Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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14. SAN GIUSEPPE MODELLO DI OBBEDIENZA*

Siamo nel mese consacrato a S. Giuseppe; egli è il santo del silenzio operoso, è un esemplare di verginità, è il fedele operaio e il buon capo della sacra Famiglia, è il custode del Bambino Gesù, è lo sposo purissimo della santissima Vergine, è il patriarca della Chiesa universale.
Nell'ufficiatura che la Chiesa propone per il giorno consacrato a questo santo, è detto di lui: "uomo fedele"1, poiché fu fedelissimo a tutta la missione affidatagli da Dio. Il Signore trovò in lui un esecutore perfetto delle divine disposizioni.
Nell'ubbidire non perdeva tempo nemmeno a dir di sì. S. Giuseppe si può paragonare alla penna. Quando vogliamo usarla non abbiamo che da prenderla, intingere il pennino nell'inchiostro e scrivere; non aspettiamo che la penna dica di sì, non le chiediamo il permesso, ma l'adoperiamo quando ne abbiamo bisogno e nel modo che vogliamo.
Per l'incarnazione del Verbo, Iddio chiede il consenso alla Madonna, mentre a S. Giuseppe non chiede nulla, ma, quando è tempo, gli manifesta le disposizioni. La Madonna risponde: «Ecco l'ancella del Signore»2, ma S. Giuseppe non ha tempo a rispondere. Allorché si trovò tormentato da un dubbio assai penoso verso la santissima Vergine, viene rassicurato da un angelo, ed egli prontamente, senza rispondere, obbedisce. Intimatogli di partire a Betlem, si porta silenzioso colà con Maria santissima e non essendo accolto nelle case dei betlemiti, di nuovo, senza proferire parola, si rifugia in una grotta.
Vi è chi davanti ai comandi di Dio dice di no; vi è chi dice di sì e poi non li eseguisce; vi è chi manifesta quanto gli costi l'obbedire e perde tempo in parole a manifestare il sacrificio
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che fa volendo mostrare la propria virtù; e vi è infine chi ha solo l'intento di compiere in modo il più perfetto la volontà di Dio. E mentre molti stanno a dire: "E... facciamo la volontà di Dio... il Signore ci penserà...", questi ultimi hanno già eseguito il comando ricevuto.
L'angelo disse a S. Giuseppe: «Levati, prendi il fanciullo e la madre di lui e va' nella terra d'Israele, ché son già morti quelli che volevano la vita del fanciullo»3. Egli, alzatosi, prese il bambino e la madre di lui e tornò nella terra d'Israele.
A dir questo si fa presto, ma bisogna notare che si trattava di un viaggio lungo, da percorrere a piedi, in mezzo a boscaglie ed a selve. L'angelo non gli spiega se sarebbe rimasto poco o molto. Dopo un tempo notevole dacché S. Giuseppe è in Egitto, l'angelo gli intima di tornare a Nazaret ed egli sempre obbediente, si allontana dall'Egitto; per lui si avverano tante profezie del Vecchio Testamento.
Vedete, quanto più mettiamo del nostro io nell'operare, tanto meno avremo di soccorso da parte di Dio. Mettiamoci nelle mani del Signore e lasciamo che la provvidenza faccia il suo corso. Le anime umili e docili sono elette da Dio a grandi cose e nelle sue mani diventano strumenti miracolosi.
Il sacerdote trasforma il pane nel corpo del Signore per le parole: «Questo è il mio Corpo»4; perché questo? Perché egli diventa la bocca di Gesù Cristo; è Dio, solo lui che opera.
Quanto più ci disporremo a far la volontà di Dio e saremo docili nelle sue mani, tanto più il Signore opererà in noi frutti di salvezza, e le opere saranno di Dio, da lui iniziate, condotte a termine, corroborate dalla grazia.
Quante volte si lavora assai, ma non per il Signore. Non è questa attività che fa i santi, sibbene la docilità nelle mani di Dio la quale è meno esterna, ma più interiore.
Sovente vi è l'illusione di fare. Sì, sì, è un'illusione; stiamo nelle mani di Dio, ma quando egli ha manifestato la sua volontà allora operiamo pure con fermezza. Tutta la nostra attività ha da rimettersi nelle mani di Dio. A volte crediamo di far andare
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avanti il carro da noi proprio mentre mettiamo il bastone fra le ruote; e quando vediamo che il carro non va più avanti ci lagniamo di esso mentre la colpa è nostra.
«Signore, io sono il tuo servo, fammi intendere i tuoi desideri»5. Ecco le disposizioni che dovremmo avere.
Ci mettiamo qualche volta al posto di Dio? Sovente diciamo: Io penso, io faccio... Non siamo noi che operiamo, ma Dio. Facciamo come la penna, la quale è pronta; possiamo prenderla quando vogliamo, scrivere una parola o tante senza che essa ci dica: Perché mi fai lavorare tanto? E quando la deponiamo non ci chiede un grazie, niente.
S. Teresa del Bambino Gesù6 diceva di essere come una palla nelle mani del Signore; la palla è docile come la penna.
Siate le servette di Dio come lo fu S. Giuseppe. Siete contente di servire il Signore? Servire Dio è più che servire alla regina ed è cosa molto saggia.
Adoperarci a far la volontà di Dio è bene, ma adoperarci a far da noi è un errore.
Recitiamo un Pater a S. Giuseppe per ottenere il vero spirito nel servizio di Dio.
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* Meditazione stampata in un ottavo con numerazione di pagina progressiva, rispetto all'ottavo precedente (pp. 15-16). Comprende cinque meditazioni, indicate nella nota della meditazione n. 5. La data si ricava dal testo: marzo 1937.

1 Pr 28,20 (Volgata).

2 Cf Lc 1,38.

3 Mt 2,20.

4 Lc 22,19.

5 Cf Sal 119,27.

6 Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (1873-1897). Lettera 36, del 20 novembre 1887 alla sorella sr. Agnese di Gesù.