Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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19. ORIENTATI VERSO LA VITA ETERNA
(Domenica III di Pasqua)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 23 aprile 19611

...e la domenica presente, terza, e poi la quarta e poi la quinta che precedono l'Ascensione, nel Vangelo, sempre si parla del paradiso, cioè Gesù annunzia la sua ascensione al cielo.
Quest'oggi il Vangelo dice:
In quel tempo: Gesù così parlò ai discepoli: «Ancora un poco e non mi vedrete; e un altro poco e mi rivedrete; perché vado al Padre». Allora, alcuni dei suoi discepoli dissero fra loro: «Che significa questa frase: "ancora un poco e non mi vedrete, e un altro poco e mi rivedrete, e me ne vado al Padre?"». E ripetevano: «Che significa questo, "un poco?". Non comprendiamo quello che voglia dire». Gesù, conosciuto che volevano interrogarlo, disse loro: «Vi domandate l'un l'altro che significa la mia frase: "ancora un poco e non mi vedrete, e un altro poco e mi rivedrete?". In verità vi dico: piangerete e gemerete e il mondo godrà, e sarete in afflizione, ma l'afflizione vostra si cambierà in gioia»2.
Così, nella quarta domenica, di nuovo il Signore Gesù ci parla del paradiso: «Vado da colui che mi ha mandato - cioè vado dal Padre - , e nessuno mi domanda: "Dove vai?". Invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma io vi dico la verità: E' meglio per voi che me ne vada; perché se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, lo manderò»3.
E così, nella domenica quinta, ugualmente Gesù si riferisce e solleva i cuori degli Apostoli al pensiero del cielo. Dice: «Vi ho detto queste cose in parabola. Ma sta per venire l'ora in cui non vi parlerò più in parabole, ma apertamente vi darò conoscenza del Padre. In quel giorno chiederete in nome mio, e non vi dico che io pregherò il Padre per voi perché il Padre stesso vi ama. Perché io sono uscito dalle mani del Padre, son venuto in questo mondo, ed ecco che lascio il mondo e ritorno al Padre».4
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Perciò la riflessione nostra, in questo tempo: sempre si ha da orientarsi verso il cielo. Perché la vita presente è ben breve, è la vita eterna che conta. E tuttavia dobbiamo pensare alla vita eterna per orientare bene la vita presente.
Come si può proporre ad un giovane, ad una giovane, di lasciare il mondo e quello che promette il mondo e quello che può essere di piacevole in una famiglia, lasciare questo, senza promettere del meglio? Più che la ricerca di vocazioni, [la vocazionista] senta il bisogno di promettere il meglio e cioè: poco è quel che lasciate, eterno e perfetto è quello che ci viene promesso, quello che un giorno possederete. Perché è evidente che se uno entra in un negozio - e la vita nostra dev'essere negotium a quo pendet aeternitas - se uno entra in un negozio, ecco, il commerciante, il venditore cerca di mostrare la merce e farne risaltare la buona qualità affinché il cliente s'innamori della merce, e allora preferisca la merce ai soldi che ha in tasca e quindi sia disposto a spendere quei soldi pure di acquistare quella merce.
Ecco, così è di noi. Se pensiamo spesso al paradiso, se orientiamo le anime verso il paradiso, non sarà difficile lasciare il poco per conquistare il mondo eterno, l'eterno gaudio, sì. E non sarà difficile anche far dei sacrifici quotidiani perché aeternum gloriae pondus operatur in coelis1. Anche un piccolo sacrificio comporta, importa e sarà premiato con un grado di gloria in più: aeternum gloriae pondus operatur in coelis. Una felicità, un premio eterno, al di là.
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Certamente bisogna aver fede. Ma la virtù della fede è fondamento. Ma se uno lascia la casa, quando vuol costruire, solamente a fior di terra, cioè fa le fondamenta e basta, non si ha la casa, bisogna poi alzare i muri: Domus Dei, credendo fundatur, sperando erigitur1. La speranza dopo ci vuole. Perché recitiamo il Credo e sappiamo che veniamo da Dio: exivi a Patre2: sono uscito dalle mani di Dio. E sappiamo che sulla terra la via per camminar bene è Gesù Cristo, gli articoli del Credo che seguono. Veni in mundum. Ognuno è venuto al mondo con una certa vocazione, una certa destinazione. Non è il capriccio che ci debba condurre, ma il volere di Dio. Ma relinquo mundum2. A un bel momento si lascia il mondo e «vado al Padre»2. E cioè, vado alla eterna felicità, alla destra del Padre.
Occorre allora che uno abbia, sulla terra, compiuto il volere di Dio e va al Padre, non all'inferno, ma lassù dove contemplerà la Santissima Trinità, dove s'incontrerà col Maestro Divino, s'incontrerà con Maria, Madre, e con tutti i Santi del cielo e non vi sarà più dubbio, non vi sarà più timore.
Dunque, l'ultimo articolo del Credo è poi: vitam aeternam. Allora, ecco, se noi seguiamo Gesù, seguiamo la Chiesa, approfittiamo dei sacramenti, viviamo secondo la nostra vocazione, ecco: la vita eterna.
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Perciò, dopo l'Atto di fede, viene l'Atto di speranza. Seguirà, poi, l'Atto di carità.
Ma dopo l'Atto di fede, per cui protestiamo di credere a Dio, alla Santissima Trinità, a Gesù Cristo, alla Chiesa e al cielo, al premio per i buoni, ecco ci viene il desiderio del paradiso, la speranza del paradiso che è certezza, non è una speranza vaga. Per parte di Dio è certissimo il premio, per chi fa bene. E solo dalla parte degli uomini che vi è qualche incertezza, cioè se corrispondono alla grazia, se fanno il volere del Padre, perché il Signore premia le cose fatte per lui, non quelle fatte per noi, a tutelare la nostra ambizione, il nostro orgoglio, la nostra comodità, ecc. ma le cose fatte per il Signore. Premia. Allora viene il desiderio del cielo più che della terra, più che del mondo. Quelli che poco credono al paradiso poco s'innamorano del paradiso e quindi si attaccano alle cose della terra, cercano di soddisfarsi. E «incoroniamoci di rose prima che marciscano»1, dicevano quei giovani insipienti. La speranza.
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La speranza, che cos'è? Ha due oggetti la speranza: primo, è confidare, sperare il paradiso; secondo, [sperare] le grazie per il paradiso.
[1.] Sperare il cielo. Fermi in quelle Beatitudini dove il Signore, per otto volte, ripete lo stesso pensiero. Chi si rinnega, chi segue Gesù avrà la vita eterna, perché colui che è povero di spirito sarà ricco in cielo, possederà le ricchezze del cielo. E così, tutte le altre beatitudini promettono il cielo. Ma poi la promessa del cielo, Gesù, l'ha ripetuta tante volte. E qui insiste, prima di salire al cielo, sugli Apostoli, a ricordare il premio: «Voi sarete in tristezza - cioè vi mortificherete - e il mondo se la godrà»1. Oggi vanno a passeggio, prendono tanti spassi, si abbandonano a tanti divertimenti, a soddisfazioni, all'ambizione. Magari non vanno a Messa, ma quanta toeletta fanno! ecc. Voi sarete mortificati. Ma se il mondo godrà, voi siete in tristezza. Ma sappiate che la vostra tristezza si cambierà in gaudio1. Ed è difficile al mondano morire rassegnato quando non ha mai operato per il cielo. Come se un operaio non avesse lavorato tutta la settimana, cosa pretenderà? La speranza del cielo, ecco.
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[2.] E le grazie necessarie. Ma non confidare solamente nelle nostre pratiche, ma le nostre pratiche [devono] portarci all'umiltà e alla fiducia nei meriti di Gesù Cristo. I meriti di Gesù: quel viaggio al calvario, quella crocifissione e quelle tre [ore di] agonia, di morte di Gesù, ecco, nostre. Gesù ha sofferto per noi, mica per sé. Non aveva niente da espiare per sé. E allora, la fiducia: "Signore, non potendomi fare il minimo merito da solo, mi prendo i vostri, mi appoggio a Voi, mi appoggio ai meriti della vostra passione e morte", sì. Quindi la nostra speranza non è inutile. Se speri il perdono dei peccati, lo speri bene, perché basta esser pentito e Gesù li lava col suo sangue.
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Ma bisogna anche dire che, alcune anime peccano contro la speranza. Poi quelli che presumono: "Oh, il Signore ha creato il paradiso, vuole mica lasciarlo vuoto, mi ci metterà, oh!". E allora non badano a far meriti. Persone che presumono: "oh, già faccio abbastanza bene". E persone che invece un po' si disperano di potersi far sante e di arrivare a un bel posto in paradiso: "tanto i Santi son Santi, ma io sono così". E allora c'è una specie di disperazione di arrivare alla santità. E alcune anime invece disperano di evitare il purgatorio e non pensano a metter fede nei meriti di Gesù Cristo, nel suo sangue e a fare mortificazioni.
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Allora, ecco, san Pietro era stato un poco turbato perché aveva veduto quel giovane, invitato da Gesù alla vita perfetta, [che] si era ritirato perché amava più i suoi soldi che non la sequela, la povertà di Gesù. E Pietro domandò: «E noi che ti abbiam seguito, cosa avremo?». Ecco la parola di Gesù che ha calmato i suoi dubbi, ha chiarito le sue idee: «Voi che mi avete seguito e avete lasciato tutto, riceverete il centuplo, possederete la vita eterna»1. Ecco la consolazione dei religiosi:
— più lasciamo noi stessi e più saremo ricchi in cielo;
— più possediamo Dio e più saremo ricchi in cielo;
— più è il nostro spirito di fede e più saremo ricchi in cielo;
— più amiamo il Signore e più saremo ricchi in cielo: «Possederete la vita eterna». Che bel guadagno, questo!
Però nell'Atto di speranza c'è sempre questo: «mediante le buone opere che io debbo e voglio fare». E cioè, star buoni. Perché, se noi facciamo delle opere buone in grazia di Dio, con retta intenzione, il Signore aggiunge i suoi meriti e la nostra opera diviene degna di premio eterno, sì. Ma ci vogliono le opere buone se no Gesù non può aggiungere il valore del suo sangue, quindi non vi è...
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1 Nastro 111/d (= cassetta 93/b). - Per la datazione, in PM nessun indizio cronologico. - dAS, 23/4/1961 (domenica): «meditazione alle PD del servizio».

2 Cf Gv 16,16-20.

3 Cf Gv 16,5-7.

4 Cf Gv 16,25-28.

1 2Cor 4,17.

1 L'argomento è svolto in S. Tommaso D'Aquino, Summae Theologiae, Secunda secundae, q. 4, a. 7.

2 Gv 16,28.

1 Cf Sap 2,8.

1 Cf Gv 16,20.

1 Cf Mt 19,29.