Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XII.
L'OBBEDIENZA

Per divina misericordia abbiamo già meditate due virtù, meditati due voti della vita religiosa, cioè il voto di povertà e il voto di castità. Ora rimane che veniamo al terzo, cioè alla virtù e conseguentemente al voto di obbedienza, affinché seguendo il Signore perfettamente possiamo avere i grandi meriti della vita religiosa.
Che cosa è l'obbedienza. - Che cosa importa l'obbedienza. - Quali sono i mezzi per praticare l'obbedienza.
I. - Anzitutto che cosa sia l'obbedienza. Obbedire è una parola che viene dal latino «ob audio», ascolto per l'autorità; «ob audio», per questo ascolto. Gesù
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fanciullo non ascoltava Giuseppe perché egli fosse più sapiente di lui, ma per l'autorità che era in lui, in quanto che Giuseppe, padre putativo, rappresentava bene il Padre Celeste, per volontà del Padre Celeste stesso. E quindi ciò che Gesù diceva riguardo al Padre, poteva anche dirlo riguardo a Giuseppe: «Quae placita sunt ei facio semper» (Gv 8,29), in quanto che faceva le disposizioni di Dio che riceveva prima attraverso Giuseppe, e poi direttamente dal Padre, sapendo qual era la sua missione più tardi nella vita pubblica.
Per conseguenza l'ubbidienza è ascoltare non per altri motivi: ascoltare perché il superiore è buono non è obbedienza; ascoltare perché dispone proprio ciò che mi piace, non è obbedienza; ascoltare perché mi ha dato il permesso, in questo mi piace, non è obbedienza; ascoltare perché è un uomo sapiente e saggio, di molto spirito, non è obbedienza: questo è la materialità dell'obbedienza; la materialità che sta nel fare quello che è detto; ma ciò che dà il costitutivo essenziale non è quello: ciò che dà il costitutivo essenziale, il formale, parlando secondo la filosofia, dell'obbedienza è l'autorità. Difatti, se
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uno, per esempio, è lì in un gabinetto di fisica o di chimica e gli fanno fare degli esperimenti, e il maestro indirizza e dice: Fa' così, prendi la tal cosa, la tale materia, il tale corpo, adopera così e così questo strumento... quello lo fa per l'autorità che vede nel maestro. Così chi si lascia guidare nell'architettura, o in un'arte: io posso leggere un libro e v edere, per esempio, che è meglio il tale stile, e che tale stile richiede certe particolarità, ha le tali caratteristiche, e poi copiare... tutto questo non è obbedienza.
L'obbedienza è ascoltare per l'autorità di Dio. E quindi l'obbedienza ci rende liberi. E noi possiamo obbedire anche a un carbonaio come Gesù che ha obbedito anche ai carnefici, anche a Pilato, anche a Erode, in quanto che attraverso questa gente che non era né sapiente veramente, né saggia, né buona, riceveva le disposizioni di Dio. «Non est enim potestas nisi a Deo: quae autem sunt, a Deo ordinata sunt» (Rm 13,1). Ecco quello che noi dobbiamo considerare. «Oboedite praepositis vestris et subiacete eis» (Eb 13,17): ecco la santa obbedienza: per l'autorità di Dio. E può anche essere uno infelice colui che ci
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comanda; ma poi non siamo infelici nell'ascoltare la parola di Dio. Può anche essere che un Sacerdote, dando il battesimo, sia in peccato grave. E con questo? Egli si trova sì in debito davanti a Dio e il Signore a suo tempo darà il castigo, secondo la sua opera; ma il bambino che è battezzato è riportato a casa come un angelo, mentre che l'altro torna a casa con un peccato di più, con una macchia di più. Così è per l'obbedienza: perché la sapienza, il bel fare, la gentilezza non entrano veramente a costituire e a formare il motivo formale del merito dell'obbedienza, ma l'autorità di Dio: è il Signore che vuole. Altrimenti noi potremmo prendercela col tempo... perché ha grandinato. Giobbe avrebbe potuto prendersela coi nemici, con i temporali, col fuoco che erano venuti a distruggere i suoi beni; ma invece Giobbe disse: «Dominus dedit, Dominus abstulit: sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum» (Gb 1,21): ciò che è piaciuto a lui sia fatto: ecco il merito dell'obbedienza. «Quomodo fiet istud?... Fiat mihi secundum verbum tuum» (Lc 1,34.38). Ecco: non capisco niente: ma «fiat mihi secundum verbum tuum». Vi
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è solo un caso in cui si è dispensati dal prestare l'obbedienza, e cioè quando avendo una coscienza superiore, come i martiri cristiani davanti agli Imperatori, si viene chiaramente a sapere, anche per consiglio dei Sacerdoti, come erano i Pontefici, i Vescovi e i Preti, che quello che ordinavano gli Imperatori non era lecito: solo allora si è dispensati. C'è solo un caso quindi: quando è chiaro che si comanda contro Dio. Perché l'obbedienza è «per auctoritatem Dei», e il male non è per autorità di Dio. Ecco dunque la santa obbedienza.
II. - E adesso veniamo subito a dire i pregi della santa obbedienza.Voi li sapete subito ritornando a rievocare la massima: «Bona paupertas, melior castitas, optima oboedientia». E perché? Perché con l'obbedienza diamo a Dio non i beni esteriori: quattro soldi; non i beni del corpo: la castità; ma i beni dello spirito, dell'intelligenza. Cosa date al Signore con l'obbedienza? Date tutto, e cioè date la mente: studiate quel che è disposto; date la povertà: prendete nel cibo quel che è dato; date il corpo: vi astenete da ciò che è vietato; date a Dio tutto, specialmente
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la volontà, che dispone in quanto è libera, e quando acconsente, acconsente liberamente.
Dunque l'obbedienza è l'omaggio caro a Dio per tre motivi: 1.o perché dà a Dio l'essere nostro, specialmente le cose migliori; 2.o fa a Dio un omaggio completo, lo riconosce come il sovrano Creatore: omaggio completo e adorazione; 3.o lo riconosce come Sommo Bene: gli dà la volontà, aderisse a Lui... «Voglio solo te». «Non sicut ego volo, sed sicut tu. Fiat voluntas tua» (Mt 26,39.42). Rende un omaggio completo a Dio: quindi è il perfetto amore, è la più bella prova dell'amore e perciò ecco che l'obbedienza è culto di latria: non dulia, non iperdulia, ma culto di latria, che consiste nel lodare Iddio infinito, suprema autorità, primo e sommo Bene, supremo Padrone e Creatore, che ha sopra di noi un dominio senza limiti. È quindi lodare la sua sapienza anche in terra, riconoscendo che la sua sapienza è buona, la sua potenza è infinita, la sua potestà è sopra di tutto. Culto maggiore di questo non si può dare. Specialmente, questo si capisce, quando si ubbidisce in due cose: 1.o accettando la vocazione che ci è data e corrispondendo:
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perché questo è dare, è sottomettere a Dio tutta la vita; 2.o accettando la morte che verrà: perché questo è proclamare il suo dominio supremo sul nostro essere, il dominio che ha Iddio su di noi. In sostanza dirgli: Tu sei padrone anche della mia vita; non di un attimo, non solamente di un frutto, ma proprio di tutta la vita, dell'albero. E quando uno acconsente che questo essere consacrato a Dio, sia disfatto per il disfacelo del corpo in quanto che, pur sopravvivendo l'anima spirituale, muore l'uomo, è proclamare il suo dominio assoluto. Noi in sostanza proclamiamo dalla cenere e dal cielo e dall'eternità: è giusto Iddio, è giusta la sentenza che ci ha dannati a morire; Egli è il padrone. «Quod bonum est in oculis suis faciat» (1 Re 3, 18). Due obbedienze sono quelle che piacciono a Dio, diciamo così: l'obbedienza alla vocazione e l'obbedienza a subire la morte: se uno fa l'obbedienza su questi due punti riesce a dare il maggior onore a Dio. L'obbedienza nella professione scancella tutta la pena dei peccati, è un Giubileo; l'obbedienza perfetta nell'accettazione della morte è un perfetto atto di amor di Dio, e scancella la pena,
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e chi è perfettamente aderente alla volontà di Dio e accetta la morte, fa un atto supremo di carità, che se è fatto perfettamente scancella, io non dubito a dirlo, tutto il Purgatorio; se imperfettamente, almeno gran parte, perché questo è amare il Signore: «Caritas operit multitudinem peccatorum» (1 Pt 4,8). E quindi in questa virtù vi è il massimo dei meriti. Ed ecco che quanto più l'anima è obbediente, tanto più sarà glorificata; quanto più si sottomette a Dio, tanto più sarà esaltata.
Vedete: lo star sottomessi bene al Signore vuol dire donargli perfettamente volontà, obbedienza, tempo, corpo... Ora se noi sottomettiamo tutto noi stessi a Dio egli sottometterà tutto a noi: «Omnia vestra sunt, vos autem Christi, Christus autem Dei» (1 Cor 3,22-23). Chi si lascia dominare da Dio, domina il mondo, diviene padrone di tutto, diviene libero e domina le sue passioni, domina i suoi istinti carnali, domina la superbia, domina la vanità; egli è un padrone perché dà tutto a Dio. «Veritas liberabit vos» (Gv 8,32). L'obbedienza ci rende forti: «Servi legum sumus, ut liberi esse possimus», diceva già Cicerone.
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Dio sia benedetto! Ed è per questo, vedete, che il Figliuol di Dio fu perfettamente obbediente al Padre, cioè la sua vita dal presepio al Calvario è tutta una obbedienza continua, diligente, perfetta. E come aveva cominciato scendendo per obbedienza dal Cielo, nel seno di Maria, «Et Verbum caro factum est» (Gv 1,14), così continuò fino alla morte: «Factus oboediens usque ad mortem» (Fil 2,8). «Et venit Nazareth et erat subditus illis» (Lc 2,51). Trent'anni: che volete di più? Per questo, mirate! se è più stupendo il prodigio di vedere due creature che comandano a Dio o se è più stupendo l'atto di virtù che fa questo Dio obbedendo a due creature. E più avanti nella vita pubblica quando piacque al Padre, e compì tanti prodigi, e subì tante umiliazioni e la fame e la sete, e la stanchezza per obbedienza al Padre, e dormì per terra sotto una pianta e si faceva ricoverare e cercò ricovero qua e là sempre secondo quello che voleva il Padre; e stette in compagnia di Giuda che gli ordiva congiure e inganni e, vedendo che rubava il denaro dell'elemosina pur sopportava... Perché Gesù piacque al Padre fino all'ultimo: «Quae placita sunt ei facio
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semper» (Gv 8,29). Ed ecco un altro punto: nell'orto del Getsemani tre volte protesta: «Non sicut ego volo, sed sicut tu... Fiat voluntas tua» (Mt 26,42). E andò incontro ai suoi nemici dicendo: «Haec est hora vestra» (Lc 22,53); e chinò la testa davanti ad Anna, Caifa e Pilato che lo condannassero, e accettò la croce che il Padre gli aveva assegnato e la portò ubbidiente, e per obbedienza si stese su di essa e vi stette tante ore e tanti minuti quanto piacque al Padre, senza voler abbreviare o prolungare... finché poté dire: «Consummatum est» (Gv 19,30): tutto ciò che era desiderio del Padre è compiuto: «Consummatum est». E allora abbassò il capo come era disposto, e spirò: «Et inclinato capite, tradidit spiritum» (Gv 19,30).
E davanti a Gesù morto col capo chino davanti al Padre, che cosa dice la nostra protervia, che cosa dice la nostra albagia, la nostra superbia? Ah, quanto poco si ubbidisce nel mondo, sapete! Si fa un po' per timore, un po' perché si stima la persona; ma proprio la vera obbedienza, fatta quando non si capisce, quando c'è da rinunziare alle idee e ai propri
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programmi almanaccati... Eh, bisogna andarla a cercare l'obbedienza vera! Gesù dunque ci ha dato l'esempio.
III. - E chi obbedisce riceve il premio anche sulla terra: riesce.
Ed è bene che veniamo al terzo punto, tanto più che ho poco tempo e bisogna che facciam presto.
Come è la vostra obbedienza? La vostra obbedienza è sommamente salutare. Vedete anche un po' di mirare al vantaggio vostro. Veniamo a dir chiaro che cosa voglio da voi e perché mi avete veduto un po' fermo in questi giorni. Voglio questo: che non ci sia bisogno di assistenza: fatti i voti che ognuno sia capace di fare da sé. Gli assistenti devono essere a dire: l'orario quest'oggi è così; non a vedere se si fa; devono comunicare, ma non che ci sia bisogno di vigilare, di sorprendere, di alzarsi di notte... Quando è così non siete capaci, e allora? Figliuoli, nella vita sarete sempre da capo. Ed io vi esaminerei... Io vi voglio così: ecco ciò che voglio. Se avete buona volontà venite così, se non avete buona volontà rinunciate. «E dalle macchine, i tali perdono tempo continuamente, e quando
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si è in cortile... e guardi che in studio non ha studiato...». E poi lo mandano dal Teologo perché non bastano gli assistenti... Ma io vi voglio liberi! Ma capite bene: siete persuasi che così si fa bene? Così siete liberi: vi mettete lì, studiate, pregate, fate i vostri affari e nessuno vi dice niente, siete i più felici degli uomini. Se non venite così, vedete, non andate avanti. Per carità! Ecco: voglio che siate tutti così e tutti capaci. Perché volevo venire all'esperienza: che veniate capaci ad assistere voi stessi, non perché voi abbiate bisogno di fare l'assistente, ma perché volevo fare presto a farvi imparare, non a comandare, ma a farvi imparare a conoscere i giovani, a guidarli. Ma se di uno non si può fidare che stia con un ragazzo dietro la macchina.... Vedete che razza di chierici a 18, 20 anni! Ma volete che vi sorvegliamo, che vi prendiamo come i bambini? No! io vi voglio liberi, vi voglio liberi! E che facciate con coscienza, ecco tutto. «E questo è andato col tale, e questo con l'altro...». Ma la direzione deve essere così: «Guarda, gli studi si compiono così, oggi l'orario è questo». Uno bisogna che ci sia a dire l'ora dello studio, non è vero?
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C'è l'assistente, ma io vi farei dire le orazioni anche da voi. Ma c'è bisogno di andare uno in cattedra, e mettere la cattedra alta che si vedano tutti... Ma dove mi fate andare! E bisogna che ogni settimana faccia la raccolta dei lavori, perché altrimenti le macchine... Ma volete proprio ridurvi ad una schiavitù? Vi voglio liberi! Vi voglio poter mandare magari a San Cassiano, sicuro che farete là le cose bene: così voi siete liberi ed io pure e faccio altro. Ma chi non è capace di guidarsi, come guiderà?... (Seguono altri avvisi).
Sia lodato Gesù Cristo.
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