Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO III
NELLA SCUOLA TIPOGRAFICA

Il re dei tempi.


La missione della stampa è oggi di tanta importanza che Mons. Ketteler non dubitò di dire a riguardo del primo fra gli Apostoli: «Se S. Paolo nascesse ora si farebbe giornalista». S. Paolo si appigliava a si appiglierebbe, se potesse tornare al mondo, al mezzo più potente per diffondere il S. Vangelo, per combattere il male, e difendere la S. Chiesa. Ora ai giorni nostri si è appunto la stampa il mezzo più efficace. Pontefici e Vescovi, sacerdoti
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e laici, statisti e filosofi, la ragione, l'esperienza ce lo ingannano.
Missione grande questa; missione eminentemente sacerdotale; missione che esige tutto lo spirito religioso e vi associa la vita più attiva e febbrile che si possa immaginare.

Un bel sogno.


In cima ai desideri di uomini che vivono ai tempi d'oggi; in fondo ai cuori che meditano i gravi mali d'oggi e la stringente necessità di porvi un riparo sta quasi sepolto un desiderio non ancora ben definito. E un desiderio che si teme di scoprire, che anzi quasi non si osa concepire, tanto parrebbe irrealizzabile.
Per la nostra stampa ci vuole una pia società di corpi e di anime che vogliano, vogliano, vogliano.
Questa unione dovrebbe comprendere due sorte di persone: Tipografi
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e Scrittori: ma che tutti siano legati dai voti solito e da quello dell'apostolato stampa in aggiunta; che i tipografi lavorino con spirito, si direbbe, sacerdotale; che gli scrittori siano veri sacerdoti e santi sacerdoti.

La Scuola Tipografica.


In Alba, sotto la protezione di San Paolo, fu aperta una casa che aveva il nome di Scuola Tipografica. Nome questo che era destinato a scomparire per cedere il posto all'altro più appropriato di Pia Società S. Paolo. La Pia Società S. Paolo si propone anzi tutto di favorire la Buona stampa, formando buoni operai tipografi e buoni scrittori cattolici. Fu aperta il giorno 20 Agosto 1914 e accoglie ragazzi che abbiano le attitudini necessarie, morali, fisiche, intellettuali.

* * *

I giovani sono distinti in due sezioni: una di semplici tipografi, l'altra
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degli operai-studenti. Tutti attendono a coltivare la pietà e la virtù. Ma nello stesso tempo: i primi si addestrano in modo speciale al lavoro; i secondi compiono gli studi di un giovane di seminario, dovendo poi laurearsi in scienze sociali.
La casa assistita amorosamente dalla Divina Provvidenza, raccoglieva allora una trentina di alunni volonterosi.

La voce del Signore.


Fu in casa che il Signore chiamò il giovane Maggiorino. E fu anche qui che egli radunò in pochi mesi un gran cumulo di meriti: «Consummatus in brevi, explevit tempora multa».
Maggiorino entrò nella Scuola Tipografica il giorno 15 ottobre 1916.
Varie ragioni parvero opporsi.
Anzitutto il fine ed il lavoro della Scuola Tipografica non erano ben noti: cosicché i parenti dovevano quasi fare un passo nel buio ed affidarsi alla
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Provvidenza. Poi la famiglia Vigolungo si trovava in circostanze alquanto difficili: il fratello maggiore, il più forte aiuto, era soldato, il padre aveva da poco superata una malattia che poteva ripetersi.
Ma il Direttore della Scuola Tipografica fece la proposta, il Parroco consigliava, Maggiorino insisteva. Il padre aveva compreso che quel figliuolo era stato favorito dal Signore di grazie particolari; nella sua coscienza di vero cristiano capì che il Signore gli chiedeva quel figliuolo. E lo diede con lo stesso spirito con cui Mari presentò Gesù al tempio e lo consacrò tutto al servizio del Signore.

I primi giorni.


Nei primi giorni i compagni si accorsero subito dell'ingegno di Maggiorino e più di tutti notarono che egli possedeva una serietà e maturità di senno molto rara all'età di dodici anni quanti egli ne contava allora.
L'assistente disse presto di lui:
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Questo è un giovane di carattere: se s'indirizza bene sarà costante: fa parte per la Casa.
I primi giorni della vita di collegio sono sempre molto penosi. Trovarsi lontani dalla famiglia, fra i compagni sconosciuti, sotto la guida di superiori per cui dapprima si nutre più timore che amore, sotto la disciplina di un orario non mai praticato, dover parlare di lingua italiana, le difficoltà vecchie e nuove dello studio; ecc., sono per un collegiale tanti pesi. Sotto di essi alle volte i giovani restano oppressi, si scoraggiano, si arrestano: altre volte penano a sottoporsi.
Maggiorino invece fin dal primo giorno abbracciò volonteroso tutta intera la nuova vita: studio, lavoro, pietà. Parve finalmente che si trovasse a suo posto, quello che egli da tempo aveva desiderato.

Le attitudini di Maggiorino.


Tutti lo videro subito allegro, applicarsi con energia, studiare con la miglior volontà.
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Naturalmente Maggiorino fu messo nella sezione dei giovani che al lavoro uniscono lo studio. Le due occupazioni sembrerebbero escludersi a vicenda; invece si completano, si aiutano, rendono l'educazione più vera, più larga, più familiare.
Il lavoro della Scuola Tipografica quale si trovava allora era quello di comporre e stampare. Il comporre esige maggior istruzione, lo stampare maggior attenzione. Il lavoro dello stampare ha molte difficoltà. Tutti coloro che hanno pratica di Tipografia, sanno che è facile formare dei compositori, difficilissimo formare degli stampatori-macchinisti.
Gli stampatori-macchinisti hanno un lavoro di precisione più difficile a controllarsi, più distraente, più pericoloso.
Il Direttore esaminò bene le attitudini di Maggiorino, lo credette atto a riuscirvi; e gli assegnò quel lavoro. Egli mostrò subito di potervi riuscire bene.
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La prova.


Una difficoltà parve mandare a monte tutte le speranze concepite.
Un giorno Maggiorino voleva tornare a casa e v'insisteva. Solo dopo molte esortazioni dei genitori si arrese a far di nuovo una prova.
Ma pochi giorni dopo egli era da capo.
- Non hai più volontà di studiare?
- Sì, lo studio mi piace tanto.
- Non stai bene di salute?
- Non hai vitto sufficiente?
- Quanto al vitto sto benissimo.
- Che cosa vi è dunque?
Le risposte di Maggiorino si facevano aspettare ed erano evasive. Contro il suo solito egli nascondeva quello che pensava.
Si era ormai quasi decisi Direttore e Genitori: ritornare a casa; tuttavia si continuava a pregare.
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La luce.


Una sera di novembre, dopo le orazioni prima di riposo, il Direttore chiama a sé Maggiorino e gli dice: - Tu devi aprirmi la tua anima: hai qualche cosa che finora mi hai tenuto nascosto. Vuoi dirmi tutto?
- Sì, io sono pronto.
- Perché vuoi tornare a casa?
Veda, io in Tipografia devo spesso mettere o egualizzare i fogli. Questo è un lavoro che faccio senza che la mente sia occupata. Allora la mente pensa, spesso mi occorrono dubbi di fede...io se continuo così mi dannerò...
- Oh, caro amico, i dubbi non son mica peccati!!!
- Ma non sono tutti peccati mortali?
- No, no, no.
E qui, gli spiegò chiaramente quando un dubbio è peccato e quando no. Il giovane si rasserenò allora totalmente; parve che una nube cadesse dall'orizzonte del suo cuore ed egli si trovò sotto un cielo sereno e limpido.
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Non ebbe più d'allora alcuna tentazione di lasciare la Casa, sebbene quei disturbi lo travagliassero spesso.

Impiego del tempo.


Ed ecco la vita che condusse per circa 18 mesi.
Studio: in media cinque ore al giorno. Lavoro da macchinista: ore cinque. Opere di pietà: quotidianamente, orazioni del mattino e della sera, Messa, Comunione, Meditazione, lettura spirituale, S. Rosario; settimanalmente, Confessione e la Visita al SS. Sacramento; mensilmente: Ritiro mensile, annualmente S. Esercizi. Passeggio ogni giorno.
Vitto: regolato nei vari pasti distribuiti nella giornata, mai prendendo cosa fuori dall'ora, se non per necessità.

Verso la luce piena.


Calmato ogni timore e assicurato che egli non offendeva il Signore, Maggiorino
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continuò la sua vita nella Casa che egli amò con affetto soprannaturale.
Quella tendenza che egli sentiva alle cose grandi ed a fare un giorno del bene, tanto bene, cresceva ogni dì più nel suo cuore: ma si sentiva anche soddisfatto.
Maggiorino ascoltava in modo particolare le istruzioni in cui si parlava dell'Apostolato Stampa; prestò attenzione vivissima ad una meditazione in cui si diceva che l'Apostolato Stampa è l'anima di tutta le altre opere di zelo e che a darsi interamente all'Apostolato Stampa occorre avere il vero spirito del sacerdote. L'ideale veniva spiegato a poco a poco. Il direttore una sera diceva: «Si possono unire le tre specie di meriti: di una vita religiosa, di una vita di sacerdote e dell'Apostolato Stampa».

La sua scelta.


Per Maggiorino furono queste parole come la spiegazione di un misterioso
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sogno che sentiva dentro di sé. Corrispondevano ad un bisogno della sua anima. Terminata l'istruzione egli si recò dal direttore e gli disse:
- Ecco ciò che io cerco: quanto Lei ha spiegato questa sera.
- Ah! si? sono contento.
- Ma lei crede che io possa riuscire?
- Non solo lo spero, ma ne son certo, se corrisponderai alle grazie del Signore.
- Ebbene io sono pronto.
- Ma rifletti bene e con calma. Queste risoluzioni si prendono dopo molta preghiera, molta riflessione e molti consigli.
- Ma io ho già pregato e pensato, se lei mi dice che io possa riuscire, eccomi.
- Caro fanciullo, io prendo le tue parole non come una decisione definitiva, ma come espressione della tua volontà attuale.
- Io mi metto tutto nelle sue mani: ora e sempre, tutto: mi conduca per la strada che ha indicato questa sera.
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- Ma vi saranno molti sacrifizi da fare...
- Non importa: spero che il Signore e S. Paolo mi aiuteranno.

L'ideale.


Allora egli non pensò più a nulla che non fosse o lo guidasse al suo ideale.
Vi si attaccò con tanta forza, con tanto amore, che da mattino a sera egli l'aveva in mente, in cuore, sulle labbra.
Considerava la Casa come la via al suo ideale e sentite come ne parla in una meditazione fatta per iscritto e da solo:

La Casa.


Quale è il capo?
Gesù, il Divin Maestro.
A chi dobbiamo ubbidire? A Gesù, rappresentato dal nostro Signor Direttore.
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Qual'è il fine? Il fine è di far dei buoni apostoli della Stampa.
Chi lo vuole? Lo vuole Dio.
Quale spirito dobbiamo prendere? Lo spirito di Dio, che ci vien dato per mezzo del Sig. Direttore.
Che cosa dobbiamo fare? Obbedire in tutto ai nostri superiori, o meglio, assecondare anche i loro semplici desideri.

Ideale e vita.


E queste non erano parole per lui, ma opere di vita.
Qui incomincerà propriamente la santificazione e il darsi a Dio di Maggiorino.
Si può dire letteralmente che egli non aveva nessun'altra aspirazione né altro pensiero. Ciò che diceva, i progetti che faceva, i discorsi di ricreazione, lo studio, la pietà, il lavoro ecc., tutto era rivolto a realizzare e conseguire il suo ideale.
Pareva che egli non sentisse più le altre cose. Le molteplici sue energie
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erano incanalate tutte verso il suo ideale; come le varie acque che discendono qua e là da due versanti, si radunano a valle per scorrere poi tutte come un gran fiume verso il mare.
Neppure i giorni di vacanze né le passeggiate né gli onesti sollievi lo distraevano dalla sua mira. Egli non s'interessava più delle cose materiali.
Anche i suoi scherzi in ricreazione finivano col toccare ciò che ferveva nella sua anima. Mi accade d'interrogarlo: «Che cosa hai sognato questa notte?» «Che avevo una grande tipografia dove lavoravano più di cento operai ed io dirigevo un quotidiano che là si stampava».

Fervore di volontà.


L'ardore con cui perseguiva il suo ideale era così intenso che qualche volta gli impediva di comprendere e giudicare le cose con serenità e di prenderle per il loro giusto verso.
A questo si devono attribuire i suoi errori nei lavori di scuola, l'insistere
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che faceva qualche volta in ricreazione nelle sue vedute, il non veder più che il suo ideale nelle varie cose.
Spesso il Direttore gli raccomandava la calma, la serenità; per circa quattro mesi egli fece questo punto oggetto del suo esame di coscienza.
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