Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO III.
Quello che dicono di Maggiorino

Le testimonianze che qui riferiamo non sono diverse da quelle che si son trovate man mano leggendo la breve vita.

Scrive la Sorella Suora:
«Fin da piccolo Maggiorino ebbe in cuore delle grandi aspirazioni nei suoi giuochi, nei suoi discorsi, nelle sue occupazioni, in tutto lo dimostrava.
Era molto attivo, né ricordo d'averlo visto inoperoso e con preferenza aspirava ai lavori d'ingegno.
«Mi farò meccanico, macchinista, ingegnere»,
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mi diceva sovente da piccolino. Altre volte invece, pensando a tanti poveri infedeli
«Mi farò missionario per salvarli?» esclamava.
Voleva lavorare, applicarsi intensamente: anelava a riuscir sempre bene in tutto: a casa, a scuola, in chiesa: la mollezza e la mediocrità Maggiorino non le conosceva: sempre nuovi orizzonti si aprivano alla sua mente e con tutte le forze cercava di raggiungerli. Ad un insuccesso non si stizziva né si turbava, ma prendeva un ammaestramento per l'avvenire (ciò specialmente dopo che fu nella Pia Società S. Paolo).
Possedeva un carattere ed una volontà forte, tenace, che, male indirizzate l'avrebbero trascinato per vie rovinose, volte invece al bene, lo facilitarono nei suoi progressi.
Maggiorino deve aver certo sentito allo sbocciare della fanciullezza una forte lotta interna tra le buone e le cattive passioni; due correnti forti, quella del bene e quella del male, l'avrebbero certamente
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voluto trascinare seco, né il mondo e né il demonio saranno rimasti inoperosi per ammagliarlo coi loro falsi hagliori, per far cadere nei loro lacci traditori quell'anima, che Dio voleva tutta sua e su cui trionfò con la grazia. (Questo io lo penso e lo deduco da certi ricordi, ma non l'asserisco con certezza).
Maggiorino scelse la buona via e corse rapido con quel fervore suo caratteristico né si voltò mai indietro, ma perseverò: «sempre avanti e sempre meglio fino alla morte» fu il grido dei santi; e fu il proposito che noi abbiamo fatto risaltar di più tra gli altri del giovanetto e l'abbiamo fatto nostro.
Contando allora circa tre anni, nulla ricordo della sua Prima Comunione, ma fatto grandicello, posso affermare il di lui grande amore verso la SS. Eucaristia, vero centro, e nutrimento dell'anima sua, e fu là dove attinse forza, grazia e luce abbondante. Vi si accostava il più sovente possibile ma sempre con ottime disposizioni onde sotto l'azione fecondatrice di quei
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divini raggi eucaristici, l'anima sua si andò man mano trasformando.
Ricordo d'aver visto e di averne ammirato più volte il raccoglimento angelico, quando dopo la S. Comunione, adorava Gesù nel suo cuore.
«... i genitori eran contenti, perché, dicevano: è il più intelligente della famiglia».
«Talvolta faceva qualche marachella», come fanno tutti i bambini; «ma veniva sgridato e lui era subito pronto a chieder perdono, a far promesse di esser più ubbidiente e più buono e non solo più buono, diceva, ma voglio farmi santo» ciò che non fanno tutti i bambini...
«Nel primo anno di scuola gli fu regalata un'immagine di Sant'Espidito. Egli ne chiese spiegazioni e sovente la guardava e ripeteva: voglio anch'io farmi santo come S.Espidito. Ricordo ancora le volte in cui lo si vedeva salire su di una sedia e ripetere così bene le prediche sentite in chiesa, oppure farne come gliele dettava il cuore, che tante volte faceva stupire quanti lo sentivano», altro che rispetto umano!
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«e tante altre volte opponeva delle ragioni superiori di molto alla sua età, e sapeva dar consiglia me ed al fratello (Giovanni). Aveva molta passione per lo studio.
Ricordo, un giorno io ero a scuola, lui (aveva 5 anni) partì solo (ed era scalzo e in maniche di camicia), senza dir nulla a nessuno andò a bussare alla porta della Maestra dei ragazzi: insisteva dicendo di voler leggere e scrivere, tanto che lo dovetti accompagnare io a casa tutto piangente. Ricordo pure d'aver sentito diverse volte parenti ed amici e la maestra stessa di scuola ripetere: questo bambino è dotato di molto ingegno, ma è molto vivace e potrà fare una gran riuscita o vi darà dei dispiaceri».
Egli però seppe incanalar bene tutte le sue energie e la riuscita fu bella davvero, anzi invidiabile: imparò presto anche lui che «Regnum coelorum vim patitur!»
«Un giorno andammo insieme a casa del parroco (Don Attilio si chiamava) il quale domandò a Maggiorino che cosa avrebbe fatto quando fosse divenuto grande. Egli rimase un po' pensieroso.
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- Lavorerai i campi? continuò Don Attilio. Maggiorino non rispose ancora ma fece solo cenno di no.
- Ti farai prete ?
- Sì, mi piacerebbe, ma mi dispiace perché i preti portano le vesti e a me invece mi piace portare i calzoni e fare riuscite da uomo» Quanta semplicità non è vero? e come queste ingenue parole rispecchiano fedelmente l'innocenza, il candore di quel giglio che a Gesù piacque tanto di trapiantarlo presto nelle aiuole celesti.
«Don Attilio allora gli disse chc anche i preti portano i calzoni e ricordò i vantaggi del sacerdozio tanto che ritornati a casa, mio fratello corse subito dalla mamma a dirle:
- Sai, che io mi faccio prete? e voglio diventare un buon predicatore» e «convertire tante anime e farmi santo».
«Maggiorino, conferma la sorella, pregava molto volentieri e senza rispetto umano. Da quando ebbe imparato a pregare non tralasciò mai la recita delle tre Ave Maria ogni mattina appena svegliato ed ogni
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sera prima di addormentarsi e non poche volte diceva anche a noi di recitarle.
Cantava molto volentieri in Chiesa ed anche fuori tante volte cantava canti di Chiesa.
Era molto di cuore, si prestava molto se qualcuno fosse stato ammalato e ricordo che durante la sua infanzia siamo stati tutti ammalati un po' l'uno un po' l'altro: lui in quei giorni non giocava più, ma pregava specialmente quando s'ammalava la povera mamma. Per sé invece non si dava tanta cura del male ed anche durante la sua lunga malattia si mostrò molto rassegnato al volere di Dio. Ricordo pure che da quando entrato nella Pia Società S. Paolo, ritornando talvolta a casa per aiutare la famiglia nei lavori, egli lavorava, sì, ma il suo pensiero era a cose più grandi, a cose celesti. Mentre un giorno ci aiutava a tagliare il grano, alcuni del paese gli domandarono:
- Oh, sei di nuovo tornato a casa?
- No, rispondeva Maggiorino, e un delicato rossore si spandeva sul suo volto, no, sono soltanto venuto un poco per aiutare,
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ma non è questo il mio lavoro, debbo occuparmi d'altro più importante». Egli pensava agli interessi del Padre Celeste, alla gloria di Dio, alla salvezza delle anime che avrebbe curate come Sacerdote ed Apostolo della Stampa.
«Durante il periodo di tempo in cui fu a S. Paolo mi scrisse una volta dandomi buoni consigli, e mi diceva: Io sono in un posto buono, tu invece sei più in pericolo.
Non l'abbagliava dunque il falso piacere del mondo in cui vedeva dei grandi pericoli!
Eppure le stesse cose (divertimenti, comodità, ricchezze, vani titoli e vane scienze) che Maggiorino stimava inganni e pericoli, fanno perdere la testa a tanti giovanetti .
«...Egli amava tanto Gesù, desiderava che la sua anima fosse sempre bella, meno indegna dell'Ospite Divino: da ciò la grande vigilanza - specie dopo che fu a S. Paolo nell'evitare anche le piccole mancanze ed imperfezioni e l'accostarsi frequentemente e con dolore visibile al Sacramento della Penitenza.
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«Ascoltava con egual divozione e raccoglimento la S. Messa e la serviva e, quando ve n'era l'occasione assisteva anche più Messe al giorno. A servire la S. Messa imparò fin da piccolino, anzi, in seguito, insegnò pure al fratellino Secondo ed a me. Ricordo ancora l'angolo del cortile ove ci mettevamo per questa cerimonia, l'asse che raffigurava il leggio col messale, e che veniva, a tempo opportuno, trasportato da una parte e dall'altra di quello che ci serviva per Altare.
«Le sue divozioni più forti erano, dopo la SS. Eucaristia, Maria SS. e S. Paolo. Fin da piccolo nutriva il più tenero e filiale affetto verso la S. Madonna. Questo si accrebbe dopo che entrò nella Scuola Tipografica. Conoscendo meglio la cara Mamma Celeste, s'infiammò maggiormente verso di Lei, si mise sotto la sua speciale protezione: si raccomandava a Lei, La invocava coi più infuocati accenti, recitava sovente e con grande divozione la corona del Rosario, ne celebrava con slancio e con entusiasmo le feste, e a Lei rivolgeva con piena fiducia la supplica «...fammi santo!»
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Maria fu certo il suo aiuto, là sua guida a Gesù e non solo in vita, ma fino alla morte, difatti se lo portò in cielo nel bel giorno dedicato a Lei.
«Di S. Paolo Maggiorino era divotissimo: lo pregava con fervore, ne parlava a tutti, lo citava nelle sue predichine, ne studiava la vita, cercava di emularne le virtù, lo zelo, l'apostolato.
«Ricordo d'averlo visto il mattino del 29 Giugno 1918, un mese circa prima della sua morte, nel tempo di convalescenza della prima malattia, tornare dalla S. Messa parrocchiale col volto raggiante di gioia e con gli ardori del cuore che trasparivano all'esterno: appena mi vide, incominciò a parlarmi di S. Paolo con tale forza ed entusiasmo che io meravigliata oltre il solito, dissi tra me:
«Che fiamme e che fuoco ci devono essere in quest'anima per S. Paolo!» esprimeva poi talvolta i suoi sentimenti verso questo Santo nei pochi versi e poesie che si provò a comporre nei momenti liberi.
«Maggiorino amava tanto i suoi cari genitori, li rispettava e li obbediva. Non
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per questo si deve intendere che mai cagionasse loro nessun dispiacere, anzi anche nelle sue scappatine, egli, sapeva distinguersi, ma allora riconosceva tosto il fallo e, sapendo d'aver disgustato i genitori, (il più delle volte era la mamma), correva ai suoi piedi, s'inginocchiava, giungeva le mani e col dolore dipinto in viso, la pregava di perdonarlo, prometteva che si sarebbe corretto, migliorato, e che non le avrebbe più recato dispiaceri. Che bell' esempio! Anche di molti santi si dice che facessero così quand'erano ancora piccoli: e di noi lo si può dire? Se non possiamo farlo coi genitori, facciamolo coi Superiori che di loro tengono le veci.
«Quanto mi commoveva la pietosa scena! Non era il timore del castigo che conduceva Maggiorino così pentito ai piedi della Mamma, ma il grande amore filiale che nutriva verso di lei. Più tardi, alunno della Scuola Tipografica, ora Pia Società San Paolo, nelle lettere che le scrisse, continuava a chiederle perdono dei dispiaceri che nel passato le aveva arrecati.
«Quanta riconoscenza dimostra poi alla
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buona mamma, che si prendeva tanta cura per provvedere maternamente ad ogni suo bisogno!
Quando dalla Scuola Tipografica veniva a casa per qualche giorno, quanto non era grande la delicatezza, la gratitudine che le dimostrava, e come insegnava anche a noi ad amarla e ad ubbidirla!
«Come la mamma, Maggiorino, amò pure il babbo, che amava ed ubbidiva ed aiutava nelle fatiche. Difatti partito il fratello Giovanni per il servizio militare, Maggiorino cercò di sostituirlo. Lavorava da mane a sera senza tregua e senza dare alcun segno di noia o di stanchezza. Non sceglieva lavori, ma s'adattava a tutti anche ai più pesanti. E quando la voce di Dio incominciò a farsi sentire ed a chiamarlo a lavorare in un altro campo ben più nobile e vasto, quale non dev'essere stata la pena di Maggiorino nel dover chiedere al caro papà che vedeva un po' scosso nella salute, e tanto occupato, il permesso di lasciar la casa! Eppure Maggiorino, facendosi ognor più forte la voce di Dio, sentì il dovere di assecondarla.
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«Il sacrificio s'impose ad entrambi ed entrambi: padre e figlio l'accettarono e ne furon contenti. Il cuore del padre pareva lacrimare, spezzarsi alla decisione del figlio, ma quanto non ne fu compensato! il suo dolore si cambiò in tante consolazioni sulla terra e chissà in qual premio in Cielo!
«Maggiorino amava pur tanto i fratelli e le sorelle; sapeva adattarsi a noi più piccoli: ci compativa, ci aiutava e s'indirizzava al bene. Ma quale non fu anche per noi il dolore del distacco e quale festa quando ritornava a casa qualche giorno per Natale o per Pasqua!
«Sospirato, quando arrivava gli eravamo tutti attorno per salutarlo, interrogarlo e sentirlo raccontare tante belle cose. In quelle sere prolungavamo un poco le veglie per goderci più la sua cara compagnia.
«Egli ci parlava allora con venerazione e con entusiasmo del Primo Maestro, degli altri Maestri, dei suoi compagni, della scuola, degli studi, del suo ideale di farsi Sacerdote, e Apostolo della Buona Stampa, della vita che conduceva, delle gite, dei giuochi, dei divertimenti ecc.
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«Egli sempre allegro e contento, godeva che così fossimo anche noi; perciò c'insegnava giuochi, ci narrava barzellette, storielle, ecc. - e ricordo ancora filastrocche e scioglilingua che imparai da lui come ad esempio: «Sic salus illi ecc...» «Sei tu quel barbaro barbiere ecc...» e la cantilena: «C'era una volta un piccolo naviglio ecc...»
«Ma soprattutto egli portava ogni volta che veniva a casa un aumento di virtù, un progresso nuovo nella virtù». Era il suo proposito questo di progredire un tantino ogni giorno fino alla morte, e come si applicò a praticarlo!
«Ce n'accorgevamo anche noi bambini, infatti i suoi discorsi, il suo contegno erano ognor più edificanti, il suo zelo si faceva più intenso, il suo cuore si accendeva di sempre nuove fiamme di carità, la modestia traspariva e spiccava sempre più nel suo fervore angelico.
«Portava seco a casa qualche libro preferito di pietà e ne leggeva talvolta anche a noi, commentando se occorreva.
«Nè ci risparmiava correzioni ed esortazioni;
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ricordo che alle volte il fratellino più piccolo ed io, bisticciavamo per un nonnulla anche quando vi era Maggiorino a casa: per esempio nel giorno di Natale era facile una contesa per i doni di Gesù Bambino. Egli ci riprendeva dolcemente e cercava di ristabilire presto la pace tra noi che naturalmente davamo sfogo ai nostri capricetti possibilmente in assenza di lui.
«Trattava bene tutti né si stizziva con coloro che lo ripagavano con beffe.
«Una mattina tornavamo dalla S. Messa; arrivati alla Chiesetta di S. Rocco, qualche compagno screanzato incominciò a motteggiarlo e a dargli del bigotto. Io rimasi male pel fratello che al contrario si dimostrò sereno e tranquillo continuando la sua strada, come se nulla fosse. Più oltre: «Eh!» gli chiesi, «non hai sentito quel che t'han detto?»
«Lasciali poverini! mi rispose - Bisogna pregar per loto affinché diventino buoni!»
«A casa ripeteva spesso alcune predichine che aveva fatte per prova nella Scuola
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Tipografica (ora P.S.S.P) ai suoi compagni e tra le altre quella sul peccato, lasciò una impressione particolare.
«Era la festa di Natale o di Pasqua; tutta la famiglia era radunata e Maggiorino invitato salì sopra una sedia a parlare, e parlò ma con tale slancio e fervore che il padre (non troppo facile a commuoversi) pure, in quel giorno, si commosse e pianse. Ricordo ancora di quella predica questa precisa espressione: «Il peccato è come un coltello che trafigge il cuore di Dio!»
«Ricordo pure un dialoghetto avvenuto tra lui e me. Si stava un giorno parlando dell'incorruttibilità del corpo di alcuni Santi; argomento che a me piaceva molto e mi interessava. Ad un tratto: «Saresti tu contento» gli domandai «che il Signore ti conservasse il corpo intatto dopo morte»?
«Se il Signore lo vuole», mi rispose con altre parole che dicevan la stessa cosa, «se il Signore lo vuole sì; altrimenti avessi io da scegliere, preferirei che il mio corpo venisse distrutto».
«Io, bambina qual'ero allora e tanto affezionata al fratellino, rimasi poco
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soddisfatta di quella risposta e rattristata pensai dentro di me:«Il Signore esaudirà certamente il suo desiderio e quindi s'egli avesse a morire prima di me, dopo la sua morte io non potrei più vederne le care sembianze!» tanto era l'affetto che mi inspirava allora quell'angioletto.
«Amo tanto la virtù della purezza che divenne suo ornamento, sicché fuggiva persino l'ombra del male, né ricordo d'aver sentito dalla sua bocca una parola men che retta o grossolana. Fu sempre riserbatissimo nella persona, nel tratto, in tutto, in tempo di santità e in tempo di malattia.
«Confermò ancora quanto fu scritto per la sua carità, obbedienza, schiettezza, distacco, spirito di sacrifico e di mortificazione. Mai lo udii lamentarsi per l'inclemenza della stagione; mai per le privazioni e neppure per il male che ebbe a soffrire nell'ultima sua malattia in cui si abbandonò totalmente ai voleri di Dio. Nel tempo che fu ammalato a casa, ebbe più volte il conforto di vedere il Rev.do Sig. Direttore che lo veniva a trovare e per averne notizie e per portargli la sua calda
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parola di Padre nonché la sua santa benedizione. Quando, dopo tali visite, andavo in camera da lui, lo trovavo tutto contento e lieto e: «Come è buono il Sig.Teologo - mi diceva - partirsi appositamente da Alba per venirmi a trovare! quante belle cose mi ha detto!» e cominciava a raccontarmene alcune.
«Quando guarì dalla prima malattia, chiese ed ottenne il permesso di andare in Alba per fare una visita ai Suoi Superiori e compagni. Ritornato a casa la sera, quale non fu il suo entusiasmo! non cessava di parlare di quella S.Casa, delle accoglienze ricevute, delle felici impressioni provate nel vedersi nuovamente tra quelle benedette mura, della speranza di tornarvi presto, per poter raggiungere il suo ideale di essere un Apostolo della Buona Stampa e poter far tanto, tanto bene. Purtroppo egli non vi tornò, perché lo colse quello che fu l'ultimo suo male, onde messosi nuovamente a letto, sulle prime non si manifestò alcuna gravità, ma una sera, essendo io andata a prendere il latte in una famiglia non lontana, tornando a casa, trovai la
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mamma alla finestra che ansiosa mi attendeva e non appena mi vide: «Presto - mi disse - Maggiorino è in delirio! Corri dalle Suore a prender qualche pacchetto di aspirina!». Corsi subito e tra i singhiozzi riuscii a far loro capire che Maggiorino stava molto male e che occorreva l'aspirina. Le Buone Suore mi confortarono e datomi quanto avevo chiesto, promisero che sarebbero venute il mattino seguente a trovarlo e prodigargli le loro cure e la loro assistenza, come fecero generosamente durante tutto il corso della sua malattia. Intanto il caso s'era fatto grave e venne dichiarata la meningite; furono pochi giorni, ma giorni di dolore e di strazio, per la famiglia e congiunti. Ricordo che inginocchiata sui gradini della scala, supplicavo a braccia aperte il Signore ché se fosse stata sua volontà, avesse guarito il fratello con un miracolo e promettevo di star più buona, ma i disegni di Dio erano ben diversi. Quel Gesù che gli aveva suscitato nel cuore tanti desideri di bene e di apostolato, voleva ora il sacrificio della sua giovane vita, delle sue sante aspirazioni, del suo ideale. In
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quei giorni si fecero più frequenti le prolungate visite del Sig. Direttore, del Sig. Arciprete e delle Suore, e con edificante pietà, Maggiorino ricevette il S. Viatico. Anch'io ero allora presente: lo rimirai a lungo commossa e fu per l'ultima volta. Da quel momento non me lo lasciarono più vedere, neppure dopo morto, non già perché fosse impressione, tutt'altro, ma perché temevano che me ne rimanesse troppo vivo il ricordo a detrimento della mia salute.
«Aggravatosi ancora, Maggiorino chiese e ricevette l'Estrema Unzione parecchie assoluzioni e, dopo qualche giorno di penosa agonia in cui si moltiplicarono preghiere e suppliche, il giorno di Sabato verso le tre se ne volò al Cielo.
«A noi piccoli non si voleva dar questa notizia, ma ci fu facile intuirla, da un'espressione uscita al padre in nostra presenza; fummo mandati da una famiglia di conoscenti per quella mezza giornata, ma non potevamo far altro che piangere e dopo qualche ora dovettero accompagnarci a casa.
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«Il giorno seguente a quello della morte, cioè la Domenica, verso le ore otto della mattina, la mamma si trovava in camera attorno al letticiuolo, sul quale era adagiato il freddo cadavere. Vi erano pure alcune Suore che terminavano di ornare di rose e gigli il bianco lettino e recitavano qualche preghiera, rivolgendo di tanto in tanto parole consolanti alla mamma. Ad un tratto questa vide le labbra di Maggiorino muoversi e sfiorarsi dolcemente ad un celestiale sorriso, e, dopo esser rimaste così per alcuni istanti, lentamente rinchiudersi e tornar come prima. Grande fu la meraviglia della mamma che, prorompendo in una forte esclamazione di gioia disse: «Ride! Ride! Guardino Suore!...».
«Le Suore guardarono tosto ma non videro più nulla, allora compresero che si trattava di un sorriso riserbato tutto e solo alla mamma, cui avvicinandosi dissero con delicati accenti: «Veda, il suo Maggiorino vorrà darLe con un sorriso, il segno che è nella gioia piena del bel Paradiso». La mamma corse subito a raccontarci il fatto,
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né posso creder che si trattasse di un momento di esaltazioni e di allucinazione, no, perché io ricordo bene che il dolore della mamma non era per nulla agitato, ma cristianamente calmo e rassegnato».

Suor M. Delfina
M. del Suffragio


«... Ecco ora la relazione di una maestra.
Dalla maestra delle scuole elementari di Maggiorino, di cui se n'è già parlato brevemente nella presente vita, Pierina Pusineri, cui si chiedevano informazioni sulla vita del giovane, non si ebbe che questa breve ma eloquente risposta: «Del caro e vispo ragazzetto, M. Vigolungo, che mi fu scolaro nel tempo che trascorsi a Benevello, nulla, proprio nulla (di quaderni o fotografie ecc.) mi resta, se non la cara immagine scolpita in cuore, ed il soave ricordo d'essergli stata maestra, nonché la dolce speranza ch'egli dal cielo s'interesserà di me presso l'Altissimo e m'impetrerà grazie e favori».
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Ma ascoltiamo ora un'altra Sorella del caro giovane, la quale ci dà presso a poco gli stessi particolari della sorella suora:

«Quanto al mio caro fratello faccio ben volentieri quello che posso, notando peraltro che quando egli era piccolo, io non contavo che due anni e mezzo più di lui. Mi pare che quanto è scritto sul libro sia sufficiente a illustrare l'intelligenza, la buona volontà e il cuore delicato del piccolo Maggiorino, e che riesce inutile aggiungere altro. Però aggiungo che quantunque i genitori fossero contenti di lui, gloriandosi della sua spiccata intelligenza temevano molto e specialmente la mamma, che, dato il suo carattere vivace, avesse a far una cattiva riuscita. Anch'egli faceva qualche scappatella, come fan del resto tutti i bambini, ma, sgridato, era pronto a chiedere perdono, e a promettere di diportarsi meglio, anzi di farsi santo.
Ricordo che il primo anno di scuola gli venne regalata un'immagine di S. Espedito.
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Egli si fece a spiegarla, e guardandola spesso diceva: «Voglio farmi santo come S. Espedito». Ricordo pure che a volte saliva sulle sedie e ripeteva tanto bene le prediche udite in chiesa che faceva stupire quanti lo sentivano. Altre volte improvvisava predichine come gliele dettava il suo cuore, traendo ragioni e conclusioni di molto superiori alla sua età. Sapeva pur dare consigli a me e al fratello Giovanni. Aveva molta passione per lo studio: tra l'altro ricordo che essendo io a scuola, egli partì solo da casa, scalzo, in maniche di camicia (aveva appena 5 anni) e senza avvertire nessuno andò a bussare alla porta della scuola dicendo alla Maestra che voleva leggere e scrivere...
Dovetti poi condurlo a casa tutto piangente.
Diverse volte intesi dire da amici e dalla maestra: «Questo bambino è dotato di molto ingegno, ma è troppo vivace, ossia possiede una ridondante energia, e o farà una gran riuscita o recherà molti dispiaceri». Un giorno ci recammo a casa di D. Attilio (ora già defunto). Questi lo interrogò che
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cosa avrebbe voluto fare quando fosse più alto; egli stette un po' soprapensiero.
- Lavorerai i campi? - Maggiorino fece cenno che no. - Ti farai prete?
- Sì, mi piacerebbe: ma i preti portano le vesti, a me invece piace portare i calzoni per essere un uomo.
D. Attilio cercò allora consolarlo con belle parole, aggiungendogli che pure i preti portano i calzoni.
Tornato a casa disse subito alla mamma che voleva farsi prete.
Maggiorino pregava molto volentieri e senza rispetto umano. Da quando imparò a recitar le preghiere, sempre le recitò con grande costanza, tenendo per massime le tre Ave Maria, raccomandandole anche a noi...».

G. Rosina


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