Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Ariccia (RM), 18-19 settembre 1959


I
MOTIVI DI GIOIA NELLA VITA RELIGIOSA1


Nel corso degli Esercizi spirituali si dà anche uno sguardo generale alla vita trascorsa, e si dà pure uno sguardo su quello che ancora si spera di fare e si ha in programma.
Allora: Siete raccolte e ferme per una tappa del viaggio verso l’eternità. Dare uno sguardo indietro e uno sguardo a ciò che pensiamo ancora di poter realizzare. Come è stata la nostra vita passata? E come sarà la vita futura? La vita nostra può essere stata una vita in continuo progresso e può essere che sia stata punteggiata anche da mancanze. In generale, possiamo dire, che fu una vita di grazia per ciò che riguarda Dio, cioè da parte di Dio verso di noi. Ripensare alla grazia del Battesimo cui dovevamo corrispondere; ripensare le prime grazie ricevute dopo aver raggiunto il lume della ragione: l’educazione cristiana in famiglia, l’educazione parrocchiale, l’educazione nella scuola, ecc. Quante volte abbiamo potuto accostarci ai santi sacramenti della Confessione, della Comunione; poi abbiamo ricevuto il sacramento della Cresima, le ispirazioni interne e l’infusione dello Spirito Santo che ci ha messo nell’animo odio e avversione al peccato, e il desiderio di essere di Dio.
Forse, le prime luci si sono disegnate sul nostro avvenire quando abbiamo cominciato a sentire qualcosa in fondo al cuore, una voce non ben avvertita, ma che realmente suonava benissimo nella coscienza: Darsi a Dio, ordinare tutta la vita al cielo. Si è poi cresciuti in continua elargizione di grazie di Dio, e non sempre in continua corrispondenza da parte nostra,
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tuttavia la bontà di Dio ha vinto la nostra cecità, forse anche la nostra indifferenza e, qualche volta, anche la malizia.
Dio non si è stancato, ha continuato, egli Padre buono ha aumentate le grazie vedendo che eravamo in maggiori necessità. Con la sua pazienza e nella sua bontà ha coordinato gli avvenimenti e ha distribuito sul nostro cammino i mezzi, finché la voce di Dio si è sentita chiaramente, finché qualche circostanza particolare, qualche voce di persona cara, più spesso la voce del confessore, qualche volta un avviso è venuto a noi per ammonirci.
Ecco, si è arrivati ad entrare in questo Istituto in cui abbiamo camminato costantemente. Ora si è qui. Siamo delle persone graziate in continuità dal Signore. La storia delle misericordie di Dio, la storia dei benefici di Dio su ciascuno di noi la si vedrà nel giorno del giudizio, quando il giudice siederà e saranno aperti i libri: da una parte, quei libri di giudizio: la storia delle misericordie divine, la mano di Dio sopra di noi; e dall’altra parte la nostra corrispondenza.
Ecco, è stata tutta una preparazione fino al giorno in cui non solo si è entrati nell’Istituto, ma si è fatto qualche passo avanti, gradatamente, con la vestizione e con il noviziato, con le prime professioni e le seguenti professioni. E si è arrivati sul campo del lavoro spirituale, sul campo dell’apostolato. La vita è stata orientata verso Dio e verso le anime. Ora, con la professione perpetua, si accrescono da una parte le grazie di Dio, e dall’altra parte occorre che noi concentriamo i nostri sforzi per una corrispondenza totale. Fino alla professione perpetua è tutta una preparazione a quello che è la vita seguente. È tutto un camminare verso uno stato, un campo di lavoro spirituale e un campo di lavoro apostolico.
L’opera maggiore, quella che ora ci impegna di più veramente, è l’impegno assunto nella professione perpetua. Se il Signore è stato così buono nel passato, pensiamo che ora, perché abbiamo maggior bisogno e perché egli vede la nostra buona volontà, allargherà ancora le mani, abbonderà e darà più ampiamente. Essere riconoscenti della vita stessa, riconoscenti per le grazie e riconoscenti anche perché siamo stati perdonati delle nostre incorrispondenze, delle mancanze.
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Questa vita religiosa ora, si apprezza bene? Si corrisponde bene? La si ama bene? Ecco, amare il proprio stato, primo perché è la volontà di Dio e non se ne può dubitare. Quando, dopo l’aspirandato, il postulato, il noviziato, il tempo delle professioni temporanee, questo tempo si chiude, allora si hanno due conferme della vocazione: siete nella volontà di Dio! E se vi fossero stati anche degli sbagli da parte nostra o da parte altrui, non c’è che da dire: Se non fossi stato ordinato a questo stato, ecco adesso nelle condizioni in cui sono, avanti: Fac ut voceris2. Il Signore aumenta le grazie.
Due voci hanno confermato la vocazione: la voce del confessore, la voce interna, quando avete preso consiglio da lui, e la voce esterna delle superiore, le quali hanno ammesso alla professione perpetua. Due voci che si sono accordate: la voce del ministro di Dio e la voce di chi rappresenta Dio per l’autorità che ha sulle religiose e sulle aspiranti. Ecco, ora lì non c’è più dubbio e non bisogna sofisticare. Le grazie ora servono, perché nella semplicità e nella sincerità avete fatto il vostro passo coscientemente. Non un passo fatto per entusiasmo, ma un passo maturato a lungo, perché la Chiesa è prudente, esige per chi abbraccia lo stato religioso anni di preparazione, anni di preghiera e di riflessione. E anche non avete mancato, dimenticato di chiedere i consigli dovuti.
Gioia, perché si è nella volontà di Dio. Quindi vita lieta, serena: cammino in quello che vuole il Signore, e sia fatta la sua volontà così in terra, da me, come la fanno gli angeli in cielo. Sì, perché la vita religiosa è una preparazione diretta ad abitare con gli angeli del paradiso che compiono quotidianamente il volere di Dio e compiono cose che noi non possiamo neppure immaginare. Il paradiso non è ozio, è una maggiore attività che sulla terra noi non possiamo del tutto comprendere: «Nec oculus vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit, quae praeparavit Deus iis qui diligunt illum»3. Sì, gioia, perché si è nella volontà del Signore. E non tutti sono così certi
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di essere nella volontà di Dio, perché a volte lo stato di vita fu abbracciato così, un po’ sventatamente. E poi nella guida, nella sapienza della fede.
Secondo, la sicurezza di essere nella via migliore che conduce al cielo. Guardando avanti non possiamo prevedere niente di ciò che sarà il tempo della nostra vita. Può essere che stasera si possa già designare una sepoltura. Non sappiamo quello che sarà il futuro della vita: se breve o lunga, se vita condotta in un posto o in un altro; se avrà estimazione delle persone oppure contraddizioni e umiliazioni; se con salute o con meno salute. Tutto incerto. Però è certo che ci sarà un momento in cui la vita tramonta, il sole va a nascondersi, ma al di là si designa una luce ed è la vita eterna in cielo. Avere la certezza di essere sulla via del cielo, la certezza di essere nella strada più bella, non solamente più sicura, ma più bella, quella che serve a raggiungere un posto distinto in paradiso. Questa certezza!
Può essere che la monotonia dei giorni che si passano nella vita religiosa, anche certe delusioni, perché ci si era formato un concetto fantastico, fantasioso, può essere che in qualche momento ci assalga lo scoraggiamento. Può essere che in qualche momento, guardando dalla finestra dell’Istituto, il mondo ci faccia ancora qualche impressione sull’animo. E può essere che si incontrino incomprensioni, contraddizioni, e cambiamenti di ufficio, di casa, ecc., e si concluda: Sono scoraggiato. Questo è il diavolo più brutto dell’inferno: lo scoraggiamento. Il diavolo dello scoraggiamento. Anzitutto \nella scelta/ non siete state guidate dalla fantasia: avete pregato, pensato e vi siete consigliate, e la voce esteriore di chi rappresenta Dio è suonata chiara al vostro orecchio. Dunque, avanti sulla via che conduce sicuramente al paradiso e a un posto distinto in paradiso. In paradiso però «stella a stella differt in claritate: una stella è più splendida di un’altra stella»4, perché in paradiso vi sono molti posti: «Multae mansiones in domo Patris mei»5. Siamo chiamate ad una mansione, ad un posto, ad occupazione distinta.
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C’era un certo signore che visitava delle chiese. Un giorno entrando in una chiesa vide che nella cupola era dipinto qualcosa che voleva indicare il cielo: Ecco gli uomini come si immaginano il cielo. E domandò a chi l’accompagnava: Ma come mai lassù, più in alto ci sono tutte quelle suore vicino alla SS. Trinità?. L’altro rispose: Perché hanno lasciato tutto e adesso hanno trovato il tutto, cioè Dio. Vedere se noi abbiamo lasciato tutto, cioè noi stessi. Perché non è molto lasciare le cose esterne, ma costa lasciare il nostro io, le nostre vedute, la nostra volontà, anche i nostri capricci.
Ecco cosa vuol dire lasciare tutto. Non è solamente lasciare i parenti, la famiglia, non è solamente lasciare qualche cosa che si possedeva, non è solamente lasciare, rinunziare alla volontà, alla libertà di amministrare, no, ma è lasciare noi stessi e allora si trova il tutto. Quanto è più profondo il sentimento della rinunzia, quanto la si fa con più convinzione e più generosamente, altrettanto noi ci arricchiamo delle ricchezze di Dio. Lasciare cose della terra per Dio, vuol dire conquistare i beni immensi, soprannaturali, i beni che sono eterni. Dite sempre ai cooperatori quando domandate offerte: Fate qualche rinunzia, perché questo denaro sia sempre vostro perché ve lo portate in paradiso, appunto avendovi rinunciato. Con questo acquistate tesori per la vita eterna. Non lo godete più qua, ma lo godrete in eterno di là. C’è il merito che avete fatto distaccandovi. E quando ci distaccheremo da noi stessi, noi saremo in Dio e Dio sarà tanto nostro quanto noi saremo in lui. Le sue grazie però superano sempre anche il senso delle nostre domande e il senso delle nostre rinunzie.
Sicurezza, devozione bella, certa, approvata dalla Chiesa. Il compenso e il giudizio che l’Istituto vede: una via conforme al Vangelo. Avanti, dunque! Via sicura, via che porta a posti distinti in paradiso, poiché ognuno riceverà il premio secondo le sue opere. Inoltre, nella vita religiosa vi è un’altra ragione di gioia: tutto quello che si fa nell’obbedienza ha il doppio merito, tutto quello che si fa nel rinunziare a qualche cosa che porterebbe al godimento dei sensi, ha doppio merito, perché è ordinato a conservare il voto di castità e a osservarlo. Tutto quello che si fa giorno per giorno per produrre per l’Istitu-
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to, lasciare l’amministrazione e distaccarci da quelle piccole velleità, da quelle piccole ambizioni che si possono avere, in sostanza vivere nella povertà costituisce in uno stato in cui il merito è sempre doppio. Quindi, con quale ricchezza di meriti si passerà all’eternità! La vita può essere breve, ma questo è un grande mezzo per raddoppiarla, triplicarla, quadruplicarla quanto al risultato, al guadagno che si fa per l’eternità. Quindi abbiamo un altro motivo di gioia.
Poi, dobbiamo ancora considerare: si è rinunziato a una famiglia, ma si è rinunziato per un maggior bene e cioè per una famiglia più grande. Non è più grande la vostra famiglia di quella che potevate avere nel mondo? E questo non basta: voi non vivete in clausura, ma vivete una vita che possiamo chiamare mista, e cioè parte di vita contemplativa e parte di vita attiva. E allora la famiglia si allarga: tutte le anime a cui si può fare del bene, costituiscono la famiglia spirituale. Quanto è larga allora la famiglia che avete acquistato! Famiglia di Dio! Famiglia a cui volete dare Dio, se ancora non lo possiede, famiglia che volete indirizzare sulla via del cielo, famiglia alla quale volete dare luce, conforto, incoraggiamento, esempio, preghiera pubblica, riparazione per tutti quelli che costituiscono questa famiglia. Sì, il Signore vi ha dato immensamente di più di quanto voi avete dato a lui. Che gioia allora, che riconoscenza al Signore! Che bei Magnificat, che bei Te Deum bisogna cantare!
Senza poi calcolare che con la vita religiosa, se si è osservanti, vi salvate da tanti pericoli. Pensate un po’: avete lasciato nella parrocchia, nel paese compagne di scuola, compagne di giovinezza. Queste persone ora, in che condizioni si trovano? Quante sofferenze sono seminate nel loro cammino! Voi «Riceverete il centuplo e possederete la vita eterna»6. Non è stato molto buono con voi il Signore? Ed è stata uguale la nostra riconoscenza? Si vive la vita religiosa in letizia? Sì, vi ha dato immensamente di più di quanto voi avete potuto dare a lui.
Bisogna ancora notare questo: verrà il giorno della risurrezione finale. In quel giorno il corpo uscirà dal sepolcro, l’anima
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si riunirà al corpo e darà di nuovo a lui vita. L’anima rifletterà sul corpo gli atti di virtù, i meriti che si sono compiuti nella vita sulla terra. E quanto saranno gloriosi i corpi degli eletti! Ma particolarmente i corpi di coloro che hanno conservato la verginità; i corpi di coloro che hanno accettato tutto quello che c’è stato di sofferenza nella vita; i corpi di coloro che si sono spesi nella preghiera, nel lavoro apostolico, nel lavoro interiore, spirituale.
Poiché sempre, finché si vive, il corpo partecipa all’anima. Mentre si prega, ad esempio, non è solo l’anima che si eleva a Dio, si sta in ginocchio, si sta in chiesa, e si rinunzia a quello che sarebbe più piacevole. E il corpo lo si tiene a freno, a freno le passioni, particolarmente si mortifica ciò che porta alla golosità; si mortifica quel che porta alla pigrizia, alla tiepidezza; si mortifica quello che porterebbe al dominio della carne. La santificazione degli occhi, dell’udito, della lingua, del gusto, dell’odorato, la santificazione del tatto: tutto questo meriterà per il corpo una gloria particolare, perché il corpo allora sarà splendente, d’uno splendore che non è conosciuto sulla terra. E saranno più splendenti specialmente i corpi che furono più dominati, i corpi che sono stati usati bene, gli occhi e l’udito, ecc., le mani che hanno operato per Dio, i passi fatti per il Signore, il cuore offerto a Dio.
Tutto sarà manifesto agli uomini radunati nella valle per il grande giudizio. Il bene si fa entro le quattro mura del convento, una parte del bene si fa fuori, comunicando con gli uomini per portare loro la luce, il conforto, i beni spirituali. Tutto sarà manifestato. Come splenderanno i vergini: «Fulgebunt justi tamquam scintillae in arundineto discurrent»7! Gesù Cristo ha voluto che il suo corpo risorto avesse le cicatrici dei chiodi, la cicatrice prodotta dalla lancia, ugualmente egli vorrà che esteriormente il nostro corpo manifesti quanto ha operato per obbedire all’anima, sotto il comando e la guida dell’anima. Quanto saranno gloriosi i martiri che hanno dato tutta la loro vita, quale sarà la gloria di S. Paolo e di S. Pietro, quando usci-
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ranno gloriosi dai loro sepolcri per il gran giorno del giudizio!Quale splendore!
Ora un esame: Si è lieti? Si è riconoscenti per la vocazione? Si ama sempre questa vocazione? Si lasciano entrare gli scoraggiamenti contro la vocazione? Si nutre e alimenta sempre di più in noi il desiderio e il proposito di corrispondere alla vocazione? Si sanno confortare le anime, e anche qualche volta le sorelle, che hanno momenti in cui tutto a loro sembra buio, sembra troppo difficile? E noi diamo loro incoraggiamento soprannaturale? Oppure cerchiamo di dar loro solo incoraggiamento fondato su motivi naturali che poi non servono, perché il nostro stato ha del soprannaturale e può essere vissuto soltanto con l’aiuto della grazia divina? Bisogna dare aiuti soprannaturali di preghiera, di buon esempio, di incoraggiamento con ragioni soprannaturali e ricordare: «Riceverete il centuplo, possederete la vita eterna». E se il Signore manda croci sulla via, nella vita religiosa, è per farci più simili a Gesù Cristo, più simili a Maria e per risorgere più gloriosamente nel grande giorno della ricompensa. Il corpo allora avrà parte a tutto quello che forma la gloria eterna dell’anima: corpo impassibile, immortale, dotato di tante distinzioni, dotato degli stessi segni del corpo glorioso di Gesù Cristo, del corpo glorioso di Maria che è già in cielo, assunta in cielo in anima e corpo. Avanti dunque serenamente!
In questi giorni fate i propositi: Vivo intieramente la mia vita religiosa? Oppure cerco di adattarla un poco ai miei gusti? E passando gli anni divento più fervorosa, più osservante oppure divento più trascurata, più tiepida? Propositi fermi! Che siano fermi e che siano accompagnati da un grande dolore, e poi molta preghiera, rinnovando, nel corso di questi Esercizi, ogni giorno dopo la Comunione, la professione fatta quando siamo entrati definitivamente nella vita religiosa.
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1 Meditazione tenuta ad Ariccia (RM) il 18 settembre 1959 in occasione di un corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro: A6/an 69a = ac 118b. È il primo corso di Eserizi predicato alle Figlie di San Paolo presso la Casa Divin Maestro di Ariccia, inaugurata il 6 luglio 1959.

2 “Fa’ di essere chiamato”. Espressione attribuita a S. Agostino.
3 Cf 1Cor 2,9: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano».

4 Cf 1Cor 15,41.
5 Cf Gv 14,2: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore».

6 Cf Mt 19,29.

7 Cf Sap 3,7: «Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là».