Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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20. IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANT’IGNAZIO1


Vi sono onomastici che ricordano il nome del Battesimo e servono a rinnovare le grazie del Battesimo, cioè a pregare per corrispondere al grande dono di essere stati fatti cristiani e quindi adempiere gli impegni che vengono dal Battesimo stesso, cioè vivere secondo Gesù Cristo. Fatti cristiani, cristiani di vita. Poi vi sono onomastici fra le religiose, i religiosi che servono a ricordare la grazia della professione, del nuovo nome assunto, e quindi a rinnovare la professione stessa, per chi celebra il suo onomastico di professione. Rinnovare la professione stessa e impegnarsi a corrispondere alla grazia della professione e cioè all’adempimento dei voti, all’osservanza delle Costituzioni, tendere al fine a cui è ordinata la Congregazione. Questo riguardo alla persona che celebra il suo onomastico di Battesimo o di professione.
Poi in ordine agli altri, alle persone care, questo serve se si tratta di persone uguali per stringere meglio i vincoli di amicizia e di carità, di benevolenza vicendevole e perciò un’occasione per chiedere per le persone amate le grazie, le benedizioni, le consolazioni che sono necessarie su questa terra per camminare decisamente nella via intrapresa. Questo fra le persone uguali. Quando poi si tratta dell’onomastico di persone che hanno, rispetto a noi, autorità2 e hanno forse delle ragioni per essere ricordate e delle ragioni che si preghi per loro, o che sono poste in una certa situazione per cui ci dirigono oppure perché noi abbiamo verso queste persone obblighi di riconoscenza.
Parlando solamente di questo ultimo caso, cioè di onomastici di superiore, vi sono delle cose da farsi dalla persona che
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viene ricordata, dalla persona a cui si rivolgono gli auguri. Vi sono cose da farsi, invece, da chi presenta questi auguri e intende celebrare tale onomastico. Allora l’onomastico ha una funzione più larga, ed è questa: chi è ricordato per il suo onomastico ha da riflettere se compie il suo ufficio verso le persone che ama, alle quali magari deve direzione. E coloro, invece che ricordano l’onomastico, e sono persone beneficate o suddite, devono esaminarsi se corrispondono e cioè se amano di fatto e non soltanto a parole. Anzi, se collaborano.
Coloro che ci dirigono hanno rispetto a noi tre uffici particolari che comprendono poi tutti gli altri. Primo, l’istruzione della mente. Che noi siamo istruiti. In che cosa? In quello che riguarda la fede, i costumi, la pietà, in quello che riguarda le virtù e la vita pratica. E parlando di Congregazione: istruzione per ciò che riguarda la vita religiosa e la vita di apostolato. L’istruzione sia sempre più larga. Questo è necessario.
In questi tempi vi è una grande sete di sapere, ma una sete che a volte non è del tutto sana. Può essere che un malato senta tanta voglia di bere e invece sia meglio che si astenga. Questa sete di sapere viene infusa in noi nella creazione, perché il Signore ha illuminato la mente, ci ha dato la mente per conoscere, come ci ha dato gli occhi per vedere. Ma tante volte questo desiderio di sapere può essere curiosità inutile. Parliamo però, di quello che è la tendenza umana ragionevole e di ciò che è necessità della vita religiosa: istruzione profonda nelle cose che riguardano la fede, la morale, il culto e la vita. Sapere: si vorrebbe tanto sapere, vedere, sentire, curiosare. Il Signore ci ha dato gli occhi per servircene in ordine a lui, al suo servizio, ci ha dato la ragione per servircene in ordine a lui, al suo servizio, ci ha dato la fede perché noi ce ne serviamo in ordine a lui e al suo servizio, così raggiungiamo la visione beatifica.
Guardarsi dalla tendenza che può essere morbosa e che, in realtà, si può dire curiosità inutile e non sana. Invece alimentare sempre più in noi il desiderio di sapere quello che ci conduce a Dio, quello che ci porta all’unione con lui, a conoscerlo, amarlo, servirlo. Quindi meritare una visione più larga, più profonda di Dio, il cielo. Alimentare in noi il desiderio di sapere le cose che sono secondo la ragione e secondo la fede.
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Quindi in questo tempo ho da raccomandare molto questo: in primo luogo approfondire di più lo studio delle cose che riguardano la fede, la morale e il culto e, nello stesso tempo, le scienze umane. Ma da quello che sento, mi pare di dover mettere l’accento maggiormente sulle cose di fede. Tanto più per chi si trova in uffici dove ha tanta comunicazione con altri e quindi sentono tante cose che, a volte, non sono conformi alla fede.
Perciò, ecco il primo impegno di chi guida, e allora viene l’obbligo di chi è guidato, di chi è suddito di ascoltare l’istruzione, amarla. Il catechismo anzitutto. Si sentono, a volte, persone che danno l’impressione di conoscere bene il catechismo, anzi hanno avuto spiegazioni larghe per cui si può dire che il catechismo, che è la prima teologia che deve prendere il fanciullo, diviene la seconda, la terza teologia. Qualche volta invece accade il contrario: ignoranza di cose che non possono non sapersi, che non possono essere dimenticate.
Quindi, l’impegno di corrispondere all’istruzione data, particolarmente detta istruzione religiosa, perché questa è la parte necessaria. Necessaria per chi è aspirante, necessaria per chi è novizia, necessaria per chi è professa. Se il primo obbligo, cioè il primo fine che abbiamo sulla terra, è di conoscere Dio, allora: istruzione religiosa. E quando noi conosciamo meglio le verità della fede, allora diamo il nostro assenso, ed ecco che quelle verità conosciute divengono virtù, virtù fondamentali: la fede, che è la base di tutte le altre virtù, la radice della pianta: «Et erit tamquam lignum, quod plantatum est, secus decursus aquarum»3.
Secondo impegno di chi guida, se è superiore, è questo: condurre i sudditi nella via di Dio, nella via del cielo. Perché si possono dire e fare tante cose, ma in fondo c’è una cosa sola da fare: salvarci e salvare, santificarci se siamo religiosi e fare dei santi. Allora insegnare le virtù teologali e le virtù cardinali. Le virtù teologali e le virtù cardinali sono essenziali per la santificazione, per tutti, anche per i semplici cristiani. Insegnare, e se si tratta di religiosi guidare nella pratica dei santi voti e nell’adempimento delle Costituzioni. Quindi gli impegni che ci sono
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nelle Costituzioni: primo, farci sante, secondo, fare l’apostolato4. Le superiore, parlando di voi, hanno questo impegno: condurre le anime alla santificazione e compiere, particolarmente per noi, il secondo precetto, la carità verso il prossimo che è l’apostolato. Per quello che si riferisce agli altri e per quello che si riferisce alla vita interna: la bontà fra di voi, la carità, un cuore che comprende, un cuore che sa aiutare, un cuore che sa compatire, un cuore che sempre tende a incoraggiare. Quando una religiosa è arrivata a questo punto, parlando della carità nell’interno della vita religiosa, è arrivata al punto che è suo piacere fare il bene. Allora non soltanto adempie il primo precetto, amare Dio, ma anche il secondo, amare il prossimo come noi stessi5.
La vita religiosa è la vita di società. Ho avuto piacere nel sentire le relazioni fatte per l’ammissione alle professioni e anche al noviziato. Spontaneamente chi fa la relazione, anzi coloro che fanno la relazione, sono arrivate ad aggiungere: È persona che va bene in società, va bene in Congregazione. Qualcuno usa la frase un po’ più popolare: È di buona compagnia, intendendo di buona compagnia religiosa. Che la vita sia vicendevolmente lieta, che porti a trovarsi bene tra sorelle. Che nessuno faccia pesare le sue pene sugli altri e non si portino mai divisioni o mormorazioni, giudizi contrari alla vita religiosa che è vita di società6. La Congregazione è unione di persone, e queste persone non possono avere il cuore diviso, ma hanno un cuore solo, una mente sola che sono i principi della vita religiosa e sono le Costituzioni. Nell’obbedienza quindi, e nella carità.
Ora, chi insegna tutto questo ha bisogno di essere assecondato. Un esame quindi: Si è docili nell’apprendere e si è docili nel corrispondere? Questa vita che rende lieta la comunità, incoraggia sempre nelle varie circostanze? Questa vita piace tanto al Signore e indica che c’è un cuore di vero religioso, di vera
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religiosa. L’egoismo è il nemico della vita religiosa, invece di spendersi per gli altri vorrebbe far centro di tutto un individuo, una persona, in sostanza sè stessi. L’egoismo che è contrario al secondo comandamento.
Terzo, chi guida deve indirizzare le anime alla pietà, la pietà intesa bene, in tutto il suo senso: conoscere Dio, amare Dio, ma servirlo. Pietà. Pietà, e per quanto riguarda noi, la pietà paolina. Primo: la devozione a Gesù Maestro Via, Verità e Vita. Secondo: la devozione alla Regina degli Apostoli, nostra Madre, nostra Maestra, nostra Regina; a S. Paolo che è il grande maestro in tutto, santificazione e l’apostolato. Egli si è fatto esempio a noi, e noi dobbiamo seguirlo nei vari passi della sua vita e vedere il suo amore a Gesù Cristo, il suo amore alle anime, la sete delle anime, che lo tormentava. Il tormento dell’apostolato era il tormento del suo cuore. E dopo le devozioni, le pratiche cioè che tutti ricevano bene i sacramenti: Confessione e Comunione ben fatte; Messa ben assistita, secondo gli indirizzi che abbiamo attualmente. Poi l’adorazione o Visita al Santissimo Sacramento, a Gesù Ostia. Abbiamo poi le altre pratiche interiori, per certi aspetti, e cioè il dono intiero a Dio di noi stessi: tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze. Questa è la pietà più profonda.
Ciò che ci serve ad acquistare questa pietà profonda, per donarci totalmente a Dio, e quindi ogni giorno ricevere sempre più abbondanti le grazie è l’esame di coscienza. Questo serve per eliminare ciò che ancora ci separa da quell’amore, da quell’intimità con Gesù sempre più profonda che dobbiamo acquistare. L’esame di coscienza! Senza l’esame di coscienza si è ciechi, non si conoscono le virtù da praticare, le cose che ancora ci mancano, e ci si culla in una tranquillità che non è buona, nella persuasione che si è a posto. E guai a chi ci tocca! Ci sentiamo così sicuri che qualunque avviso sembra che sia dato a torto. L’esame di coscienza è quello che ci dà luce per conoscere noi stessi. Quante persone conoscono molte cose, sanno notizie, le comunicano ad altre persone, vogliono vedere, sentire e non leggono il proprio libro, il libro della propria coscienza, non conoscono se stessi. Grande importanza all’esame di coscienza.
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Secondo: grande importanza alla meditazione. Bisogna dare l’importanza che è necessaria alle pratiche che ci portano veramente a conoscere Dio: la lettura della Bibbia, e il Vangelo in modo particolare, nella lettura spirituale. Questo ci porta a riflettere su noi medesimi: Dove va il nostro cuore; a che cosa tende, a chi tende il nostro cuore. Ci porta ad unirci a Dio, alla pratica vera della virtù, a fortificare la volontà. Questa è la meditazione: fortificare la volontà, perché siamo abituati a fare tanti propositi, ma bisogna che dopo aver conosciuto ciò che ci è necessario, con fortezza, con coraggio tendiamo ad acquistarlo.
Quindi verrà la Visita al Santissimo Sacramento, già accennata, ma volevo dire nel senso che ci porta proprio a unirci intieramente a Gesù, ad acquistare la sua mente, cioè i suoi pensieri, ad amare il suo insegnamento e a fare atti di fede. E ci porta a riflettere su noi medesimi e all’unione di cuore e di volontà, quindi alla preghiera. Alla preghiera sotto i suoi vari aspetti, e in particolare, le pratiche che dobbiamo fare, a quel continuo rinnovare il nostro dono a Dio. Vivere secondo Gesù, secondo il suo desiderio, vivere secondo i suoi esempi.
Nello stesso tempo, eccitarci all’apostolato. La Visita si compie individualmente con la professione religiosa, ma siccome la vita nostra è indirizzata all’apostolato, ecco che dopo il primo articolo, dobbiamo ricordare il secondo articolo delle Costituzioni: l’apostolato con i mezzi più moderni, più efficaci. Quindi, non solo l’amore a Gesù, ma anche l’amore alle anime per cui Gesù ha dato il suo sangue, la sua vita. Acquistare il suo cuore, il cuore di Gesù. Allora le persone che guidano, insegnano questo e particolarmente le Costituzioni.
Ma bisogna che chi è guidato sia docile, accetti, non giudichi, accetti con il consenso della mente e, nello stesso tempo, con l’impegno della volontà a praticare, assecondare. Più si vivrà la vita religiosa e più si sarà felici in Congregazione. Quando invece, si fanno dei tagli alla vita religiosa, allora cominciano ad entrare nel cuore le perturbazioni, i disgusti e poi da ogni parte si sentono angustie. Oh, beati coloro che, entrati veramente per vocazione, corrispondono alla loro vocazione! Una beatitudine che sulla terra è, in primo luogo, una coscien-
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za serena e poi la beatitudine del premio eterno, il duplice premio di vita religiosa e di apostolato.
Dunque, quest’oggi, vi è da fare come un incontro fra chi celebra il suo onomastico, ricordando le parole del Postcommunio: «Ignem veni mittere in terra et quid volo nisi accendatur: Ho portato il fuoco sulla terra e che cosa desidero, se non questo che sia acceso»7. Portare questo fuoco in tutte le anime. Ignem, Ignazio, il nome viene appunto dalla parola pronunciata da Gesù: il fuoco. Questo giorno onomastico è un incontro fra chi guida e chi è guidato, guardandosi in faccia: io compio verso di voi il mio ufficio, compite anche voi il vostro impegno e tutti insieme, ecco, verso il premio celeste, eterno.
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1 Meditazione alla comunità Figlie di San Paolo di Roma tenuta il 31 luglio 1959. Trascrizione da nastro: A6/an 67a = ac 115b. Stampata in ottavo e in trentaduesimo con le meditazioni degli Esercizi di giugno 1959. La meditazione aveva lo scopo di festeggiare suor Ignazia Balla, nel giorno del suo onomastico.
2 Suor Ignazia Balla (1909-2003), Figlia di San Paolo. Nel 1959 era Vicaria generale della Congregazione e preside degli studi. Nel 1964, dopo la morte di sr Tecla Merlo, viene eletta Superiora generale (1964-1977).

3 Cf Sal 1,3: «È come albero piantato lungo corsi d’acqua».

4 Cf Cost’53, artt. 1-2.
5 Cf Mc 12,30-31.
6 Cf Giacomo Alberione, Per una coscienza sociale, in Giacomo Alberione, Anima e corpo per il Vangelo, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo 2008, pp. 133-162.

7 Cf Lc 12,49.