessun conto di quello che dicono gli uomini, ma guardare come stiamo davanti a Dio e accettare tutto per il Signore. Noi dobbiamo accettare il caldo e il freddo, la fatica quotidiana e l’orario che a volte costa un po’ di sacrificio. Accettare la levata a quella determinata ora. Invece la perfezione cristiana, il cristiano, anche tendendo alla perfezione, si fa l’orario da sé, fa una scelta, conserva la libertà.
Lo stato di perfezione, invece, non ammette la libertà, ammette l’obbedienza. Poi uno può, nell’obbedienza, accettare la malattia, accettare la vita lunga o la vita breve; accettare di vivere in un posto o vivere in un altro. Accettare anche i disturbi interiori, perché un’anima si trova forse in uno stato di umiliazione, perché ha peccato; forse di maggior riconoscenza
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al Signore che l’ha sottratta dalla colpa, che l’ha liberata dalla colpa; forse in uno stato di scrupoli, in uno stato di continua incertezza, perché non si domina abbastanza; forse in uno stato che può essere psicologico e anche fisico, perché inclinata molto al nervoso, ecc. Accettare tutto! Tutto! Accettare anche di convivere con persone che sono, per noi, di carattere difficile; accettare che ci sia quel tale confessore, invece di tal altro che preferiremmo, perché il Signore può dare più grazie, quando noi facciamo anche lì sacrifici. Accettare!
Qualche volta si fa differenza persino nel luogo dove si riposa, persino del posto a tavola, persino in ciò che è disposto per le cose di uso personale. Oh, fin dove va la nostra obbedienza? Il Signore può realmente fare di noi tutto ciò che vuole? O abbiamo delle resistenze, delle preferenze? Ecco, l’obbedienza portata alla perfezione. Fino a un certo punto vi sono i voti, più avanti c’è la virtù. I voti sono per la virtù: il voto di castità per ottenere amor di Dio; il voto di obbedienza per abbandonarci totalmente in Dio, che il Signore possa fare di noi ciò che vuole; il voto poi di povertà per conoscere che i beni supremi sono i beni spirituali.
Che cosa importa a noi possedere un filo di più o un filo di meno, tanto non si porta di là! Partiremo da questo mondo per presentarci a Dio con i meriti o i peccati che abbiamo. Quindi la perfezione della povertà che ci porta a questa santa indifferenza, che ci porta a preferire quello che più ci dispiace, per quanto dipende da noi, a preferire la povertà e anche la mancanza di qualche cosa, a non avere troppe esigenze nella comunità. Un po’ per questa comodità, un po’ per quell’altra: ci vogliono i salotti e ci vogliono tutti i conforti in una casa, i conforti moderni! E la povertà di Gesù nato nel presepio, è dimenticata proprio del tutto? E quel volersi risparmiare nella fatica: Bisogna avere cura della salute. Ma la preoccupazione esagerata, le pretese esagerate nelle cure, ecc. Noi dobbiamo osservare la virtù della povertà. Il voto è un aiuto.
Quindi, durante gli Esercizi leggere nelle Costituzioni gli articoli che riguardano i voti. Poi leggere gli altri capitoli che seguono: la pratica della carità e la pratica dell’umiltà in comu-
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nità6. Attendere a questo perfezionamento. Almeno negli Esercizi e almeno una volta all’anno farlo, ma anche una volta ogni mese nel ritiro mensile: Ho progredito? Non ho progredito? Qualche volta, a nostra umiliazione, forse dovremo anche dire: Ho trascurato il mio lavoro principale, quello di progredire, di perfezionarmi.
Secondo: In che cosa perfezionarci specialmente? Obbedienza, carità e umiltà. Dell’obbedienza ho già detto. Ma l’umiltà e la carità sono le due virtù che assicurano la pace nelle case. Ma io ho il mio carattere, io ho la mia personalità. Il carattere, in quanto è buono, si utilizzi per il bene, e in quanto non è buono bisogna correggerlo. La personalità per il religioso è in Cristo, personalità immensamente superiore alla personalità umana o anche semplicemente cristiana. Immensamente superiore, perché è personalità religiosa in Cristo, è voler seguire Gesù Cristo in tutto. Seguiamolo nei periodi della sua vita: dalla nascita a Betlemme, all’esilio in Egitto, alla vita di Nazaret, quando il figliuolo di Dio incarnato lavora al banco di falegname. Seguiamolo nella vita pubblica poverissima; seguiamolo nella passione e morte, fino al sepolcro, per seguirlo nel giorno della gloriosa risurrezione e nell’entrata nostra per sempre in cielo: «Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio»7.
Carità, secondo i caratteri che S. Paolo ci ha descritto: carità paziente, carità benigna, eccetera8. Questo è utile che sia scritto un po’ dappertutto, su cartelli9, perché l’umiltà favorisce la carità e la carità ci tiene umili. Con questa carità e questa umiltà si ha l’amore alla vita comune e si ha la pace nelle case. Obbedienza quindi, ma soprattutto, adesso, umiltà e carità. Qualche volta si prende a mal volere una persona, si interpreta tutto in male: si mettono gli occhi scuri e si vede tutto buio. Quanti giudizi, quanti sospetti! I desideri e i sentimenti del
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cuore come sono? E le parole, le azioni e il comportamento? Quel voler primeggiare e quel voler imporsi facilmente così che gli altri debbano sempre piegarsi a noi? Serviamo: servizio di carità. Serviamo in quello che sono desideri buoni, e qualche volta, se uno vuol farsi santo, bisogna anche che serva ai capricci. La vita religiosa, se bene intesa, comporta dei sacrifici, sempre. Oh, li abbracciamo con gioia i piccoli sacrifici? I sacrifici grandi generalmente si accettano, ma i piccoli sacrifici della giornata come si ricevono?
La grazia della vita comune non è di tutti. Prima di fare la professione occorre sempre che chi ammette alla professione e chi aspira alla professione, si esaminino: Che amore c’è alla vita comune? Questa grazia domandarla tanto al Signore. Quante vocazioni faticano su questo punto, perché non si ama abbastanza la vita comune. E allora la vita resta sempre pesante, perché chi non ama la vita comune, si può dire che dalla mattina alla sera si incontra con dei piccoli sacrifici da fare, quindi vive triste, scontento. E poi, non amando la vita comune, forse si è zelanti per le cose individuali, particolari, di gusto proprio, ma tardi a fare quello che è comune, cioè quello che è stabilito nella comunità. Come dice l’Imitazione di Cristo: Tardi a quello che è comune, allora, e pronti sempre a quello che è individuale10. Anche a nascondere, perché non si vuole essere disturbati in quello che è il gusto privato, la tendenza privata. Quindi vedere di portare grande amore alla vita comune. Le Costituzioni non sono solamente da leggere, ma da meditare e praticare.
Poi un’altra cosa riguardo alla vita comune: contribuire al benessere dell’Istituto con la preghiera perché tutti nell’Istituto siano santi. Contribuire con il buon esempio, un’osservanza che sia di edificazione. Contribuire con il lavoro, voglio dire, portando anche il nostro sassolino all’edificio dell’Istituto, e cioè non solo facendo quei sacrifici che si devono fare, ma portare il contributo anche economico di lavoro proprio, perché la Congregazione sviluppi le sue opere e si allarghi e possa
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accogliere sempre nuove vocazioni. Contributo quindi anche riguardo le vocazioni, cercare le vocazioni. Cooperare in sostanza all’Istituto in tutte le maniere che si può. Nella famiglia religiosa, come nella famiglia naturale ben ordinata, tutti contribuiscono, anche il bambino che magari ha cinque anni, e già è capace di fare qualcosina. La mamma gli faceva già portare un ramo a casa, perché un ramo poteva portarlo, per metterlo sul focolare. E un’altra mamma mandava già il bambino che aveva cinque anni e mezzo al pascolo con le oche. Così si contribuisce per quanto ognuno può.
Da notare ancora due cose, il tempo è breve e non posso dilungarmi: mettersi in pace, non cercare e non guardare questo o quello. Ho scelto la mia vita; qui ho da santificarmi; voglio allontanare ogni fantasia, ogni tentazione contraria. Nella pace. Questa è la vita scelta, vita di santificazione, questa è la vita che mi assicura un bel paradiso e basta.
Un accenno soltanto: vi sono delle suore che costruiscono sempre. Costruttrici in casa in tutte le maniere. E vi sono anche, raramente, non accenno a voi, delle demolitrici con le chiacchiere, con il far vedere sempre il male nelle cose, con il giudicare contrariamente ai pensieri dei superiori, con il mettersi da parte. Mentre giudicano e condannano, esse magari non costruiscono, non fanno. E tu, evitale se vuoi essere buona religiosa! Il segno che non si è religiose è non amare l’Istituto, contrariare il lavoro delle superiore, criticare, giudicare, condannare. Demolitrici! Una persona che sta con il piccone cercando di abbattere i muri di una casa, ecco la demolitrice. Ma questa demolizione potrebbe essere morale che è molto più grave della demolizione materiale. Sempre invece costruttrici, in tutte le maniere possibili. Costruire sempre, affinché l’Istituto compia la sua missione, la missione affidata da Dio, affidata dalla Chiesa, quando ha approvato le Costituzioni dell’Istituto.
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1 Meditazione tenuta ad Ariccia (RM) il 18 settembre 1959 in occasione di un corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro: A6/an 68b = ac 118a.

2 Nel 1889, con il decreto l’Ecclesia Cattolica di papa Leone XIII, erano state ufficialmente riconosciute le “pie unioni” di laici consacrati non legate ad ordini religiosi, ma solo nel 1947, con la Provida Mater Ecclesia di papa Pio XII, verranno creati gli Istituti secolari.
3 Le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli, fondate a Parigi nel 1833 dal beato Federico Ozanam (1813-1853) e altri laici, sono una federazione laicale con scopo caritativo, ora è denominata Società San Vincenzo de’ Paoli.

4 Cf Lc 10,27.
5 Cf Adolfo Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Désclée, Roma 1928, pp. 130.202.239.265.

6 Il capitolo della carità è stato aggiunto nelle Costituzioni del 1953 agli articoli 170-175.
7 Cf Mt 25,34.
8 Cf 1Cor 13,4-7.
9 Per un certo periodo nei diversi ambienti comunitari o di apostolato c’erano cartelli con i caratteri della carità secondo S. Paolo.

10 Cf Imitazione di Cristo, Libro III, XIII, 1, Edizioni Paoline, Milano 1992, p. 174.